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Full text of "Il Morgante Maggiore"

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in  2010  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/ilmorgantemaggOOpulc 


IL 


MORGANTE  MAGGIORE 


D  r 


a»irii<3Siì  i?ijriL(sii 


VENEZIA 

GIUSEPPE    ANTONELLl    EDITOKE 
TIP.  PREMIATO  DELIA  MEDAGLIA  D'ORO 

M.DCCC.XXXV. 


L.FIGI    PULCI 


ufM^^  j    diP****-<^:  ii/i\ffv 


WIT  k 


DI 


LUIGI      PULCI 


Rapide  idee,  semplicità  di  modi, 
Sommo  arlifizio  e  purità  di  lingua, 
Del  tuo  Morgantc  son  queste  le  lodi. 

F.  Z. 


VITA 

I)  I 

]L  ^  lì  (fi  It       ^  lì 

IL 

lì  li 

'^^^t'^m^^^ 

A  Ilici  Luigi,  il  più  giovane,  ma  non  il 
meno  celebre  di  una  famiglia  di  poeti,  che 
si  associò  degnamente  agli  sforzi  de'Medici 
per  la  restaurazione  delle  lettere,  nacque  a 
Firenze  il  giorno  i5  di  agosto  del  i^Ì2.  I 
suoi  antenati  meritala  avevano  la  lunga  il- 
lustrazione loro  per  pubbliche  benemeren- 
ze. Quanto  di  lui  sappiamo  consiste  in 
questo,  che  Lorenzo  de  Medici  l'ammet- 
teva nella  sua  famigliarità,  e  che  non  si  se- 
para il  suo  nome  da  quello  degli  uomini  i 
più  ragguardevoli  di  quella  corte  letterata  e 
specialmente  dal  nome  di  Poliziano,  di  cui 
l'amicizia  è  imo  de' suoi  titoli  di  gloria. 
La  vita,  onninamente  letteraria  di  Pulci 
non  ha  altri  eventi  che  le  sue  opere  ;  e  le 
rende  soprattutto  commendevoli  presso  alla 
posterità  l'esser  egli  stato  il  creatore  dell'e- 
popea burlesca  de' moderni,  e  l'avere  an- 
nunziato l'Ariosto.  L'Italia  del  secolo  de- 
cimoquinlo  non  era  matura  per  la  poesia 
epica.  Cento  anni  prima  Boccaccio  impiega- 
to aveva  l'ottava,  ottimo  metro  cui  aveva 
preso  dai  trovatori  francesi,  e  cui  primo  egli 
naturò  in  Italia,  per  cantare  le  avventure 
romanzesche  di  personaggi  imaginari  del- 
l'antichità.  Luca  Pulci,  secondo  fratello  di 
Luigi,  imitato  avea  tale  esempio  ravvicinando 
ai  tempi  moderni  l' azione  del  suo  poema. 
De'  verseggiatori ,  de'  quali  i  nomi  neppur 
giunsero  fino  a  noi  coi  poemi  oscuri  cui  ci  la- 
sciarono, letta  avevano,  nelle  vecchie  cro- 
nache romanzesche  di  Francia,  la  storia 
mezzo  favolosa  di  Carloraagno  e  di  Orlando; 
e  tali  meschini  rapsodi  del  medio  evo  messi 


avevano  in  rima  per  la  plebaglia,  que' rac- 
conti, più  che  straordinari,  tradotti  in  lingua 
volgare  prima  di  essi,  e  cui  corredavano  di 
preci,  talvolta  usate  dalla  Chiesa,  ma  le 
quali  non  erano  il  più  delle  volle  che  voti 
per  sé  stessi  e  pei  loro  uditori,  di  cui  la 
generosità  non  era  loro  indifferente.  Tali 
saggi  informi  erano  scrii,  come  quelli  di 
Boccaccio;  ma  nulla  di  tutto  ciò  aspetto 
aveva  di  epopea.  A  Lorenzo  dW  Medici,  che 
non  disdegnava  anch'  egli  di  comporre  del- 
le canzoni  carnescialesche,  parve  cosa  piace- 
vole di  mettere  in  certa  guisa  in  parodia 
que'  poemi  popolari  e  di  far  ridere  delle 
tradizioni  veramente  epiche  cui  avevano  ce- 
lebrate; questa  idea  sorrise  al  brio  faceto  di 
Pulci  ;  e  la  Musa  italiana  fu  dotata  di  nuo- 
vo genere  di  poesia.  Tali  fatti  ravvicinati 
ci  spiegano  tutto  il  disegno  del  suo  poema, 
che  fu  argomento  di  sì  calda  controversia 
fra  i  critici  italiani.  Senza  ammettere  né 
escludere  1'  opinione  di  Gravina,  il  quale 
credè  che  il  Pulci  avesse  voluto  porre  in 
derisione  tutte  le  invenzioni  cavalleresche 
di  que"  tempi  e  che  lo  fa  in  tal  guisa  il 
Cervantes  dell'  Italia,  noi  non  esiteremo  a 
dire,  con  esso  e  con  Ginguenè,  che  il  lUur- 
§anie  Maggiore  non  può  essere  slato  nel 
pensiero  dell'  autore  che  un  abbozzo  di  fan- 
tasia, che  un  poema  eroi-comico  ;  e  le  pri- 
me due  stanze  del  venlesimoseltinio  canto 
tolgono  su  tale  punto  gli  ultimi  dubbi.  Co- 
me in  altro  modo  comprender  si  potrebbe 
il  carattere  misto  di  prodezza  e  di  buffo- 
neria del  gigante  che  dà  il  nome  al  poema» 


VITA     DI     PULCI 


tlcl  (jiialo   OrlaiKlo   è    il   vero    eroe,     e  quel 
burlesco  Margnllc,   di  cui  Voltaire  fece  co- 
noscere a'  Francesi  alcuni   traili,  e  l'episo- 
dio di  Oliviero    e  di  Meridiana,  e  tanli  al- 
tri parlicolari  che  spiegar  si  possono  soltan- 
to come  una  scommessa,    quando  si  rifletta 
clie  Pulci  scriveva  per  giudici  come  Loren- 
zo de  Medici  e  Poliziano  !  Era    stato    gue- 
st' ultimo    che  indicata    gli    aveva     l' opera 
del  monaco  Alcuino    e    quella    di  Arnaldo, 
antico  trovatore    di    Provenza,    come    fonti 
preziose  e  sconosciute  :    da    ciò  proviene    il 
vecchio  errore,  confutato  dalla  stessa  diver- 
sità del  talento    dei  due  amici,    prima    che 
il  fosse  dalla  giudiziosa  critica  di  La  Mon- 
noye,  che  le  loro  cartelle    si  erano  spesso 
mischiate  durante  la  composizione  del  Mor- 
gante.  Il  carattere  singolare  di  tale  poema, 
la  sua  condotta  bizzarra  che  contrasta  spe- 
cialmente con  la  grandezza  dell'azione,  quel- 
la varietà    con  cui    il    cantore    di    Orlando 
fece    quasi    dimenticare    superandola,    quel- 
l'arte, sì  familiare   dappoi  ad  Ariosto,  di  col- 
Icgare  le  sue  narrazioni    1'  una  con    V  altra, 
e  quella  mancanza  assoluta  di  unità,  che  re- 
stò   il  difetto    dominante    di    tali    imbrogli 
eroici,  per  ultimo  quell'  elegante  naturalezza 
che  conserva  alla  narrazione    tutta    la   gra- 
zia di  ima    conversazione    famigliare,  e    fin 
anche  quello  spurio  mescuglio    della  poesia 
coi  proverbi  popolari    di  cui    la  dizione    di 
Pulci  abbonda,  tutto  ciò  non  appartiene  che 
a  lui,  e  ciò  fece  del  Marcante  una  produzio- 
ne originale,  benché  il  poeta  meritati  abbia 
gravi  rimproveri.  Delle  sconce  facezie,  delle 
imagini    basse    o  burlesche,    delle    moralità 
satiriche,    spesso    giudiziose,    ma    pressoché 
sempre  lunghe  e  fuori  di  luogo,  per  ultimo 
un  abuso  mostruoso  delle  cose  divine  e  del- 
le applicazioni    ironiche    de' libri    sacri    che 
lungi  non  sono  dall'empietà,  macchiano  qua- 
si  lutti  i  canti    del  poema  ;    e   Crescimbeui 
si  prova  di  difenderlo,  contro  la  severità  di 
Gravina,   accusando    il  secolo    di    Pulci  più 
che  lo  stesso  Pulci,  ed  affermando  che  1'  au- 
tore è  più  ritenuto    che    la    maggior    parte 
de'suoi  contemporanei  e  di  tutti  i  suoi  ante- 
cessori. Tale    riflessione    fa    scusare  special- 
mente i  preamboli  de'suoi  canti,  che    sono 
la  traduzione  letterale   di  parecchi  passi  del- 
la Liturgia  :   tali  maniere  di  preci  erano,  sic- 
come abbiamo  detto,  formoleconvenute,  che 
avevano  pressoché  perduta  la  loro  solennità 
passando  per  la  bocca  di  quelli   che  canta- 


vano  r  ylncroia  e   L'uofo  J'  ^Intona  per  le 
pubbliche  piazze  ;    e  Pulci  non  se  le  permi- 
se   che    per    contraffare    e    deridere    quelle 
muse  mendicanti    del    secolo  decimoquarto. 
Forse  col  medesimo    scopo    ei  si  ride  ordi- 
nariamente, nelle  'sue  finzioni,    di    tutte    le 
cognizioni  geografiche  ;    però    che  il  vente- 
simoquinto   canto    del  Morgante    contiene, 
sull'esistenza  degli  antipodi,  forse  il  più  no- 
tabile passo  che  citar  si  possa    prima  della 
scoperta  dell'  America.  Per  altro,  negar  non 
possiamo  che  Pulci,    inspirato  senza  dubbio 
dal  soggetto,  non  sia  veramente  poeta  negli 
ultimi  canti  ;  ed  è,  per  così     dire,  una  biz- 
zarria di  più:  fu  citata  specialmente,  nel  veri- 
tesimosetlimo,    la    morte    di    Baldovino     di 
Magonza,  e  quella    di  Orlando,    si  commo- 
vente e  sì  cavalleresca.  Eppure  il  Jflorgantc 
è  poco  letto  a'  nostri   giorni,  ove  noi  sia  dai 
filologi,  che  vi  ricercano  le  finezze     native, 
gli  antichi  modi  della  lingua  toscana,  e  quel- 
la moltitudine  d'idiotismi    che  hanno  fatto 
citare  gli  scritti  di  Pulci  come  classici,  dal- 
l'accademia    della    Crusca].    I    puristi    gli 
apposero     appena     alcune     scorrezioni    nelle 
desinenze  de' verbi  ;   e  tutti  lodarono  la  per- 
fezione di   tale  stile,    che    citato  venne  sic- 
come modello  da    Machiavelli.    Lo    stile    è 
pressoché  il  solo  merito   delle  poesie  fugge- 
voli di   Pulci,  ed  io  particolare   de'suoi  so- 
netti   contro     Matteo     Franco.    Tale    poeta 
firentino,  uno    de  migliori    suoi    amici,    go- 
deva, come  egli,    la  famigliarità  di  Lorenzo 
ile  Medici.  Imaginarono,  pei'  divertire  il  lo- 
ro  Mecenate,    di    mutuamente    dilaniarsi    in 
certi   sonetti  cui  leggevano  a  mensa  del  pa- 
drone. Lorenzo   era   magnifico,  ma  non  gran- 
de ;  incoraggiò    tale    emulazione    d  ingiurie 
e-   d'indecenze,    che    escluse    qualunque    di- 
gnità di   carattere,  ed    alla  quale   dobbiamo 
oltre  centoiiuaranta  sonetti,  scritti  i  più  sen- 
za la  minima   decenza,    e    nel    genere    pro- 
verbiale  e  scucito   di  Burchiello.  Dir    si   de- 
ve per  giustizia    che  sono  non   tutti  di  Pul- 
ci.  Comunque    sia,   parecchi   furono    proibiti 
come  empi,   e  l'autore    ne    fece  espiazione, 
pubblicando    successivamente    il  Credo  e  la 
sua  confessione  alla  santa  Vergine,  poema  in 
terzine,  a  cui  susseguitano  alcune  poesie  pie. 
Egli    è  pur    anche     autore    della     Frottola^ 
componimento  citalo    dalla  Crusca  ;   di  una 
novella  che  si   trova  nella  edizione  del  Do- 
ni ;    di  LeMcre   a  Lorenzo    il    Magnifico:    e 
della  Beco  da   Oicornano. 


VITA     J)I     PULCI 


Non  è  nota  1"  cjior.i  ili-lIa  morie  «li  Pulri  : 
viene  però  eonuinenienle  collocata  nel  1487. 
(«injinenè,  il  quale  co};lie  sì  avidamente 
r  occasione  di  mellere  in  opposizione  le  prò- 
(In/ioni  italiane  al  carattere  pnliblico  depli 
autori,  stampò  che  Luigi  Pulci  era  canoni- 
co:   i   Itionrad  nazionali  narrano,  per  Io  con- 


trario, ch'era  ammogliato,  e  eh' ehiìc  due 
figli  che  rimasero  sconosciuti.  Gravina  con- 
sidera con  ragiime  il  Morf^arilc  ed  alcuni 
sonetti  di  Pulci  come  i  primi  mcmumenti 
del  genere  di  poesia  al  quale  il  Derni  ha 
lasciato  il  suo  nome. 


IL 


DI 


LUIGI     PULCI 


^x 


È  siala  questa  isloria,  a  quel  eh"'  io  veggio, 
Di  Carlo  male  intesa  e  scritta  peggio. 
Canto  I.  Si.  IV. 


I  L 

M OH GANTE     HAGGIOUE 

DI 

1LÌ0IÌU1Ì  i^iriLiìii 

-m^^Q^t)-^ 

CAINI  O     P1U310 


ARGOMENTO 


'>èi^Qi^ 


'     ii'cntìo   Carlo    Giugno   Iinperudorc 
Co"  Paladini  in    festa  e   in   allff^ria, 
Orlando  conlra    Oano    traditore 
3'  adira,   e  furie   vrrso   J'of:^nnìa  : 
liiuns:e  li  un  deserto,  e  del  bestiai  Jarorc 
Ih    tre  t;i^anii   saìi>a    una  badia. 
Che  due  n  uccide,  e  con  Mercante  elegge 
]Ji  buon  socio  e  d  umico   usar  la   h'sge. 


-^ì^^i-ifi- 


II)   pniicipio  eia  11  Vtiliu,  .i|<|>its..-o  .1  Dio, 
Ed   era   Iddio   il    ^  irlio,    e   1    Verbo    lui  : 
Questo  era   nel  )>riiici|iio   al   parer  imo  ; 
E   nulla   si   può  iar   san/a   rosttii  : 
Però,   giusto   Signor  benitiiio   e  pio, 
Mandami   solo   un    de    pli   an;ieli    lui 
(-he  m"  accompagni,   e   rechimi   a   memoria 
L  na   famosa   antica   e    degna   sloria. 

11 
E    III   >  ergine  figlia   e   madre   e   sposa 
Di   quel   Signor  che   ti   dette   le   chiave 
Del  cielo  e  de  1  abisso   e   d'  ogni  cosa 
Quel   dì   die   Gabriel   luo    li    di.-se   ave  : 
Perchè    tu  se'  de   tuo"  servi  pietosa, 
Con   dolce  rime   e  slil   grato   e   soave 
Aiuta   i   versi  miei   benignamente. 
E   nsino   al  fine   allumina   la   mente. 


Era  nel  teirìpo  quando  Filomena 
Con   la  sorella   si   lamenta   e  plora, 
Che   si  ricorda   di    sua   antica   pena, 
E   pe'  boschetti   le   ninfe   innamora, 
E    Febo   il    carro    temperato  mena. 
Che  "1   suo   Fetonte  1"  ammaestra  ancora  ; 
Ed    appariva   appunto   a   1  orizzonte. 
Tal   clie   Titon   si   prafllava   la   fronte  ; 

IV 

Quand'  io   varai   la   mia   barchetta,  prima 
Per   iibbinir  chi   sempre   ubbidir  debbe 
La  mente,   e   faticarsi   in  prosa   e   in  rima, 
E   del  mio   Carlo   imperador  m"  increbite  ; 
Che   so   qnanti  la  penna  lia   posto  in   cima, 
Che   lutti   la   sua    giuria  prevarrebbe  : 
E   stala  questa  istoria,   a   quel   eh' i' veggio. 
Di    Carlo  male  inlesa   e   scritta  peggio.      ^  ■_ 

V 

Diceva    già  Lionardo   Aretino, 
Che  s'  egli   avesse  avuto  scrillor  degno. 
Com'egli   ebbe   un   Orinanno   il   suo   Pipino, 
Cir  avesse   diligenzia   avulo  e  ingegno,    vt    li^ 
Sarebbe   Carlo   Magno   im   nom   divino^ 
Però  ch'egli  ebbe  gran  vittorie  e  regno, 
E  fece  per  la  Chiesa  e  p"r  la   Fede 
Certo  assai  più,  che  non  si  dice  o  crede. 

vi 
Guardisi   ancora   a   san   Liberatore 
Quella   badia   là  y)re«so   a  Manoppello, 
Giù  ne   eli  Abbruzzi  falla  per  suo   onore, 
Dove  fu  la  battaglia  e  1   gran  flagello 
D   un  re  pagan,  che   Carlo   imperadore 
Uccise,  e  tanto  del   suo  j)opi)l  fello  : 
E  vedesi   tante  ossa,  e  tanti  il  sanno, 
Che   tulle  in   Giusafià  poi   si  vedranno. 


j    Ir^j, 


INI  O  l\  Cx  /V  N  T  E     M  A  (;  G  I  O  K  ìi 


Ma  il  mondo  riero  e  isjnorantc  non  prezza 
Le  sue  virili,   rom'  io   vorrei   vedere  : 
E   In,  Fiorenza,  de  la  sua   }>;rande/za 
Possiedi,   e   sempre  potrai   possedere 
Oj;ni   roslnme  ed   o;:!;ni   penli'.ezza 
Che  si  ])olesse   acquistare   o   avere 
Col  senno  eoi   tesoro  o  roii  la   lancia 
Dal  noliil  san<rne  e  vennlo  di  Francia. 

vili 
Dodici  paladini   aveva  in  corte 
Carlo,  e  1  piii  savio  e  famoso  era  Orlando; 
Gran   Iradllor  lo  condnsse  a  la  morte 
In   Roncisvalle   un   trattato  onlinanilo  ; 
Là  dove  il   corno  sonò  tanto  forte 
Dopo   la  dolorosa  rotta,  quando 
Ne  la   sua  commedia  Dante  qui   dice, 
E  meltelo  con   Carlo  in   ciel   felice. 

IX 

Era  per  Pasqua  quella   di  Natale  : 
Carlo  la  corte   avea   tutta  in   Parigi  : 
Orlando,  coni'  io  dico,  il  principale 
Evvi,   il  Danese,  Astolfo,   e   Ansuigi  : 
Fannosi  feste  e  cose   trionfale, 
E  molto  celebravan  san   Dionic;i  : 
An(>io!in   di  Baiona,  ed  Ullvieri 
V  era  venuto,  e  1   gentil  Berlingliieri. 

X 

Eravi  Avolio  ed  Avino  ed   Ottone 
Di  Normandia,  Riccardo  paladino, 
E  "1   savio  Namo,   e '1  vecchio   Salomone, 
Gualtier  da  Monlione,   e  Baldovino 
Ch'era  fliìliuol   del   tristo  Ganeìionc. 
Troppo  lieto   era  il  fia;Iiuol   di   Pipino  ; 
Tanto   che  spesso  d'  allegrezza   penie 
Vefi;2;endo  tutti   i  paladini  insieme. 

XI 

Ma  la  fortuna   attenta   sta  nascosa 
Per   «luasfar  sempre   ciascun  nostro  effetto; 
Mentre  che  Carlo   cosi   si  riposa, 
Orlando   governava   in  fatto  e  in   detto 
La  corte  e   Carlo  Magno  ed  ogni  cosa  : 
Gan  per  invidia  scoppia  il  maladetto, 
E  cominciava  un   dì  con   Carlo   a   dire: 
Abbiam  noi  sempre   Orlando  ad  ubbidire  ? 

xu 
Io  ho  creduto  mille  volte  dirti: 
Orlando  ha   in   sé   troppa  presunzione  : 
Noi  Siam   qui   conti,  re,  duchi    a  servirti, 
E  Namo,  Ottone,   Uggieri  e  Salomone, 
Per  onorarti   ognun,  per  ubbidirti  : 
Clic  costui  abbi   ogni  reputazione 
Noi  sofferrem,  ma  siam   deliberati 
Da   un  ianciullo  non  esser  governati. 

XIII 

Tu  cominciasti  insino  in  Aspramonlc 
A  dargli   a   intender  che  fosse   gagliardo, 
E  facesse   gran  cose  a  quella  fonte  ; 
Ma  se  non  fosse  stato  il  buon  Gherardo, 
Io  so   che  la  vittoria  era   d'Ahnonte: 
Ma  egli  ebbe  sempre  Tocchio  a  lo  stendardo, 
Che  si  voleva   quel  di  coronario: 
Questo  è  colui  eh'  ha  meritato,   Carlo. 


Se   ti  ricorda   già  scndo  in   Guascogna, 
Quando  e'  vi   venne  la   gente   di   Spagna, 
Il  jiopol   de'  cristiani   avea   verg»)gna, 
Se   non  mostrava  la  sua  forza  magna. 
Il   ver  convien  pur  dir,  quando  e'  bisogna  : 
Sappi;:  eh   ognuno,   imperador,  si  lagna: 
Qu.int' io  per  me,  ripasserò  fjue' monti 
Ch'io  passai 'n  qua  con  sessantaduo    conti. 

XV 

La   tua  grandezza  dispensar  si   vuole, 
E  far  che  ciascun  abbi  la  sua  parte  : 
La  corte  tutta  quanta  se  ne  duole: 
Tu  credi   che  costui  sia  forse  Marte  ? 
Orlando   un   giorno  udì  queste  parole, 
Che  si  sedeva  soletto  in   disparte  ; 
Dlspiaequegli  di   Gan  quel   die  diceva  ; 
E  molto  più  che  Carlo   gli  credeva. 

XVI 

E  volle  con  la  spada  uccider  Gano, 
Ma   UlÌNÌeri  in   quel  mezzo  si   mise, 
E  Durlindana  gli  trasse  di  mano, 
E  così  il  me'  che  seppe  gli  divise. 
Orlando  si  sdegnò  con  Carlo  Mano, 
E  poco  men  che  quivi  non  l'  uccise  ; 
E  dipartissi  di  Parigi  solo, 
E  scoppia  e'mpazza  di  sdegno  e  di  duolo. 

XVII 

Ad  Ermellina  moglie  del  Danese 
Tolse  Cortana,  e  poi   tolse  Rondello; 
E  'n  verso  Brava  il  suo  cammin   poi  prese. 
Alda  la  bella,  come  vide  quello. 
Per  abbracciarlo   le  braccia  dislese. 
Orlando,   che  isniarrito  avea   il   cervello, 
Coni' ella   disse:  Ben  venga  il  mio  Orlando: 
Gli   volle  in  su  la   testa   dar  col  brando. 

XVIII 

Come  colui  che  la  furia  consiglia, 
E'  gli  pareva  a  Gan  dar  veramente  : 
Alda  la  bella  si  fé' maraviglia  : 
Orlando  si  ravvide  prestamente  : 
E  la  sua  sposa  pigliava  la   briglia, 
E  scese  dal  cavai  subitamente: 
Ed  ogni  cosa  narrava  a  costei, 
E  riposossi  alcun   giorno  con  lei. 

XIX 

Poi  si  partì  portato  dal  furore, 
E   terminò  passare  in   Paganìa; 
E  mentre  che  cavalca,  il   traditore 
Di   Gan  sempre  ricorda  per  la   via  : 
E  cavalcando  d'  uno  in  altro  errore, 
In   un  deserto   truova  una  badia 
In  luoghi  oscuri   e  paesi  lontani, 
Ch'  era  a'  confin'  tra  cristiani  e  pagani. 

XX 

L' abate  si   chiamava   Chiaramonte, 
Era  del  sangue   disceso  d' Augrante  ; 
Di   sopra   a  la  badia  v'era  un   gran  monte. 
Dove  abitava   alcun  fiero   gigante, 
Dc'f(uali   uno  avea  nome  Passamonte, 
L'altro  Alabastro,  e 'l  terzo  era  Morgante : 
Con  certe  frombe   gittavan  da   allo, 
Ed  ogni  dì  facevan   qualche   assalto. 


MG  1\  (i  ANTK      M  A  G  ('.  I  O  R  K 


1 


1    iiioMHi  li<-i(i   non  (Ktticnd  u<rire 
l)il    nu)ni^U'^(l  <i  ptr  lci:iie  o  per  art|in'  : 
Orlando  pirrlii.i,   e   non   volicno   ajirire, 
l'in   rlie   a   1"  .ili.ile   ,i   ì»  line  jnir  piarqne  : 
Entrato  drrnto  roniinriava  a  dire, 
Conii'  rollìi,  rlie  di   Maria   ^ià  nacque, 
Adora,  ed  era  Cristian   liatle/zato, 
E  con»' e-ili  era  a   la  badia  arrivato. 

xxii 
Disse  l'aliate:  11  ben  venuto  sia: 
Di   quel   eli*  io  ho   volentier   ti  daremo, 
Poi  che  tu  credi  al  iì^linol  di  Maria  ; 
E  la   rafrion,  ravalier,   li   diremo. 
Acciò  che  non  1  imputi   a   villania, 
Perché  a  1'  entrar  resistenza  facemo, 
E  non   li  volle  aprir  quel  monachetto  : 
Così  intorvieu  chi  vive  con  sospetto. 

XXIII 

Quando  ci  Venni   al  principio  abitare 
Queste  montasne,  benché  sieno  oscure 
Come  tu  vedi  ;  pur  si   polca  stare 
Sanza  sospetto,  eh'  eli"  eran  sicure  : 
Sol  da  le  fiere  l'  avevi   a   guardare  ; 
Feruoci   spesso   di  brutte  paure  ; 
Or  ci  bìsosna  se  vogliamo  starci, 
Da  le  bestie  dimestiche  guardarci. 

XXIV 

Queste  ci  fan  piuttosto  stare  a  segno: 
Sonci  appariti   tre  fieri   eijianti, 
Non  so  di  qual  paese  o  di  qual  regno, 
Ma  mollo  son  feroci  tulli  quanti  : 
La  forza  e  "1  malvoler  eiiinl"  a  lo  nge^no 
Sai  che  può'l  tulio;  e  noi  non  «iam  baslanli  ; 
Questi  perturban   si  1"  orazion  nostra, 
Clie  uon  so  più  che  far,  s  altri  noi  mostra. 

XXV 

Gli  antichi  padri   nostri  nel  deserto, 
Se  le  lor  opre  sante  erano  e  giuste, 
Del  ben  servir  da  Dio  u'  avean  buon  meito; 
Né  creder  sol   vivessin   di  locuste  : 
Piovea   dal  ciel  la  manna,  questo  è  cerio; 
Ma  qui  convien  che  spesso  assaggi  e   gusle 
Sassi   che  piovon   di  sopra  quel  monte. 
Che  gettano  Alabastro   e  Passamoule. 

XXVI 

E  "1   terzo  rliè  Morgante,  assai  più  fiero, 
Isveglie  e  pini  e  faggi   e  cerri  e  gli   oppi, 
E   gettagli   in  fin   qui  :  questo  è  pur  vero; 
Non   posso  far  che  d' ira  uon  isroppi. 
Mentre  che  parlali  così  in  cimitero, 
Un  sasso  par  che  Rondel  quasi  sgroppi; 
Che  da'  giganti  giù  venne   da   alto 
Tanto,  eh' e' prese  sotto  il  tetto  un  saito. 

xxvu 
Tirali  drenlo,  cavalier,  per  Dio, 
Disse  r  abaie,  che  la  manna  casca. 
Risponde   Orlando  :   Caro  abate  mio, 
Costui  non  vnol  che  "1  mio  cavai  più  pasca: 
Veggo  the  lo  guarrebbe  del  restìo  : 
Quel  sasso  par  che  di  buon  braccio  nasca. 
Rispose  il  santo  padre  :  Io  non  t'  inganno, 
Credo  che  l  monte  un  giorno  «itteranao. 


xxviu 
Orlando   governar   (evr   Itoiidt'llo, 
li   ordiii.ir   prr    »<•   la   rolr/iuiif. 
Poi    disf-e:    Abati-,  io   voglio   andare   a  quello 
(he   dette   al   mio   cavai    con   quel    raiitonc. 
Di.'>e   I  abate:  Come  rar'fratcllo 
Consiglicrotti    sanza   passione  : 
Io   ti  sconforto,   baron,   di   tal   gita  ; 
Ch'io  so  che   tu   vi   lascerai   la   vita. 


Quel   Passamonle  ]iorta  in  man  tre  dardi: 
Chi  fronibe,   chi   baston,  chi  mazzafrusti; 
Sai  che   giganti  più  di   noi   gagliardi 
Son  per  ragion,  che  son  anco  più   giusti; 
E  pur  se   vuoi   andar  fa  che   li   guardi. 
Che  questi   son   viìl^n  molto  e  robusti. 
Rispose  Orlando:  lo  lo  vedrò  per  certo; 
Ed  avviossi  a  pie  su  pel  deserto. 

XXX 

Disse  r  abate  col  segnarlo  in  fronte  : 
Va,  che  da  Dio  e  me  sia   benedetto. 
Orlando,  poi   che   salito   ebbe   il  monte, 
Si   dirizzò,   come  l'abate   dello 
Gli  aveva,  dove  sta   quel  Passamonle, 
Il  quale   Orlando   veggendo  soletto. 
Molto   lo  squadra  di   dietro   e   davante  ; 
Poi  domandò,  se  star  volea  per  fante. 

xxxi 
E' prometteva  di  farlo  godere. 
Orlando   disse  :   Pazzo   Saracino, 

10  vengo  a  te,  com'  é  di   Dio  volere, 
Per  darli  morte  e  non  per  ragazzino  ; 
A"  monaci  suoi  fatto   hai  dispiacere  ; 
Non  può  più  comportarli,  can  mastino. 
Questo   gigante  arn;ar  si   corse  a  furia, 
Quando  sentì  eh' e' gli   diceva  ingiuria. 

XKXII 

E  ritornalo  ove  aspettava  Orlando, 

11  qual  non  s'  era  partito  da  bomba  ? 
Subilo  venne  la  corda  girando, 

E   la -da   im  sasso   andar  fuor  de  la  fromba, 

Che  in  su  la   testa   giugnea  rotolando 

Al  conte  Orlando,  e  T  elmetto  rimbomba  ; 

E'  cadile  per  la  pena   tramortito  ; 

Ma  più  che  morto  par,  lauto  è  stordito. 

xxxni 
Passan.onte  jtensò  che  fusse  morto, 
E  disse  :  Io  voglio  andarmi   a  disarmare  : 
Questo  poltron  per  <H»i  m'aveva  scorto? 
Ma  Cristo  i  suoi  non  suole  abbandonare. 
Massime   Orlan«lo,   eh'  egli  arebbe  il   torto. 
3Ienlre  il  gigante  1"  arme  va  a   spo.;liare, 
Orlando  in  cjueslo  tempo  si  ri.^enle, 
E  rivocava  e  la  forza  e  la  mente. 

xxxiv 
E   gridò  forte  :   gigante,   ove    vai  ? 
Ben  ti  pensasti  d'avermi  ammazzato! 
A'olgiti  a  drieto,  che,   s'  ale  non  Jjai, 
Non  p'.ioi  da  me  fuggir,  can  riuaegato  : 
A   tradimento  ingiuriato  m  hai. 
Donde  il  gigante  alior  maravigliato 
Si   volse  a  drieto,  e  riteneva  il  passo; 
Poi  si  chinò  per  lor  di  terra  un  sassO. 


^« 


M  O  R  G  A  N  T  E      MAGGIORE 


Orlaiulo   avc.i   Corinna    i^iiiida   in  mano; 
Trasse  a  la  lesta  ;   e  Cortcma    taf^liava  : 
Per  mezzo  il   teschio  partì  del  pagano, 
E  Passanionie  morto  r(»vinava  : 
¥.  nel  cadere  il  superbo  e   villano 
I)ivolan>eule  Macon  bestemmiava  ; 
Ma  meitlit!  che  bestemmia  il  crudo  e  acerbo, 
Orlando  ringraziava  il  Padre  e  '1   Verbo. 

xxxti 
Dicendo:  Quanta   «razia  oggi  m'haMala! 
Sempre  ti   sono,  o  Signor  mio,   tennto, 
Per  te   conosco   la  vita  salvata  ; 
Però  che  dal  gigante  era   abbattuto  : 
Ogni   cosa  a  ragion  fai  misurata  ; 
Non   vai  nostro  poter  sanza  il   tuo  aiuto. 
Priegoti,  sopra  me  tenga  la  mano. 
Tanto  che  ancor  ritorni   a   Carlo  Mano. 

xxxvii 
Poi   eh'  ebbe  qtiesto  dello  s'  andóe, 
Tanto  che   truova  Alabastro  più  basso 
Che  si  sforzava,  quando  e'  lo  trovóe, 
Di  sveglier  d'  una  ripa  fuori   un  masso» 
Orlando,  com'  e'  giunse  a  quel,   gridóe  : 
Che  pensi  tu,   ghiolton,   gillar  quel  sasso? 
Quando  Alabastro  questo   grido  intende, 
Subitamente  la  sua  fromba  prende. 

xxxvin 
E'  trasse  d'  una  pietra  mollo  grossa, 
Tanto  eh'  Orlando  biso«,nò  schermisse  ; 
Che  se  r  avesse   giunto  la  percossa, 
Non  bisognava  il  medico  venisse. 
Orlando  adoperò  poi  la  sua  possa; 
Nel  petlignon    tutta  la  spada  misse: 
E  morto  ca<lile  questo  badalone, 
E  non  dimenticò  però  Macone. 

xxxix 

Morgnnte  aveva  al  suo  modo  un  palagio 
Fatto  di  frasclie    e  di  schegge  e  di   terra  : 
Quivi,  secondo   lui,  si  posa   ad   agio  ; 
Quivi   la  notte  si  rinchiude   e  serra. 
Orlando  piccliia,  e   daragli   <lisagio, 
Perchè  il   gigante   dal  sonno  si   sferra  : 
Vennegli   aprir  come  una   cosa  malia  ; 
Ch'  un'  aspra  visione  aveva  fatta. 

XL 

E'  gli   parca  eh'  un  feroce  serpente 
L'  avea  assalito,  e  chiamar  Macomelto, 
Ma  Macomelto  non  valta  niente  ; 
Ond'  e'  chiamava  Gesù   benedetto  ; 
E  liberato  1'  avea  finalmente. 
Venne  a  la  porta,  ed  ebbe  così  dello; 
Chi  bussa  qua  ?  pur  sempre  borbottando. 
Tu  il  saprai   tosto,  gli  rispose  Orlando. 

XLl 

Vengo  per  farli,  come  a'  tuoi  fratelli, 
Far  de' peccati   tuoi  la  penilenzia. 
Da' monaci  mandalo,   cattivelli, 
Come  stalo  è  divina  providenzia  ; 
\*el  mal  ch'avete  fallo  a  torto  a  quelli, 
E  dato  in  ciel  così  questa  sentenzia  ; 
Sappi,  che  freddo  già  più  eh' un  pilastro 
Lasciato  ho  Passamonte  e  '1   tuo  Alabas^lro. 


Disse  Morganle  :   O   gentil   cavaliere, 
Per  lo   tuo  Dio  non  mi   dir  villania  : 
Di   grazia   il   nome  tuo   vorrei  sapere  ; 
Se  se'  Cristian,  del»   dillo  in  cortesia* 
Rispose   Orlando  :   di   colai  mestiere 
C«mlenler((tli   per  la  fe<le  mia: 
Adoro   Cristo,   eh'  è  Signor  verace; 
£i  puoi  tri  adorarlo,  se   ti  piace. 

XLl  II 

Rispose  il  saracin  con  unni  voce  : 

10  ho   fatlo  una  strana   vi«it)ne, 
Che  m'  assaliva  un  serpente  feroce  : 
Non  mi   valeva  per  chiamar  Macone  ; 
Onde   al   tuo  Dio  che   fu  confilto  in  croce 
Rivolsi   presto  la  n>ia   intenzione  : 

E'  mi   soccorse,  e  fui   libero  e  sanf>, 
E  son  disposto  al   tutto  esser  cristiano. 

xr.fv 
Rispose   OrKfndo  :  Baron   giusto  e  |)i«>, 
Se  questo  buon  voler   terrai   nel  core, 
L'  anima   tua   ara  quel   vero  Dio 
Che  ci  può  sol   gradir  d' eterno  onore: 
E  stu  vorrai,  sarai   compagno  mio, 
E  amerolti   con  perfello  amore  : 
GÌ'  idoli   vostri  son   bugiardi   e   vani  : 

11  vero  Dio  è  io  Dio  de'  cristiani. 


Venne  questo  Signor  sanza  peccalo 
Ne  la  sua  madre  vergine  pidzella  : 
Se  conoscessi  quel   Signor  beato, 
Sanza  'I   qual   non   risplende  sole  o  stella, 
Aresti   già  Macon    tuo   rinnegalo, 
E  la  sua  fede  iniqua  ingiusta  e  fella; 
Batlezzali   al  mio  Dio  di  buon   talento. 
Morgante   gli  rispose:   Io  son  conlento. 

XLVI 

E  corse  Orlando  subito  abbracciare  : 
Orlando  gran  carezze   gli   facea, 
E  disse  :  A  la   badi'a   li   vo'  menare. 
Morganle,  andiamci  presto,  rispondea  ; 
Co'  monaci   la  pace  si    vuol  fare, 
De  la  qual  cosa  Orlando  in  sé  godea, 
Dicendo  :  Fralel  mio   divoto  e  buono, 
Io   vo'  elle  chiegga  a  1'  abate  perdono. 

XLVII 

Da  poi  che  Dio  ralluniinalo   l'ha, 
Ed  accettato  per   la  sua  umillade  ; 
Vuoisi  che   tu  ancor  usi   umiltà. 
Disse  Morganle  :   Per  la   tua  boutade. 
Poi   che  il   tuo  Dio  mio  sempre  oniai   sarà, 
Dimmi  del  nome   tuo  la   veritade. 
Poi  di  me  dispor  puoi  al   tuo  comando  ; 
Ond' e' gli  disse,  com'egli  era  Orlando. 

xr.viii 
Disse  il  gigante  :   Gesù  benedetto 
Per  mille  volte  ringraziato  sia  ; 
Sentilo  t'ho  nomar,  baron  perfetto. 
Per  tutti   i   tempi   de  la   vita  mia  ; 
E,   com' io  dissi,  semprcmai  suggello 
Esser  ti  vo' per  la   Ina   gagiiardia, 
Insieme  molle  cose  ragion  aro, 
E  \i  verso  la  badia  poi  s' invJaro. 


M  O  I\  (;  AN  TE     M  AGGI  O  U  E 


K' ff r  la   vi.i  «1.1  (|iit:' eiganti  tuorli: 
Orljiiilo   con  Murjrante  si  ragiona  : 
De   la  lor  morie   vo' che  ti  roiiforli  ; 
E  poi   clu-   jiiare   a  Dio,   a   me  penlona  ; 
A'  monaci    aveao   fallo  mille  torli  ; 
E   la   iu).-lra  srriltiira   apcrlo  suona 
II   ben   remuneralo,  e '1  mal  punito; 
E  mai   non  lia  questo  Signor  fallilo, 

L 

Perù  rh'  e^li  ama  la   giustizia   tanto, 
Clie  vuol,  rhe  sempre  il  suo  giudirio  morda 
Ognun   rli' alihi  peccalo   tanto  o  quanto; 
E  rosi   il   ben   ristorar  si   ricorda, 
E  non   saria  sanza   giustizia  santo  : 
Adunque  al  suo  voler  presto   t'accorda. 
Che  deltbe  ognun  voler  (juel  che  vuol  questo, 
Ed  accordarsi  volentieri   e  presto. 

LI 

E  sonsi  1  nostri   dottori   accordati. 
Pigliando   tutti   una  conclusione. 
Che  que'  che  son  nel  del   glorificati, 
S'  avessin  nel  pensler  compassione 
De' miseri  parenti,   che  dannati 
Son  ne  lo  inferno  in  gran  confusione, 
La  lor  felicità  nulla   sarebbe; 
E  vedi  che  qui  ingiusto  Iddio  parrebbe. 

MI 

Ma  egli  hanno  posto  in  Gesù  ferma  spene; 
E  tanlo  pare  a  lor,  quanto   a  lui  pare  ; 
Afferman   ciò  eh'  e'  fa,   che  facci   bene 
E  che  non  possi   in   nessun  modo  errare: 
Se  pailre  o  madre   è  ne   1'  eterne  pene. 
Di   questo  non  si  posson  conturbare: 
Che  quel  che  piace  a  Dio,  sol  piace  a  loro: 
Questo  s'osserva  ne  l'eterno  coro. 

Lllt 

Al   savio  suol  bastar  poche  parole  ; 
Disse  Morganle  ;    tu  il  potrai   vedere. 
De' miti   fratelli.   Orlando,  se  mi   duole, 
E   s'io  m'accorderò   di  Dio  al  volere. 
Come  tu  di"  che   in   ciel   servar  si  suole; 
Morti  co'  morii  ;   or  pensiam  di   godere  ; 
Io  vo'  tagliar  le  mani   a    tutti   quanti, 
E  porlerolle  a  que' monaci  santi, 

Liv 
Acciò  eh'  ognun  sia    più  sicuro  e  certo, 
Com'  e'  son  morti,  e  non   abbin  paura 
Andar  soletti  per  questo   deserto  ; 
E  perchè  veggan   la  mia  mente  pura 
A  quel  Signor  che  m'ha  il  suo  regno  aperto, 
E   tratto  fuor  di   tenebre  sì   oscura. 
E  poi  tagliò  le  mani  a"  due  fratelli, 
E  lasciagli  a  le  fiere  ed  agli  uccelli. 

LV 

A  la  badia  insieme   se  ne  vanno. 
Ove  1'  abate  assai   dubbioso  aspetta  : 
I  monaci  che"!  fatto  ancor  non  sanno, 
Correvano  a  V  abate   tulli  in  fretta. 
Dicendo  paurosi   e  pien'  d'affanno: 
Volete  voi  costui  drenfo  si  metta? 
Quando  1'  abate  vedeva   il   gigante. 
Si   turbò  tutto  nel  primo  sembiante. 


Orlando   die   turbalo  così  il  vede, 
Gli   disse   presto  :  Abate,   dalli  pare. 
Questo   è  cristiano,  e  in  Cristo  nostro  rredf, 
E   rinnegato   ha   il  suo  Macon   fallace. 
Morg.inle  i   monrherin  mostrò  per  fede. 
Come   i   giganti   ciascun  morto  giace  ; 
Donde  1'  abate  ringraziava   Iddio, 
Dicendo  :    Or  m'  hai   contento,  Signor  mio. 

IVII 

E  risguardava,  e  squadrava  Morganle, 
La  sua   grandezza  e  una  volta  e  due, 
E   poi   gli   disse  :  O  famoso  gigante. 
Sappi   eh'  io  non   mi  maraviglio  piìie. 
Che   tu   svegliessi   e   gittassi   le  piante, 
Quand' io  riguardo  or  le  fattezze   tue: 
Tu   sarai   or  pefello  e  vero  amico 
A  Cristo,  quanto   tu   gli   eri  nimico. 

LVIII 

Un  nostro  apostol,  Saul   già  chiamato, 
Perseguì  mollo   la  fede   di   Cristo  : 
Un   giorno   poi   da  lo  spirto  infiammalo. 
Perchè  pur  mi  persegui  ?  disse  Cristo  : 
E' si   rav\ide   allof   del  suo  peccato: 
Andò  poi   predicando  sempre  Cristo  : 
E  fatto  è  or  de   la  fede  una  tromba, 
La  qual  per  tulio  risuona  e  rimbomba. 

LIX 

Così  farai   tu  ancor,  Morganle  mio  : 
E   chi  s'emenda,   è  scritto  nel  Vangelo, 
Che  maggior  festa  fa  d'un  solo  Iddio, 
Che   di   novanlanove  altri   su  in  cielo: 
Io    ti    conforto   eh'  ogni   tuo  disio 
Rivolga  a  quel   Signor  con   giuslo  zelo. 
Che   tu  sarai  felice  in  sempiterno, 
Ch'  eri  perduto,  e  dannato  a  l' inferno. 

LX 

E   grande   onore  a  Morganle  faceva 
L'  abate,   e  molli  dì  si  son  posati  : 
Un   giorno,  come  ad   Orlando  piaceva, 
A  spasso  in   qua   e  in   là  si  sono  andati  : 
L  abate   in  una  camera  sua  aveva 
Molte  armadure   e  certi   archi  appiccati  : 
Morganle  gliene  piacque  un   che  ne  vede; 
Onde  e'  stl   cinse  bench'  oprar  noi  crede. 

LXI 

Avea  quel  luogo  d'  acqua  carestia  : 
Orlando  disse  come  buon  fratello  : 
Morganle,   vo' che  di  piacer  ti  sia 
Andar  per  1'  acqua  ;  ond'  e'  rispose  a  quello  : 
Comanda  ciò   che  vuoi   che  fallo  sia  ; 
E  posesi  in  ispalla  un  gran  tinello, 
Ed  avviossi  là  verso  ima  fonte 
Dove  solca  ber  sempre   appiè  del  monte. 

LXII 

Giunto  a  la  fonte,  sente  un  gran  fracasso 
Di   subito   venir  per  la  foresta  : 
Una  saetta  cavò  del  turcasso. 
Poscia  a  r  arco,  ed  alzava  la   lesta 
Ecco  apparire  un  gran   gregge  al  passo 
Di  porci,  e   vanno   con  molta   tempesta  ; 
E  arrivorno  a  la  fontana  appunto 
Donde  il  gigante  è  da  lor  sopragsiunlo. 


M  0  R  G  A  N  T  E     MA  G  G I O  K  E 


Morpaiile  a  la  ventura  a   mi  saetta; 
Appunto  ne   l'  orcccliio  lo  'ncarnava  : 
Da  l'altro  lato  passò  la  verretta; 
Onde  il  clnp;liial  giìi  morto   i;ambetlava  ; 
Un   altro,  quasi  per  farne  vendetta, 
Addosso   al   g;ran   gigante   irato  andava  ; 
E  percliè  e'  giunse   troppo  tosto  al  varco, 
Non  fu  Morj!;anle  a  tempo  a  Irar  con  l'arco. 

txiv 
Vedendosi  venuto  il  porco  addosso, 
Gli  dette  in  su  la   testa  un  gran  punzone 
Per  modo  che  gì'  infranse  insino  a   l' osso, 
E  morto  allato  a  quell'  altro  lo  pone  : 
Gli  altri  porci  veggendo  quel  percosso, 
Si  misson  lutti  in  fuga  pel  vallone; 
Morgante  si  levò  il  tinello  in   collo, 
Ch'era  pien  d'acqua,  e  non  si  move  un  crollo. 

LXV 

Da  l'ima  spalla  il  tinello  avea  posto. 
Da  r  altra  i  porci,  e  spacciava  il  terreno  ; 
E  torna  a  la  badia,  eh'  è  pur  discosto, 
Ch'  una  gocciola  d'  acqua  non   va  in  seno. 
Orlando  che  '1  vedea  tornar  si  tosto 
Co' porci  morii,  e  con  quel  vaso  pieno; 
Maravigliossi  che  sia   tanto  forte; 
Cosi  l'  abaie  ;  e  spalancan  le  porte. 

LXVI 

I  monaci  veggendo  1'  acqua  fresca 
Si  rallegrorno,  ma  più  de' ringhiali  ; 
Ch'ogni  animai  si  rallegra  de   l'esca; 
E  posano   a  dormire  i  breviali  : 
Ognun  s'affanna,  e  non  par  che  gì'  incresca, 
Acciò  che  questa  carne  non  s' insali, 
E  che  poi  secca  sapesse  di  vieto: 
E  le  digiune  si  restorno  a  drlelo. 

Lxvn 
E  ferno  a  scoppia  corpo  per  un  tratto, 
E  scuffian,  che  parien  de  l'acqua   usciti; 
Tanto   che  "1  cane  sen   doleva  e  1  gallo, 
Che   gli  ossi  rimanean   troppo  puliti. 
L'abate,  poi  che  molto  onore  ha  fatto 
A  tutti,  un  dì  dopo  questi   conviti 
Dette  a  Morgante   un   deslrier  molto   bello, 
Che  lungo  tempo   tenuto  avea  quello. 

LXVIII 

Morgante  In  su'n  un  prato  il  cavai  mena, 
E  vuol  che  corra,  e  che  facci  ogni  pruova, 
E  pensa  che  di  ferro  abbi   la  schiena, 
O  forse  non  credeva  schiacciar  1'  uova  : 
Questo  cavai  s'  accoscia  per  la  pena, 
E  scoppia,  e  'n  su  la  terra  si  ritruova. 
Dicea  Morgante:  Lieva  su,  rozzone; 
E  va  pur  punzecchiando  con  lo  sprone. 

LXIX 

Ma  finalmente  convien  ch'egli  smonle, 
E  <lisse  :  Io  son  pur  leggier  come  penna, 
Ed   è  scoppialo  ;  che   ne   di'  tu,   Conte? 
rii>pose   Orlando:  Un  arbore   d'antenna 
Mi  par  piuttosto,   e  la  gaggia  la  fronte; 
Lascialo  andar,  che  la  fortuna  accenna 
Che  meco  appiede  ne  venga,  Morgante. 
Ed  io  COSI   veirò,  disse  il   a,iganlc. 


Quando  sarà  mestier,   In  mi   vedrai 
Coni' io  mi  proverò  ne  la   battaglia. 
Orlando   disse  :   Io  credo   tu   farai 
("ome  buon  cavalier,  se  Dio  mi   vaglia  ; 
l-ld  anco  me   dormir  non  mirerai  : 
Di   (|Mesto  tuo  cavai   non  te  ne   caglia  : 
Vorrebbesi  portarlo  in   qualclie  bosco  ; 
Ma  il  modo  né  la  via  non  ci  conosco. 

I.xxi 
Disse   il   gigante:    Io  il  porterò  ben' io, 
Da  poi   che  portar  me  non    lia   voluto. 
Per  render  ben  per  mal,  come  fa   Dio  ; 
Ma  vo'che  a  porlo   addosso  mi   dia  ajulo. 
Orlando  gli   dicea:   Morgante  mio, 
S' al  mio  consiglio   ti  sarai   attenuto, 
Questo  cavai  tu  non  ve  '1  porteresti, 
Che  ti  farà  come  tu  a  lui  facesti. 

r.xxii 
Guarda  che  non  facesse  la  vendetta, 
Come  fece  già  Nesso  così  morto  : 
Non  so  se  la  sua  istoria   hai  inteso   o  letta 
E'  ti  farà  scoppiar  ;  datti  conforto. 
Disse  Morgante:   Ajuta  ch'io  me '1   metta 
Addosso,   e  poi   vedrai   s'io   ve  lo  porto: 
Io  porterei,   Orlamlo  mio   gentile. 
Con  le  campane  là  quel  campanile. 

Lxxni 
Disse  r  abate  :  Il  campanil  v'  è  bene  ; 
Ma  le  campane  voi  1'  avete  rotte. 
Dicea  Morgante,  e' ne  porton  le  pene 
Color  che  morti  son  là  in  quelle  grolle  ; 
E  levossi  il  cavallo  in  su  le  schiene, 
E  disse:   Guarda  s'io  sento   di   gotte, 
Orla«do,  nelle  gambe,  e  s'io  lo  posso; 
E  fé'  duo  salti   col  cavallo  addosso. 

LXXIV 

Era  Morgante  come  una  montagna  : 
Se  facea  questo,  non  è  maraviglia  : 
Ma  pure  Orlando  con  seco  si  lagna  ; 
Percliè  pur  era  omai   di  sua  famiglia. 
Temenza  avea  non  pigliasse  magagna. 
Un'altra  volta  costui  ricousiglia: 
Posalo  ancor,  noi   portare  al   deserto. 
Disse  Morgante  :  Il  porterò  per  cerio. 

LXXV 

E  portoUo,  e  giltollo  in  luogo  strano, 
E   tornò  a  la  badia  subitamente. 
Diceva  Orlando  :   Or  che  più  dimoriano? 
3Iorganle,  qui  non  facc'am  noi  niente; 
E  prese  un   giorno  l'abate  per  mano, 
E  disse  a  quel  molto   discretamente. 
Che  vuol  partir  da   la   sua  reverenzia, 
E  domandava  e  perdono   e  licenzia. 

r,xxvi 
E  de  gli  onor'  ricevuti  da  questi. 
Qualche  volta  polendo,  ara  buon  merito; 
E   dice:    Io  intendo  ristorare  e  presto 
I  persi    giorni   del   tempo  preterito: 
E' son  più  dì   che  licenzia  arci  chiesto, 
Benigno  padre,  se  non   ch'io   mi  perito^ 
Non  so  mostrarvi  quel  che  dentro  sento; 
Tanto  vi  vengo  del  mio  star  contento. 


M  0  I\  (t  ANT  \:     M  A  G  G 1  OHE 


i.xxvn 
Io  me   ne  porlo  per  sempre  nel  «ore 
li' ab.de,   la  li.idia,  questo   «leserto  ; 
Tanto   v'  Ilo  ])os|o   in   picriol    temjn)   amore: 
Rendavi    su   nel   ciel   per  me  liuou   merto 
Quel   vero  Dio,  (|uello   eterno  Sijiuore 
(".Ile   vi   serlia   il   suo  reirim   al   Huc   aperto  : 
Noi   aspeltiaiii   vostra   heneflizione, 
Uaccomauiliainei   a   le   vostre   orazione. 

LXWIIl 

Quando   l'aliale  il   conte   Orlando  inlese, 
Rinlenerì   nel    ror  per  la  dolcezza, 
Tanto  fcrvor  nel  petto  se   pli   accese  ; 
K  disse:   Cavalier,  se  a   tua  prodezza 
Non  sono  slato   beuijrno  e  cortese, 
Come  convicnsi   a   la  pran  gentilezza  ; 
Che  so   ciò   eh"  i'  ho   fallo   è  stalo  poco. 
Incolpa  la  iguoranzia  nostra  e  il  loco. 

r.xxix 
Noi    li  potremo   di  messe   onorare, 
Di  prediche:  di   laude   e  paternostri, 
Piuttosto  che  da   cena  o   desinare, 
()  d'altri  convenevol' che  da   chiostri: 
Tu  m'  hai   di   te  si   fallo   innamorare 
Per  mille  alle  eccellenzie  che   tu  mostri  ; 
Ch'io  me  ne  venj^o  ove  tu  andrai  con  teco, 
E  d'  altra  parte  tu  resti  qui  meco. 

LXXX 

Tanto  eh'  a  questo  par  contraddizione  ; 
Ula  st)   che   lu   se' savio,   e 'ntendi   e   {iusli, 
E   intendi   il  mio  parlar  per  discrizioue  ; 
De'  lieneHcii   tuoi  jiielosi   e   ftiusli 
Renda   il   Si^inore   a   te  munerazione, 
Da  cui  mandalo  in  queste  selve  fusti  ; 
Per  le   virtù  del  qual  liberi   siamo, 
E   grazie   a  lui  e  a   le  noi  ne  rendiamo. 

J,XXXI 

Tu  ci  hai  salvalo   i'  anima  e  la   vila  : 
Tanta  perturbazion   già  que'  giganti 
Ci   delton,  che   la  strada  era  smarrita 
Da  ritrovar  Gesù   con   gli   altri  santi  : 
Però  troppo  ci   duol  la  tua  partita, 
E  sconsolali  resliam   tulli   quanti  ; 
Né  ritener  possiamti  i  mesi   e   gli  anni, 
Che  lu  non  se'  da  vestir  <juesli  ]iaani. 


LXXXII 

Ma  da  portar  la  lancia  e  l'armadura: 
E  puossi  meritar  con  essa,  rome 
Con  f|ucsla  capj)a  ;  e  leggi   la  scrittura  : 
Questo   gigante  al   cìel  drizzò  le  some 
I*er   tua   virili;    va  in  pace  a   tua   ventura 
Chi   tu  ti  iia  ;  eh'  io  non  ri«er«o  il  nome  : 
Ma   dirò  sempre,   s'  io  son   domandalo, 
Ch'  ui\   angiol  ijiii  da   Dio  fossi  mandato. 

I.XXXIII 

Se  e'  è  armadura  o  cosa  che  tu  voglia, 
Vattene  in  zambra  e  pigliane  tu  stessi, 
E  cuopri   a  questo   gigante  la  scoglia. 
Rispose  Orlando  :   Se  armadura   avessi. 
Prima  che  noi   uscissim   de  la  soglia, 
Che   questo  mio  compagno  difendessi  : 
Questo  accetto  io,  e  sarammi  piacere. 
Disse  l'abate:  Venite  a  vedere. 

LXXXIV 

E  in  certa  cameretta  entrati  sono. 
Che   d'  arinadure   veccliie  era  copiosa; 
Dice   l'abate:   Tulle   ve  le  dono. 
Morganle  va  rovistando  ogni  cosa, 
Ma   solo  un   certo  sbergo   gli  fu  buono, 
Ch' avea   tutta   la  maglia  rugginosa: 
Maravigliossi  che  lo   cuopra  appunto  : 
Che  mai  più  gnun  forse  glien'era  aggiunto. 

LXXXV 

Questo  fu  d' nn  gigante  smisurato, 
Ch'  a  la  badia  fu  morlo  per  antico 
Dal   gran  Milon   d'Angranle,  ch'arrivalo 
V'era,  s'appunto  questa  istoria  dico; 
Ed  era  ne  le  mura  istoriato. 
Come  e' fu  morlo  questo  gran  nimico 
Che  fece  a  la  badia  già  lunga  guerra; 
E  Milon  v'  è  com'  e'  1'  abbatte  in   terra. 

LXXXV  I 

Veggendo  questa  istoria  il  conte  Orlando, 
Fra  suo  cor  disse:   O  Dio,  che  sai  sol  lutto, 
Come   venne  Milon  qui  capitando, 
Che  ha   questo   gigante   f|ui   distrutto? 
E  lesse  certe   lettre  lacrimando. 
Che   non  ])()lè   tener  ])iù  il  viso  asciutto, 
Coni 'io  dirò  ne  la  seguente  istoria. 
Di   mal   vi   guardi  il  Re  de  l' alta  gloria. 


MOKCxANTE      MAGGIORE 


C  VINTO   II 


ARGOMENTO 


•^^^H^ 


Ac 


Id  Orlando  e  a  Morgan  te  il  padre  abate 
Dà  7  buon   l'iaf^i^io   e   la   benedizione  ; 
Trot'an  'n  un   bosco  vli-andr.   incantate 
Entro  un  palagio,  e  son  presi  al  boccone; 
Marcante  a  suon  di  molte   batlaglintc. 
Un  demanio  aggat'igna,  e  in  tomba  il  pone; 
Di  Manfredonia  re  nel  campo  giostra 
Orlando^  e   Lionello  a  terra  prostra. 


•^I-©!^ 


O 


>;iiisto  o  santo  o  eterno  monarca, 
O  soinino  Giove  per  noi  crocifisso, 
Che   chiudesti  la  porla  ove   si   varca 
Per  ire  al  fondo  de  lo  scoro  abisso  ; 
Tu  che  al  principio  movesti   mia   barca, 
Tu  sia   il  nocchiere  intento  sempre  e  fisso 
A  la  tua  stella  e  la  tua  calamita, 
Che  questa  istoria  sia  per   te   finita. 

Il 
L'abate  quando  vide  lap;rimare 
Orlando,  e   diventar  le  ciglia  rosse, 
E  j)er  pietà  le   luci   imbambolare  ; 
E  domandava,  perché  questo  fosse  : 
E'  poi   che  vide   Orlando  pur  chetare, 
Ancor  più  oltre  le  parole  mosse  : 
Non  so  se  ammirazion  forse  l'  ha  vmlo 
Di   quel   che   in  questa  camera   è   dipinto. 

Ili 
Io  fui   de  la   gran   gesta  naturale  : 
Credo  eh'  io  sia  nipote  o   consobrino 
Di   rpiel  Rinaldo  uom   tanto  principale, 
Che  fu   nel  mondo  si   gran  paladino  ; 
Benché   il   mio  padre   non   fu   ina<loriiale, 
Perch' e' non  piacque   a  l'alto  Dio  divino 
Ausuigi   chiamossi  in  piano  e  in  monte, 
E  '1   nome  mio  diritto  è  Chiaramonle. 


Così   (i   fosse  il  fi^liuol   di   Miloue, 
Che   fu  fratel   del   mio   padre   piuf«ll(»  : 
Deh   dimmi  il  nome   tuo,   p;eiilil   barone. 
Se  così  piace   a  Gesù  bem-iletto, 
Orlando  s'  accendea  d'  aiVezione, 
lìaj^nando   tutto  di   lagrime  il  i>olt<), 
Poi   disse  :  Abate  mio  caro  ])are.ite. 
Sappi   tir  Orlando   tuo   l'  è  (jui  prcscuie. 


Per  tenerezza  corsono  abbracciarsi  : 
Ognun  piangeva  di  soperchio  amore, 
Che   non  p(»leva   ad  un   tratto  sfogarsi, 
E  per  dolcezza   trabocca  nel   core; 
L'abate  non  potea   tanto  satiarsi 
D'  abbracciar  questo,  quanto  è  il  suo  fervore, 
Diceva   Orlando  :   Qual   grazia  o   ventura 
Fa  ch'io  vi   trovi  in  questa  parte  scura  1 

VI 

Ditemi   un   poco,   caro  padre  mio, 
Perdio  cagion   voi   vi  faceste  Irate, 
E  i.on  prendeste  la  lancia  com'  io, 
E   tante  gente  che  di  noi   son   naie  ? 
Perchè  cosi  fu  volontà  di  Dio, 
Rispose  presto  ad  Orlando  l'abate; 
Che  ri  dimostra  per  diverse  strade 
Donde  si  vadi  ne  la  sua  cillade. 

VII 

Chi  con   la   spada  chi  col  pastorale  ; 
Poi   la  natura  fa   diversi   ingegni  ; 
E  però  son   diverse  queste  scale; 
Basta   che  in  porto  salvo  si  pervegni, 
E    tanto  il  primo   quanto  il  sezzo  vale  : 
Tutti   siam  peregrio' per  molli  regni: 
A  Roma    tutti    andar  vogliamo.   Orlando; 
Ma  per  molti  sentier' n' andiam  cercando. 

vili 
Cos'i   sempre  s'  affanna   il   corpo  e  l'ombra 
Per  quel   peccato  de  1"  antico  pome; 
Io  sto  col  libro  in  man  qui  il  giorno  e  l'ombra; 
Tu   con  la  spada   tua   tra  l'  elsa  e  'I  pome 
Cavalchi,  e  spesso  sudi  al  sole  e  a  1'  ombra; 
Ma   di   tornare   a  bomba   è  il  fin   del  pome. 
Dico,  eh'  ognun   qui  s'  affatica  e  spera 
Di   ritornarsi   a  la   sua   antica  spera. 

IX 

Morganle  avea  con  loro  insieme  pianto, 
Sentendo  queste  cose   ragionare: 
!•.  più-  cercava   d' armadure  ;  e 'nlanlo 
IFii   gran   cappel   d'  acciaio  usa   trovare. 
Clic   ruseinoso  si   dormia  in  un   canto. 
Orlando,  quando   gliel   vide   provare, 
Disse  :   Morgante,   tu  pari   un   bel  fimgi», 
Ma  il  gambo  a  quel  cappello  é  troppo  lungo. 

X 

Una  spa«larcia  ancor  Morgante  truova  ; 
Cinsela,  e  poi  se  n'  andava  soletto 
Là  dove  rotta  una  campana  cova. 
Ch'era   caduta   e   stava   sotto   un    letU»; 
E   spiccane   un   battaglio   a   tutta  pruova, 
E   ad   Orlando   il   mostrava  in   efFello: 
Di   c|ueslo  che   di' tu,   signor   d' Angraute  ? 
Dico  eh' è  tal   (piai  tonvieu^i   a  Morgante. 


mok(;an ti:    MyVtw.ioiiF 


Disse  il   jiijianle  :   Con   »|iiPslo  lialt.i::lio, 
(.he   vrdi  rmiu-  <•  j;ravc  o    liuipo  i*   pnisso, 
ISou   credi    In   iW  io  s^hi.1(-(-iD^^i  iid  sun.t^^lio; 
lo   vo  se  lii.icciare    il    Icrro,   e   tritar   T  o.ssu  ; 
l'.inni  iiiill'.iimi  or  d'essere  al   ber/aplio, 
Orlando   a   ('.liiaromoiito   ha   cosi  mosso  : 
Or  vi   \»»rri'i  predar,   mio   santo  aliale, 
Che  di   trovar  ventura  c'inscenate. 


Qualclie  liall.ipli.»,  (]italclic   torniainentu 
Trovar  vorrcniino,   se  piacesse  a  Dio. 
Disse  l'abate:   Io  ne  son  ben  contcntu, 
E  credo  satisfare  al   tuo  disio  : 
Sappi   che  qua    verso   Levante  sento 
(^he  in  nna   gran   città,  parente  mio, 
Un  re  paj>an   vi  fa   drenlo  dimoro, 
li   qual  si  fa   diiaiitar  re  Caradoro. 

XIII 

E  ha  una  sua  fij^lia  molto  bella, 
Onesta  savia  nobile   e   gentile: 
E  non   è  uom  che  la  muova  di  sella  • 
E  ciascun   cavalier  reputa   vile  : 
S'  ella  non   fusse  saracina  quella, 
Non  fu  mai    donna    tanto  signorile  : 
D'intorno  a   la   città  sopra   a' confini 
Sono  accampati  molli  saraciui. 

XIV 

Ed  evvi  un  re  di  molta  gagliardìa, 
Manfredonio   appellato   da   la  gente: 
Costui   si  muor  per  la   dama   Giulia,  i  (,y  i. 
E  fa  gran  cose,  coni"  amor  ctmsente  ; 
Ed   ba  con   seco  tutta   Pagann, 
Per  acquistar  questa  donna  piacente  : 
Dicon,  che  v'  è  di  paesi  lontani 
Cenquaranta  migliaja  di  pagani. 

XV 

E  quel  re   Carador  n'  ba  forse   otlaula 
Di   gente  saracina  ardita  e  forte  : 
E   Manlredonto  ogni   giorno  si   vanta 
D'  aver  questa   don-cella  o   d'  aver  morte  ; 
Ed  or   trabocchi   ed  or  bombarde  pianta  ; 
Ogni  dì   corre  infuio   in   su  le   porte. 
Il   conte   Orlando,   quando  questo  intese. 
Non  domandar  quanto  disio  1'  accese. 

XVI 

E  dopo  molte  cose  ragionale, 
Di  nuovo  la  licenzia   ridomanda. 
Dicendo  nuovamente  al  santo  abate, 
Cb'  a  le  sue  orazion  si  raccomanda  : 
Che  vuol  trovarsi  fra  le  genti  armate 
In  quel  paese  là  ov' e"  lo  manda  : 
Che  li  lassasse  andar  con  la  sua  pace. 
Disse  1  abate  :   Sia  come   a  voi  piace. 

XVII 

Conlento  son,   se  tanto  v'  è  in  piacere  ; 
Voi   avete  apparata  la  magione: 
Sarò  sempre  fidato   e  buon  ostiere  : 
Ciò  che  e'  è,   è  del  figliuol  di   Milone  : 
Ma  non  bisogna   tra   noi  profferere, 
A   tulli  dò  la  mia  benedizione: 
Cosi  da   Cbiaromonle   lacrimando 
Si   diparljrno  Morgan  le  ed   Orlando. 


XVIII 
l'er    lo    deserlo    vanno    a    la    vrnltira  : 
]/  uno  era   a  piede,   e   1"  altro  era  a  cavallo: 
Cavalran   per  la    selva  e  per  pianura, 
San/a   trovar  ricetto  o   iiilerv.dlo  : 
Cominciava   a   venir  la  nulle   o-ciira  : 
Morganle   parea    lieto   san/a   fallo, 
E   con    Orlamlo   ridendo   dlcia  : 
E'p.ir  (II' in    \eggj  ajiprcsM)   un'osteria. 

XIX 
E   n   questo  ragionando  lianno  veduto 
Un   bel  palagio   in  mezzo  del   deserlo  : 
Orlando,  poi    eh' a   questo  fu   veuutu. 
Dismonta,  perchè  1'  uscio   vide  aperto  : 
Quivi  non  è  chi  risponda   al  saluto  : 
Vannone  in  saU  per  esser  più  certo  ; 
Le  mense  riccamente  son  parale, 
E   tutte  le  vivande  accomodale. 

XX 

Le  camere  eran  tutte  ornate  e  helle, 
Istoriate  con  sotlil  lavoro; 
E  letti  medio  ricchi  erano  in  quelle. 
Coperti   tulli  quanti  a  drajipi  d'  oro  : 
I  palchi  erano  azzurri  pien'di   stelle, 
^Ornati   sì,  che  valieno   un   tesoro: 
Le  porle  eran   di   bronzo,  e  qual  d'argento, 
E  mollo  vario  e  lieto  è  il  pavimento. 

XXI 

Dicea  Morganle  :  Non  è  qui  persona 
A^   guardar  queslo  si  ricco  palagio  ? 
Orlando,  questa  stanza  mi  par  buona  : 
Noi   ci   staremo    un   giorno  con   grand'  agio. 
Orlando  ne  la  mente  sua  rmviona  : 
O  qualche  saracin  molto  malvagio 
Vorrà,   ahe   qualche   trajipola  ci   scocchi. 
Per  piglicj-ci   al   boccon   come  i  ranocchi  ; 

XXII 

O  veramente  e' e"  è  sotto  altro  inganno; 
Queslo  non  par  che  sia  conveniente. 
Disse  Morganle,  queslo  è  poco  danno; 
E  cominciava  a  ragionar  col   dente. 
Dicendo:   A  1' oste  rimarrà  il   malanno: 
Mangiam  pur  mollo  ben  per  al  presente: 
Quel  che  ci  resta   farcm  poi  fardello, 
Gli'  io  porterei,  quand'  io  rubo,  un  castello. 

XXIII 

Rispose   Orlando  :   Onesta  medicina 
Forse  potrebbe  il  palagio  purgare. 
Hanno  cercato  infino  a  la  cucina, 
Né  cuoco  né  vassallo  iisan  trovare  : 
Adunque  ognuno   a  la  mensa  cammina: 
Comincian   le  mascella  adoperare  : 
Ch' un  giorno  già  avien  mangialo  in  sogno; 
Tal  che  di  vettovaglia  era  bisogno. 

XXIV 

Quivi   è  vivande  di  molle  ragioni. 
Pavoni   e  starne   e  leprelte  e  fagiani. 
Cervi   e  conigli   e   di  grassi  capponi, 
E   vino   ed   acqua  per  bere  e  per  mani. 
Morganle  badigliava   a  gran  bocconi; 
E  turno   al   bere    infermi,   al   mangiar  sani  : 
E  poi   che  sono  stati   al  lor  diletto. 
Si  riposorno  entro  a  un  ricco  letto. 


^ 


MORGANTK     MAGGIORE 


Com'è' fu  l'alba  ciascun  si  levava, 
E  credonsene  andar  come  ermellini, 
Né  per  far  conto  Toste  si  chiamava, 
Che  lo  voleaii  paj;ar  di  balanini  : 
Morj^ante  in  (jna    e  in  là  per  casa  andava, 
E  non  ritruova  de  V  nscio   i   confini  : 
Diceva   Orlando  :   Saremo  noi  mezzi 
Di  vin,  che  V  uscio  non  si  raccappezzi  : 

XXVI 

Questa  è,  s'io  non  m' inganno,  pur  la  sala; 
Ma  le  vivande  e  le  mense  sparite 
Veiijiio  clie  son:   quivi  era  pur  la  scala  : 
Qui  son  genie  stanotte  comparite. 
Che  come  noi  aranno  fatto  gala  : 
Le  cose  eh'  avanzorno  ove  son  ite  ? 
E'n  questo  error  un  gran  pezzo  soggiornano; 
Dovunque  e'  vanno,  in  su  la  sala  tornano. 

XXVII 

Non  riconoscon  uscio  né  finestra. 
Dicea  Morgante  :  Ove  siam   noi  entrati  ? 
Noi  smaltiremo.  Orlando,  la  minestra, 
Che  noi  ci  slam  rinchiusi   e  'nviluppali, 
Come  fa  il  bruco  su  per  la  ginestra. 
Rispose  Orlando:   Anzi  ci  siam  murati. 
Disse  Morgante  :  A  volere  il  ver  dirti, 
Questa  mi  pare  una  stanza  da  spirti. 

xxvin 
Questo  palagio.  Orlando,  fia  incantalo 
Come  far  si  soleva  anticamente. 
Orlando  mille  volte  s'  è  segnalo, 
E  non  poteva  a  sé  rilrar  la  mente, 
Fra  sé  dicendo  :  Aremol  noi  sognalo? 
Morgante  de  lo  scotto  non  si  pente, 
E  disse  :  Io  so  eh'  al  mangiare  era  desto  ^ 
Or  non  mi  curo  s'  egli  è  sogno  il  resto. 

XXIX 

Basta  che  le  vivande  non  sognai  ; 
E  s'elle  fussin  ben   di   Satanasso, 
Arrechimene  pure   innanzi   assai. 
Tre  giorni  in  questo  error  s'andorno  a  spasso, 
Sanza  trovare   ond'  egli   uscissin  mai  ; 
E  '1  terzo  giorno  scesi  giù  da  basso, 
'N  una  loggia   arrivorno  per  ventura, 
Donde  un  suono  esce  da  una  sepoltura. 

XXX 

E  dice  :  Cavalieri,  errati  siete  ; 
Voi  non  potreste   di  qui  mai  partire. 
Se  meco  prima  non   v'  azzufferete  : 
Venite  questa  lapida  a   scoprire. 
Se  non  che  qui  in  eterno  vi  starete. 
Perchè  Morgaiife  cominciò  a  dire  : 
Non  senti  tu,  Orlando,  in  quella  tomba 
Quelle  parole  che  colui  rimbomba  ? 

XXXI 

Io  voglio  andare  a  scoprir  quello  avello, 
Là  dove  e' par  che  quella  voce  s'oda; 
Ed  escane  Cagnazzo  e  Farferello, 
O  Libicocco   col  suo  Malacoda  : 
E  finalmente  s'  accostava  a  quello, 
Però  che  Orlando  questa  impresa  loda, 
E  disse  :  Scuopri,  se  vi  fusse  dentro 
Quanti  ne  piovvon  mai  dal  del  nel  centro. 


XXXII 

Allor  Morgante  la  pietra   su  alza; 
Ed  ecco  un   diavol  più  eh' un  carbon  nero, 
Che  de  la  tomba  fuor  subito  balza 
In   un  carcame   di  morto  assai  fiero, 
Ch'avea  la  carne  secca  ignuda   e  scalza. 
Diceva  Orlando  :  ETia  pur  da  dovero  : 
Questo  è  il  diavol,  ch'io '1  conosco  in  faccia: 
E  Gualinente  addosso  se  gli  caccia. 

XXXIII 

Questo  diavol  con  lui   s'abbraccile: 
Ognuno   scuole;   e  Morgante  diceva: 
Aspetta,   Orlando,  eh'  io   t'  aiuleróe  : 
Oliando  aiuto  da  lui  non   voleva 
Pure  il  diavolo   tanto  lo  sforzóe, 
Ch'  Orlando  ginocchion   quasi  cadeva  : 
Poi  si  riebbe,  e  con  lui  si  rappicca  ; 
Allor  Morgante  più  oltre  si  ficca. 

xxxiv 
E  gli  parea  mill'  anni  d'  appiccare 
La  zuffa:  e  come   Orlando  cosi   vide, 
Comincia  il  gran  battaglio  a  scaricare, 
E  disse  :  a  questo  modo  si  divide. 
Ma  quel  demon  lo  facea  disperare  : 
Però  che  i  denti  digrignava  e  ride. 
Morgante  il  prese  a  le  gavigne  istrello, 
E  missel  ne  la  tomba  a  suo  dispetto. 

XXXV 

Come  e' fu  drente,  gridò:   Non  serrare; 
Che  se   tu  serri,  mai  non  uscirai. 
Diceva  Orlando  :   Che  dobbiam  noi  fare  ? 
E'  gli  rispose  :   Tu  lo  sentirai  : 
Convienli  quel   gigante  Lattez;:are  ; 
Poi  a  tua  posta  andar  te  ne  potrai  : 
Fallo  cristiano  ;  e  come  e'  sarà  fatto, 
Al  tuo  cammin  ne  va  sicuro  e  ratto. 

XXXVI 

Se  tu  mi  lasci  questa  tomba  aperta, 
Non  vi  farò  più  noia  o  increscimento  : 
Ciò  eh'  io  ti   dico  abbi  per  cosa  certa. 
Orlando  disse  :  Di  ciò  son  contento. 
Benché  tua  villania  questo  non  merla  ; 
Ma  per  partirmi  di  qui  ci  consento  : 
Poi  tolse  l'acqua,  e  ballezzò  il  giganle. 
Ed  uscì  fuor  con  Rondello  e  Morgante. 

XXXVII 

E  come  e' fu  fuor  del  palagio  uscito, 
Sentì  drenlo  a  le  mura  un  gran  romore  ; 
Onde  e' si  volse,  e '1  palagio    è  sparilo: 
Allor  conobbe  più  certo  1'  errore  : 
Non  si  rivede  né  mura  né  il  sito. 
Dicea  Morgante;  E' mi  darebbe  il  cuore. 
Che  noi  potremmo  or  ne  l'inferno  andare, 
E  far  tutti  i  diavoli  sbucare. 

XXXVIII 

Se  si  potesse  entrar  di  qualche  loco, 
Che  nel  mondo   é  certe  buche,  si    dice, 
Donde  e' si  va,  che  di  fuor  giltan  fuoc  ), 
E  non  so  chi  v'  andò  per  Euridice  ; 
Io  stimerei   lutl'i   diavol' poco: 
Noi  ne  trarremo  1'  anime  infelice  ; 
E  taglierei  la  coda  a  quel  Minosse, 
Se  come  questo  ogni  diavol  fosse. 


MO  K  G  A N  TK     INI  AGO  I  O  11  K 


XXXIX 

1'.   |U'l«'ri>   l.t   li.irlia   a   quel   Carcin, 
K   Ifvcrò   de   la   seilia    Pliiloiie  : 
l^n   sorso   mi   vo*  far  di   Flij;elón, 
K   iiiiiliiollir  quel    Flt'pias 'n    nn   liorcone  : 
Tesifo,   Alello,  Megera,   e   Kritóii, 
E   Ccrliero   ammazzar  con   iin   punzone; 
E   Relzeln'i   farò  fujrpir  pur  via, 
C,h"  un   dromedario  non  andre'  in   Soria. 


Non   si  polrelìbe   trovar  qiialrhe  Luca  ? 
Tu   vi   vedresti   il  più  bello  spuiczzo. 
Pur  die  questo  battaglio  vi   conduca  ; 
E  mettimi   a'  diavoli  poi   in  mezzo. 
Rispose  Orlando  :  E"  non   vi  si  manuca, 
Morganle  mio  :  noi  vi  faremmo  lezzo, 
E  ne  r  entrar  ci  potremmo  anco  cuocere  ; 
Dunque   V  andata  sarebbe  per  nuocere. 

XLl 

Quando  tu  puoi,  Morganle,  ir  per  la  piana, 
Non  cercar  mai  né  V  erta  né  la  scesa, 
O  di  cacciare  il  capo  in  buca  o  in  tana  : 
Andiam  pur  per  la  via  nostra  distesa: 
E   così  ragionando  una  fontana 
Trovaron  dove  due  fan   gran  contesa: 
Eran  corrier'  con  lettere  mandati, 
E  come  micci  si  son  bastonati. 

XI.II 

Orlando  coni' e' giunse  gli  domanda: 
Ditemi  un  poco,  perchè  v'  azzuffate  ? 
^'oi  m!  parete   corrier'  :  cbi   vi  manda  ? 
O  che  (Jie  imbasciate  o  lettere  portate? 
Venite   voi  di  Francia,  o  di  qual  banda  ? 
Lasciate  un  poco  star  le  bastonale. 
Ditemi  ancor  se   voi  siete  cristiani, 
Se  Dio  vi  salvi  i  bastoni  e  le  inani. 

-NLIII 

Rispose  r  un  di   loro  :   Io  son   cristiano, 
E  poco   tempo   è   eh"  io   venni   abitare 
A  nn  Castel   chiamalo  Montalbano: 
Rinaldo  il  mio  signor  mi  fa  cercare 
D'  un  suo  cugino,  e  '1  traditor  di   Gano 
Lo  seguita  per  far  male  arrivare  : 
Manda  costui  che  tu  vedi,  cercando 
Di  questo  suo  cugiu  ch'ha  nome  Orlando. 

XLIV 

A  questa  fonte  a  caso  ci   trovammo; 
V^   com'  egli   è  de"  nostri  pari  usanza 
Di   domandar  1' un   l'altro;   domandammo: 
Che  lettere  o  imbasciata  hai  d"importanza  ? 
E  come  stracchi  un  poco  ci  posammo  : 
Costui  mi  dice,  che  Gan   di  Maganza 
Per  far  morir  Orlando  lo  mandava, 
E  che  per  Pagania  di  lui  cercava. 

XLV 

E  perch'io  presi  la  parte   d'Orlando, 
Alzò  la  mazza  sanza   dir  niente: 
Così  si  venne  la  zuffa  appiccando. 
Orlando  quando   le  parole  sente, 
Diceva:    0  Dio,   a  te  mi  raccomando: 
Da  questo  traditore  e  frodolente 
Io  pur  non  truovo,  ovunque  i'mi  dilegui, 
Luogo,  che  '1   traditor  non   mi  persegui. 


Qu;ind<i  Morgantr   vede   il   suo   signore 
C;he   si   doleva,   e   contro  a   Gano  sbuffa  ; 
Tanto   gli   venne   sdegno   e  pietà  al   core, 
Che  per   la   gola   il   corrier   toslo  ciuffa, 
Cioè   quel    che   mandava   il    traditore  ; 
E   ne   la   fonte  sutl'ac(|ua   lo    tuffa 
Calpesta  e  pigia,   e  per  ira  si  sfoga, 
Tanto  che  tulio  lo  *nfranse  ed  affoga. 

xr.vii 
Orlando  disse  a  quell'altro  corriere: 
Io  son  colui  per  chi   tu  se"  mandalo: 
DI  a  Rinaldo  che  in  questo  sentiere, 
Come  tu  vedi,  il  cugino  hai   trovalo  : 
Io  son   Orlando;  e  poi  eh"  egli  é  in  piacere 
Di   Carlo,   vo  pel   mondo   disperato. 
Quando  il  corrier  senti  ch'Orlando  è  questo, 
Maravigliossi,  e  inginocchiossi  presto. 

Lxvm 
Dimmi  a  Carlo,  diceva  ancora  Orlando, 
Che  si  consigli  col  suo  Gano  antico; 
Ed  io  pel  mondo  vo  peregrinando, 
Come  s' io  fussi  qualche  suo  nimico  ; 
Digli   dove  trovalo,  e  come  e  quando 
Tu  m"  hai  qui  solo  e  povero  e  mendico  ; 
E  quel  eh'  i'  ho  fatto,  corrier,  per  costui 
Credo  che  '1  sappi  ognun,  salvo  che  lui, 

xr.ix 
Che  non  sa  quel  che  beneficio  sia: 
Non  si  ricorda   eh"  io  sia  suo  nipote, 
O   chi  *n   sua   corte   in  Francia  slessi   o  stia  ; 
Easta  che  Gan  ciò  che  vuol  con  lui  puole; 
Tanlo  eh"  io  me  ne  vo  in   Paganìa, 
Pur  come  voglion  le  volubil'rote: 
E   dì  eh'  io  l)o  sof  con  meco  un   gigante 
Ch"é  battezzato,  appellato  Morganle. 

L 

Il   cavai   che  tu  vedi,  e  questa  spada, 
Altro  non  ho,  se  non  questa  armadura  ; 
E  eh"  io  non  so  io  stesso  ov*  io  mi   vada, 
O  dove  ancor  mi   guidi  la  ventura: 
Ma   inverso  Barben'a    tengo  la  strada  : 
Andrò  dove  mi  porta  mia  sciagura. 
Poi  eh'  e'  consente  a  cercar  la  mia  morte  ; 
E   che  mai  più  non   tornerò  in  sua  corte. 

LI 

Dimmi  a  Rinaldo  mio,  figHuol  d'Amone, 
Che  la  mia  compagnia,  ch'io  gli  lasciai, 
Gli  raccomando  con  affezione  ; 
Ch'  io  penso   in   Pagania   morire  ornai  : 
Saluta  Astolfo,  Namo  e  Salomone, 
E  Berlinghìer  che  sempre  molto  amai  : 
A  Ulivier  dì,  che  la  sua  sorella 
Gli  raccomando,  e  mia  sposa  Alda  bella. 

LII 

Dimmi  al  Danese,  caro  imbasciadore, 
Che  in  Francia  a  questi  tempi  non  m"  aspetti; 
E  dì  ch"  i'  ho  Cortana  e  '1  corridore, 
Acciò  che  forse  di  ciò  ignun  sospetti  : 
De  la  mia  sopravvesta  il  suo  colore 
Vedi  come  è  dipinta  a  Macometti  : 
Che   si  ricordi   del  suo   caro   Orlando, 
Che  va  pel  mondo  sperso  or  tapinando. 


MOR  GANTE     MACrGIORE 


Dimmi  il  tuo  nome  or  se  Tè  in  piacimiMilo. 
Olili' e' rispose  :   Questo   è  ben   dovere, 
O  sipnor  inio  :  clii.imaf  mi  fo   Chimento: 
Cristo  li  muti   di  si  stran  pensicie, 
Clie   tua  risposta  mi  dà  pran   lorinento  : 
Questo  non  è  quel  che  '1  sip;nor  mio  chiere: 
lo  voi^Iio,  Orlando  mio,  mi  perdoniate, 
E  che  allenante  parole  v' asrolliate, 

LIV 

Quand' io  da  Montalban  feci  partita, 
Io   fui   a  Pariji^i  d'  ond'  io  venjro  adesso  : 
La  corte  pare  una  cosa  smarrita. 
Lo  'mperador  non  pareva  più  desso, 
Vedovo  il  re2,no,  e  la  a;enle  slordila  : 
Gli  orecclii  dcbbon  cornarvi  qua  spesso, 
Ch'  oc;nun  ragiona  de  la   vostra  fama, 
E  '1  popol  tulio  ad  un  grido  vi  chiama. 

LV 

Il  mio  signor  con  svan   disio  v'aspettar 
Parigi   e  Francia,  ogni  cosa  si  duole. 
Or  vi  vo'  dire  una  mia  novelletta, 
Clìe  spesso  la  ragion  V  esemplo  vuole. 
Un   trailo  a  spasso  anco  la  formicliella 
Andò  pel  mondo  come  far  si  suole  ; 
E  trovò  in  fine  un  teschio  di  cavallo, 
E  semplicetta  cominciò  a  cercallo. 

Ivi 
Quand^  ella  giunse  ove  il  cervello  slava, 
Questa  gli  parve  una  stanza  sì  bella, 
Che  nel  suo  cor   tutta  si  rallegrava, 
E  dicea  seco  questa  meschiuella: 
Qualclie  signor  per  certo  ci   abitava  ; 
Ma   finalmente  cercando  ogni   cella, 
Non  vi   trovava   da  mangiar  niente, 
E  di  sua  impresa   a  la  fine  si   pente  ; 

Lvn 
E  rilornossi  nel  suo  bucolino. 
Perdonimi,  s'io  fallo,  chi  m'ascolta, 
Intenda  il  mio  vulgar  col  suo  latino: 
Io  vo' che  a  me  crediate  questa  volta, 
E  ritorniate   al  vostro  car' cugino. 
Se  non  eh'  ogni  speranza  gli  fia  lolla  ; 
Disse  che  niai  a  lui  non  ritornassi, 
Se  meco  in  Francia  non  vi  rimenassi. 

LVIII 

Il  grande  amor  mi  sforza  a  quel  ch'i'dico: 
Riconoscete  e  gli   amici   e  i  parenti  : 
L'  andar  così  pel  mondo  è  pure  ostico. 
Orlando  udendo  i  suo'  ragionamenti, 
Disse  :    Chimenlo,  tu   se'  buono   amico  ; 
E  giltò  fuor  molti  sospir'  dolenti  ; 
E  da  costui  alfin  s'  accomialava, 
i  Sanza  altro  dir  che  piangendo  n'  andava. 

LIX 

Orlando  poi   che  partì   da   Chimenlo, 
Tatto  quel  giorno  seco  ha  sospiralo  : 
Così  il  messaggio  ne  va  mal   contento  ; 
Non  sa  come  a  Rinaldo   sia  tornato. 
Morgante  ne  va   appiè  di  buon   lalenlo, 
Con  quel  battaglio  eh'  è  duro   e   granalo  ; 
E   in  su  'n  poggio  le  pagane   schiere 
Di  Manfredon  cominciano  a  vedere  : 


Padiglioni  Irabacciie  e  pennoncelli; 
E  sentono  stromenli   olirà  misura, 
Nacchere   e  corni   e   trombe   e   tamburelli, 
E   cavalicr'  coperti   d'  armadura 
Vedean   con   gli   elmi  rilucenti   e  belli  : 
Orlando   guarda   inverso   la  pianura, 
E  vede   tanti  pagani   alleluiali, 
Come  l'abate   gli   avea  numerati. 

Di  questo  molto  se  ne  rallegróe. 
Così  iMorganle;   e  poi  che '1  poggio  scese 
Dinanzi   a   Manfredon   s'  appresentóe, 
Ch'era   gentil  magnanimo   e  cortese; 
E  di  Morgante   si  maraviglióe  ; 
TI   conte  Orlaodo  per  la   briglia  prese, 
E   disse:    Benvenuto  sia,   barone; 
Dismonta,  e  poi  verrai  nel  padiglione. 

Orlando  lascia  a  Morgante  Rondello, 
E  va  nel  padiglion   col  re  pagano  ; 
E  Manfredon  così  diceva  a  quello: 
Chi  tu  li  sia  Saracino  o  cristiano,  i 

Ti  tratterò  come  gentil  fratello  ;  ; 

E  perchè    il   tuo  venir  non  sia  qui  intano, 
Soldo  darolti  se  t'  è  in  piacimento, 
Tanto  che  tu  sarai,  baron,  contcDlo. 

r.xiii 
Rispose  a  le  parole   grate  Orlando: 
Preso  m'avete  col  vostro  parlare; 
Soldo  nienle   da   voi   non   domando. 
Se  non   vedete  1'  arme  adoperare  ; 
E   così  molle  cose  ragionando, 
Disse  il  pagano  :  Io  vi  vo'  raguagllare 
Di  quel  che  forse  per  voi  non  sapete, 
Che  cavalier'  discreti  mi  parete. 

txiv 
Io  vi  dirò  la  mia  «lisavventura, 
S'  alcun  rimedio  sapessi   trovarmi  : 
Io  ardo  tulio  per  la  niia  sciagura 
D'una  fanciulla,  e  non  so  più  che  farmi: 
Due  volte  abbiam  provalo  l'  armadura  ; 
Ogni  volta   ha  potuto  superarmi  ; 
Sì  che  da  lei  vituperalo  sono, 
E  messo  ho  la  speranza  in  abbandono. 

txv 
Egli  è  ben  vero  eh' i'ho  qui  tanta  gente, 
Che  mi   darebbe  il  cuor  di   superarla  ; 
Ma   non  sarebbe  onor  certanamenle, 
Che   con  la  lancia  intendo  d'acquistarla: 
S'  alcun  di  voi   sarà   tanto  polente, 
Ch' a  corpo  a  corpo  credesse  atterrarla, 
Riromperrollo  ciò  eh' i' ho  nel  mondo. 
Che  basta  a  me  sol  lei,  poi  son    giocomlo. 

LXVl 

Orlando  disse:  Noi  ci  proveremo, 
Ognun  ci   adoperrà  tutta  sua  possa; 
E  credo  pure   al  fin   noi  vinceremo, 
Se-  feiimiina  sarà  di   carne  e  d'  ossa. 
Disse  il  pagano  :   Ogni   cosa   direnu)  ; 
Prima   olie   la  fanciulla   facci  mossa. 
Manda  in  sul  campo  sempre  un  suo  fratello. 
Mollo  gagliardo  e  gentil   damigello. 


n 0  K  ( .  A  N  T  E      MAGGIORE 


1^ 


IXVII 

1".  ptT  iKinie   NI   ritiama  Lionetto, 
E«l  è  fi^liiiol   «Iti   };ran   re  Car.iiloro  ; 
E  nun   adora   aUiiii  più  Marunielto, 
Clic   sia   si   furie  per  più  mio  niarloro  : 
E  la  sorrlla  ri»' io   v'ho  prima   dello. 
Per  rni   sol   ardo  ini   di.>.lriif;^o  e   moro, 
Grillile  onesta,  anzi   «riida  e  villana, 
Sappi  che   chiamata  è  Meridiana,    'y  ' 

Lxvin 
E  veramente  è  rome   ella  si  chiama. 
Perchè  «li   mezzodì  par  proprio  un   sole. 
Io   innamorai  di  cjaesta   gentil  dama 
Non   per  vista  per   atti   o  per  parole. 
Ma  per   le  sue   virtìi  eh'  adi'  per  fama. 
O   ver  che  il  mio  destin  por  così  vuole  : 
E  da  quel  j:;iorno  in  qua  ch'amor  m'accese, 
Per  lei  son  fatto  e  gentile  e  cortese. 

LXIX 

Or  vo'  pregarvi,  o  famosi  baroni, 
Che  '1  nome  mi  diciate  in  cortesia. 
Orlando  disse  con   grati  sermoni  : 
Io  ve  '1  dirò,  perchè  in  piacer  vi  sia. 
Benché  far  vi  vorremmo  maggior'  doni  ; 
Pur  negar  questo  sare' villania  : 
Più  tempo   ho  fallo  in  Levante  dimoro, 
lì   son   chiamato  da  ciascun  Bruuuro. 


E  queslo  mio  compagno  eh' è  gigante, 
Veder  potrete  quanto  è  valoroso  : 
Passi  chiamare  il  feroce  Morgante  ; 
Ed   è  più  che  non  mostra  poderoso  ; 
In  Macometto  crede  e  Tievlganle. 
Il  re  senlendol  mollo  grazioso, 
Rispose  :  Per  mia  fé  che  voi  sarete 
Da  me   trattati   come  voi  vorrete. 

LXXI 

E  quanto  può  Manfredon  gli  onorava, 
E  nel  suo  padiglion  sempre  e;li   tenne, 
E  molle  cose  con   lor  ragionava  : 
Ma  finalmente  un  di  per  caso  avvenne, 
Che  Lionello  quel  campo  assaltava, 
E  'nverso  il  padiglion,  come  e' suol,  venne 
E   Manfredon  chiamava  con  un  corno 
A   la  battaglia  per  più  beffe  e  scorno. 

LXXII 

E  cominciò  per  modo  a  muover  guerra. 
Che  molta  gente  faceva  fuggire  : 
Parea  quando  a  le  pecore  si  serra 
Il   lupo,  onde  il  pastor  si  fa  sentire: 
E  qual  ferisce,   e  qual   trabocca  in   terra  ; 
E  molli  il   dì   ne  faceva  morire  : 
E   chi  fuggir  non  può,  ne  va  prigione  ; 
Onde  fuggivan   tntti   al  padiglione. 

r.xxiir 
Il  conte   Orlanilo  udì  che  Lionello 
Aveva  il  campo  in   tal  modo  assalilo, 
Ch'  ognun  fuggia   dinanzi   al   giovinetto  : 
Subito  sopra  Rondel  fu  salito, 


1".    disse;    ^■ienne,  Morgante   io    l'asiiftlu; 
Di    Lionrllo    non    liai    lu   sentito? 
'J"u    M  ilrai   or   di   Macon    la   p«)ssanza, 

1^   dei    Ino   <  riMo  iu   «hi    hi   liai   speranza. 

I.xxiv 
Di««"a  Morgante:   I«)   non   lio  mai   veduto 
Provare   Oriundo;    io   lo   vedrò  pur  ora  : 
Ilingrazio  Iddio  che  nti   sarò  .-ibbatluto. 
Orlantlo   sprona   il  suo   cavallo  all«>ra, 
E   sparì   via  coni'  uno  strai  pennuto  : 
Pt  rchè  Morgante  j'  avviava  ancora, 
E   col   battaglio   si   venne  assettando, 
E   guarda   pur  quel  che  faceva   Orlando. 

i.xxv 
Orlando  ne  la  pressa  si  mettea, 
E  pur  Morgante  guarda  dove  e' vada, 
E   sempre  tlrielo  a   Rondel   gli  tcnea. 
Dove   ve«leva  e' pigliasse  la  strada: 
E  Lionello  in  quel   tempo  gingnea, 
Ch'aveva   in  man  sanguinosa   la  spada: 
Orlando   il  vide,   e  la    lancia   abliassava, 
Ma  Lionello  un'altra  ne  pigliava. 

LXXVI 

Volse  il  cavallo,  e'nverso  Orlando  abbassa 
E   vannosi   a  ferir  con   gran   furore, 
E   Tona  e  l'altra  lancia  sì  fracassa; 
Ma   Lionello  uscì   del  corridore, 
E  Rondel  via  come  il  suo  nome  passa. 
Morgante   guata  drielo  al   suo  signore, 
E   dire  :   Orlando  è  pur  baron  perfetto, 
E   Cristo  è  vero,  e  falso  è  Macometto. 

ixxvn 
Ma  Lionello  pur  si  rilev(je, 
E   sopra  il   suo  cavallo  è  rimontato, 
E  Macometto  a   gran  voce  chiam<5e, 
Dicendo:  Tradilor,  ch'i' ho  adorato 
A   torto  sempre,  io  li  rinnegheróe, 
Poich'  a  tal  punto   tu  m'  hai   abbandonalo  : 
L'  anima  mia  piii  non   ti  raccomando. 
Che  non  are'  quel  colpo  fati'  Orlando. 

txxviii 
Poi  sì  rivolse  ad  Orlando  dicendo: 
Nota   che  e' fu   del  mìo    destriere  il  fallo. 
Orlando  gli  rispose  sorridendo, 
E   si  vorre' co'bufTetti  ammazzallo. 
Disse  Morgante:   Così  non  la  intendo: 
Or  che  se' rimontato  a  cavallo. 
Mi  par,  che  sia  tuo  debito,  pagano, 
Di  riprovarsi  con  le  spade  in  mano. 

LXXIX 

Rispose  Lionello  :  A  ogni  modo 
Vo'  che  col  brando   termiiiiam  la  zuffa. 
Disse  Morgante:  per  Dio   ch'io  la  lodo: 
Che   lu  vedrai   che  'l  cavai  non  fé'  truffa. 
Or   tu.  Signor,  a  cui  servir  sol   go«Io," 
Per  cui  la   terra  e  l'  aria  si  rabbuffa  ; 
Guardaci   e  salva,  e  'nsino  al  fine  insegna. 
Tanto  ch'io  canti  questa  storia  degna. 


-i'Vfc 


M  O  R  Cx  A  N  T  E      M  A  G  G  1  O  R  E 


CANTO    III 


ARGOMENTO 


■'j>a-i'®^^ 


Juionetio  uccìso^  il  paladino   Orlando 
Jìovescia  dalV  arcion  Meridiana  : 
Torna  un  messo  a  Parigi,  rapportando 
Cfi  Orlando  è  uit'o  e  sano  in  carne  umana: 
Di  lui  Rinaldo  ed  Ulivìer  cercando 
f^an  con  Dodonc.,  e  giunti  per  la  piana 
Dot''  era  dc^  giganti  il  concistoro, 
Rinaldo  ammazza  il  Saracin  Brunoro. 


O]  ... 

Padre  giusto   incomprensibil  Dio, 

Illumina  il  mio  cor  perfettamente, 

Sì  che  si  mondi   del  peccato  rio  : 

E  pur  s' io  sono  stato  ne2;ligente, 

Tu  se'  pur  finalmente  il  Signor  mio, 

Tu  se' salute   de  l'umana  gente; 

Tu  se'  colui  che  'I  mio  legno  movesti, 

E  insino  al  porto  alutar  mi   dicesti. 

II 
Orlando  gli  rispose  :  Egli  è  dovere  ; 
E  con  le  spade  si  son  disfidali. 
E  Lionetto,  eh'  avea  gran  potere, 
Molti  pensieri  aveva  esaminati 
Per  fare  al  conte   Orlando  dispiacere  : 
E  perchè  tutti  non  venghin  fallati. 
Alzava  con   due  man  la  spada  forte 
Per  dare  al  suo  cavai,  se  può,  la  morte. 

Ili 
Orlando  vide  il  pagano  adirato: 
Pensò  volere  il  colpo  riparare  ; 
Ma  non  potè:  che  1  brando  è  giù  calato 
In  su  la   groppa,  e  Rondel  fé'  cascare  ; 
Tanto  eh'  Orlando  si   trovò  in  sul  prato, 
E  disse  :  Iddio  non  si  potè  guardare 
Da' traditor' ;  però  chi  può  guardarsi? 
Ma  la  vergogna  qua  non  debbe  usarsi. 

IV 

Poi  fra  sé  disse  :  Ove  se'  Vegliantino  ? 
Ma  non  disse  sì  pian  che  1  suo  nimico 
Non  intendesse  ben  questo  J^atino, 
E  si  pensò  di  dirlo  al  padre  antico. 
Orlando  s'  accorgea  del  Saracino, 
E  disse:  Se  più  oltre  a  costui  dico. 
In   dubbio  son,  se  mi  conosce  scorto  : 
Il  me' sarà  eh' e' resti  al   campo  morto. 


La  gente  fu  d'intorno  al   conte   Orlando 
Con  lance,  spade,  con   dardi    e   spuntoni, 
E  lui  soletto  s'ajuta  col  brando 
A  quale  il  braccio  tagliava  e'  faldonì, 
A  chi  tagliava  sbergo,  a  chi  potando 
Venia  le  mani,   e  cascano  i  monconi  ; 
A  chi  cacciava  di  capo  la  mosca, 
Acciocch'  ognun  la  sua  virtù  conosca. 

VI 

Morgante  vide  in  sì  fatto  travaglio 
Il  conte   Orlando,  e  là  n'andava  tosto, 
E  cominciò  a  sciorinare  il  battaglio, 
E  fa  veder  più  lucciole  eh'  agosto  : 

I  saracin' di  lui  fanno  un  berzaglio 
Di   dardi   e  lance,  ma  getfan   discosto; 
Tanto  che  quando  dov'  è  il  conte  venne. 
Un  istrice  coperto  par  di  penne. 

VII 

Era  a  cavallo  Orlando  risalito, 
E  già  di  Lionetto  ricercava  ; 
Ma  Lionetto  com' e' I' ha  scolpito, 
Inverso   la  città  si  ritornava, 
E  per  paura  1'  aveva  fuggito  : 
Orlando  forte  Rondello  spronava  ; 
E  tanto  e  tanto  in  su' i  fianchi  lo  punse, 
Che  Lionetto  a  la  porta  raggiunse. 

vili 
Volgiti  indrieto  :  ond' è  tanta  paura^ 
Gridò,  pagano  ?  e  colui  pur  fuggiva. 
Perchè  e'  temeva  de  la  sua  sciagura  : 
Orlando  con  la  spada  1'  assaliva  ; 
E  non  potè  fuggir  drenlo  a  le  mura 

II  giovinetto,  eh'  Orlando  il  feriva 
Irato  con  tal  furia  e  tal  tempesta, 
Che  gli  spiccò  da  1'  imbusto  la  testa. 

IX 

Nel  campo  si   tornò  poi  che  l'ha  morto  , 
Trovò  Morgante  che  ne  la  press' era: 
Ebbe  di  Lionetto  assai  conforto, 
E  rilornossi  inverso  la  bandiera. 
Il  caso  presto   a  la   dama  fu  porto 
Che  luce  più  eh'  os^ni  celeste  spera  : 
Graffiossi  il  volto,  e   straccia  i  capei  d'oro, 
Sì  che  fé' pianger  tulio  il  concestoro. 

X 

Il  vecchio  padre  dicea  :  Figliuol  mio, 
Chi  mi  t'  ha  morto  ?  e  gran  pianto  facea  : 
O  Macoinetto,   tu  se' falso  Iddio  ; 
jNon   te  ne  'ncresce  di  sua  morte  rea  ? 
Che  pensi   tu?  eh' onor  più  ti  face' io, 
O  eh'  io  t'  adori  ne  la  tua  moschea  ? 
Meridiana  i.i  così  fatto  pianto 
Fece  trovar  tutte  sue  arme  intanto. 


MOlUrANTK      MA(,GIORK 


Vpniiotio  nriic.M  prrfflli  f   pnnibirre 
Snliilc»  innanzi   .i   qncMa   liainigclla 
Di  tutta   botta:   lo  shcrfco   e   I' ainirre, 
K  la   roraz/a   provata  era   anch' ella, 
Klnirtto   e   cnanli,   Itrnrriaii   e   poruiere  : 
Mai   non   si    viflf  armailnra  si   brlln, 
K   spaiìa   die   eia  mai   non  fere   fallo, 
E  così   armata   saltò  in   sul   cavallo. 

XII 

Gente  non  volle  che  T  acconipajrnasse  ; 
Uno   scudiere   appiè  sol   con   la  lancia  ; 
E   così  par  che  in   sul   campo  n'  addasse, 
Se   r  autor  de  la  storia  non  ciancia  : 
E  come  giunse,  nn  bel  corno  sonasse, 
Ch    avea  d'avorio    com'era   la  guancia. 
Orlando   disse   a  Manfredonio  :    Io   torno 
A  la   battaglia,  perch'  io  odo  il  corno. 

Morsante  presto  assettava  Rondello  : 
Orlando   verso   la   dama  ne   già, 
The  vendicar  voleva  il  suo  fratello  : 
Morgante  sempre  a   la  staffa  segiua  : 
Meridiana   come   vide   quello. 
Presto   s'  accorse   che  Brunoro   sia  : 
Orlando   giunse,   e  diegli  un  bel  saluto: 
Disse  la  dama:  Tu  sia  il  mal  venuto. 

XIV 

Se  se' colui  ch"  ha  morto  Lionello, 
Ch'  era  la  gloria  e  1"  onor  di  Levante  ; 
Per  mille  volte  lo  Iddio  Macometlo 
Ti  sronfonda,  Appollino  e  Trerigante  : 
Sappi   ch  a   quel  famoso   giovinrtto 
^on  fu  mai  al  mondo  o  sarà  slniiglianle. 
Orlando  disse   con   parlar  accorto  : 

10  son  colui,  che  Lionello  ho   morlo. 

XV 

Disse  la  dama  :  Non  far  più  parolr. 
Prendi   del   campo,   io  ne  farò   vendetta  : 
O  !VIacometto   crudel,  non  ti  duole 
Che  spento  sia  il  valor  de  la  tua  sella  ? 
Che  mai   tal   cavalier  vedrà  più  '1   sole, 
Né  rifarà  così  natura  in  fretta  : 
E  rivoltò  il   destrier  suo  lacrimando  ; 
Cojì  da  r  altra  parte  fece   Orlamlo. 

Poi  con  le  lance  insieme  si  sconlrorno  : 

11  colpo  de   la   dama  fu  possente. 
Quando  al  principio  l'aste   s'appìccorno, 
Tanto  ch'Orlando  del   colpo  si  sente: 
Le  lance  al  vento  in  più  pezzi   volorno, 
E  Rondel  passa  furiosamente 

Col   suo  signor,  che   lutto  si  scontorse 
Pel   grave  colpo  che  colei   gli  porse. 

XVII 

Orlando  ferì  lei   di   furia  pieno  ; 
Giunse  al   cimier  che  in  su  T  elmetto  avea, 
E  cadde  col   pennacchio  ihsul   terreno: 
L'elmo  gli   uscì,  la   treccia  si  vedea. 
Che  raggia  coinè  stelle  per  sereno  ; 
Anzi  pareva   di  Venere  iddea. 
Anzi   di  quella  eh*  è  fatto  un  alloro. 
Anzi  parean  d'  argento,  anzi  pur   d'  oro. 


XVIII 

Orlando  rÌ5e,  e  guardava  Morpanle, 
E   disse:    Andianne   ornai  per  la  più  piana: 
Io  crcdea  pur  qualche  barou  prestante 
Pugnasse  «|ui  per  la  dama   sovrana  : 
Per   vagheggiar  non   venimmo   in  Levante. 
Ebbe   ver}.„gna   assai  Meridiana  : 
Sanz*  altro   dir  con    la  sua   chioma   sciolta, 
Con   lo  scudiere  a   la    terra   die   volta. 

XIX 

Manfredon   disse,  com'è' vide  Orlando: 
Dimmi,  baion,  com' andò  la  battaglia? 
Orlando   gli   rispose  sogghignando: 
>enne  una   donna  coperta  di  maglia: 
E  perchè   Telmo   gli   venni  cavando. 
Su  per  le   spalle  la   treccia  sparpaglia  : 
Com' io  conobbi  ch'ella  era  la   da^ma, 
Partito  son  per  salvar  la  sua  fama. 

XX 

Lasciamo   Orlando  star  col  Saracino, 
E  ritorniamo   in   Francia  a   Carlo   Mano. 
Carlo   si   stava  pur  molto   tapino. 
Cosi   il  Danese,   e  lieto  era  sol  Gano, 
Poi   che  non  v' è  più  Orlando  paladino; 
Ma  sopra   tutti    il  sir  di   Montalbano, 
Astolfo  Avino  Avolio  e  Ulivieri 
Piangevan  questo,  e  così  Berlinghierl. 

XXI 

Chimenlo  un  giorno  il  messaggio  è  tornato, 
E   inginocdiiossi  innanzi   a  la  corona. 
Dicendo  :   Carlo,   tu  sia   il  ben   trovato. 
Di   cui  tanto  il  gran  nome  e  '1  pregio  suona. 
Rinaldo,   che  lo   vide  addolorato," 
Disse:  Novella  non   debbi   aver  buona; 
Donde  il  messaggio  disse  lacrimando  : 
Io  ho   trovato  il  tuo  cugino   Orlando  .  .  . 

XXII 

E  mentre  che  più  oltre  volea  dire, 
Sì  fatta  tenerezza  gli  abbondava; 
Ch'enon  potè  le  parole  finire. 
Quando  i  baroni  intorno  riguardava 
Ch   Orlando  ricordò  nel  suo  partire  ; 
E   tramortilo  in   terra   si  posava  : 
Perchè  ciascun  allor  giudica  scorto. 
Che  '1  conte   Orlando   dovesse  esser  morlo. 

XXIII 

Dicea  Rinaldo  :  Caro  cugin  mio, 
Poi   che   tu  se"  di  questa  vita  uscito, 
Sanza   te,  lasso,  che  farei  più  io  ? 
Ed  Ulivier  piangea    tutto  smarrito. 
Carlo  pregava  umilemenle  Iddio 
Pel   suo  nipote   lutto  sbigottito, 
E  maladi'a  quel   dì  che  di  sua  corte 
E'  si  partì,  eh'  a  Gan  non  die  la  morie. 

XXI  v 

Piangeva   il  savio  Namo  di  Baviera, 
E   Salamon  ne   facea   gran  lamento  : 
Bastò  quel  pianto  per  insino    a  sera, 
Ch  ognun  pareva  fuor  del  sentimento; 
E   G.in  fingea  con   simulala  cera  : 
Ma  risentito  a   la  fine  Chimento, 
Levo>si,  e  confortò  costor,  pregando 
Che  non  piangessin    come  morto  Orlando. 


MOKG ANTE     MAGO lOK  K 


Dicendo:   Orl.imli»   sia   di   buona   voglia, 
E  tulli  por  sua   parie  salutile  : 
Io 'I   trovai   nel   deserto  di   Girf»»j;lia, 
(^li'ad   una   foate  pi.-r  caso   arrivóc, 
Dove   ut)  altro  corrier  uii   die  ^vda  doj>:lia; 
Ma   ne   la  fonte  annei;ato  reslóe  ; 
Che  lo  mandava  qui  Gan   traditore 
Per  far  morire  il   roinan   senatore. 

XXVI 

Gridò   Rinaldo  :    Questo  riiineij;alo 
Distrnjige  pur  il  san;>ue   di   Cliiarinonte 
Come   tu   vuoi,  o   Carlo  mio   impazzalo. 
Gan   gli   rispose  con  ardita  fronte, 
E  disse:  Io  son  migliore  in  ogni   Iato 
Di   te,  Rinaldo,  e  del  cngin   Ino  conte. 
Rinaldo   disse:   Per  la   gola  menti. 
Glie  mai  non  pensi  se  non  tradimenti. 

XXVII 

E  volle  con  la  spada  dare   a  Gano  : 
Gan  si  fuggi,  eh'  appunto  il  conosceva  ; 
Bernardo  da  Pontier  suo  capitano 
Irato  verso  Rinaldo  diceva  : 
Rinaldo,   tu  se'  uo.n    troppo   villano  ; 
Allor  Rinaldo  addosso   gli  correva, 
E  '1  capo  da  le  spalle   gli  spiccava, 
E  tutti  i  Maganzesi  minacciava. 

XX  vili 
I  Maganzesi  veggendo  il  forore, 
Di  subito  la  sala  sgomberorno. 
Carlo  gridava:   Questo   è   troppo   errore; 
Rinaldo  me.tte  sozzopra   ogni   giorno 
La  corte  nostra,  e  fammi  poco  onore. 
I  paladini   in  questo  mezzo   entrorno, 
E   tutti   quanti    confortar'  Rinaldo 
Ch'  avesse  pazienza,  e  stesse   saldo. 

XXIX 

RinaMo  dicea  pur:  Questo  fellone 
Non  vo'  che  facci   mai  più  tradimento  : 
O  Carlo,   o   Carlo,   questo   Ganellone 
Vedrai   eh' un   dì   ti   farà  malcontento. 
Carlo  rispose  :    Rinaldo   d'  Amone, 
Tempo  è  d'  adoperar  sì   fatto  unguento  ; 
A  qualche  fine  ogni   cosa   comporto. 
Disse  Rinaldo  :   Ch'  Orlando   sia  morto. 


A  questo  fine  il  comporti  tu  Carlo, 
E  che   distrugga  te,  la  corte  e '1  regno: 
Io  voglio  il  mio  cugino  ire  a  trovarlo  ; 
E   Ulivier  dicea:   Teco  ne  vegno. 
Dodon  pregò  eh'  e'  dovesse  menarlo. 
Dicendo  :  Fammi   di  tal  grazia  degno. 
Disse  Rinaldo:   Tu  credi   ch'io   andassi. 
Che  'l  mio  Dodon  con  meco  non  menassi? 

xxxi 
Chiamò  Guìeeianlo,  Alardo,  e  Ricciardetto: 
Fate  (he  Montalban  sia  ben  guardato, 
Tanto  ch'io  truovi   il  cugin  mio  perfetto: 
Ognun  sia  presto  là  rappresentato  ; 
Ch'i' ho  de' traditor' sempre  sospetto; 
E   Gan  fu  traditor  prima  die  nato  : 
Non   vi  fidate  se  non  di  voi  stesso, 
E  Malagigi  getti  l'arte  spesso. 


XXXII 

I{ina1iIo,   il   suo   Doilone,   o    Ulivieri 
Da   Carlo   inqierador  s'  accouimìatornu  ; 
E  nel  jtarlir.si  (|uesti   <;avalieri 
Tre  sopravveste  verde  si   caceiorno. 
Che   in   una  lista  rossa  due   ccrrvicri 
V'era,  e   <:on     esse  pel   cammino   enlrurnu: 
Era  qucst'  arme   d'  m\  gran    Saracino 
Disceso  della  scbialta  di  Mambrino. 

XXXIII 

Così   vanno  costoro  a  la  ventura  : 
Usciron  de   la   Francia  incontanente, 
Passaron  de   la  Spagna  ogni  pianura. 
Tra  Mezzodì  ne  vanno  e  tra  Ponente. 
Lasciamgli  andar,  clic   Cristo  sia   lor  cura; 
E  tratterem  d'  un  saracin  possente. 
Che  in   verso  lìarheria  facea  dimoro  ; 
Era  gigante,  e  chiamato  Brunoro  : 

xxxiv 
O  ver  cugin  carnale,  o  ver  fratello 
Del  gran  Morganle  eh' avea  seco   Orlando; 
E  Passamonte  e  Alabastro,  quello 
Ch'  Orlando  uccise  nel  deserto,  quando 
Il  santo   abate  riconobbe,   e  fello 
Contento,  il  parentado  ritrovando  : 
Brunor,  per   far  de' suoi  fratei   vendetta, 
Di  Barben'a  s'  è  mosso  con  gran  fretta. 

XXXV 

Con  forse  trentamila  ben  armali, 
E   tulli  quanti  usati   a   guerreggiare, 
A  la  badia  ne    vengon  difilati. 
Per  far  l'abate   e' monaci  sbucare: 
E   tanto  sono  a  stracca  cavalcali. 
Che  cominciorno  le  mura  a   guardare  ; 
E   giunti   a  la  badia,   drento  v' enlraro  : 
Che  contro  a  lor  non   vi  fu   alcun  riparo. 

XXXVI 

Il  domine  messer,  lo  nostro  abat£ 
La  prima  cosa  missono  in  prigione. 
Disse  Brunoro  :   Con   le  scoreggiate 
Uccider  si   vorrà  questo   ghiottone; 
>la  pur  per  ora  in  prigion  lo  cacciate  : 
Riserberollo   a  maggior  punizione  : 
Cagione  è  stato  pricipale,   e  mastro. 
Che  Passamonte   è  morto  e  Alabastro. 

XXXVII 

Rinaldo  in   questo   tempo   a  la  badia 
Con  Ulivieri   e   Dodone  arrivava  : 
Vide   de'saracin' la  compagnia; 
E  del  signor,  chi  fosse,   domandava. 
Brunor  rispose  con   gran   cortesia  : 
Io  son  dess'io;    e  se  ciò   non  vi   grava. 
Ditemi  ancor  chi   voi,  cavalier,  siete  : 
Disse  Rinaldo  :  Voi  lo  'ntenderetc. 

xxxviii 
Noi  siani  là   de' paesi   del  soldano 
Pur  cavalieri   erranti   e    di   ventura: 
Per  la  ragion   com' Ercol  coinballiano  ; 
Abbiamo  avuto  assai   disavventura  : 
Questo  ci  avvenne,  perchè    il   torlo  avano, 
E  la  ragion  pur  ebbe  sua  misura  : 
Nostri   ei.mpagni   alcun   n' è  slato   morto. 
Che  noi  saj)piendo,   difendcano  il   torlo. 


MOR GANTE     MAGGIORE 


XXXIX 

Disse  Itriinoro  :  lo  mi  fo  maraviglia, 
Che   Vili   rampassi,  e   per  Dio  mi   ver{i<)pno 
A   dirvi   «pifl  tht   la  mpiile   liisliii;lia  : 
^  (>ì   side  armali   in   visione  e   in   sopno  : 
Se   voi  volete   ron   la  mia   famiglia 
Manjiiar,  «  lie  forse  n   avete  bisogno, 
Disnuuitercle,   ed  onor  vi  fia   fallo, 
ìì.  fate   liiioMt»  scollo  per  xm   Irai  lo. 

xr. 
Disse  Rinaldo  :  Da  manpiare  e  ber* 
Af  cello  :   il   re  chiamava  nn   Saracino  ; 
Disse  :   Coslor  son   pente  da  podere, 
E   vanno   coniliatlendo  il  pane  e  1  vino, 
K  carne,  quando  ne  possono  avere  : 
Non  debbe  bisognar  dar  loro  uncino, 
()  por  la  scala    ove   aspinnpon   con  mano  : 
Dice,   the  SOB  cavalior"  del  soldano. 

XM 

Se   la   ragione  aspolta  cbe   costoro 
L  aìntìnOj  fn  j>rigion   sen   andrà   tosto, 
o  avesse  più  avvocati,   argento  o  oro, 
O  carie  o  teslimon,  clie  ficlù  agosto. 
Direa  fra   sè  sorridendo   Brunoro  : 
A   l'.rcol  s'  agaiiapliò  quel  ciufTa  '1   mosto, 
O  cavalier  di   gall.i,  o  qualche  araldo  : 
L   ocni  cosa  intendeva   Rinaldo. 


Trnova  colà  die  faccin  colezione, 
Se   ve  reliquia  arcarne  o  catriosso 
Kimaso,  o  piedi   o   capi   di   cappone, 
E  dà  pur  broda  e  macco  a  Tnom  che  grosso; 
Vedrai  com'  egli  scuffia  quel  ghiottone, 
Che  debbe  come  il  can  rodere  ogni  osso  : 
Assettagli   a  mangiare  in  qualche  luogo, 
E  lascia  i  porci  poi  pescar  nel  truogo. 

XLIII 

Rinaldo  facea  vista  non  udire, 
E  non  gustar  quel  che   diceva  quello: 
Non  si   voleva   al  pagano  scoprire 
Per  nessun  modo,   e  fa   del  buffoncello  : 
Ecco  di  molta  broda  comparire 
In   un  paino!,  come  si  fa   al  porcello. 
Ed  ossa,  dove  i   cani  impazzerebbono, 
E  in  GiusalTa  non  si  rilroverebbono. 


Rinaldo  cominciava  a  piluccare, 
E   trassesi  di  testa  allor  1'  elmetto  ; 
Ma  Ulivier  non  sei  volle  cavare, 
Così  Dodon,  ciie  stavan   con   sospetto  : 
Perchè  Brunor,  reggendogli  imbeccare 
Per  la  visiera,  guardava  a  diletto, 
E  comandava  a  un  di  sua  famiglia. 
Oh  a'ìor  deslrier"  si   traesse  la  briglia. 

XLV 

E  fece   dar  lor  biada,  e  roba   assai, 
Dicendo  :   Questi  pagheran  lo  scotto, 
O  Tarme  lasceran  con  molli   guai; 
Non  mangeran  così  a  bertolotto. 
Direa  Rinaldo  :  A  la   barba  V  arai  : 
E  cominciò  a  mangiar  com' un   arlotto: 
Ma  quel  sergente,   a   chi  fu  comandalo, 
Avea  il  cavai  di  Dodon   governalo. 


Poi    governò  <iopo   quel    ^'egliantino, 
Ch'  avea   con   seco  menato    il    marchese  ; 
Poi   se   ne  va   a   Ra iarde»  il   Saracino: 
ì\   come   il   bracccio   a   la   greppia  dislese, 
Raiardo    lo   ciuffo   come   un    niasllnu, 
y.'n   su   la   spalla   a   1°  nniero   io  prese: 
Che    lo   schiacciò,  coni"  e' fnsse   una   canna. 
Tal    «he  con   bocca   ne  spic«a   una   rpann.i. 

xi.vii 
Subilo  carlde  quel  famiglio  in   terra, 
E   poi  per   grande  spasimo   mon'o  : 
Dis<e   Rinaldo  :    Appiccala   è  la   ^lerra  : 
Lo   scolto  pagherai    tu,  mi   cred"  io  : 
Vedi,   che   spesso   il   disegno  altrui   erra. 
Quando   Rrunor  questo  caso  sentìo. 
Disse:    Mai   vidi   il  più  fiero  cavallo: 
Io    vo'  che   tu  mei  doni   sanza  fallo. 

XI.VIII 

Rinaldo  fece   Albanese  messere. 
Disse:    Quest'orzo  mi  par  del   verace. 
Rrunor  diceva   con   un   suo  scudiere  : 
Questo  cavai  si   vorrà,  che  mi  piace. 
Rinaldo  torna  e  riponsi  a  sedere, 
E  rimangiò  com' un  lupo  rapace: 
Un   Saracin,  che  ancor  lui  fame  avea, 
A  lato  a   lui  a  mangiar  si  ponea. 

XLIX 

Rinaldo  l'ebbe  a  la  fine  in  dispetto, 
Però  che   diluviava   a  maraviglia, 
E   caddegli  la  broda   giìi  pel  petto  : 
Guardò  più  volte,  e  torceva  le  ciglia  ; 
Poi   disse  :  Saracin,  per  Macomelto, 
Che   tu  se' j)orco,   o  bestia   che  '1   somitilia: 

10  ti  prometto,   slu  non   te   ne  vai, 
Farò   tal  giuoco,  che   tu  piangerai. 

L 

Disse  il   Pagan  :  Tu  debb'esser  un  mallo, 
Poi   che   di   casa  mia  mi   viu)i  cacciare. 
Disse  Rinaldo  :  Tu  vedrai   beli'  atto. 

11  saracin  non  se  ne  vuole  andare, 

E  nel  paiuol   si   tuffava  a  lo  imbratto. 
Rinaldo   non  polè  più  comportare: 
Il   guanto  si   meltea  ne  la  man   destra, 
Tal  che  gli  fece  smaltir  la  minestra, 

LI 

Che   gli  appiccò  in  siU  capo  una  sorba. 
Che   come  e'  fosse  una  noce  lo  schiaccia  : 
Non   bisognò  che  con  man  vi  si  forba  ; 
E  morto  nel  paiuol  quasi  lo  caccia. 
Tanto  che   tutta  la  broda  s'intorba. 
Dodon   gridava   al  marchese  :   Su  spaccia, 
Lieva  su  preslo,   la  zuffa  s"  appicca  ; 
Donde  Ulivieri   abbandonò  la  micca. 

Lll 

Allora   und  brigala  di  que'  cani 
Subito   addosso   corsono  a  Dodone, 
E   cominciossi  a  menarvi  le  mani  : 
Rinaldo  vide  appiccar  la  questione, 
E   in  meazo  si  scagliò  di  que'  pagani  ; 
(]osl  faceva  Ulivier  borgognone: 
Trasse  la  spada   dal  lato  suo   bella. 
Ma  presto  sanguinosa   e   bruita  fella. 


MORGAN  T  E      M  A  G  G  I  O  l\  E 


Al  primo  olle   trovò   la  znrra   taglia    : 
Dodone   uccise   un  pipati  molto   ardilo. 
Brunor   vejjgendo   avviar   la   ballaj;lia, 
Stibilo  verso  Rinaldo  fu  ilo, 
E  disse:   Cavalier,  se   Dio   li   va2;lia, 
Per  cMe  camion  se'  lu  stalo   assalilo  ? 
E  gridò  forte,  che  ciascun   s'  arresti, 
Tanto  che  '1  .caso  a  lui   si   manifesti. 

MV 

Subilo  la  battaglia  s'arrestava  : 
Saper   voleva   ogni  cosa  Brunoro  : 
Verso  Rinaldo  di   nuovo  parlava  : 
Dimmi,  baron,  perchè   tu   dai  marloro 
A  la  mia   gente,   che   troppo  mi   grava  ? 
Disse  Rinaldo  :    Come  san  costoro, 
Non   vo'mai  noia,  quand' io    sono   a   desco, 
E  sto  come '1  cavai  sempre  in  cagnesco. 

LV 

Venne  a  mangiar  qua  uno  :   io  lo  pregai 
Che  se  n'  andasse  ;  e'  non  curò  il  mio  dire: 
Mangiato  non  parca  eh'  avesse  mai. 
Ed  ogni  cosa  faceva  sparite: 
Le  frutte  dopo   al  mangiar   gli   donai, 
Perchè  il  convito  s'avesse   a   fornire; 
E  mentre  che  dicea  questo   al  pagano, 
Frusberta  sanguinosa  tenea  in  mano. 

LVl 

Disse  Brunor  :  Poi  che  cosi  mi  conti, 
Di  questo  fatto  se  ne  vuol  far  jprce: 
Non  siate  così  tosto  al  ferir  pronti  : 
Io  l'  lio  fatto  piacer,  se  non   li  spiace. 
I  peccati  commessi   sieno  sconti  : 
Rimettete  le  spade,  se  vi  piace. 
Rimisson   tutti   allora  il  brando  drento  : 
Brunor  seguia  il   suo  ragionamento. 

T.VIl 

Detto  m'  avete,  s'  io  ho   inteso  bene, 
Che  combattete  sol  per  la   ragione; 
Però  d'  un  altro  caso  vi   conviene, 
Dirne  con  meco  vostra   opinione  : 
Dirovvi  prima  quel   che   s'appartiene, 
E  voi  poi   solverete  la   qnislione  ; 
Se  no,  tu  lascerai  qui  il   tuo  cavallo, 
Che  ristorò  de  1'  orzo  il  mio   vassallo. 

Lvin 
Disse  Rinaldo:   Apparecchiato  sono. 
Brunoro  allor   gli  raccontava   il  fatto: 
Questa  badia   s'  è  messa  in   abbandono, 
Perchè  due  miei  fratelli  furo   a   un   trailo 
Fatti  morir,  sanza   trovar  perdono; 
Ond'io  sentendo  sì  tristo  misfatto. 
Venuto  sono  a  vendicarli  ;  e  preso 
L'  abaie  ho  qui,  da  cui  mi  tengo  offeso. 

LIX 

Se  la  ragion   lu  di'  che  suoi  difendere. 
Tu  deveresti  aiutar  me  per  certo  : 
Ed  a  me  par  che  tu  mi  voglia  offendere  ; 
Gnor  t'ho  fallo,  aspettando  buon  merlo. 
Disse  Rinaldo:  Falso    è  il   mo   contendere; 
Io   ti   dirò  quel   eh'  io  ne  'nlendo   aperto  : 
Con  un  sol  bue  io  non  son  buon   bifolco  ; 
Ma  s'io  n'ho  due,  andrà  diritto  il  solco,  w 


Se   due  campane,  una  odi   sonare, 
F   r  altra  no  :   chi  può   giudicar  questo 
Qual   sia   migliore  ?   io  odo  il    tuo  parlare  ; 
Vorrei    da  quello  abate   udire   il   resto- 
Dice   Brunoro:    E  questo  anche   a  me  pare. 
Vt'mie   l'abate   appiccalo   al   capresto. 
F   liberato  fu   de   la  prigione. 
Perchè  potesse  dir  la  sua  ragione. 

r,xi 
Disse  Brunoro:    Io  ho   detto   a  costui 
L'oltraggio  che   da   le   ho  ricevuto: 
Conlato  gli   ho  come   diserto  fai 
Pe'  tuoi   consigli   da  chi   l'  ha   creduto  : 
Or  tu  le  ragion'  tue  puoi   dire   a  lui. 
Che  mi  pare  uomo  assai   giusto   e  sapulo. 
Disse  l'abate:   Or  l'altra  parte  udite, 
A   voler  ben   giudicar  nostra  lite. 

LXII 

Io  mi  posavo  in  queste  selve  strane, 
E  i   suoi    fratelli  ogni   di  mi   faceano 
A   torto  mille   ingiurie  assai   villane, 
E  spesso  i   faggi   e  le  pietre  sveglieano  : 
Hanno  più  volte  rotto  le  campane, 
E  de' mie' frali   con   esse   uccideano  : 
Convennemi  alcun   tempo  comportargli, 
Che  forze  non  avea  da  contrastargli. 

LXIII 

Ma  come  piacque  a  quel   Signor  divino, 
Ch'  aiuta   sen)pre    ognun   eh'  ha  la  ragione, 
(Ji   capitò   un   mio   fralel   cugino. 
Il  qual  si   chiama   Orlando   di   Milone  : 
E  come  quel  eh' è   giusto  paladino. 
Ebbe   di  me   giusta  compassione  ; 
E  in  su  quel  monte  andò  a  trovar  costoro, 
E  con  sua  mano  uccise  due  di  loro. 

LXIV 

Il   lerzo  per  suo  amor  si   convertìe, 
E  con  quel  conte   Orlando  se  n'andóe 
Verso  Levante,  e  da  me  si  parti'e  ; 
Tanto  che  sempre   io  ne  sospireróe. 
Quando  Rinaldo  le  parole  udi'e, 
Molto  d'  Orlando  si  maraviglióe, 
E  non  sapea  rassettar  ne  la  mente, 
Come  l'abate  fosse  suo  parente. 

LXV 

E  cominciò  così  al  pagano  a  dire  : 
Or   li   parrà  che  1   solco  vada  ritto  ;  '-^ 
Or  due  campane  si  possono  udire  ; 
Tu  mi  parlavi  simulato  e  fìtto  : 
Però,  s' a  questo  non  sai  contraddire. 
La  mia  sentenzia   è  data   già  in  iscritto  : 
Se  vero  è  quel  che  l'abate  m' lia  porlo. 
Egli  ha  ragione,  e   tu,  pagano,  hai  ì  torto. 

LXVl 

E  intendo  di  provar  quel   ch'io  ti   dico 
A  corpo  a  corpo,   a  piede  o   a   cavallo  ; 
Percir  io  son   troppo  a  la  ragione  amico. 
Disse  il  pagano  :   E'  si   vorria  impiccallo 
Con    leco  ;  or  guarii   come  mio  nimico  : 
Tu  dcbb' essere   un   ghiotto  sanza  fallo. 
Disse  Rinaldo,  com'io  sarò   ghiotto. 
Tu  me  1  saprai  dir  meglio  al  primo  botto. 


M  O  U  G  A  N  T  i:       M  A  G  G  I  O  II  E 


Di.'sc   Briiiioro:   Noi   fìircniu   un  palio, 
Che  s"  io   ti    vinco,    in   vo'  «|iu*slo   lìtstricrc 
Cir  al   ptinio   so   li   «laro  srarruniallo 
Con   la   pt-dona  in   mezzo   lo   iraccliiere. 
Disse   Rinalilo  :    Come   vuoi  sia  fatto  ; 
Se   tu  m'abbatti,  questo   è  ben   dovere  ; 
E   anro  a  scarrlii   ti  polria   dir  reo  : 
Ch'io   fo   i    tuo'par"  ballar   come"!    p.ileo. 

IXVIII 

Ma   voglio   un   altro  patto,   se   li   piace, 
die   s'io    ti   vincerò   ne   la   baltaplia, 
L'  abate   liber  sia  lascialo  in   pare 
Da   la   tua   pente  sanza   altrui  puntaglia  ; 
Cos'i  se  1   mio  pensier  fusse  fallace, 
Questo  cavai  cb'io  ho  coperto  a  maglia, 
A'o' che  sia   tuo:  ma  slu  m'abballerai, 
A  ogni  modo  che  dich'  io  1'  arai. 


Poi   che  r  accordo  così  si  fermava. 
Ognun   qinnto  volea   del   rampo   tolse: 
Come   Brunoro    il   suo   destrier  girava, 
Cos'i   Rinaldo   Baiardo  rivolse  ; 
11   saracin   la  sua   lancia   abbassava  ; 
Sopra   lo   scudo   di  Rinaldo  colse  : 
Passollo   lutto  e  pel  colpo  si   spezza  ; 
Rinaldo  ferì  lui   con   gran  fierezza, 

LXX 

E  passògli  lo  scudo  e  1'  armadura  ; 
Per  mezzo  al  petto   la   lancia  passava  ; 
Due  braccia   o  più  d'  una  buona  misiua 
Da   r  altra  parte  sanguinosa   andava  : 
E   cadde   rovesciato   a  la   verzura  : 
L'  anima  ne  1"  inferno  s"  avviava  : 
Gli   altri  pagani  veggcndoi  morire, 
Ulivjer  presto  corsono  assalire. 

LXXI 

Rinaldo  non   avea  rotta   la  lancia  : 
Il   primo   ch'egli   scontra   de' pagani 
Gli  passò  la   corazza,  e  poi   la  pancia  ; 
Poi  con   Frusberla  sgranchiava  le  mani  ; 
E   Ulivier  eh"  è  pur  di   que"  di  Francia, 
Oue'  saracini   affetta   come  pani  : 
E  sopra  Veglianlino  era  salito, 
E  del  dìciolto  teneva  ogni  invilo. 

LXXII 

Allor  Dodone  a  l'abate  correa, 
II  quale  era  legato  molto  slrello  : 
Tagliò  il  capestro,  e  le  mani  sriogliea  : 
L'abate  presto  si  misse  in   assetto: 
Ino   slangon   da  la  porla   togliea, 
Ch"  a  un  pagan  levò  il  capo  di  nello: 
Poi   ne  la   calca  in  modo  arrandellollo  ; 
Ch'  a  più   di   sei  levò  il  capo  dal  collo. 

LXX  III 

I  frati   ognun  la   cappa  si  cavava  : 
Chi  piglia  sassi   e  chi  stanga  e  chi  mazza 
Ognuno  addosso  a  costor  si   cacciava  ; 
Molli  iiccidean   di   quella   turba  pazza. 
Rinaldo  tanti  quel  di  n'affettava. 
Che  in  ogni  luogo  nel  sangue  si   cuazza  : 
A  chi  balzava   il  capo,   a   chi  1   cervello, 
Come  si  fa  de  le  bestie  al  macello. 


I.XXIV 

E    l'II\ieri  di' avea   Dorlindana, 
Tu   de' pensar  quel   che  facea   di   loro: 
E  frce   in   terra   <Ji   sangue  una  chiana  : 
Dodon    pareva   più   bravo   eh'  un    loro. 
Mi.-sesi    in    f»iga    la    gente   pag.iria, 
Che  non  potean  più  reggere  al  marturo  : 
L'abate   a    l'uscio  per  piii   loro   angoscia 
S'  era  recato,   e  ne   1'  uscir  fuor  croscia. 

LXXV 

Subito   la   badia   isgomberorno  : 
Molti  ne  fecion  saltar  le  finestre  : 
Fino   al   deserto   gli  per.-eguilorno  : 
Poi   gli    la^ciorno   a   le  fiere  silvestre  : 
I  monaci   la  porla  ri-errorno, 
E  rassettarsi   a   I'  antiche  minestre  : 
Poi   riposalo   a   1  abate   n'andava 
Rinaldo  presto,  e  così   gli  parlava. 

i.\xvi 
Voi   dite,  abaie,  che  siete   cugino, 
Se   bene   ho   inleso   tal  ragionamenlo, 
D'  Orlando   degno  nostro  paladino  ; 
Però   di   questo  rtii  fate  contento, 
Donde  disceso  siete,  e  in  qual  confino 
E  che   cagion  vi  condusse   al  convento. 
Disse  l'abate:   Se  saper   l'è  caro 
Quel  che  tu  di',  tu  sarai   toslo  chiaro. 

x.xxvii 
Io  fui  figliuol  d   un  figliuol  di  Bernardo^ 
Che  si   chiamò  da  la   gente  Ansuigi, 
Fralel   d' Amone  ;  e  fu   tanto  sagliardo, 
Ch'  ancor  la  fama  risuona  in  Parigi 
D'Ottone  e  Buovo,  s' i' non  son   bugiardo: 
E  la   cagion   ch'io  vesto  or  panni  bigi, 
Fu  dal    ciel  prima   giusta  spirazione  ; 
Poi  per  conforto   di  papa  Lione. 

LXXVIII 

Rinaldo  udendo  coniar  la  novella. 
Con  molla  festa   lo  corse   abbracciare, 
E  ringraziava  del  cielo  ogni  siella  : 
E   disse:   Abate,  io  non   vi   vo' celare, 
Poi   che  scacciata  abbiam  la  gente  fella, 
Il  nome  mio:  ch'io  non  lo  polre'fare; 
Tanta  dolcezza  supera  la  mente  : 
Son,  come  Orlando,  anch'io  vostro  parente. 

LXX  IX 

Io  son  Rinaldo  ;  e  fui  figliuol   d'Amone  ; 
E   come   a  lui,  a  me  cugino  ancora 
Siete  ;  e  piangeva  per  affezione  : 
Perchè  l'abate  lo  stringeva   allora, 
E  mai  non   ebbe   tal   consolazione  : 
O   giusto   Iddio,   eh'  ogni   cristiano   .idora. 
Dopo   tante   altre   grazie   e  lunga   elale, 
Veggo  Rinaldo  mio,  dicea  l'abate. 

LXXX 

E  ho  veduto  il  mio  famoso  Orlando, 
Benché  del   suo  partir  sia  sconsolato; 
Nunc  dimilte  servum  luum,  quando 
Omai   ti  piace,  signor  mio  beato. 
Rinaldo  allor  soggiunse  lacrimando  : 
E  questo  è  L'Iivier  eh'  è  suo  cognato  ; 
Questo  è  Dodone  figliuol   del  Danese. 
L   abaie  abbraccia  Dodone  e  1  Marchese. 


u 


MOKGANTE     MAGGIOUK 


rxxxi 
I   monaci   farevan  molta   festa, 
Percliè  partito  è  il  popol  Saracino, 
E  che  ])cr   grazia  Iddio  lor  manifesta, 
Clic  Rinaldo  è  de   V  abate  cuiiiino. 


IMa  porci»' io  sento  la   terza  richiesta 
Di   ringraziar  chi   ci  scorge  il  cammino; 
Farò  sempre  al  cantar  quel  eh' è  d  )vuto 
Cristo  vi   scampi,   e  sia  sempre  in   aiolo. 


CVNTO    IV 


ARGOMENTO 


•m"mi^> 


impicca  Rinaldo  la  testa  a  un  dragone^ 
Che  s'è  con  un  l'ione  amilicc/iiato  ; 
Mesce  di  si  buon  peso   un  mostaccione 
A  un  gi!;ante,  di'  e?  cade  sfracellato. 
Con   Ulii'ier  5'  imbranca  e  con  Dodone, 
A  sterminare  un  serpe  sterminato. 
i"  innamora    Ulirieri  al  maggior  segno  : 
Fansi  Cristkini  il  re  Corbante  e  '/  regno. 


vTloria  in  excelsls  Deo  e  in  terra  pace. 
Padre,  Figliuolo  e  Spirito  Santo, 
Benedicinins  te,  Signor  verace. 
Laudamus  te.   Signor,  con   nmil   canto  ; 
Poi  che  per   tua  benignità   ti  piace 
L'  abate  nostro  qni  consolar   tanto, 
E  le  mie  rime  accompagnar  per  tutto, 
Tanto  che  il  fior  produca  alfm  buon  frullo. 

II 
Era  nel  tempo  ch^  ognun   s' innamora,- 
E  eh'  a  scherzar  comincian  le  farfalle.; 
E '1  sol  eh'  avea  passata  rullim'ora, 
Verso  Murrocco  chinava  le  spalle  : 
La  luna  appena  corneggiava  ancora  : 
De'  monti  1'  ombra  copriva  ogni  valle  ; 
Quando  Rinaldo  a  l'  abate  ritocca, 
Che  1  nome  suo  non  tenesse  più  in  bocca. 

Ili 
Rispose  :  Chiaramonte  è  il   nome  mio  : 
Benignamente   a  Rinaldo  1'  abate. 
Dopo  alcun   giorno,  acceso  dal   desi'o, 
Disse  Rinaldo  :   Io  vo'  che  voi   ci  diale 
Omai  licenzia  con  nome  di  Dio  : 
Io  ho  a  Parigi  mie  genti  lasciale  ; 
Perch'io  non  credo  che '1  dì  mai  veggJamo 
Dì  ritrovar  colui  che  noi  cercliiamo. 


L'  abate  eh'  era  prudente   e   ^;^pui:o, 
Disse  :  Rinablo,  benché  duol  mi   Ila, 
Che  mai  qui  mi  saresti  rincresciuto  ;        * 
Credo  che  questo  buon  concetto  sia." 
Io  son  contento  poi   ch'io  t' lio   vedulo: 
So  che  questa  sarà  la  parte  mia 
Di  rivedervi  più,  ch'egli   è  ragione; 
Però  vi  dò  la  mia  benedizione. 


Se  di  vedere   Orlando  è  il   tuo  pensiero, 
Vaitene  in  pace,  caro  mio  fratello  ; 
Dio   t'  accompagni  per  ogni  sentiero, 
O  come  fece  Tobbia  Raffaello. 
Disse  Rinaldo  :    Così  priego  e  spero, 
Rìvedremci  nel  ciel  su  presso  a  quello 
Che  de' suo' servi  ara  giusta  mercede, 
Che  combatlon  qua  giù  per  la  sua  fede. 

VI 

Rinaldo  si  partì   da  Chiaramonte, 
E  Ulivieri   e  Dodone  sospirando  : 
Va  cavalcando  per  jtiano  e  per  monte, 
Per  la   gran   voglia   di   vedere   Orlando  : 
Quando  sarà  quel   di,  famoso   conte, 
Dicea  fra  sé,  eh'  io  ti  rivegga,  quando  ? 
Non  mi   dorrà  per  certo  poi  la  morte, 
S'  io   ti  ritrovo,  e  riconduco  in  corte. 

VII 

Era   dinanzi  Rinaldo  a  cavallo, 
E  Ulivier  lo  seguiva  e  Dodone 
Per  un  oscuro  bosco  sanza  fallo, 
Dove  si  scuopre  un  feroce  dragone 
Coperto  di  stran  cuoio  verde  e   giallo  ; 
Che  combatteva  con  un  gran  lìone  : 
Rinaldo  al  lume  de  la  Urna  il  vede; 
Ma  che  quel  fosse  drago  ancor  non  crede. 

vili 
E  Ulivier  più  volle   aveva  detto. 
Sì  com'  avvien  chi  cavalca  di  notte  : 
Io  veggo  un  fuoco  appiè  di  quel  poggetto  ; 
Gente  debbe  abitar  per  queste  grotte  ; 
Egli  era  quel   serpente  maladetto. 
Clic  getta  fiamma  per  bocca   la' d'otte, 
Ch'  una  fornace  pareva   in  calore, 
E   lutto  il  bosco   copri'a  di   splendore. 


M  0  l\  (i  A  N  TE     M  A(i (,  IO  l\  E 


E  l  loon  par  che  con  lui  s'arrapipli, 
E   ron   le  branrlie  e  co' denti   lo  roda, 
Ed   or  pel   rollo  or  nel  pi-llo   lo   pipli  : 
Il   dra^o  avNolta   pli  aveva  la  roda, 
E  presol   con   la  borea  e  con   pli   arlipli 
Per  modo   tal,   che   da   Ini   non   si   snoda  ■ 
E  non  pareva  al  lione  anco  einoco. 
Quando  per   Locca  e'  vomitava   fuoco. 

x 
Baiardo  cominciò  fort»-   a  nitrire. 
Coni' e' con«>lil)C   il   sriponle   da  presso: 
Veclianlin   d"  Ulivier  voli-a  fuppire  ; 
Quel   di   Doilon  si   volpe  a  <lrielo  spesso  : 
riif  "1  (iato  del   drapon   si   fé'  sentire  : 
Ma   pur   Hinaldo  innanzi   si  fu  messo, 
E  increlibeli   di   quel   lion   che  perde 
A  poco  a  poco,  e  rimaneva  al  verde. 

XI 

E   terminò  ili  darpli  alfin  soccorso, 
E   I  he   non   fusse   dal   serpente  morto  : 
lìaiardo   sprona   e    l«'mji»Ta  col   Illor^o  ; 
Tanto   che  presso  a  quel   drap»»   1  ha  porlo, 
Che   si   studiava   co'  prafli   e   col  morso. 
Tal   che  condotto   ha    il    lione   a  mal  porto  : 
Ma  invocò  prima   V  aiuto  di  sopra. 
Che   cominciasse  sì   terribil  opra. 

XII 

E   adorando,  sentiva  una  voce 
Che   pli   dicea  :  Non   temer,  Laron  dotto, 
Del  pran  serpente  ripido   e  feroce: 
Tosto   sarà  per  tua  mano  al  di  sotto. 
Disse  Rinaldo:   O  Sipnor  mio,  che  in  croce 
Moristi,  io   li  ringrazio  di    tal  motto  : 
E   trasse  con  FrusLerta  a  quel   drapone  ; 
E  mancò  poco  e"  non  delle  al  lione. 

XIll 

Parve  il   lion   di   ciò  fnsse  indovino; 
E   quanto  può   dal  serpente  si  spicca, 
Veppendosi   in   aiuto   il  paladino  : 
Frusbcrla  addosso   al  drapon  non  s'  appicca. 
Perchè  il   dosso   era  più  che  d'  acciaio  fino  : 
Trasse  di  punta,  e  "1   brando  non  si  ficca. 
Che  solca  pur  forar  corazze  e  niaplie  : 
Sì  dure  aveva  il  serpente  le  scaglie. 

XIV 

Disse  Rinaldo  :  E'  fia  di  Satanasso 
Il  cnoio  che  *1  serpente  porta  addosso, 
Poi   che  di  punta  col  brando  noi  passo, 
E  che  col  laplio  levar  non  ne  posso  : 
E  lascia  pur  la  spada  andare  in  basso. 
Credendo  a  questo   tapliare   alfin   V  osso  : 
Frusberta  balza,   e  faceva  faville  : 
Cosi  de'  colpi  gli  die  forse  mille. 

XV 

E  quel  lion  lo   teneva  pur  fermo. 
Quasi   dicesse  :  S'  io  lo   tenpo  saldo, 
Kon  ara  sempre  a  opni   colpo  schermo  : 
Ma  poi   che  molto  ha  bussato  Rinaldo, 
E  conoscea  che  questo  crudel  vermo 
L'  offendea  troppo  col  fiato  e  col  caldo, 
Se   pli  accostava,  e  prese  un  tratto  il  collo, 
E  spiccò  il  crpo,  che  parve  d'  un  pollo. 


XVI 

Fiipcito   ^'  era    Llivieri   e  Dodonc, 
(.lic   ì    lor   de}trier'iiun  poirron   tenere: 
Come  e' fu   .iiorln  (|uel  fiero  drapune, 
IS.il/atu   il   rapo,   e  caduto  a   jacrre, 
Verso   Rinaldo   ne    venne   il   lionr, 
E   (oniintiava  a  leccare  il   dislriere; 
Parea    che  rendrr  pli   volesse   (;razia: 
Di  far  festa  a  Rinaldo  non  si  sazia. 

XVII 

Ed  avvinssi  con  esso  a  la  briplia. 
Rinaldo   disse  :   Verpine   praziosa. 
Poi  che  mostrata  m   hai   tal  maravigla, 
Ancor   ti  priepo.  Repina  pietosa, 
Cile  mi  dimostri  uve  la  via  si  piglia 
Per  questa  selva  così  paurosa. 
Di    ritrovare   Ulivieri   e  Doihme, 
O   tu  mi  fa  fare  scorta  al   lione. 

XVIII 

Parve   che  questo  il  lione  intendessi, 
E   comin<iava   innanzi  a  camm  nare, 
Come   se,  drieto  mi  verrai,  dicessi  : 
Rinaldo  si  lasciava  a  lui  puidaie: 
Che   boschi   v' eran   $1  folli  e  sì   spessi. 
Che  fatica   era   il   sentiero  osservare  : 
Ma  quel    lione   appunto   sa   i   sentieri, 
E   ritrovò  Dodone  e  Ulivieri. 


Era  Fllvier  tutto  maninconoso, 
E   del   cavallo  in   terra   dismontalo; 
Cosi   Dodone,  e  pianpea   doloroso, 
E  'ndrieto  inverso  Rinaldo   è  tornato 
Per  dar  soccorso  al  paladin  famoso  ; 
E   Ulivieri   aveva  rnpionalo  : 
Penso  che  morto  Rinaldo  vedremo 
Da  quel  serpente,  e  tardi  giugneremo. 

XX 

E  non  sapean  ritrovare  il   cammino  : 
Erano  entrali   in   certe  strette  valli; 
Ecco  Rinaldo,   e  "1   lion    pia  vicino: 
Maravipliossi,   e  cominciò  a  puardalli  : 
Vide   Ulivif-r  non   av«a  A'epliantino  ; 
Disse  :   Costoro  ove  aranno  i   cavalli? 
A   qualche  fiera  si  sono   abbattuti. 
Dove  egli  aranno  i  lor  destrier*  perduti. 

XXI 

Ulivier  quando  Rinaldo  vedea. 
Non  si  può  dir  se  pareva  contento, 
E  iìisse:   Veramente  io  mi  credea 
Ch' omai   tu  fussi   de  la  vita  spento; 
E  poi   ch'allato   il  lione  scorpea 
Al   lume  de  la  luna,  ebbe  spavento. 
Disse   Rinaldo  :   Ulivier,  non   temere, 
Che  quel  lion   ti  facci   dispiacere. 

xxu 
Sappi,  che  morto  è  quel  drapon  crudele, 
E  liberato  ho  questo  mio  compagno, 
Che  meco  or  vien,  come  amico  fedele, 
E  arem  fatto   di  liri  buono  guadagno  : 
Prima  che  forse  la  luna  si   cele. 
Tratto  ci   ara  questo   lion   prifagno 
Del  bosco,   e  puideracci  a  buon  cammino  : 
Ma  dimmi,  hai   tu  perduto  Vegliantino? 


MOK  (x  A  N  T  E     MAGGIO  K  E 


XXIII 

Ulivier  si  scusò  eoa  gran  vergogna 
fioine   tu  fusti  a  le  man  col  dragone, 
]   dcslrier'rl  hanno  grattata  la  rogna 
Tra  mille  sterpi,  e  per  ogni   burrone» 
Ognun  voleva  far  quel  che  bisogna 
Ver  aiutarti,  com'era  ragione; 
Ma   ritener  non   gli  potemmo  mai  ; 
Tanto  ci»e  forse  di  noi  ti   dorrai. 


Noi  gli  lasciammo  presso  a  una  fonte, 
Perchè  pur  quivi   si  fermorno  a  bere: 
Quivi  legati  appiè  gli   abbiam  del  monte, 
E  or  di   le  venivamo  a  sapere. 
Se  rotta  avevi  al  serpente   la  fronte, 
O  da  lui  morto  restavi  a  giacere. 
Disse  Rinaldo  :  Pe'  cavalli  andiamo, 
£  tra  noi  scusa,  Ulivier,  non  facciamo. 

XXV 

Rilrovorno  ciascun  il  corridorei 
Dicea  Rinaldo  :  Or  da  toccar  col  dente 
Non  credo,  che  si   truovi  insin  che  fore 
Usclam  del  bosco  o  troviamo  altra  gente 
Cosi  stessi  tu,  Carlo  imperadore. 
Che  vuoi  eh'  io  vada  pel  mondo  dolente  ; 
Così  stessi  tu,  Gan,  com' io  sto  ora; 
Ma  forse  peggio  star  ti  farò  ancora. 

XXVI 

E  così  cavalcando  con  sospetto 
Rinaldo  si  dolca  del  suo  destino  : 
E  quel  lione  innanzi  va  soletto, 
Sempre  mostrando  a  costoro  il  cammino  ; 
E  poi  eh'  egli  anno  salito  un  poggetlo, 
Ebbon  veduto  un  lume  assai  vicino  : 
Che  in  una  grolla  abitava  im   gigante, 
E  un  gran  fuoco  s' avea  fatto  avanle. 

xxvii 
Una  capanna  di  frasche  avea  fallo, 
Ed  appiccato  a  una  sua  caviglia 
Un  cervio,  e  de  la  pelle  l'  avea  Iratto  : 
Sente  i  cavai  calpestare  e  la  briglia  : 
Subito  prese  la  caviglia  il  mallo, 
Come  colui   che  poco  si  consiglia; 
A  Ulivieri  furioso  più  eh'  orso. 
Addosso  presto  la  bestia  fu  corso. 

xxviii 
Ulivier  vide  quella  mazza  grossa, 
E  del  gigante  la  mente  superba: 
Volle  fuggirlo  ;  intanto  una  percossa 
Giunse  nel  petto  sì  forte  ed  acerba, 
Che  bendi'  avesse  il  baron  molta  possa, 
Di  Vegliantin  si  trovava  in  su  l'erba. 
Rinaldo  quando  Ulivier  vide  in  terra. 
Non  domandar  quanto  dolor  l'afferra. 

XXIX 

E  disse:   Ribaldon,  ghiolton  da  forche, 
Che  mille  volte  so  l'hai  meritale; 
Prima  che  sotto  la  luna  si   cerche 
Io  li  meriterò  di  tal'  derrate. 
Questo  bestion  con  sue  parole  porche 
Disse  :  A  le  non  darò  se  non  golale  ; 
Che,  se' tu  tratto  del  cervio  a  l'odore? 
Tu  debb' essere  un  ghiotto  o  firratore. 


Rinaldo,  clic  avea  poca  pazienza, 
Delle   in  sul   viso  al  gigante   col   guanto; 
E   fu   quel  pugno  di   tanta  potenza, 
(^lie  lutto  f|uanlo  il  mostaccio  gli  ha  infranto  ; 
Dicendo  :   Iddio  non   ci   are'  sofferenza. 
Pure   il    gigante  riavuto  alquanto, 
Arrandeilo  la  caviglia  a   Rinaldo, 
Cile  d'altro  che  di  sol  gli  vuol  dar  caldo. 

XXXI 

Rinaldo  il  colpo  schifò  mollo  destro, 
E  fé'  Baiardo  saltar  come  un   gatto  : 
Combatter  co'  giganti  era  maestro  ; 
Sapeva  appunto  ogni  lor  colpo  ed  alto  : 
Parea  il  randello  uscisse   d'  un  balestro  : 
Rinaldo  menò  il  pugno  un  altro  tratto: 
E  fu  sì   grande  questo  mostaccione. 
Che  morto  cadde  il  gigante  boccone. 

XXXI I 

E  poco  meno  e'  non  fé',  com'  e'  suole 
Il   drago,  quando   uccide  il  leofante, 
Che  non  s'  avvede,  tanto  è  sciocco   e  fole, 
Che  nel  cader  quell'  animai  pesante 
L'uccide,  che  gli   è  sotto,  onde   e' si  duole  ; 
Così  Rinaldo  a  questo  fu  ignorante  : 
Che  quando  cadde   il   gigante   gagliardo, 
Ischiacciò  quasi  Rinaldo  e  Baiardo. 

XXXIIl 

E  con  fatica  gli  uscì  poi   di  sotto  ; 
E  bisoiinò  che  Dodon  l'  aiutassi. 
Disse  Rinaldo  :  Io  non  pensai   di  bollo 
Così  il   gigante  in   terra  rovinassi  ; 
Ond' io  n'ho  quasi  pagato  lo  scollo; 
E'  disse,  eh'  a  l'  odor  d'  un  cervio   trassi  ; 
A  la  sua  capannetla   andiamo  un  poco, 
Dove  si  vede  colassù  quel  fuoco. 

XXXIV 

Allor  tutti  smontaron  de  l'arcione; 
A  la  capanna  furono  avviati  : 
Vidono  il  cervio:   diceva  Dodone  : 
Forse  che  mal  non  sarem  capitati  : 
Fece  d'  un  eerto  ramo  uno  schidone. 
Rinaldo  intanto   tre  pani  ha  trovati, 
E  pien  di  strana  cervogia  un  barlotlo, 
E  disse  :  Il  cervio  mi  sa  di  biscotto. 

XXXV 

Erano  i  pan'  com'  un  fondo  di   lino, 
Tanto  eh'  a  dirlo  pur  mi  raccapriccio. 
Disse  Rinaldo  :   Se  e'  è  '1  pane   e  '1  vino, 
Ch'aspettiam  noi,  Dodon?  qui  sa  d'arsiccio. 
Dicea  Dodonè  :  Aspetta  un   tal  pochino, 
Tanto  che  lievi  la  crosta  sul  riccio. 
Disse  Rinaldo:  Più  non  1' arrostiano  ; 
Che  '1  cervio  mollo  collo  è  poco  sano. 

XXX  VI 

Disse  Dodone:   I' t' ho  inleso,  Rinaldo, 
Il   gorgozzul  ti  debbe  pizzicare  : 
Se  non   è  colto,  e'  basta  che  sia  caldo  : 
E  cominciorno  del  cervio  a  spiccare  : 
Rinaldo  sei  mangiava  intero  e  saldo. 
Se  non  che  la  vergogna   il  fa  restare  ; 
E  de'  tre  pan'  fece  paura   a   uno, 
Che  col  barlotlo  non  beve  a  digiuno. 


INI  0  1\  Cr  A  N  T  E      INI  A  Cj  G  I  O  R  E 


XXXVII 

Poi   che  fu   I'  alita   in   Levantr  apparita, 
Si   <liportiroii   ila   (|iit'lla   r.ip.ìiuia. 
Direa   Dodoii  :    Qucsla    fu    Imoiia    pila, 
Poi   rlie   dal   cit'l   sopravvenne   la   manna, 
E   quel   pipante   ha   penliila   la   vita  : 
Vetli    rlie  jiurc   incannalo   è   ehi 'np.iiina  : 
Quel   hatcalare,   l'Iivier,    ti  prr<()5.>.e, 
A   tradiiuento  ;   or   si   sta   per  le  fosse. 

XXXVIII 

Disceson  di  quel  monte  a  la  pianura, 
K   il   lor  lione   innanzi  pure   andava. 
Direa   Rinaldo  :   Questa   è  gran   ventura  ! 
E   Ulivier  con   lui  se  n'accordava: 
Tanto  cir  uscirno  d'  una  valle  oscura^ 
Ove  poi   nel   dimestico  s'entrava: 
fominciorno   a   veder  casali  e  ville, 
E  sopra  campanìT  gridar  le  squille. 

E  poco   teniìon  più  oltre  il  cammino, 
Clie   cominciorno  a   trovar  de'  pastori 
Presso  ad  un  fiun>e   eh'  era  lor  vicino  ; 
E  poi   senliron   gran   grida  e  romori: 
Baiardo  aombra,  e  così  Vegliantino  : 
Ed   ecco  uscir  d'una  valletta  fuori 
Una  gran   turba  che  s'era  fuggita, 
E  a  veder  parea  gente  smarrita. 

XL 

Rinaldo  allora  a  Dio  si  raccomanda  ; 
E'ntanlo  oppresso  s'accosta  un  pagano: 
Allor  Dodon   di  subito  domanda 
Che  caso   è  questo  in  questo  luogo   strano, 
riie  par  che   tanto  romor  qua   si   spanda  ? 
Per  cortesia   non    vogli   esser  villano. 
Rispose  il  saracin  presto  a  Dodone  : 

10  tei   dirò,  e  non  sanza  cagione, 

xr.i 
Del  mio  dir  so   che   ti   verrà  pietade; 
Per  una  figlia  nobile  e  serena 
Quasi   è  disabitata  una  cittade  ; 
Perdi'  una  vipra  crudel  ci  avvelena  : 

11  re   Corhante  per  la  sua  bontade 
La  sua  figliuola,   detta  Forisena, 

A  divorar  vuol  dare  a  questa  fiera  : 
La  sorte  tocca  a  lei,  vuol  che  lei  pera. 

XMI 

E  di  noi   altri   ha   già  mandati   assai: 
Ogni   dì  ne  vuol  due  sera  e  mattina. 
Dimmi,  rispose  Rinaldo,  slu  sai. 
Questa  città  com'  ella  e'  è   vicina  ? 
Rispose  il  saracin  :  Tu  la  vedrai 
Tosto  la   terra  misera  e  meschina  ; 
Ma   guarda  che  tal   gita  non  sia   amara  : 
Ella  è  qui  presso,   e  chiamasi  Carrara. 

XLIII 

Io  ve  n'avviso  per  compassione, 
Ch'  i'  ho  di  voi  per  Macometto  Iddio, 
Clie  voi  non  vi  lasciate  le  persone, 
Poi  che  d'  andarvi  mostrate   desio  : 
La   città   troverete  in   perdizione, 
E  molto  malcontento  il  signor  mio 
Per  questa  cruda  fiera   e  maladetta, 
Che   debbe  divorar  la  ciovinelta. 


Com'egli   è  dì,  se  ne  viene  a  le  porle: 
Se   da   mangiar  non    gli   è  portato  tosto, 
(!(d    tri>to   fiato  ci   conduce   a  morte: 
(.onvien  eh'  un  iu)m  gli  pogniam  là  discosto. 
Questa   fanciulla   gli   è   tocca    la   sorte; 
1-L    1    padre   suo   di   mandarla    ha    disposto  : 
Il    piipcd    grida,   e  quella   fiera   rugge, 
Tanto  eli'  ognun  per  paura  si  fugge. 

xi.v 
Credo,  che  sia  sol  pe' nostri  peccati, 
Perchè  Corbaiite   uccise  un   suo  fratello, 
Che   fu   tra   noi   de' cavalier' nomali 
11  più   savio   il  più  giusto  forte  e  bello  : 
Non  consentimmo   a   lutti   questi  agguati  ; 
Però  che  il  regno  apparleneasi  a  quello  : 
La  "vipera   è  venuta   a  purgar  certo 
Questo  peccalo,  e  rendeci   tal  merlo. 

XLVI 

Ed  è  tra  noi  chi   ha  opinione, 
Che  lo  spirilo  suo  drento  vi   sia 
In   questa  fiera  «li  questo  garzone. 
Disse  Rinaldo  :  Di   tua  cortesia 

10  li   ringrazio  :  aiutili  Macone 
Da  questa  fiera  fella  e   tanto  ria  ; 
Ma   dimmi,  saracin,  questa   donzella 
Cora' ella  è  giovinetta,  e  s'ella  è  bella? 

XLVII 

Disse  il  pagan:  Non  domandar  di  questo. 
Che  non  si   vide  mai  cosa  sì  degna  : 
Un  allo  dolce,  angelico  e  modesto 
Di   virtù  porta,  e   di   beltà  T  insegna  : 
Ne' quindici   anni   entrata,  e  va  pel  resto. 

11  popol  pur  di  camparla  s'  ingegna  ; 
Se   tu  credessi  questa  bestia  uccidere, 
Tu  puoi  far  conto   il  reame  dividere. 

XtVIII 

Disse  Rinaldo  :  Io  non  cerco  reame, 
Io  n'ho  lasciati  sette  in  mio  paese; 

10  mi   diletto  un  poco  de  le  dame  : 
Se  così  bella  è  la  figlia  cortese, 

A  quella  fiera   taglierò  le  squame  : 

E  poi  si  volse  al  famoso  marchese, 

E  disse  :   Andianne,  che  la  dama  è  nostra, 

A  la  città  che  '1  saracin  ci  mostra. 

XLIX 

Com  e'  fumo  in  Carrara  i  paladini. 
Ognun  volgeva  a  guardargli   le  ciglia  ; 
Preson  conforto   tulli  i  saracini, 
E  del   lion  ne  prendean  maraviglia. 
Rinaldo   giunse  al  palagio  a'  confini, 
E  salutò  Corbanle,  e  poi  la  figlia: 
Corbanle  disse:   Tu  sia  il  ben  venuto, 
Se  per  la  fiera   a   dar  mi  vieni  aiuto. 

r, 
Allor  Rinaldo  rispose  :   O  Corbanle, 

11  nome  mio  è  1  guerrier  del  lione, 
E  credo  in  Apollino  e  Trevigantej 

E  non  vorrei  pel  nostro  Iddio  Macone 
Avere  a  capitar  certo  in  Levante, 
Poi  eh'  io  senti'  de  la  tua  passione  : 
Quel   disse  forte,  e  quest'altro  bisbiglia: 
Anzi  poi   ch'io  senti"  de  la   tua  figlia. 


M  O  1\  G  A  N  T  i:     INI  A  G  (i  1 0  1\  K 


L'Iivier  pli  ocelli   a   la   itonzella   «ira, 
Mentre   tli'ualilo  in   questo   modo  parla  ; 
Subito  y>ose  al   bcrzaj^lio   la  mira, 
E  coiuiuciù  con   gli   ocrlii   a  sacllarla^ 
E   tiillavolta  con   seco   sospira  : 
Questa  non   è,  dicea,  carne  da  darla 
A  ilivorarc  a   la  fiera  crudele, 
Ma  a  qnalriie  amante   penlile  e  fedele, 

Lll 

Corhante  aveva   intanto  così   dello  . 
Sia  clii    tu   vuoi,  o   famoso  guerriere, 
Basta  sol   che   tu  credi   in   Maconielto  : 
Se   tu  credessi,   gentil  cavaliere, 
Uccider  questa  fiera,  io  ti  prometto 
Di  darti  mezzo  il  reame  e  Y  avere  : 
E  se   tu '1   vuo' ancor  tutto,  i' son  contento, 
Pur  che  mi   tragga  fuor  d'  esto   lormenlo. 

i.iii 
Come  tu  vedi  la  terra   è  condotta 
D'  un   bel   giardino  spilonca   o   deserto  ; 
La  mia  figliuola,   s'appressa   già  l'otta, 
Che  morir  dee  sanza  peccato   o  merlo. 
Ma   Ulivier  ne  la  mente   baibott»  : 
Non  mangerà  sì  bianco  pan  per  certe» 
Qnesl' animai,  eh' egli     è  pasto    da   amanti, 
Se  noi   dovessim  morir   tutti  quanti. 

LIV 

Dimmi  pur  tosto  qual  sia  il   tuo  pensiero. 
Diceva   il   re,  cit' eli' è  presso  a   le  mura. 
Ch'io  sento  il  fiato  Incomporlabil  fiero, 
E  voi   I   dovete  sentir  per  ventura  : 
Disse  Rinaldo  :  lo  non  vo 'regno  o  impero  ; 
Per  gentilezza  caccio  e  per  natura; 
E  per  amor  de  la   tua  figlia   bella 
La  vipra  ucciderem  crudele  e  fella. 

r.v 

Ulivier  era  un   gentil  damigello, 
E   tuttavia   la  fanciulla  vagheggia  : 
Rinaldo  l'occhio   teneva  al  pennello. 
Con  Ulivieri   in  Francioso  motteggia. 
Disse  :  Il  falcone  ha  cavalo  il  cappello, 
Non  so  se  starna  ha  veduto  o   acceggia, 
Ma  panni   questo  chiaro  assai   vedere, 
Che  noi  sarem   due   ghiotti   a  un    tagliere. 


Ulivier  nulla  rispose  a  Rinaldo, 
Abbassò   gli   occhi   che    tenea  sì  fissi  : 
Corbante  un  bando  mandò  mollo  caldo, 
Che  nessun  più  de   la   terra  partissi  ; 
Tanto  che  il  popol  comincia  a  star  saldo; 
Rinaldo  volle  così  si  seguissi, 
E  fece  far»  un  guanto,  s'io  non  erro, 
Coperto  tutto   di  punte  di  ferro. 

LVII 

E  prese  poi  da  Corbante  licenzia, 
Che  gli  fé' compagnia  fino  a  la  porla 
Con  molta    gente  e  con   gran  riverenzia  : 
Poi   gli   diceva  :  Io  non  son  buona  scorta: 
Io   ti  ricordo   tu  abbi   avvertenzia 
A  la   tua  vita  ;   e  così  lo  coofuita  : 
E  in   ogni   modo  te  salvar  mi  piace, 
Poi   sia  che   vuol   de  la  fiera  rapace. 


Queste  parole  furon   grate   tanto, 
Che   se   r  affisi;    Rinaldo   nel   core, 
Il  disse  :  11   capo   arrecarli  mi    vanto 
In   ogni  modo,  cortese  signore  : 
La   tua   benedizion  mi   dà  col    guanto, 
Conforta   il  popol   tuo  per  nostro   amore. 
Corbante   il    beneilì  pietosamente, 
E  priega   Iddio  per  lui   divotainenle. 

LIX 

E  Ulivieri   ancor  fece  orazione, 
Raccomandossi   al   Salvator  divino  : 
Dinanzi  andava  il   feroce  lione. 
Verso  la  fiera    teneva   il    cammino; 
Drieto  seguiva  Rinaldo  e   Dodone  : 
Era  a  vedere   il  popol   Saracino, 
Chi  in  SU  le  mura,   e  chi  presso  a  le  porle, 
Desiderando  a  1'  animai  la  morte. 

L\ 

E  la  fanciidla  con  faccia   serena 
Era  salita   in  sur   una   bertesca  : 
Disse   Rinaldo  :  Vedi   Forisena, 
O   Ulivier,  che   di   te  par  gì'  incresca  ; 
Amore  è  quel  eh' a  vederti   lei  mena. 
Ulivier   disse  :  La   danza  rinfresca  ; 
Tu   hai   disposto   di   darmi   oggi   noia  : 
Alteudiam  jiur  che  questa  fiera  muoia. 

LXl 

Dicea  Rinaldo  :  Sarai   tu  sì  crudo. 
Che   tu  non  guardi  questa   damigella  ? 
Tu  non  saresti  d'accettar  per  drudo: 
Che  crederestu  far,  se  la  donzella 
Avessi   in   braccio  per   tua   larga  o  scudo  ? 
Atterreresti   tu  la  fiera,  o  quella  ? 
Disse  IMivier  :  Tu  se' pur  per  le  ciance, 
E  qua  sa  d'  altro  già  che  melarance. 

Lxn 
E  come  e' disse  questo  il   lion  mostra 
Il   serpente,  die  fuoco   vomitava. 
Disse   Ulivier  :  Questa  è   la   dama   nostra, 
E   dì  vederla,  Rinaldo,  mi   grava. 
Disse  Rinaldo:   O   Ulivier,  qui   giostra 
A  enere  e  Marte  ;  e   di   nuovo   cianciava. 
La  vipera  crudel   tosto  si   rizza, 
E  fuoco  e   losco  per   bocca  gli  schizza. 

LXIII 

Parca  che  1'  aria  e  la  terra  s'  accenda  : 
Rinaldo  aveva  spugna  con  acelo, 
E   lutti,  perchè  il  fiato   non   gli   offenda  , 
E  disse  :  ()  animai  jioco  discreto, 
(<he  pensi   tu,  che   noi  siam   tua  merenda, 
Poi  che   tu  vieni   in  qua  coutra  divieto  ? 
E   detto  questo  del   cavallo  scese  ; 
E  così  fece  Dodone  e  '1  Marchese. 

LXIV 

Non  fu  prima   smontato  di   Baiardo, 
Cli'  a  Dodou   giunse  V  animale  addosso  : 
Dettegli  un  mor,-o  sì  fiero  e  gagliardo, 
Con  ranne  gli  schiacciò,  la  carne  e  V  osso. 
Dodon   gridava:    Omè  lasso,  ch'io  ardo: 
Aiutami,   Ulivier,  die  più  non  posso  ; 
E   (-jLàd"  tramortito  e  st»airiazzalo 
Subito  in    terra  pel  morso  e  pel  fiato. 


W  O  l\  G  A  N  1  K     M  A  (i  G  1 0  K  K 


l'li%ipr   lartli   aiiiUrlo   si  nio«sp, 
El   a  Doiion   non  jiolr  dar  sorr<irs<)  : 
Adnnqne  il  primo  rh'  assa^&ia,  *i   russe  ; 
Ed  ann»  r'  r  per  im  r<iMipa}:n(>   un  morsa  , 
Pcrrlif  il   serpente  nn   trailo  il   rjpo  srossr: 
E  poi  pigliava  nivier  rum"  «ni   torso; 
E  per  venlnra  a  la   gamba  s'  appicca, 
E   i  denti   lutti  ne  l'anue  gli  <icca. 

I.XVI 

E' si  sentì  l'arnese  sgretolare, 
Che   non   iygrelolò  mai  osso  cane  : 
E  pi>i  pel    braccio   lo   vt)lic  ciiifTaBe  ; 
Ma   l  livieri   aiioptra   le   mane, 
Ch' avea   quel   {inanto  Rinaldo   fé' fare  : 
E  non  è   tempo   a   questo   a  dar  del  pane, 

0  dir   rbe   San   Donnin   gli   allenili  1   d«Miti: 
Clie   converrà  pur  die  faccia   altrimenti. 

LXVII 

MÌ5$e£»li  il  p:uaTito  e  la  nian  ne  la  strozza, 
Però  die  molto  lo   sarida  Rinaldo  ; 
Tanto  che   lutto    1  serpente  lo  upozza, 
E   strinse  :  e   Ulivier  lo  tenne  saldo, 
E  con  la  spada  la   testa  gli  mozza  : 
Ma  nel   morir  pel  fetore   e  pel   calde 
Ulivier  cadde  tramorlilo   in   terra; 
Ma  il  capo  del  serpente  non  si  sferra, 

I.WIll 

Che  nel  finir  la  bocca  in  modo  strinse, 
Cir  Ulivier  trar  non  ne  potè  la  maao: 
Rinaldo  tutto  nel  viso  si  tinse, 
E  sferrar  lo  credette  a  mano  a  mano, 
Ma  non  potea,  tanto  il  dolor  lo  vinse 
Del  tristo  caso  d"  Ulivieri  e  strano; 
Pur   laute  volle  la  spada  v'  accocca. 
Che  gliel  cavò  eoo  fatica  di  bocca. 

LXIX 

Ma  quel  lion,  eh*  eali  avcvan  menalo. 
Si   «lette  sempre  di  mezzo  a  vedere. 
Perchè  se  fosse   da  alcim   domandato 
Di  questo  fallo,   il  voleva  sapere. 
Era  Dodon   già  di   terra  levalo  ; 
Ma  Ulivier  pur  si  stava  a  ehiacere: 

1  saracin   corrien  fuor  de  la  porta, 
Facendo  festa  che  la  fiera  è  morta. 


Venne  Corbanle  con  molta  brigala, 
A  veder  come  questo  fatto  er'ito*, 
Vede  la  bestia  in  terra  rovesciala. 
Vede  Dodon  sanguinoso  e  ferito. 
Vede  Ulivier  con  la  mano  affocala, 
Che  morto  gli  parea,  non  tramorlilo  : 
Vede  la  terra  per  la  fiera  arsiccia, 
De  la  qual  cosa  assai  si  raccapriccia. 

I.XXI 

Vede  la  testa  del  fiero  dragone. 
Che  gli  parve  a  veder  mirabii  cosa, 
Vede  Rinaldo  turbalo  e  Dodone, 
Perdi"  Ulivieri  in  terra  si  riposa; 
Ebbe  di  questo   gran  compassione: 
^  edevagli  la  gamba  sanguinosa  ; 
E   non  sapea  con  che  parole  o  gesti 
Si   condolesse  o  ringraziasse  questi. 


LXXII 

Abbracciò  infili   Rinaldo  lacrimando, 
l->  ])oi   Dodon,   dicendo  :    Raroii  degni, 
(ionie  ]>olrò  mai   ristorarvi,  u  quando  ? 
Da   Macon   credo  che   tal   grazia   vcgni, 
Che    in   (jueste   parli    vi    venne  mandando  : 
Ecco   la   vita  e    tutti   i   nostri   regni, 
£   la   corona   con   lo  tcettro  nostro: 
Disposto  suuu  ugni   cosa   »ia   vostro. 

LXXUl 

Ma  sempre  piangerò,  se  quesl'  è  morto, 
Che  par  sì   degno   e  gentil  cavalieri  : 
Disse   Rinaldo  :   Re,  dalli   conforto. 
Che  pianger  di   costui  non  fa  mestieri  : 
Il    tuo  parlare   assai   ci  mostra  scorto 
Che   tu  sia   grato   e   giusti   i   tuoi  pensieri  ; 
La  tua  corona  e  '1  regno   V  .iccellianio, 
E  come  nostro  n   le  lo  ridoniamo. 

LXXIV 

Non  aveva  Rinaldo  appena  detto, 
Cir  Ulivier  cominciossi  a  risentire: 
E  risentito  il  re  veggendo  ap}ietlo, 
E  tanta  gente,  cominciò  a  stupire. 
Come  chi  nuove  cose  per  obbirlto 
Vede  in  un  punto,  e  non  sa  che  si  dire  : 
Ma  a  poco  a  poco  rivocò  la  vita  : 
Ed  ogni   ammiraziou  fu  dipartila. 

I.XXV 

Al   popolo   era  orrore   e  maraviglia, 
Veggendo  quel  eh' han  fatto  i  paladini: 
Era  venuta  per  veder  la  figlia 
Del  re  Corbanle  con  que' saracini, 
Glie  'i  sol,  qaand'  è  più  laceule  simiglia, 
E   tutti   gli   atti  suoi  paion   divini: 
E  Ulivier  questa  donzella  guarda, 
Che  non  s"*  accorge  ancor  che  U  suo  cor  arda. 

txxvi 
11  re  Corbanle  al  popol  comandava, 
Ch"  a  la   città  portato  sia  il  serpente  ; 
E  poi  Rinaldo  per  la  man  pigliava, 
E   torna  a  la  città  con  la  sua  genie  : 
E  come  e"  giunse  a  la   terra,  ordinava 
Di  lasciar  parte  ài  un   tanto  accidente 
Al  secol  nuovo;   e  quella  fiera  morta 
Col  capo  fe^  appiccar  sopra  la  porta. 

Lxxrii 
E  lettere  scolpile  in  marmo,  d'oro; 
Nel  tal  tempo,  dicea,  qui  capitorno 
Tre  paladini   (e  scrisse  i  nomi  loro. 
Perchè  in  segreto  gliel  manifeslorno) 
Che  liberornu  il  popol   da  marloro 
Per  questa  fiera  a  cui  morte    dooorno, 
Ch'  era  apparita  là  mirabilmente, 
E  divorava  tutta  la  sua  genie. 

LXXVIII 

E  come  il   giorno  a  la  fanciulla  bella 
Toccava  di  dover  morire  per  sorte, 
Clie  i  tre  baron'  vi  capitorno  in  sella. 
Che  liberala  1"  avean  da  la  morie. 
Per  lunghi  tempi  si  polea  vedella 
La   storia,  e  1  animai  sopra  le  porte, 
Che  così  morto  faceva  paura 
A  chi   voleva   enlrar  drente  a  le  mura. 


M 0  RG A  N  TE     M  AGG I O  U  E 


r.xxix 
E   nel  palagio  Rinaldo  mpn»W', 
E   t!;raiiile   onor    eli   fere   lielanuMile  ; 
E  i   nietlici    trovava,   e  roniaii'liW 
("he   nìedirassin  diligenlemente 
l'iivieri   e  Dodon,   che  h'\sn^n6e 
Olì'  ojjiiun  più  piorni   del   suo  mal  ti    sente: 
E  Forisena  intanto,   come  astuta, 
De  r  amor  d  Ulivier  s'era  avveduta. 


E  perchè  amor  malvolentier  perdona, 
Cli'  e'  non  sia  al  fin  sempre  amato  chi  ama, 
E   non  saria  sua   lefrge   giusta  e  buona, 
Di   non   trovar  merzè  chi  pur  la   ciiiama  ; 
Né  giusto  sire  il  suo  servo  abbandona  ; 
Poi   che  s'accorse  questa   gentil   dama, 
Come  per  lei  si  moriva  il  Marchese, 
Subito   tutta   del  suo  amor  s  accese. 

LXXXI 

E  cominciò  con   gli  occhi  a  rimandare 
Indrielo   a   Ulivier  gli   ardenti   dardi 
Ch'  amor   sovente   gli  facea  gittare. 
Acciò  che  solo  im  foco  due   cor  ardi. 
Venne  a   vederlo  un  giorno  medicare, 
E  salutol   con   amorosi  sguardi  : 
Ciie  le  parole  fur  ghiacciate  e  molle  ; 
Ma   gli  occhi  pronti   assai  com'  amor    volle. 

LXXXII 

Quando  Ulivier  sentì   che  Forisena 
Lo  salutò  così  timidamente. 
Fu  la  sua  prima   incomportabil  pena 
Fuggita,   eh   altra   doglia  al  suo  cor  sente  : 
L'  alma   di   dubbio   e  di  speranza  piena  ; 
Ma   confirmato   assai  par  ne   la  mente 
D'  essere   amato  da  la  damigella, 
Perchè  chi   ama  assai,  poco  favella. 

txxxiii 
Videgli  ancor,  poi  che  più  a  lui  s'accosta, 
11  viso  tutto  diventar  vermiglio, 
E  brieve  e  rotta  e  fredda  la  proposta 
Nel  condolersi  del  crudele  artiglio 
De  r  animai  che  per  lei  car  gli  costa, 
E  vergognosa  rabbassare  il  ciglio  : 
Questo  gli   dette  massima  speranza  ; 
Che  così  de   gli   amanti  è  sempre  usanza. 

LXXXIV 

Ella   avea  detto  :  Il  mio  crudo  destino, 
I  fati,  il  cielo  e  la  spietata  sorte, 
O  qual  si  fosse  altro  voler  divino, 
M'  avean  condotta  a  sì  misera  morte  : 
Tu  venisti  in  Levante,  paladino, 
Mandato  certo  da  1  eterna  corte 
A  liberarmi,  e  per  te  sono  in  vita  : 
Dunque  io  mi   dolgo  de  la  tua  ferita. 

txxxv 
Queste  parole  avean  passalo  il  core 
A   Ulivieri,  e  pien  sì  di  dolcezza. 
Che  mille  volte   ne  ringrazia  amore. 
Perchè  conobbe  la  gran   gentilezza: 
Are'  voluto  imianzi  al  suo  signore 
Morir,  che  poco  la   vita  più  prezza, 
E  poco  meli   che  non  dissi   niente  ; 
Pur  gli  rispose  vergognosamente. 


I.XXXVT 

Io  non  fé'  cosa  mai  so4to  la  luna. 
Che  d'  aver  fatto  ne  sia  più  contento. 
S*  io   t'  ho  campala  da  sì  rea  fortuna. 
Tanta   dolcezza   nel  mio   cor  ne   sento. 
Che  mai  più  siniil  ne  senti'  alcuna  : 
So  che   t' incresce   d'ogni  mio   tormento. 
Altro  duol  c'è  che  chiama  altro  conforto: 
Così  m'  avesse  quella  fiera  morto. 

LXXXVJI 

Intese  bene   allor  quelle  paróle 
La   gentil   dama,   e  drento  al   cor  le  ferisse; 
Sì  pretto  insegna  amor  ne  le  sue  scole; 
E  fra  sé  slessa  sospirando   disse  : 
Di  quest'altro  tuo  duolo  ancor  mi   duole, 
Forse  non   era  il  me'  che   tu  morisse  : 
Mon  sarò  ingrata  a   sì  fedele  amante; 
Chio  non  son  di  diaspro  o  d'adamante. 

LXXXVIII 

Partissi  Forisena  sospirando, 
E  Ulivier  rimase  tutto  afflitto, 
De  la  ferita  sua  più  non  curando. 
Che  da  più  crudo  artiglio  era  trafitto: 
Guardò  Rinaldo,  e  quasi  lacrimando, 
Non  potè  a  lui   tener  1'  occhio  diritto, 
E  disse  :   Vero  è  pur    che  luom  non  possa 
Celar  per  certo  1'  amore  e  la   tossa. 

LXXXIX 

Come  tu  vedi,  caro  fratel  mio. 
Amor  pur  preso  alfin    m'  ha  co'  suo'  artigli; 
Non  posso  più  celar  questo   desìo  ^ 
Non  so  che  farmi,  o  che  partito  pigli  ; 
Così  sia  maledetto  il  giorno  eh'  io 
Vidi  costei  :  che  fo  ?   che  mi   consigli  ? 
Disse  Rinaldo  :   Se  mi   crederai, 
Di  questo  loco  ti  dipartirai. 

xc 
Lascia  la  dama,  marchese  Ulivreri  : 
Non  fu  di   vagheggiar  nostra  intenzione, 
Ma  di   trovare   il  signor   del  quartieri  ; 
E  "1  simigliante  diceva  Dodone  : 
Tanto  si   cerchi  per  tutti   i  sentieri. 
Che   noi   troviamo  il  figliuol   di  Milone. 
Ulivier  consentia  contro  a  sua   voglia, 
Che  lasciar  Forisena  avea  gran   doglia. 

xci 
E  poi  che  fu  dopo  alcun  dì  guarito, 
Così  Dodone  insieme  s'  accordaro 
Lasciar  Corbante  per  miglior  partito, 
E  che  si   facci   de'  lor  nomi  chiaro, 
Sì  eh' e' possi"  saper  ehi  l'ha  servito: 
E  oltre  a  questo  ancor  deliberaro 
Tentar  se  il  re  volesse  battezzarsi 
Col  popol  suo,  e  lutti  Cristian  farsi. 

xcn 
Avea  Corbante  fatti  torniamenli, 
E  giostre  e  feste  e  balli  a  la  moresca, 
Per  onorar   costor  con  le  sue  genti  ; 
E  ogni   dì  nuove  cose  rinfresca, 
Perchè  partir  da  lui  possin   contenti  : 
Ma  a  Ulivier  pur  par  che  '1  suo  amor  cresca. 
Finalmente  Rinaldo  un   dì  chiamava 
11  re  Corbante,  e  in   tal  modo  parlava  : 


M  O  U  G  ANT  E     M  A  G  G  I  0I\  E 


Serenissimo  re,   fu   il   mio   Ialino, 
P<'rrl)è   d.i   le   ci   lp{;n.in»<i  onorali, 
(Qne.tlo   gli   disse   in   parlar  ^Saracino) 
Sempre   di   le   ri   .sarem   riconJali  : 
K  poi   cJi'epli  è  ro.-i   voler  divino, 
('lie   i   nomi   nostri   li   5Ìen   palesali  ; 
Io  son   Rinaldo,  e   lui  fi^linol   d"  Amone, 
Bench'io  m'appelli   il   guerrier  del  lioiie. 

xciv 
E  qnesto  è  Ulivier  di' ha   lanla   fama, 
E   copnato  è  del  nostro  conte   Orlando  : 
Costui  Dodon  fipliiiol  d' Upgier  si  chiama, 
Che  venne  Macomello  già  adorando  r 
Or  per  segnir  piii  olire   nostra   braina, 
Così   pel   mondo  ci   andiani    tapinando: 
Perchè  di   corte   Orlando  s'  e  partito, 
Né  ritrovar  possiamo  ove  sia   gito. 

xrv 
Detto  ci  fu,  elle  qua  verso  Levante 
Era   venuto  da   un  nostro   abate, 
E  eh'  egli   aveva  con  seco  un  gipante  ; 
Cercando  andiam   drielo   a  le   sue  pedale  : 
Or  ti   dirò  più  oltre,  o  re   Corbante; 
Perchè  pur  Macometlo  qua   adorate. 
Siete  perduti  ;    e   il    vero  Iddio  è   il   nostro, 
Che  del  vostro  peccar  gran  seguo  ha  mostro. 

xcvi 
Non  apparì  questo  animai   crudele 
Sanza   permission   del   nostro   Iddio 
A  divorare  il  popolo  infedele  : 
3Ia  periir  egli  è  pietoso  e   giusto  e  pio, 
T'  ha   liberato  da   si  amaro  le!e. 
Perchè  tu  lasci   Macon  falso   e  rio  : 
Fa  che  conosca  questo  beneficio, 
Sanza  aspettar  da  lui  maggior  giudicio. 

XOVII 

Lascia  Apollino   e   gli   altri   vani   iddei, 
E   torna  al  nostro  padre   benedetto, 
E  Belfagorre  e  mille  farisei  ; 
Battezza  il  popol   tuo  eh' è  maladetto. 
Di  ciò  molte  ragion  t'  assegnerei  ; 
Ma  tu  se'  savio,  e  intendi   con   effetto  : 
So  che  conosci  ben,  che  quel  dragone 
Non   apparì  qua  a  te  sanza  cagione. 

XCVIII 

Ogni  cosa  t'  avvien  pe'  tuo*  peccati  ; 
Tu  se'  il  pastor  che   gli  altri   dei  guardare; 
E  molto  pili  di   te  sono   scusali; 
Non   t'  ha  voluto   Cristo   abbandonare  : 


^^•dl    «  ir  a    tempo   (jua    fuinnio   mandati  ; 
Cilie   l.i   Ina   figlia   )ia   voluto  &alvare  ; 
Dunque  ritorna   a   la   sua   santa  fede 
Di   queir  lildio   eh'  ebb«   di   le  mercede. 

xcu 
Parve   che   Iddio  ispirasse   il  pagano  ; 
E  rispose  piangendo,   e  rosi   disse  : 
Duncjue   tu   se'  il   signor   di   .Moiitalbano 
Al   qu.d   siinU   già  mai   nel   moiMhi   visse  ! 
E   questo   è   L'iivier   ch'udito   abbiano 
Nomar  già   tanto  I   11    vostro   lildio  perinissc 
(!he   voi   venissi   certo,  e  non   Macone  : 
E  abbraceiogli,  e  così  ancor  Dodone. 

e 
E  pianse  i   suo' peccali   amaramente, 
E  disse  :   Io   veggo   in  quanto   lungo  errore 
Istalo   son   con   tutta   la  mia  gente. 
E   cosi  il   nostro  eterno   Salvatore 
Per  molte   vie   allumina   la   mente, 
E   desta   in  qualciie  modo  il   peccatore  : 
E  spesso  d   un  gran  mal  nasce  un  gran  bene: 
Ch'ogni   giudicio  pel  peccato  viene. 

CI 

Corbante  fece  venir  Forisena, 
E   disse   ancora  a   lei   chi   son  costoro 
Cile   r  avean  liberata  d'ogni  pena, 
E  poi  mandò  per  tutto  il  concistoro. 
Tanto  che  presto  la  sala  fu  piena. 
Parata   tutta  di   bei   drappi   d  oro  : 
Poi  sali  in   sedia,   e  fé'  tale  orazione. 
Che  tutto  il  popol  volse  a  sua    inlenzione. 

cu 
E  fece  battezzar  piccoli   e   grandi  ; 
Per  tutto  il  regno  suo  fu  ordinato, 
(>h"  ognun  seguisse  i  suo  precetti  e  bandi  ; 
E  poi  eli'  ognun  cosi  fu  battezzato. 
La  fama  par  che  per  tutto  si  spandi 
De  tre  bacon,  che  vi  son   capitato; 
Ma   i  nomi  lor,  quanto  Piinaldo  volle, 
Celò  Corbante  a  tutto  il  popol  folle. 

CHI 
E  riposarsi   alquanto  a   lor  diporto  ; 
E   tutta  la  città  facea  gran  festa  ; 
Tcinlo  del  vero  Iddio  prcsou  conforto, 
De  la   sua   grazia,  e   de  la   sua   potestà. 
Come  ne  1'  altro   dir  vi  sarà  porto, 
Dove  la  storia  sarà  manifesta: 
E  priego  il  re  de  la   gloria  infinita, 
Che  vi   dia  pace   e   gaudio   e  requie   e  Aita. 


^W 


M01\  GANTE      MAGGIORE 


CANTO    V 


ARGOMENTO 


-ì^2►l>^=H^- 


D, 


i~' al  IP.   (mi  biinic  fiinrin  diparlcnza 
I  tre  confederali  paladini, 
E   Llii'icr  con  poca  coscienza 
Lascia   che  Foriscna   si  tapini  : 
Da  una  finestra  con  piena  avvertenza 
Ella  si  getta  agli  ultimi  destini. 
Malngigi  il  cavai  toglie  a    Rinaldo, 
Che  niandaaimorti  un  mostro  per  castaido. 


X  lira  colomba  piena  d'  umihade, 
In  cui    discese  il  nostro  immenso  Iddio 
A  prender  carne  con   nmanitade, 
Giusto  santo  verace  eterno  e  pio, 
Donami  grazia  per  la  tua  bontade, 
(Ih' io  possi  seguitare  il  cantar  mio 
Pel   tuo  Joseflb  e  Giovacchino  ed  Anna, 
E  per  colui  che  nacque   a  la  capanna. 

II 
Rinaldo  e  '1  suo  Dodone  e  1  gran  Marchese 
Gran  festa  fanno  co'  nuovi   cristiani  ; 
E  battezzato   è  già   tulio   il  paese 
Dei  re   Corbante,  e  i  suo'  primi  pagani  ; 
E   Ulivier  per  la   dama  corte^e 
Ogni   dì  fa  mille  pensieri  strani  ; 
Ed  ora  in   lorniamenli   ed   ora  in   giostra. 
Per  piacere  a  costei,   gran  forza  mostra. 

Ili 
E  benché  assai  lo  pregasse  Rinaldo, 
Non  si  poteva  accommiatare   ancora  ; 
Che  la  donzella  lo   teneva  saldo, 
Coni'  ancora  la  nave   lien  per  prora  :  ' 

Quanto  è  più  offeso  il  foco,   è  poi  più  caldo  ; 
Così  più  sempre  Ulivier  s' innamora. 
Quanto  Rinaldo  il  partir  più  sollecita; 
Ed  ogni  scusa  gli  pareva  lecita. 

IV 

Quando  fingea  non  esser  ben   guarito; 
Quando  fingea  qualch' altra  malattia: 
E  dicea  il  ver,  ch'egli  è  nel  cor  ferito: 
Quando  pregava,  quando  promettia  : 
Doman  ci  partirem,  preso  lio  partilo. 
Lasciam  costor  nel  nome  di   Maria, 
E  Ulivier  così  morire  amando, 
E  ritorniamo  ov'  io  lasciai  Orlando. 


Meridiana   la  dama   gentile 
Manda  a  saper  se   volea   la   battaglia 
A  corpo  a  corpo,  con   alma  virile. 
Orlando  dice  :    Io  non   vesto  di  maglia 
Per  conlastare   una  femmina   vile, 
Ch'  i'  prezzo  men  <h'  un  bisanle   o  medaglia. 
Sicché  per  questo,   e  pel  suo  Lionello 
Troppo  si  duol  costei  di  Macomelto. 

vi 
Dicendo  :   Almen  facessimi   morire. 
Poi   che  sprezzata  son   da  quel  villano. 
Che  mai  più  ebbe  cavaliere  ardire 
Combatter  meco   con  la  lancia  in  mano. 
Ma   in   questo   tempo   si   facea  senlire 
La  fama   del  signor  di  Montalbano  ; 
Come   Corbante  avea  seco   un   barone, 
Che  si  chiamava  il  guerrier  del  bone; 

VII 

E  eh'  egli  er'  uom  eh'  avea  molto  potere, 
E  come  morto  ha  il  serpente  feroce. 
Meridiana   a   un  suo  inessaggiere 
Impose,  e  disse  eh'  andasse  veloce 
Al  re   Corbante,   e  fac(  igli   assapere. 
Come  per  tulio   è  vulgata   la  voce 
Di  questo  cavalier  eh'  è  tanto  forte, 
Il  qual  con  seco  teneva  in  sua  corte. 

vili 
E   come  Manfredonio   a  la  sua  terra 
Ha  posto  il   campo  con  crudele  assedio, 
E   tuttavia    con  sua   gente  la  serra  ; 
E  non  ha  ignun,  per  tenerla  più  a   tedio,  • 
Ch'a   corpo   a  corpo  con   lei   voglia  guerra: 
Che   gli   dovesse  mandar  per  rimedio 
Questo   guerrier  eh'  avea   tanta  possanza, 
Pel  parentado  antico  ed  amistanza: 

IX 

Però  che  già  per  tutto  l'oriente 
La  fama  di  costui  molto  sonava. 
Il  messaggier  n'andò  subitamente: 
Al  re   Corbante  si  rappresentava, 
E   spose  la  'mbasciata  saviamente  : 
Perchè  Corbante  a  Rinaldo  parlava. 
Come  il  re   Carador  quel  mezzo  manda, 
E  la   sua  figlia  a  lui  si  raccomanda. 

X 

Se   tu  credessi   da  questo  marloro 
Liberar  la  donzella,  io   ti  conforto, 
Dicea   Corbante,   andare   a  Caradoro  ; 
Però  eh  io  so  che  Manfredonio  ha  il   torto, 
E  Ila  menato   tutto  il  concistoro; 
Forse,  se   fia  da   te  punito  e  morto, 
Re   Caradoro  si   baltezzerae 
Come  ho  fati'  io,  e  Cristo   adorerae. 


M  O  l\  (ì  A  N  T  K     M  A  i\  G  I  ()  W  K 


Rinaldo   (l.ì    1    almti-   prima    inlrsr, 
Cile    in   quel    p.ìcsf    .ivc.ì    iii.ii)it;it<>  Oiljmii» 
Ri^jKisr  :    A   Manfretiiin,   mollo   corle>«*, 
La    lesta    leverò  c(m   questo    bramlo, 
O   re    (.orhaiile  :    cW  a    «i    giuste   iiiiprese 
Sarò   seiii|ir(*    <li>>poslo   al    tuo   roinaii<lo. 
Dicea    Corliaiite  :   Caradoro   è   aiilirt» 
l'arcutc  uo>lro,  e  diijcrelo    a    1'  ainiro. 

XII 

Disse   Rinalilo  :   Or  rispondi   al  valiello, 
r.l»e  per  amor  di   te  ne  son  contento  ; 
hd   ho  speranza,   e   cosi   pli   proniello. 
Di   satvar  la  sua   gente   ftiori   e   drento  ; 
Vj   Manfredonio   il   campo  a  suo   dispetto 
Leverà  presto,  e    le   bamliere  al   vento, 
(orbante   il   rinjrraziò   benii;namentc 
De  le  jiarole  die  si   grate  sente  . 

XIII 

E  poi  sì  vo^se   al  messo  Saracino  : 
Dirai,  che   volentier   la    impresa  jtiglia, 
A   Caradoro,  questo  paladino  •, 
l\.   del   suo  artlir  si   farà  maraviglia  ; 
Sia   chi   si   vuol   del  popol   d'  Apollino, 
Cir  a  nessun  questo   volgerà  la   briglia  : 
Se   ftisse   Orlando,  quel   eh'  ha   tanta   fama, 
Noi   lem.erebbe  ,   cosi   di   a  la  dama. 

xiv 

Vedi   il   lion   che   lullavia  V  aspetta  : 
Non   è  Laron   di   cui   nel  mondo   dotti  : 
Aedi   qiie' due   che  son   là   di   sua  setta: 
Questi   fanno  assai   fatti   e  pochi   molti. 
Il   messaggier  si   dipartiva   in    fretta  ; 
Corbante  tlisse   che   voli,   e  non   trotti. 
Tanto   che  presto   tornò  a   Caradoro, 
E  riferì,  come   e'  vengon   costoro. 

XV 

E   che  parca  quel   guerrier  del   lione 
Vn   Mom   molto  famoso   in   vista  e  forte  : 
E  d'  Ulivier  «liceva   e  di   Dodone  : 
Non  è  baron,   Caradoro,  in   tua  corte 
Da  metterlo   con   questi   al  paragone  : 
Corbante   dice,   die   tu   ti    conforte. 
Perchè  colui   che   si   chiama  il   guerriere. 
Non  temerebbe  Orlando  in  sul  destriere. 

XVI 

Rinaldo   da   Corbante   accommialossi, 
E   molte  offerte  fece   al  re  pagano, 
Che   sempre  sare' suo,   dovunque  e' fossi  : 
Né  anco  il  re   Corbante  fu  villano 
A  la   risposta  :   e   così  si   son  mossi, 
E   benedetti,   e  baciati   la  mano  : 
E   Ulivieri  avea  potuto  appena 
Addio,  piangendo,  dire  a  Forlsena. 

XVII 

La  qual   reggendo  partire  Lfllvieri, 
Avea  più  volle   con   seco  disposto 
Di   seguitarlo,  e  falli  slran  pensieri. 
Né  potè  più   il   suo  amor   tener  nascosto  : 
E  la   condusse   quel   bendato   arcieri. 
Per  veder  quanto  Ulivier  può  discosto, 
A   un  balcone  ;  e  V  arco  poi   diserra, 
Tanto  che  questa  si   giltava  a   terra. 


Il   padre   suo,  che   la  novell.1  sente, 
Corse   a   vederla,   e   giunse,   ch'era   moria; 
A   la  sua   vita   non   fu   si  dolente  ; 
E   intese   ben   quel   die  'l   suo  caso  imporla, 
1'^  come  amore  è  «juel  <;hc   lo   consente  : 
1'.    se    non   fosse   alcun    che   lo   conforta, 
E   chi    la   mano,  e   chi  'I   braccio   gli  pigli>t  °- 
Uccider  si    volca   sopra   la   figlia. 

XIX 

E   dicea  :   Lasso,   quanto  fni  contento 
Quel   di   che   m<irta    V  aspra  fera  vidi  ! 
I''d  or   tanto   d(dor  nel  mio  cor  sento  ; 
E  cosi   vuogli,   amor,  così  mi    guidi  ? 
Ogni   dolcezza   volta  ni'  ha  in    tormento  : 
()   mondo,   tu   non   vuoi   che  in   le  mi  fidi  : 
Lasciato  m'  hai,  o  misera  fortuna, 
Afditto   vecchio   e  sanza  speme    alcuna. 

XX 

F'ece   il  sepolcro  a   modo  de'  cristiani, 
E  missevi   la   bella   Eorisena  ; 
E   lettere   intagliò  con   le   sue   mani. 
Come   fu  liberata   d  ogni  pena 
Da    tre   baron   di  paesi   lontani  ; 
E   come   a  morte   il   suo   destili   la  mena 
Pur  finalmente,   come  piacque  a   amore, 
Nel   dipartirsi   il  suo  caro   amadore. 

XXI 

Non  si  può  lor  quel  che']  ciel  pur  destina: 
li  mondo   col   suo   dolce   ha  sempre  amaro  : 
Questa   fanciulla   così  jieregrina 
Il    troppo   amare   alfin   gli   costa  caro  : 
E   IHivier  pe'boschelli   cammina, 
E   non    sa    quel   che   gli   sare'  discaro  : 
E   chiama  Eoriseiia   notte   e   giorno  : 
In  questo  modo  più  dì   cavalcorno. 

XXII 

U^n    giorno   in  un  crocicchio   d'un  burrone 
Hanno   trovato   un   vecchio  mollo  strano 
Tutto  smarrito,   pien   d'afdizione: 
Non  pareVa   bestia,   e   non  pareva   umano  : 
Rinaldo  gli   venia  compassione  : 
Chi  fia   costui?  fra  sé  dicea   pian   piano; 
Vedea  la  barba  arruffata   e  canuta  ; 
Raccapricciossi,   e  da  presso  il  saluta. 

XXIII 

E'  gli   rispose  facendo   gran  pianto, 
Per  modo   di' a  Rinabio  ne'ncrescea: 
Per  la  bontà  de  lo   Spirito   Santo, 
Abbi  pietà   de  la  mia  vita  rea  : 
Uscir  di   questo   bosco   non  mi   vanto. 
Se  non   mi   aiuti   (e   del   tristo  facea) 
Lasciami   un  poco  in  sul   cavallo   andare, 
Per  queir  Iddio  che   li  può  ristorare. 

XXIV 

Rinaldo  disse:   Mollo  volentieri. 
Che   tu  mi   par,    vecchierel,  mezzo  morto  : 
E  subilo  si   getta   del   destrieri. 
Perchè  e'  vi  monti  e  pigliasse  conforto. 
Intanto   viene  Dodone   e   Ulivieri  : 
Rinaldo  dice  questo  fatto  scorto: 
Disse  Dodon  :   Tu  se'  mollo  cortese  ; 
E   del  cavai  per  aiutarlo  scese. 


M  O  I\  G  A  N  T  i:      MAGGIO  1\  ìi 


Rinaldo   tien   Baiardo  per   la   brif^Ha, 
E  Dodon  j)ij>,lia  questo  veccliio  aulico  : 
Baiardo  allor  rnoslrò  j^raii  maraviglia, 
ET   veccliio  soliiva  come   suo   nimico: 
Rinaldo   slrelle  le  redini  pitilia, 
E  Dodon  pure  aitila  come  amico  : 
Raiardo  allor  più  le  redini  scuole, 
Ed  or  col  capo,  or  co'  calci  percuote. 

XXVI 

Ma  poi  Hie  pur  si  lasciò  cavalcare, 
Quel  vecchierel,   come  e' fusse   una  foglia, 
Tenea  la   briglia,   e   faceval   tremare  ; 
Poi  correr  lo  facea   conlr'  a  sua  voglia. 
Disse  Rinaldo   a  Dodon  :  Che   ti  pare? 

10  dubito   die  mal  non   ce  ne   coglia; 

11  vecchio  corre,  e   non  mi  pare  or  lasso, 
Che  non  parrà  da  dover  ir  di  passo. 

XX  VII 

Dismonta,  o  Ulivier,  di  Veglìantino: 
Ulivieri   scendeva  da  cavallo  : 
Rinaldo  drieto  pigliava  il   cammino 
A  questo  vecchio,  e  cominciò  sgridali©: 
Aspetta,   tu  ti  fuggi,  can  mastino, 
Sì  che   tu  credi   in    tal  modo  ruballo  ; 
Ma  nulla  par  che  con  quel  vecchio  avanzi; 
Che  sempre  più  gli  spariva  dinanzi. 

xxvni 
E  Vegliantin  sudava  per  l'affanno, 
E  va  pel  bosco  che  pare  imo  strale. 
Disse  Rinaldo  :   Vedrai  beli'  inganno, 
Che  questo  vecchio  par  che  metta  l'ale: 
Io  fu' pur  matto,  ed   arommene   il  danno: 
E  chiama,   e  grida  ;  ma  poco   gli   vale  : 
(jolui  correva  come  leopardo  ; 
Anzi  più  forte,  s'egli  avea  Baiardo. 

XXIX 

Ma  poi  ch'egli  ebbe  a  suo  modo  beffalo 
Rinaldo,  al  fin  se  gli  para  davanle, 
E  'n   su  'n   un  passo  del  bosco  ha  aspettalo: 
Vegliantin  tanto  mostrava  le  piante, 
Che  lo  giungea  :  e  Rinaldo  è  infocato. 
Disse  Malagigl  :  Che  farai,  brigante? 
Quando  Rinaldo  sentiva   dir  questo, 
Lo  riconobbe  a  la  favella  presto. 

XXX 

E   disse:   Tu  fai  pur  l'usanza   antica; 
Tu  m'  hai  fatto  pensar  di  strane  cose, 
E   dato  a  Vegliantin  molta  fatica. 
Allor  Malgigì  in   tal  modo   rispose: 
T«  non  sa'  ancora   innanzi   eh'  io   tei  dica, 
Di  questo   testo,  Rinaldo,  le  chiose. 
Dodone  in  questo,  e  '1  Marchese  giugneano, 
E  Malagigi  lor  riconosceano. 

XXXI 

Gran   festa  fecion  tutti  a  Malagigi 
D'  averlo  in   luogo   trovalo   sì   strano. 
Disse  Malgigi  :   Io  parti'  da  Parigi, 
E   feci   r  arte   un   giorno   a  Monlalbano  ; 
Volli  saper   tulli  i   vostri  vestigi  : 
Vidi   stavate   in  paese  lontano, 
E  che  portalo   avete   assai  periglio, 
E  bisoa;nava  ed  aiuto  e  consiglio. 


Per  questa  selva  ove   condotti  siete, 
Non   trovereste   da  mangiar  né  bere, 
E  sanza  me  campati  non  sarete. 
Di  questa  barba   vi   convien  avere, 
Che   vi   torrà   e  la  fame   e   la  sete  : 
Vuoisene   in  bocca   a   le   volte   tenere; 
E  dette  loro  un'  erba,  e  disse  :   Questa 
Usale  insino  al  fin  de  la  foresta. 

XXXIII 

Mangiaron   tulli   quanti  volentieri 
De   r  erba   che  Malgigi   aveva  detto, 
E  niissonne  poi   in  bocca   anche  a'destrieri, 
di''  era   ciascun   da  la  sete   costretto  : 
Disse  Malgigi  :   Per  questi  sentieri 
Serbatene,   vi   dico,  per  sispelto: 

I  destrier  sempre   troveran   de  1'  erba  ; 
Ma  questa  per  la  sete  si  riserba. 

xxxiv 
Non  vi  bisogna  d'  altro  dubitare  ; 
Con  Manfredonio  è   il  roman  senatore 
Orlando,   e  presto  il  potrete   trovare. 
E  delle  molte  cose,   un   corridore 
Subilo  fece  per  arie  formare; 
Tanto   eh' ognun   gli   veniva   terrore; 
Che  mentre  ragionare  altro  volieno, 
Apparì  quivi  bianco  un  palafreno. 

xxxv 
Disse  Malgigi:  Caro  mio  fratello, 
Toti  Boiardo   tuo,  ch'io  son  fornito. 
Rinaldo  guarda  quel  cavai  sì  bello, 
E  dicea  :   Questo  fatto  com'  è  ilo  ? 
Malgigi  presto  montò  sopra  quello, 
E  fu  da  lor  come  strale  sparito  : 
A  tutti  prima  toccava   la  mano, 
E  ritornò  in  tre  giorni  a  Montalbano. 

xxxvi 

Dumila  miglia  al  nostro  modo  o  piiie 
Era   da  Montalban,   si   trova  scritto, 
Dal  luogo  dove  accomiatato  fue 
Rinaldo,   e '1  suo  fratel  lasciava  afflitto; 
E  molte  volte  ha  chiamato   Gesiie, 
Che  lo  conduca  per  senlier  diritto  : 
E   già  sei  giorni  cavalcato  avia 
Drieto  al  lion  che  mostra  lor  la  via. 

xxxvii 

11  sesto  di  questo  Baron  gagliardo 
In  un  oscuro  bosco  è  capitalo: 
Sentì  in   un  punto  fermarsi  Baiardo  : 
Vede  il  lion   che  '1  pelo   avea  arriccialo, 
E   che  faceva  molto  fiero  sguardo  ; 
E   Vegliantin  parca  tutto  aombrato  : 

II  cavai  di  Dondon  volea  fuggire; 
E  raspa  e  soffia  e  comincia  nitrire. 

XXXVIIL 

Disse  Rinaldo:  Oh  Dio  !  che  sarà  questo? 
Questi  cavalli   ban  veduta  qualch'  ombra. 
Intanto   un  gran  romor  si  sente  presto, 
Che  le  lor  mente   di  paura  ingombra  : 
Ecco   apparire  im  uom  mollo  foresto 
Correndo,  e'I  bosco  attraversava  e  sgombra; 
E  fece  a   tutti   una  vecchia  paura. 
Che  mai  si  vide  più  sozza  figura. 


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AI  O  I\  r.  A  N  T  E       M  A  ('.  (;  1  0  K  K 


XXXIX 

Egli  avfa  il  capu  che  parca  «1'  un  orsù 
Pilo50  e  Cero  :  e  i   denti   cttme  zanne 
Da  spiccar  netto  d'  «ipni  pietra  un  morso  \ 
La  lingua   tutta  scagliosa   e  le   canne  : 
Vn   occhio   avea  nel  petto   a  mezzo  il  torso, 
Cir  era   di   fuoco  e  largo  ben    due  spanne  : 
La   barba    tutta   arricciata   e  i   capegli, 
Gli   orecchi  parean   d'  asino  a  Tcdegli  ; 

XL 

Le  braccia  lunghe,  setolose  e  strane, 
Il  petto  e   1  corp»)  piloso  era  tutto  ; 
Avea   gli   unghiou' ne  piedi   e  ne  le  roane, 
Che  non   portava   i  zoccol  per  l'asciutto; 
Ma  ignudo   e   scalzo  abbaia  com'  un   cane. 
Mai   non   si  vide   uu   mu>tro   cosi  brutto  : 
£1  in  man  portava   un  gran  baston  di  sorbo 
Tutto  arsicciato,   nero  com' un  corbo. 

XLI 

Questo  una  Buca  sotterra  avea  fatto, 
£  sopra  quella  forato  un   gran  masso. 
Quivi  si  stava,   e  nascondeva  il  matto  : 
Verso  la  strada   avea  forato   il  sasso, 
E  per  un  bucolin    Iraea   di  piatto, 
E  molta  gente  saettava   al  passo. 
Facea  de   gli   uoniin  micidial  governo  ; 
E  chiamai'  era  il  mostro   da  1   inferno. 


Rinaldo,  quando   apparir  lo  vedia. 
Diceva  a  Ulivieri  :  Hai   tu  veduto 
Costui,  che   certo  la  Versiera  fia  ? 
Disse   L'iivieri.:   Dio   ci   sia  in   aiuto  ; 
Credo  piuttosto   sia   la  Befania, 
O  Belzebù  che   ci   sarà   venuto  : 
Guardava  il  petto   e   la   terribil  faccia, 
Il  baston  lungo  piii   di   dieci  braccia. 

XLIII 

Quest' animai   venfa   gridando  forte; 
E   come  1  orso  adirato  co  cani, 
I?pezza  e  i  rami   e  i  pruni  e  le  ritorte 
Con   quel  baston   co' piedi   e  con  le  mani. 
Disse  Dodon  :   Sare   questa  la  morte. 
Che  ci   assalisse  in  questi  boscìii  strani  ? 
Se  tu  riguardi,  Rinaldo,  i   vestigi, 
De  compaguon  mi  par  di  Malagigi. 

XLIV 

Disse  Rinaldo:  Non  temer  Dodone, 
Se  fusse  ben  la  morte,  o   il   trentamila, 
Lasciai  venire  a  me  questo  ghiottone  ; 
Ch'  a  maggior  tela  ho  stracciate  le  fila. 
Intanto  quella  bestia  alza  il  bastone, 
E  inverso  di  Rinaldo  si   disfila  : 
Rinaldo  punse  Baiardo   in  su"  fianchi, 
Acciò  che  "1  suo  disegno   a  colui  manchi. 


Dallato  si  scagliò  com'  un  cerviello: 
Giunse  la  mazza,  e  dette  il  colpo  in  fallo: 
Rinaldo  intanto  si  misse  in  assetto  ; 
Coisegli   addosso  presto   col  cavallo; 
Dettegli  un  urto,  e  colselo  nel  petto 
Per  modo  che  sozzopra  fé"  cascallo  ; 
E  nel  cader  quest'  animale  strano 
Forte  abbaiava  com' un  cane  alano. 


Dodon   die   vide  quel   diavoi   cadere, 
Diceva   a   l'Iivier  :    Corriamgli   addosso, 
Acciò  che  non  »i   levi    da    giacere. 
Di>se   Rinaldo  :   Ignun   non  si   sìa  mosso  : 
Tirati   a   dricto,   e  statevi    a  vedere, 
Ch'  io  non  sono  uso  mai  d'  esser  riscosso. 
In  questo  1'  uom  salvatico  si  rizza 
Col  sorbo  picn  di  furore   e  di  stizza. 

XLVII 

E  scaricava  nn  colpo  in  su  la  testa 

Per  modo   tal,  che  se   giungea  Rinaldo, 
E   gli   bastava   solamente  questa, 
E   n<m   sentia  mai   piii  freddo   né  caldo. 
Rinaldo  non  a.-'petta  la  richiesta, 
Che   com' argento  vivo  slava   saldo: 
Or  qua  or  là  facea  saltar  Baiardo, 
Avendo  sempre  al   prolino  riguardo. 

XLVIII 

Farea  un  lioncin  quando  egli   scherza. 
Che   salta   in  qua  e   in   là  destro  e  leggieri: 
Alcuna   volta  menava   la  sferza. 
Poi  risaltava  che  pare   un   levrieri. 
Era   già   r  ora  passala  di    terza, 
E  pur  Dodon   dicea  con  Ulivieri  : 

10  temo   sol   Rinaldo  non  si   stracchi  : 
Tanto  eh'  un  tratto  quel  baston  l'ammacchi. 

XLIX 

Colui  non  par  che  si   curi   un  pistacchio, 
Perchè  Frusberta    gli  levi   del   pelo  ; 
E  pur  atlf^nde   a  scaricare   il  bacchio  ; 
E   la  spada  del  prenze  torna   al  cielo  : 
Misericordia   di  questo   batacchio. 
Aiuta   Iddio  chi   crede  nel  vangelo  : 
Quel  baston  pare  un   albero  di  nave. 
Arsiccio  duro  e  nocchieruto  e  grave. 

L 

Avean   già  combattuto  insino   a  nona 
Rinaldo  e  quel  gran  diavolo  incantalo  : 
Rinaldo   gli   ha  frappata   la    persona, 
E  molto  sangue  in  terra  avea   gittato  ^ 
E  tuttavia  con  Frusberta  lo    suona  : 
Un   tratto   quel   bastone   è   giù  calato  « 
Rinaldo  per  disgrazia   gli   era   sotto, 
E  non  poteva  fuggir  questo  botto. 

LI 

Attraversò  la  spada  per  coprire 

11  capo,  che  del  colpo  ebbe  ribrezzo  : 
Giunse  il  bastone.   Or  qui  volle   alcun  dire 
Già  che  Rinaldo  gliel  tagliò  sol  mezzo, 
Ma  poi  si  ruppe  il  resto  nel  colpire  : 

Chi  dice  che  di  netto    il  mandò  al  rezzo  : 
Donde^e^s'è  fatta  gran  dispulazione. 
Come  quel  fatto  andasse  del  bastone. 

LII 

3Ia  questo  a  giudicar  vuol  buon^rammalico, 
S   eeli   tagliò  tutta  o  mezza  la  mazza  : 
Quel  maledetto  e  ruvido   e  selvatico, 
E  a=pro  più  che  1  sorbo  eh'  e"  diguazza. 
Arrandeilo  quel   tronco  come  pratico  ; 
Dette  a  Rinaldo  una  percossa  pazza. 
Tanto  che  cadde,   e   di   poi    si  fuggia  ; 
Ma  Ulivier  lo  sejrue  tuttavia. 


MOK(r\NTK     MAGG  lOHE 


Tr.Tsse  la   spaila,   rlie  par  rlie   riluca 
Pili   rlic  non   fi-ce  mai  lajfpit»   di   stella, 
Acciò    clic  '1   cuoio   con   essa   {;li   sdruca  ; 
(^)ncsta   fiera  bestiai   crudele  e  fella 
Si   fufij^i  come  il   tasso  ne  la  Luca  ; 
Ulivier  si  rimase  in  su  la  sella, 
!■-   ritornossi   dov'  era   caduto 
Rinaldo,   che    fjià  s'  era  riavuto. 

MV 
Disse  Rinaldo  :   Vedcslu  mai    tortlo 
Cir  avesse,  coni' ebli' io,  de   la  ramala? 
(U)slni  pensò  di    e;narirmi   del   sordo,  < 

Se  fosse  riuscita   la  pensala. 
Disse  Dod(to  :   Qiiand'  io  me  ne   ricordo, 

10  Iriemo  ancor  di   quella  randellala  : 
Che   hai    lu  fallo   di   lui,   Uliveri  ? 

Tu  {^li  corresti  drielo  col  destrieri. 

i,v 
Disse  Ulivieri  :  Egli   è  nalo  di   granchi  : 
Egli  entrò  in  nna   buca  sotto  nn  masso, 
]Menlre  «li'  io  gli  ero  con  la  spada  affianchi, 
O  si   toruò  in  inferno   a  Satanasso. 
Intanto  colui   par  eh' nn   arco   abbranchi, 
Ivi   uno  slral  cavò   d'  nn  suo  Inrcasso 
Avvelenalo,  e  fessi   al    Itncolino  : 
E  trasse,  e  delle  in  un  pie  a  Veglianlino. 

r.vi 
E   se  non  fnsse   die   giunse  al  calcagno. 
Quanto  potè  più  basso   a  1'  unghia  moria, 
N()n   bisognava  medico  né  bagno. 
Disse  Rinaldo  :   la  pace   le  lo  porta  : 
(.0'  pazzi  sempre  fu  poco   guadagno  : 

11  mio  lion  non  ci   fa   buona  storta  : 

Poi  non  veggeodo  ond'  egli   avessi   trailo, 
Ognun  reslava  come  stupefallo. 

L\ll 

Disse  Rinaldo  :   A  quel   sasso  mi  m«na 
Ulivier,   dove   lu  il  vedesti  entrare  : 
Yeggiam   se  questa  bestia   da    catena 
Si  ])olesse   a   la    trap])oIa  pigliare, 
Ch'io  so  ch'io  gli   darò  le  frutte   a   cena, 
S' io   lo  tio vessi   col  fuoco  sbucare  : 
Sali  sopra  Baiardo,  e   insieme  andorno, 
E  in  nn  trailo  quel   sasso  accerchiurno. 

LVllI 

Colui   eh' è  drento,   assetta  lo  scoppietto, 
E   stava   al   bucolin   quivi   a   la  posta  ; 
Trasse  imo   strale   a  Rinaldo  nel   petto, 
Ciie   si  pensò  di  passargli  ogni   costa; 
]\la   la   corazza  a  ogni  cosa   ha  retto  : 
Rinaldo  allor  da  la  buca  si  scosta, 
E   disse  :   Così  ancor  non  se'  sicuro, 
Se  '1  sasso  più  che  'i  porfir  fusse  duro. 

I,IX 

Poi   che   tu  m'  hai   saettato,  ribaldo, 
E  randellato,  che  mai  più  non  fue 
Gillalo  in   terra   in    tal  modo  Rinaldo  ; 
Io  ti    gasliglieróe  pel  mio   Gesue: 
E   COSI  tulio  di   tempesta  caldo. 
Con  ambo  man  Frusberta   alzava  sue  : 
Rizzossi  in  su   le  staffe  e  '1  brando  striscia, 
Che  lo  facea  fischiar  coni'  una  biscia. 


Tanto  che  V  aria  e  la   terra  rimbomba, 
E  si  sentiva  un  snon  fioco  e  interrotto. 
Come  quand'  esce  il  sasso   de  la  fromba  : 
Are'  quel   colpo  ogni   adamante  rollo  : 
Giunse  in   sul  masso  sopra   de  la   tomba, 
li   fessel    tutto  com'  un  cacio  cotto  : 
l'arti   il   cervello  e '1   capo   iiisino  al  piede 
Al   crudel  mostro;  e  sciocco  è  chi  noi  crede. 

l.XI 

Le  schegge  di  quel   sasso   a  mille   a  mille 
Balzorno  in  qua   e  in  là  com'è   usanza, 
E   tulla  r  aria  s'  empiè   di  faville. 
Disse  Dodone  :   O  Dio,   tanta  possanza 
Non  ebbe   Eltorre,    o  quel  famoso  AcliiHe, 
Quanta   ha  costui  ch'ogni  lor  forza  avanza. 
iLa   spada  un  braccio  sotterra  ficcossi, 
E  Baiardo  pel  colpo  inginocchiossi. 

LXIl 

A   gran  fatica  potè  poi  ritrarre 
Rinaldo,    tanto  fitta  era   la  spada, 
E   disse  :  Tu  credevi,  che  le  sbarre 
Non  li    lenessin',  mascalzon   di   strada  : 
Chi   si   diletta   di   truffe  e   di   giarre. 
Così  convien  che  finalmente  vada  : 
De' luo  peccali  penilenzia  hai  fatta: 
Così  fo  sempre  a   ogni  bestia  malia. 

LXIII 

Dodon  guardava  ne  la  Luca,  e   vede 
Tulio  fesso  per  lato  quel  ghiottone 
Dal   capo   insin   giù  per  la   gamba   al  piede, 
E   stupì   tutto  per  ammirazione, 
Dicendo  :  Iddio,  de'  tuoi  servi  hai  mercede. 
Questo  slato  non   è  sanza  cagione  : 
A  qualche  fin   questo  segno  hai   dimostro. 
Acciò  eh'  a  molli  esempio  sia  rjuel  mostro. 

LXIV 

Poi   con  la  punta  de  la  spada  scrisse  : 
Nel   tal   tempo  il  signor  di  Montalbano 
Ci  arrivò  a   caso;   ed  ogni  cosa  disse, 
Come  in  quel  sasso  stava  un  uomo  strano, 
E  come  tutto  Rinaldo  il  partisse  : 
.Ed  evvi   ancora  scritto  di  sua  mano 
;LeÌ¥tVré  con  la  jìunla  de  la  spada; 
ÌE  puossi   ancor  veder  sopra  la  strada. 

LXV 

E   (hiamasi  la  selva  da  l'inferno: 
Ciii   vuole  andare  al  monte  Sinai 
^  i  passa,  quando  e'  va,   che  sia  di  verno, 
Per  non  passa,re  il  fiume  Baiai  : 
E  leggesi,  quel  diavol  de  l'inferno 
Come  Rinaldo  quivi  lo  partì  ; 
E  vedesi  ancor  1'  ossa  drento  al  fesso, 
E  sentevisi  urlar  la  notte  spesso. 

I,XVI 

Poi  si  partirne,  e  il  lion^  come  suole, 
Sempre  la  strada  mostrava  a  costoro. 
Era  di  notte  :  Rinaldo  non  vuole 
Che  per  le  selve  si  facci  dimoro, 
Talch'  Ulivieri   e  Dodon  se  ne  duole. 
Che  cavalcare  a  stracca  è  lor  martoro  : 
Tutta  la  notte  con  sospetto  andorno, 
Infin  che  in  oriente  vidon  giorno. 


INI  0  W  G  A  N  T  K      Al  A  (i  G  I  O  II  K 


Come  fu  fuor   lìv   1' occhio   Apollo, 
Si   riiruvoron   .«opra  ad   un   po^<!<*tto  : 
Qiir>lo  p.ì!>5orno,  e  poi  più  là  un  rollo 
D'un  altro  monte   rlt' <>ra   al   tlirinipetlo  : 
K  poi   che  a   <|ue.sl(t  dato   ebbono   il   rnillo, 
A  idono   un   pian  con   un   certo   faunettu, 
Traliacclie,  padi>;lioni   e   lt){;j;iamenti, 
E  cavalieri   armati   e  varie   genti. 

I.XVIII 

Quivi   era  Manfredonio   innamoralo, 
(,iie    lo  facea  nH)rir  Meridiana, 
Con  tutto  quanto   il  popolo  attendato; 
E   la   fauciulla   al   5(U)  ]>arer  villana 


Al   re   Corliante  avea   significato, 
(]|)' assediata    è   da   la    genir  padana, 
E   come  Manfredon   si   .-forza  e  i^cpua 
Torj;li   d'  onor   la  sua  famosa  iiise(;na. 

I.XIX 

Ed   aspettava  il    puerrier  del  lione, 
CIte  dovesse   venirla   a   liberare  ; 
E  stava   giorno  e  notte  in  orazione, 
E  m(dli   sacrifici   facea   fare. 
Pregando  umilemente   il   lor  Macone, 
Cile   sua  virginità  debba   servare  : 
Com' io  seguiter»)  ne   l'altro   canto, 
Con   la   virtù  de   lo   Spirilo   Santo. 


CArSTO    YI 


ARGOMENTO 


•*i>-^3)<l#5- 


J~' renio  al  palazzo  del  re  Caradoro 
Entra   Rinaldo^  e  i  due  compagni  ha  seco: 
Rinaldo  e   Oriundo   conìbatton   tra  loro 
Sconosciuti,  e  si  don  colpi  da  circo, 
f^n  prigione  Dodon.   Chi  sien   costoro, 
La  spia  di  Gano  al  re  corre  a  far  eco. 
Vlii'ieri  carnpion  rf'  una  sottana 
D'  amor  si  strugge  per  Meridiana, 


0 


Padre  nostro  cbe  ne'  cieli  stai, 
Non  circunscritto,  ma  per  più  amore, 
Cbe  i  primi   effetti   di   là  su   tu  bai  ; 
Laudato  sia  "1  tuo   nome   e  '1   tuo  valore  ; 
E  di   tua  grazia  mi  concederai 
Tanto,  cb"  io  possi  finir  sanza  errore 
La  nostra  istoria;   e  però,  Padre  degno, 
Aiuta  tu  quest'affannato  ingegno. 

II 
Era  il  Sol,  dico,  al  balcon  d'oriente; 
E  l'aurora  si  facea  vermiglia, 
E  da  Titon  suo  antico  un  poco  assente; 
Di   Giove  più  non  si   vedea  la  figlia, 
Queir  amorosa  stella  refulgente, 
Cl»e  spesso  troppo  gli   amanti  scompiglia  ; 
Quando  Rinaldo   giù  calava  il    monte, 
Dov'  era  Orlando  suo  famoso  conte. 


Com'  egli  ebbe  veduta  la  ciltade, 
Disse  a  Dodone  :   Or  puoi   veder   la   terra, 
Dov'  è  la  dama   cb'  ba   tanta   beltade  : 
Vedi  cbe '1   re   Corbante   già  non   erra, 
Cb' io   veggo   de'Pagan'  gran   quanlitade  : 
Qui  è  quel  Manfredon  che  gli  fa   guerra. 
Mentre  cbe   dice  questo,  e   Ulivieri 
Conobbe  Orlando  sopra  il  suo  destrieri. 

IV 

Vide  cb' a  spasso  con  Morgante   andava, 
E  cbe  faceva  le   genti  ordinare 
Per  la  battaglia  cbe   s'  appareccbiava  ; 
E  già  faceva  stromenti  sonare  ; 
Ma  del   gigante  ammirazion  pigliava, 
E  cominciollo  a  Rinaldo  a  mostrare  : 
Quell'è  Morgante;  e  "1  conte  Orlando  è  quello 
Cb'è  presso   a  lui;   non  vedi   tu   Rondello? 

V 

Rinaldo,  quando  vide  il  suo  cugino, 
Per  gran  dolcezza  il  cor  si   sentì  aprire, 
E  disse:  Poi  ch'io  veggo  il  paladino, 
Contento  sono  ogni  volta  morire. 
Or  oltre  s«^uirem   nostro   cammino  : 
A   Carador  promesso  abbiam  di   gire  ; 
Tosto  sareni   con    Orlando   a   le  mani, 
E  con  questaltri   Saracini   o  cani. 

VI 

Com"  entrati  fur  poi   ilrento  a   le   nuua, 
Domandorno  del  re  subitamente, 
Dicendo  :  Cavalier  siam   di   ventura. 
Dal  re  Corbante  mandati  al  presente. 
I   terrazzan  fuggivan  per  paura 
Di  quel  lion,  sanza  dir  lor  niente  : 
Rinaldo   tanto  innanzi   cavalcóe. 
Clic   in   su  la  piazza  del  re   capitóe. 


MORGANTK     MAGCrlCKK 


E  com'  e'  fumo  veduti  costoro, 
Subito  fu  portata  la  novella 
Drenlo  al  palazzo  al   };ran  re  Caradoro  : 
lìlnaldo   intanto  smontava  di  sella  : 
lUivieri  e  Dodon   non   le' dimoro  : 
Ognnrì   dintorno   di  qoesto  favella  : 
Questo  dcbl)'  esser,  dicien,  quel  barone 
l-h'è  appellato  il  guerrier  del   lione. 

vili 
Meridiana,  eh'  era  a   la  finestra, 
Fece  chiamar  soe  damigelle  presto  : 
Clie  d'ogni   gentil   allo  era  maestra: 
Fecesi   incontro  col  viso  modesto. 
Con  accoglienza  si  leggiadra  e   destra, 
Che  nessun  più  non   arebbe  richiesto 
Tra  le  ninfe  di  Palla  o  di  Diana, 
Che  si  facessi   allor  Meridiana. 

IX 

Rinaldo,  quando  vide  la  donzella, 
Tentato  fu  di  farla   a  la  franciosa  : 
A  Ulivieri  in  sua   lingua  favella  : 
Quant'  io  non  vidi  mai  più  degna  cosa. 
Disse  Ulivieri  :  E'  non  è  in  cielo  stella, 
Ch'  appello  a  lei  non  fusse  tenebrosa. 
Rinaldo  presto  rispose  :  Io  t'  ho  inleso, 
Che'l  vecchio  foco  è  spento,  e'I  nuovo  acceso. 

X 

Non   chiamerai  più  forse  come  prima 
La  notte  sempre  e  1   giorno  Forisena, 
Cli'  ad  ogni  passo  ne  cantavi  in  rima  : 
Non  sente  al  capo  duol  chi  ha  maggior  pena; 
Vegao,  che  del  tuo  amor  l'hai  posta  in  cima: 
E  se'  legato  già  d'  altra  catena. 
Ulivier  disse  :   S' io   vivessi    sempre, 
Convien  sol  Forisena  il  mio  cor   tempre. 

XI 

Eran  salili  già  tutta  la  scala, 
E  grande  onor  da  quella  ricevuto, 
Che  insino  a  mezzo  gli  scaglion  giù  cala, 
E  rendulogli  un  grato  e  bel  saiuto. 
Intanto  Caradoro  in  su  la  sala 
Con   lutti  i  suoi  baroni   era  venuto  : 
Rinaldo  e   gli   altri  baciaron  la  mano, 
Coni"  è  usanza  ad  ogni  re  pagano. 

XII 

Fece  ordinar  di  subilo  vivande, 
E  i   lor  destrier' fornir  di  strame  e  biada  : 
Per  la  città  la  lor  lama  si  spande; 
E  per  vedergli  assai  par  che  vi  vada  : 
Venne  la  cena,  e  fiivvi  altro  che  ghiande 
Ulivier  pure  a  la  donzella  bada  : 
Poi  che  cenato  fu,  re  Caradoro 
In  questo  modo  a  dir  cominciò  loro  : 

XIII 

Io  vi  dirò,  famosi  cavalieri. 
Quel  che  '1  mio  cor  da  voi  desia  o  brama 
Per  tuli' i  nostri  paesi  e  sentieri 
De  rOrienle  risuona  la  fama 
Di  vostra  forza,  e  de'  vostri  destrieri  ; 
E  questa  è  la  cagion  che  qua  vi  chiama 
C-ome  vedete,  ogni  campagna  è  piena 
Di   gente  qua  per   darci   .:(Faiino   e  pena. 


Ed  ecci  un  re  famoso  antico  e  degno, 
(ìlic  iimamoralo  s'è  d'està  mia  figlia, 
1'^   vuol  per  forza  lei  con   tutto  il  regno, 
E  molti   ha  morti   de  la  mia   famiglia: 
Ogni   dì   Iruova  (jualche  slran   disegno 
Per  oppressarci,  e  '1  mio  campo  scompiglia; 
E  per  ventura  un   cavaliere   errante 
V  è  capitato  con  un   gran   gigante. 

XV 

Con  un  battaglio  in  man  d'una  campana, 
Sia  eh' armadura   vuol,   che  ne  fa  polvere: 
E  molti   già   di  mia   genie  pagana 
Ila  sfracellati,  e  dato  lor  che  asciolvere  ; 
Ovunque  e'  giugne,  la  percossa   è  strana  ; 
Non   c'è  papasso  che   ne   voglia  assolvere: 
lo  'l   vidi   un   giorno  a   un  dar  col  battaglio, 
Che  '1  capo  gli  schiacciò  com'  un   sonaglio. 

x^^ 
Se  con  quel  cavalier  vi  desse   il  core 
A  corpo  a  corpo,  che  cosi  combalte, 
E  col  gigante  d'  acquistare  onore. 
Le  genti  mie  non  sarebbon  disfatte. 
Ed  io  vi  giuro  pel  mio  Dio  e  Signore, 
S'  alcun  di  questi  ignun  di  voi  abbatte  ; 
Ciò  che  saprete  domandare,  arete, 
Se  ben  la  figlia  mia  mi  chiederete. 

XVII 

Era  presente  a  quel  Meridiana, 
E  una  ricca  cotta  aveva  indosso 
D'  un  drappo  ricco  a  V  usanza  pagana 
Fiorilo  tutto  quanto  bianco  e  rosso, 
Com'  era  il  viso  di   latte  e  di    grana, 
Ch'  arebbe  un  cor  di  marmo  ad  amar  mosso: 
Nel  petto  un  ricco  smalto  e  gemme  ed  oro, 
(ìon  un  rubin  che  valeva  un  tesoro. 

XVIII 

Ed  un  carbonchio  ricco  ancora  ih  testa. 
Che  d'  ogni  scura  notte  facea  giorno  : 
Avea  la  faccia  angelica  e  modesta 
Che  riluceva  come  1  Sol   d'intorno: 
Ulivier,  quanto  guardava  più  questa. 
Tanto  l'accende  più  il  suo  viso  adorno; 
E  fra  suo  cor  dicea:  Se  tu  farai 
Quel  che  dicesti,  re,  tu  vincerai. 

XIX 

Rinaldo  vide  Ulivier  preso  al  vischio 
Un'  altra  volta,  e   già  tutto  impaniato  ; 
E   dicea  :  Questo  ne  vien   tosto   al  fischio  : 
Conobbe  il  viso  già  tutto  mutalo  : 
Vedeva   gli  occhi  far  del  bavalischio  : 
Disse  in  francioso  un  mollo  loro  usalo  : 
A  ogni  casa  appiccheremo  il  maio  : 
Che  come  1'  asin  fai  del  pentolaio. 

xx 
Ma  non  vagheggi  a  questa  volta,   come 
Solevi   in   corte  far  del  re   Corbante; 
Che  se  ti  piace  il  bel  viso  e  le  chiome, 
Piace  la  spada  a   costei  del    suo  amanle; 
Queste  son  dame  in   altro  modo   dome  : 
Non  c'è  pili  bell'amar  che  nel  Levante. 
Ulivier  sospirò  nel   suo  cor  forte. 
Quasi  dicesse  :   Sol  non  amai   in   corte. 


MOKG  ANTK      MA(.(xlOU  K 


E  rirordussi  allur  di  Forisena, 
Che  del  suo  rur  tenea  le  chiavi  anrora. 
Ma  non  sapeva,   oiiiè,   de   la  sua  pena  : 
Prima  consenta   il  fi«"i,  direa,  eh"  i'niDra, 
Che  sciolta  fia  dal  cor  qtiella  catena, 
Cile  scior  non   puossi   iiisino   a   1' iilliin' ora; 
K  se  tra' morti  poi   vorran   c;riddei 
di' amar  si  possi,  amerò  senjpre  lei. 

XXII 

Non   si  diparlo  amor  si  leggiermente, 
Che  per  conformità  nasce  di  stella  : 
Dovnntjiie  andremo, in  Levante  o  in  Pouenle, 
Amerò  sempre  Forisena  bella  ;        • 
Però  che  1  primo   amor   troppo   ì'.  possente: 
Non  son   del  petto  fuor  quelle  quadrella, 
Ch'  io  non  credo  che  morte  ancor  trar  possa, 
Prima  che  cener  sia  la  carne  e  Tossa. 

xxin 
Lasciam  costoro  insieme  un  poco  a  mensa. 
Aveva  alcuna  spia  re  Manlredonio, 
Come  colui,  che  i  suoi  pensier'  dispensa, 
D'a\er  di   ciò  che  si  fa,   testimonio: 
K  poi  chi  ama,  giorno  e  notte  pensa 
Come  e' si   tragga   l'amoroso  conio: 
Non   si  può  dir  quel  eh"  un    amante  faccia, 
Per  ritrovar  de  la  dama  ogni  traccia. 

XXIV 

Detto  gli  fu  come  e'  son  capitati 
Tre  cavalier"  famosi  a  Caradoro, 
E  paion  molto  arditi  e  bene  armati  ; 
Ma  non  sapeva  alcun  de' nomi  loro. 
Se  non  che  tutti  assai  s'  eran  vantati 
A  la  sua  gente  dar  molto  martoro  : 
E  ch'egli  avevon  sotto  corridori, 
Che  mai  si  vide  i  più  begli  e  maggiori. 

XXV 

Orlando  pose  orecchio  a  le  parole  : 
Sarebbe   questo  Rinaldo  d' Amone? 
Ma  poi  diceva  :   Rinaldo  non  suole. 
Come  color  dicien,  menar  lione: 
Poi  disse  :   Imbasciador  mandar  si  vuole, 
Per  uscir  fuor  d'ogni  suspizione, 
A   Caradoro,  e  dirgli,  cosi  parmi, 
Cir  io  vo'  con  questi  cavalier'  provarmi. 

XXVI 

A  Manfredonio  piacque  il  suo  parlare, 
E  subito  mandorno  imbasceria  : 
Erano  ancor  coloro  a  ragionare  ; 
Caradoro  a  Rinaldo  si  volgi'a. 
Dicendo  :  Pro'  baron,  che  vuoi  tu  fare  ? 
Rinaldo  sfavillava  tuttavia  ; 
Pargli  miir  anni  d'  esser  con   Orlando, 
E  disse:  Io  sono  in  punto  al  tuo_ comando. 

xxvii 
E  Ulivier  soggiugneva  di  costa  : 
Del  diciannove  ognun  terrà  lo  'nvito  ; 
E  così  fate  per  noi  la  risposta. 
Ah  Ulivier,  amor  ti  fa  sì  ardito! 
Dite,  che  al  campo  ne  venga  a  sua  posta. 
Lo  imbasciador  tornò,  eh'  aveva  udito, 
E  disse  a  Manfredonio  :  E'  son  contenti, 
E  prezzon  poco  te  con  le  tue  genti. 


XX  VI  II 

K'ini   pareva   a   guardargli  nel   volto, 
Cile   tra  lor  fussi   del  combatter  gaggio, 
(■h' ognun   pel   priiiu»  volessi   er.ser  tolto, 
Tanto   lier' >i   mo-lravan   nel    visaggio. 
Rispose   Orlando:    E"  non   passera  molto, 
(^lie  parleranno  d"  un  altro   linguaggio. 
Disse  Morgaiitc  :   Io   vo' con   un   (nscello 
Di   tutti   tre  costor  fare  un   fardello. 

xxix 
E   vommegli  a   la   cintola  appiccare  : 
Lascia  pur  ch'egli   assaggino  il  metallo, 
E  ch'io  cominci   un  poco  a   battagliare; 
Clic,  pcnsan   di   venir  costoro  al   ballo? 
Or  oltre  io   vo' col   battaglio  sonare. 
Perchè  non  faccin   gli  scambietti  in  fallo. 
Ma   in  questo   tempo  Rinaldo  si  è  armato, 
E  dal  re  Caradoro  accommiatato. 

XXX 

Ed  avea  fatto  cose  in  su  la  piazza, 
Che  1  popol  n'àvea  avuto  maraviglia; 
Di   terra  con  lo  scudo  e   la   corazza 
Saltato  in   sella,   e  piglialo  la   briglia, 
(^arador  disse  :   Questa  é  buona  razza  : 
E  mollo  lieta  si  fece  la  figlia, 
Ch'era   venula  per  diletto  fore 
A  vedergli  monlare  a  corridore. 

XXXI 

Ed  avea  prima  aiutato  Ulivieri 
yVrmar,  che  mollo  di  questo   gli  giova, 
E  saltalo  di  netto  in  sul   destrieri, 
E  fatto  innanzi   alla   dama  ogni  prova. 
Che  far  potessi  nessun  cavalieri  : 
E  Dodon  anco  nel  montar  non   cova  : 
Ognun   di   terra   a  cavai   si   cittóe  ; 
E   tulio  il  popol  se  ne  rallegróe. 

XXXII 

Aveva  falli   tre  salti  Baiardo, 
Ch' ognun  fn  misurato  cento  braccia. 
Tanto  Cer  era  animoso  e   iiasliardo  : 
Ed  Ulivier,  perché  a   la  dama  piaccia, 
Di   Vegliantin   faceva  un   leopardo  : 
Dodone  al  suo  gli  spron  ne' fianchi   caccia; 
E  finalmente  dal  re  Caradoro 
A  lanci  e  salti  si  partir  costoro. 

XXXIII 

Poi  che  furono  usciti  de  la  porla. 
Fino  a  le  sbarre  del  campo  n'  andorno  : 
Rinaldo  tanta  allegrezza  lo  porla. 
Che  cominciò  a  sonar  per  festa  un  corno  : 
Fu  la  novella  a  Manfredon  rapporta  : 
Orlando  presto  e  Morgante  n'  andorno 
Dove  aspettavan  questi   tre  baroni, 
E  salutorno  in  saracin  sermoni. 

XXXI  v 

Non  riconobbe  Orlando  il  suo  cugino, 
Perché  Baiardo  è  tutto  covertalo, 
E  lui  parlava  al  modo  Saracino  : 
Vide  il  lione,  e  molto  ha  biasimato  : 
Non  è  costume  di  buon  paladino 
Aver  quest' animai  seco  menato: 
Non  doveresti  a  gnun  modo  menarlo  : 
Per  carità  de  gli  uomini  ti  parlo. 


M  0  ]\  G  A  N  T  E       INI  A  (1  (\  I  O  R  E 


XXXV 

Disse  Rinaldo  :  Buon  predicatore 
Sarosli,   poicir  liai    tanta   carità: 
Non    ti    l)is(ti;na  aver  questo   timore  : 
Nel    tuo  parlar  si   dimostra  viltà  : 
Se   tu  sapessi,   bacon   di   valore. 
Per  quel  ci»'  io  M   meno,  ed  ogni  sua  bontà, 
Non   parleresti    in   cotesto   sermone  : 
Sappi   die   i-^nun  non  tdl'cnde  il  lione, 

XX  XVI 

Se  non  olii  a   torto  qnistion  meco  piglia, 
O  ver  chi  fossi  traditor  perfetto. 
II   conte   Orlando   lia  seco  maraviglia  ; 
Poi   gli  rispose  :   Vegnamo  a  1'  effetto  : 
Se  vuoi  combatter  san/a  altra  famiglia 
A  corpo  a  corpo,  mettiti  in  assetto, 
Che  in  altro  modo  combatter   non   voglio  : 
Farò  di   le  come  degli  altri  soglio. 

xxxvn 
Disse  Dodon  :   Tu  sarai  forse  errato: 
Il  gigante  gli  fece  la  risposta  : 
Tu  non  conosci  il  mio  signor  pregialo; 
Però  facesti  sì  strana  proposta: 
Io  non  son,  come  tu,  barone,  armato^ 
E  proverommi  con   teco  a  tua  posta. 
Dodone  allora  pazienzia  non  ebbe, 
E  pure  stato  il  miglior  suo  sarebbe. 

xxxviu 
La  lancia  abbassa  con  molta  superba, 
E  percosse  Morgante  in  su  la  spalla  : 
E' si  pensò  traboccarlo  in   su  l'erba: 
Morgante  non  lo  stima  una  farfalla, 
Ed  appiccogli   una  nespola   acerba. 
Tanto  che  tutto  pel  colpo  trabaila  : 
E  come  e'  vide  balenar  Dodone, 
Se  gli  accostava,  e  trassel  de  1'  arcione. 

XXXIX 

Al  padiglion  ne  lo  porta  il  gigante  ; 
A  Manfredonio  Dodon  presentava  : 
Manfredon  rise,  veggendo  Morgante, 
E  per  Macon  d' impiccarlo  giurava. 
Morgante  in  drieto  volgeva  le  piante  : 
Torna  ad  Orlando  eh'  al   campo  aspettava. 
Rinaldo  irato  ad  Orlando  dicia  : 
Io  ti  farò,  cavaller,  villania. 

XL 

Aspettami,  se  vuoi,  tanto  eh'  io  vada 
A  qualche  cosa  a  legar  quel  lione. 
Poi  proveremo  la  lancia  e  la  spada, 
Per  quel  eh'  ha  fatto  il  gigante  ghiottone. 
Rispose  Orlando  :  Fa  come  l'  aggrada, 
O  lancia  o  spada  o  cavallo  o  pedone. 
Rinaldo  smonta,  e  la  bestia  legava; 
Poi  verso  Orlando  in  tal  modo  parlava  : 

XLI 

Non  potrai  nulla  del  lion  più  dire  : 
Oltre  proviamci  con  le  spade  in  mano  : 
Vedrem  se,  come  mostri,  hai   tanto  ardire: 
Che  il  can  che  morde,  non  abbaia  invano; 
Volse  il  destrier  per   tornarlo  a  ferire  : 
Orlando  al  suo  Rondel  gira  la  mano  : 
Del  campo  prese,   e  con  molla   tempesta 
Si  volse  indrieto  con  la  lancia  in  resta. 


Non   domandar  f|uel   che  facea  Baiardo, 
Con   quanta   furia   s|).icciava   il   cammino  : 
K   Itondel   anco   non   pareva   tardo  ; 
Anzi   ])areva  fjiiel   di   Veglianlino  : 
Rinaldo   aveva   al   bisogno   riguardo, 
Dov"  e' ponesse   la   lancia  al   cucino; 
Ma  conosceva  eh'  egli   è   tanto  forte, 
Che  perirol  non  v'  è  di   dargli   morte. 

xr.iii 
A  mezzo  il  petto    la  lancia   appircóe  : 
Orlando  feri   lui  .siniilemenle  ; 
E   I'  una  e  1"  altra   lancia   in  aria  andóe  : 
Non  si  conosce   vantaggio  niente, 
E   l'uno  e  l'altro  destrier  s' accoscióe, 
E  cadde  in  terra  pel  colpo  possente, 
Tanto  che  fuor  de   la   sella  sallorno 
1   duo  baroni,  e   le  spade  impugnorno. 

XLIV 

E  cominciorno  sì  fiera  battaglia. 
Che  far  com[tarazi()n   non  si  può  a  quella. 
Perchè  Frusbcrta  e   Cortana   anco   taglia  : 
E  '1  suo  signor  che  con  essa   impennella. 
Disaminava  e  la  piastra  e   la  m;iglia  : 
Rinaldo   sempre  all'elmetto  martella, 
Perchè  sapea  eh'  egli   è  d"  acciajo  fino, 
Che  fu  d'Almonte  nobil  Saracino. 


Pur  nondimen  si  voleva  aiutare. 
Però  che   Orlando  vedea  riscaldato, 
E  conosceva  quel  che  sapea  fare 
11  suo  cugin,  quand'egli  era  adirato: 
Ma   Cristo  volle   un  miracol  mostrare,  ' 
Acciò  che  ignun  di  lor  non  abbi  errato: 
E  perchè  de'  suo'  amici  si  ricorda, 
Il  fier  lione  spezzava  la  corda. 

XLVI 

Venne  a  Rinaldo,  ed   Orlando  dìcia  : 
Per  Dio,  baron,   di   te  mi  maraviglio: 
Questa  mi  par  da  chiamar  villania  ; 
Ma  questa  volta  non  hai   buon  consiglio. 
Che  a   le  e  lui  caverò  la   pazzia. 
Rinaldo  in  drieto  volgea    presto  il   ciglio; 
Vide  il  lione,  e  funne  malcontento  ; 
E  cominciò  questo  ragionamento: 

XLVII 

Aspetta,  cavalier,  tanto  eh'  io  possi 
Questo  lion  rimenare  a  la  terra  : 
La  mia  intenzion  non  fu,  quand  io  mi  mossi, 
Di  venir  qui  col  lione  a  far  guerra. 
Rispose   Orlando  :   Qual   cagion  si  fossi 
Non  so,  ma  in  fine  è  V  errato  chi  erra  : 
S' io  ti  volessi   guastare  il  lione, 
Guarda "1  battaglio  ch'ha  quel  compagnone. 

XLVIII 

Disse  Rinaldo  :  Noi  farem  ritorno, 
Tu  al  tuo  re,  ed  io  ne  la  ciltade  ; 
E  domattina,  come  scocca  il   giorno, 
Ritornerò  per  la  mia  leallade, 
E  chiamerotti,  com  io  fé'  col   corno, 
E  proveremo  chi   ara  più  boutade  : 
Questo  di  grazia,  baron,   ti  dimando, 
Tanto  che  fé' conlento  il  conle   Orlando. 


M  O  n  Cn  A  N  T 1-:     M  A  G  G  I  O  R  E 


E   toriKi   roii   ì\Ior|;aiitr   .il  padiglioiir, 
V.   per   la   via    si    (lolt*v.i   riiii   <{iiell<>, 
K  «lìce.ì  :  M.ilailctto   .sia   il   iioix*  : 
S'  avessi   Ve{ilianliii,  come   li»   Htmdello, 
Parlilo   mni   saria   (]iit'*lo  liarone, 
O   sejtiiattt   l'arci    «lei    mio   siij;;:ello, 
S'  avessi   la  mia   spada   Uiirlindaiia  : 
E   duol&i   assai   ch'egli    aveva    (.orlaiia. 

I. 
Ulivieri  e  "l  signor  di   Monlalbaiio 
Si   rilornorno  verso  la  ci  II  a  le. 
Or  ritorniamo   al    tradilor  di   Gano, 
Ciravea  per  molle  parli  spie   mandale; 
Ed  erro   un  messapgiero  a  «nano   a  mano 
A   Carador  oon   lellre  siigi:;ellalo  ; 
E  per  ventura  al  marrliese  s'  accosta, 
Dicendo:   In  cortesia  fammi  risposta. 

M 

Come  si  chiama  la   terra  e    1  paese, 
E  M   suo  signor,  se  Dio    li   dia  conforto  : 
Io   ho  paura  indarno  avere  spese 
Le  mie   giornale,   e   di   scauiliiare   il  porto, 
A   lui   rispose  il   famoso  Marchese  : 
A   la   domanda   tua  non    vo'  far  torto  : 
Non  so  il  paese  come  sia  cliiamalo, 
Ma  '1  suo  signor  ti  sarà  ricordalo. 

LII 

Sappi  che  I  re  si  chiama   Caradoro 
E  la   figliuola  sua  Meridiana  : 
Per  lei    lai    guerra   ci   fauni)  costoro, 
Che   tu  vedi  alloggiali   a   la  fiumana. 
Disse  la   spia  :  Macon  ti  dia  ristoro, 
E   guardi  sempre  d'ogni  morte  strana; 
E  finalmente  al  palazzo  n'  andóe 
A  Caradoro,  e  da  parte  il  chiamóe. 

LUI 

Disse:  Macon  ti   dia  gioconda  vita: 
Io  son  messaggio  di   Gan   di  Maganza  ; 
E  quando  feci   da  lui   dipartita, 
Questo  brieve  mi   die   eh'  è  d' importanza  : 
Vedi  la  'mpronla  sua  qui   stabilita, 
Perchè   tu   abbi   del  fatto  certanza. 
Carador  riconobbe  quel   suggello 
Del  conte  Gan  tradilor  crudo  e  fello. 


La  lettera   apre,  e  1  suo   tenore   inlese  : 
La  lettera  dicea  :  Caro  signore. 
Sappi,  re  Carador,  quel  eh'  è  palese, 
Che  venuto  è  Rinaldo  traditore 
Ne   la   tua  terra,  e  nel  tuo  bel  paese  : 
Io   te  a  avviso,  eh'  io  ti  porlo  amore  ; 
E  seco  ha  Uiivier  eh'  è  uom  di  razza, 
Col  suo  compagno  Dodon  de  la  mazza. 

LV 

E  nel  campo  è  di  Manfredonio  Orlando, 
E  l'un   de  l'altro  ben  debbe  sapere; 
E  so  che  tutt' a   dùie  vanno  cercando, 
O   Carador,  di  farli   dispiacere  : 
Vengonvi  insieme  a  la  mazza  guidando  : 
Quando  fia   tempo   vel  faran   vedere  : 
Non  piace  al  nostro  re  qua  tradimento  ; 
Però  eh'  io  ti  scrivessi  fu  contento. 


l'.d   Ila   c<ui   seco  menato  un   gigante, 
(.he   se   s'  accosta   un   giorno   a    le    tue  mura, 
E' le   farebbe    tremar   tutte   ijiiante: 
Abbi   «lei    regno   e   di    tua    geule   cura  ; 
E"  son    Cristiani,   e    tu   sei    Africanle: 
Guarda   che   danno   non    abbi   e  paura: 
Che  so  che   al   fin   n'arai   da   mcdte   bande; 
Or  tu  se' savio,  e  intendi,  e'I  mondo  «';  grande. 

I.VII 

Era  quel  re  pien   d'  alta   gentilezza, 
E   ben    conobbe  ciò  che   Gan   dicea: 
Fece  pigliarlo  con  nudta   prestezza: 
In  questo   tempo  Rinaldo  giugnca. 
Ed   ogni   cosa  con   lui  raccapezza. 
Ed   in   sua  man   la    lettera  ponea, 
1".   di   Uiivier,   eh'  è  ne  la  sua  presenzia 
Per  dimostrare  ogni   magnificenzia. 

I.VIII 

Quando  Rinaldo  intese  quel   eh' è  scritto, 
Rinjirazia  il   suo   Gesi'ie  con   sommo  alTi-llo  ; 
A  Uiivier  si   volse   tulio  afflino. 
Disse:    Tu   vedi  quel   che  Gano   ha  detto. 
La  damigella   tenea   l'occhio   dritto: 
Quando  sentì  che   1   suo  amante  perfetto 
Era   Uiivier  che   tanta  fama   avt'a. 
Non  domandar  quanto  gaudio  senti'a. 

r.ix 
E  poi  mandò  nel  campo  un  messaggiere 
Al  conte  Orlando,   e  'n  questo  modo  scrisse: 
Poi  eh' abbiam   fatto   triegua,  cavaliere. 
Acciò  che  grande  inganno  non   seguisse. 
Contento  sia  di  venirmi  a  vedere 
A  la  città  sicuramente,  disse  : 
Cosa  udirai,  che  ne  sarai  poi  lieto, 
Ma  sopra  tutto  sia  presto  e  segreto. 

LX 

Il  messaggiero  Orlando  ritrovava. 
Che   si   chiamava  nel  campo  Brunoro  :     ^^ 
Segretamente  la  lettera  dava  : 
Orlando  lesse,  e  sanza  alcun  dimoro 
A  Manfredon  la  lettera  mostrava. 
Manfredon  disse  :   F'orse  Caradoro 
Potrebbe  qualche  inganno  fabbricare, 
E  quel  barou   te  '1  vorrà  rivelare. 

LXI 

Mentre  eh'  è  triegua,  va  sicuramente  : 
Chi  sa  chi  sia  quel  guerrier  del  lione  : 
Pel  mondo  attorno  va  di  strana  gente  : 
Io  ti   conforto  d'  andarvi,  barone. 
Morganle  a  ogni   cosa  era  presente, 
E  disse  :  Forse  eh'  egli   ha  del  fellone  : 
Egli   ebbe   voglia  infin  oggi   di   dirti 
Qualche  trattato,  e  1  suo  segreto  aprirli. 

LXII 

Io  vo'  con  teco  a  la  terra  venire, 
Che  non  ci  fusse  qualche   inganno  doppio, 
E  in  ogni  modo  con   teco  morire  ; 
E  "nGn  del  campo  udirete  lo  scoppio. 
Se  col  battaglio  s  avessi  a  colpire  : 
Perchè  se  bene  ogni  cosa  raccoppio, 
Di   chieder  triegua,  e  tornarsi  oggi  drenlo, 
Segno  mi  par  di  qualche  tradimento. 


MORGANTE     MAGGIORE 


A  1.1  ritta  n' andornn  finalmente: 
Rinaldo   iniinaiìinò  la   lor  ventura: 
Fecesi   incontro   al  suo  cu{;in  possente, 
E  giunto  appresso  in  francioso  il  saluta. 
Orl.indo  rispondca  corlesemenle 
Quel   clie  gli  parve  risposta  dovuta; 
E  pur  parlava  come  Saracino, 
Che  non  conosce  il  suo  caro  cugino. 

r.xiv 
Dìcea  Rinaldo  :  A  Caradoro  andremo, 
Se"  non  li  fusse,  cavalier,  disagio. 
Orlando   disse  :  A  tuo  modo  faremo. 
Che   di  piacerli  mi   sarà  sempr'  agio. 
Disse  Morgante  :  Andate,   noi  verremo, 
E  finalmente  n' aniiorno  al  palagio. 
Rinaldo  a  Carador  gli  rappresenta, 
Perchè  voleva  eh'  ogni  cosa  senta. 

LXV 

Re  Caradoro,  quando  Orlando  vede, 
Tosto  de  la  sua  sedia  s'  è  levato  : 
Orlando  gli  volea  baciare  il  piede, 
Ma  Carador  l' lia  per  la  man  pigliato  : 
Disse  :  Macone  abbi  di  te  mercede  : 
Il  tuo  venir  m'  è  troppo,  baron,   grato, 
Per  veder  quel  che  non  ha  pari  al  mondo. 
Come  se' tu,  Brunor,  baron  giocondo. 

LXVI 

Meridiana,  quando  fu  in  presenzia 
D'  Orlando,  sospirò  la  damigella  : 
Orlando  prese   di  questo  temenzia  : 
Verso  la  dama  in  lai  modo  favella  : 


Ardi   io  fatto   oltraggio,  o  violenzia, 
Cile   tu  sospiri   si  ?   dimmel,   donzella, 
E  ricordossi   ben   di   Lionello, 
Tanto  eh'  egli  ebbe  al  principio  sospetto. 

I.XVII 

Disse  la   dama:  Tu  m'innamorasti 
Quel   dì  che  insieme  provammo   la   lancia, 
E  con  quel  colpo  1'  elmo  mi  cavasti  ; 
Tanto  eh' ancor  n'arrossisco  la   guancia; 
E  questa  treccia  tutta  scompigliasti, 
Come  se  fussi   un  paladin    di   Francia  ; 
Poi  mi  dicesti  :  Tornali   a  la  terra. 
Che  con  le  dame  non  venni  a  far  guerra. 

LXVIII 

Questo  mi  parve  «n  alto  sì  gentile. 
Che  bastere'clie  fussi  slato  Orlando; 
Tu  disprezzasti  ima  femmina  vile, 
Per  questo  venni  cosi  sospirando. 
Orlando  è  corbacchion  di  campanile, 
E  non  si  venne  per  questo  mutando"; 
E  disse  a  Carador  :  Seguita  avante 
Quel  che  vuoi   dir  dopo  mie  lode   tante. 

LXIX 

Carodor  disse  :    Tu  lo  intenderai 
Da  questo  cavalier  che  l'  ha  menato, 
E  disse  al  prenze  :  Tu  comincerai 
A  dir,  perchè  per  lui  fusse  mandato  : 
Ma  tu,  Signor,  che  i  sempiterni  rai 
Governi  e  reggi,  e  '1  bel  cielo  stellalo  ; 
Grazia  mi  dona,  che  nel  dir  seguente 
Segua  la  storia  eh'  io  lascio  al  presente. 


MORGAN  T  i:     M  A  (V  (V  I O  i\  li 


CAIMO    VII 


ARGOMENTO 


-tè^m^^ 


Itinolilo  e   Orlando^  le.   visiere  alzate, 
S'  tibbrucciano    tra   lor  con   gran   ditcttu  ; 
Per  Marinante    rtii(/uista    liberiate 
JloJon,   c/t'  aura   le   forche   uddirtnipctlo  ; 
Il  gigante   le   membra   a[}ardt'llate 
l>i   flanjredonio  ffardellanilo,   un   fletto 
Ae  fan  un  fimne  :  il  re  daìT  ac/ue  tratto, 
E  finto,  ed  in  Soriu   torna  per  patto. 


->§►!>  ®44^ 


O, 


'sanna,  o   Re  del  senipilerno  regno, 
(.Ih*  mai   noa  alibandoni   i  servi   tuoi, 
E  pertlonasli  a  quel   die   suslò  il   lej'no, 
(.l>e   gli   vietasti   già  per  gli   error  suoi  ; 
Aiuta  me,  sovvien   tanto  il  mio  'ngegno, 
Che  basti   al  nostro   dir,  come   tu  ])noi, 
Sì   eh'  io  ritorni  a  la  mia  storia   bella 
Cou  gli  occhi  volli  a  te    come  a  mia  stella. 

II 
Rinaldo  il  conte   Orlando  rimirava; 
Orlando  non  sapea   di    tale   eiFetlo, 
E  Ulivieri   spesso  sogghignava  : 
ISon   gli  conosce,  eh' avevan  l'elmetto. 
Allor  Rinaldo   a  parlar   cominciava  : 
A  questi   dì   trovammo   in   un   boschetto 
Tre  cavalier  Cristian  feroci   e  iorti, 
E   tuli' a   tre   gli  abbiam  lasciati  morti. 

Ili 
Per  certo  oltraggio  che  ci  vollon  fare, 
A   corpo  a  corpo   insieme   ci   sfidammo, 
E   cominciammo  le  spade   a  menare  : 
Finalmente   di  forza  gli   avanzammo  ; 
(]redo   che   i  lupi   2;li  j)ussin    trovare, 
(.Ile  nel  boschetto  morti   gli  lasciammo  : 
Ma  cavalier  parean    da  spada   e   lancia, 
Cir  eran   venuti   del  regno  di  Francia. 

IV 

Orlando  quando  udì  queste  parole, 
Rispose  presto  :  Bene  avete  fatto  : 
Tutti  sou  rubator  :   non  me  ne  duole  ; 
Io  n'ho  già  gastigati  j)iù  d'un   trailo: 
Così   semf)re  a'  nemici  far  si  vuole  ; 
Ma   dimmi,   cavaliere,   ad  ogni  patto 
I  nomi  lor,  per  veder  s'  io   conosco 
Di  questi  alcun  eh'  uccidesti  in  quel  bosco. 


Disse  Rinaldo:  Egli  ha  nome  Ulivieri 
L'  un  di  costor,  che   dice  era   marchese  ; 
L'altro  da  Montalban  (\uc\   buon    guerrieri 
Ch'  aveva  fama  per  ogni  paese  : 
Credo  che  '1    terzo  anco  era  cavalieri, 
Dodon   chiamalo  figliuol   del   Danese. 
Orlando   udendol  si   maravigliava; 
Ma   del  lion   con   seco  dubitava. 

VI 

Seguì  più  olire  il  suo  ragionamento 
Rinaldo  :   Io  intendo  mostrarvi   i   cavagli. 
Orlando  disse  :  Ne  son  ben  conlento, 
(vhe   i  nomi  lor  non   posso  ritrovagli. 
Vanno  a  veder  :   Orlando   ebbe  spavento, 
Subilo  come  comincia  a   guardagli; 
Perchè  conobbe  presto  Veglianlino, 
E  disse  :  Il  ver  pur  dice  il  Saracino. 

VII 

A   la  sua  vita  mai   fu  più  doglioso  : 
E  poco  men   che  in   terra  non  cadea  : 
Ulivier  che  il   vedea  sì   doloroso, 
Drento  a  l'elmetto  con   seco  ride»; 
Tornano  in  sala,  e  '1  paladin  famoso 
Vendetta  farne  fra  sé  disponea. 
E   disse:    S'altro   tu  non  vuoi  parlarmi, 
A  Manfredonio  al  campo  vo'  tornarmi. 

vili 
Disse  Rinaldo:   Alquanto  v'aspettate; 
E  menò  in   una  camera  il   barone, 
E  poi   che   r  arme  sue  s'  ebbe   cavale, 
La  sopravvesla,  e  1'  altre  guernigione, 
Mostrava  le  divise  sue  sbarrate  : 
Trassesi  1'  elmo,  e  così  il  Borgognone  : 
Orlando,  quando  Rinaldo   suo  vede, 
Per  gran  letizia  tramortir  si  crede. 

IX 

Abbraccia  mille  volle  il  suo  cugino, 
Ulivieri   abbracciava   il   suo  cognato. 
Diceva   Orlando:   O  giusto  Iddio  divino, 
Che  grazia  è  ([uesla,  eh'  io  l  ho  qui  trovato! 
Poi   domandò   de  Y  altro  paladino  : 
Dodon   dov'  è,  che   tu  m' liai  nominalo  ? 
Disse  Rinaldo  :  Sappi  che  Dodone 
È  quel  che  venne  preso  al  padiglione. 

X 

Morganle  vide  costoro  abbracciare, 
E   disse  al  eonte  :   Per  tua  gentilezza, 
Chi  son  costor  non  mi  voler  celare. 
Che  tu  gli  abbracci  con   tal   tenerezza  ; 
E  poi   eh'  udì  Rinaldo  ricordare, 
E  Ulivieri,  avea  grande  allegrezza  ; 
E  nginocchiossi,  e  per  la  man  poi  prese 
Rinaldo  presto  e  '1  famoso  marchese. 


MOKOANTE     MAGGIORE 


E  pianse  allor  Morpanlo  di  buon  core  ; 
Re   ('.aradoro  in  zaiiiltra   era   venuto. 
Dicra  Rinaldo  :  Cii{»in  di   valore, 
Per  mio  consiglio,  se  a  te  par  dovuto, 
Non   tornerai  nel  campo  :   i'  ho   timore, 
Clie  Manfredon  non   l'  abbi  conosciuto  ; 
O  come  a  Carador  Gan  gli  abbi   scrillo; 
Ma  Dodon  nostro  ove  riman  si  afflitto? 

xu 
Disse  Morgante:  Lascia  a  me  il  pensiero  ; 
Io  lo  condussi  al  padiglion  di  peso, 
('osi  r  arreclierò  qui   come   un  cero. 
Orlando  disse:  Morgante,  io  l'ho  inteso, 
K  del   tuo  aiuto  ci  farà  inestiero. 
Morgante  più  non  islette  sospeso  ; 
Disse  :  A  me  tocca  appiccar  tal  sonaglio, 
Ma  ogni  cosa  farò  col  battaglio. 

xm 
A  Manfredonio  andò  cautamente, 
E  per  ventura  giugneva  il  gigante, 
Cile  Dodon  era  a  Maniredon  presente, 
Che  lo  voleva  impiccar  far  davante 
Al  padiglione  :  Dodone   umilmente 
Si  raccomanda  :  in  questo    ecco  Morgante, 
E  disse  a  Manfredon  :   Che  vuoi   tu  fare  ? 
Manfredon  disse  :  Costui  fo  impiccare. 

XIV 

Non  lo  impiccar,  disse  Morgante  presto  ; 
Dice  Brunoro,  eh'  io  '1  meni   a  la   terra, 
E  de'  saper  quel  eh'  e'  faccia  per   questo  : 
Tu  sai  ch'egli  è  fidato,  e  eh' e' non  erra. 
Rispose  Manfredon  :   Venga  il  capresto  ; 
Io  vo' impiccarlo  come  s'usa  in  guerra: 
Sia  che  si  vuole,  o  seguane  al  fin  doglia, 
Ch'  io  mi  trarrò,  Morgante,  questa  voglia. 

XV 

Dicea  Morgante  :  Il  tuo  peggio  farai  ; 
Che  si  potrebbe  disdegnar  Brunoro  : 
E  se  tu  perdi  lui,  tu  perderai 
Me  e  il  tuo  stato,  col  tuo  concistoro  : 
Io  il  menerò,  se  tu  mi   crederai  : 
Credo  di'  accordo  tratti   Caradoro, 
E  forsi   ti  darà  la  sua  figliuola  ; 
Ch'  io  n'  ho  sentito  anch'  io  qualche  parola. 

XVI 

Manfredon  disse  :  Per  lo  iddio  Macone 
E  già  due  dì  ch'io  giurai   d'impiccarlo, 
Come  tu  vedi,  innanzi  al  padiglione  : 
Non  è  Macone  iddio  da  spergiurarlo. 
Allor  chiamava  il  suo  Cristo  Dodone, 
Che  non  dovesse  così  abbandonarlo. 
Morgante  udendo  far  questa  risposta, 
A  Manfredon  più  dappresso  s'  accosta. 

XVII 

Il  padiglione  squadrava  dintorno: 
Vide  ch'egli   era  un  padiglion  da  sogni; 
Prima  pensò  d'  applicargli  un  susorno 
Al  capo,  e  dir    eh' a  suo  modo  zampogni; 
Poi   disse:   Questo  sare'poco  scorno; 
E  credo  ch'altro  unguento  qui  bisogni: 
E  finalmente  il  padiglion  ciuifava 
Di  sopra,  e  tutte  le  corde  spezzava. 


Dette  ima  scossa   sì  fiera  e  villana, 
Ch'arcbbe  fatto  cadere   un   castello; 
()  s'  egli   avesse  scossa  Pietrapana,  -' 

Arebbe  fatto  come  fece   a  quello  : 
Cosi   in   un   tratto  il  padiglion  giù  spiana, 
E  d'ogni   cosa   ne  fere   un   fardello; 
E  Manfredonio   e  Dodon  vi  ravvolse, 
E  fuggì  via,  e  '1  suo  battaglio  tolse. 

XIX 

E  in  su  la  spalla  il  fardel  si   gittava  : 
Da  l'altra  man  col  battaglio   s'arrosta; 
Il  capo  a  questo  e  quell'altro   spiccava 
Di  que' Pagan' che  volevon  far  sosta; 
Talvolta  basso  a  le  gambe  menava. 
Tanto  eh'  ignuno   a   costui  non  s'  accosta  : 
E   teste  e  gambe  e  braccia  in   aria  balzano: 
La  furia  è  grande,    e  le  grida  rinnalzano. 

XX 

Subito  il  campo  è  tutto  in  iscompiglio, 
E  corron  tutti  come  gente  pazza: 
Morgante  fece  il  battaglio  vermiglio 
Di  sangue,  e  intorno  con   esso  si  spazza  ; 
E  a  chi  spezza  la  spalla  e   a  chi  il  ciglio, 
E  Manfredon   quanto  può  si   diguazza, 
E   grida  e  scuote  e   chiamava  soccorso  : 
Dodon  più  volte  l'ha  graffiato  e  morso. 

XXI 

Morgante   il  passo  quanto  può  studiava  ; 
E  a  dispello  di  tulli   i   Pagani 
Passalo  ha  'I  fiume,  e  'l  fardel  ne  portava  ; 
Tanto  menato   ha  il   battaglio  e  le  mani  : 
Ma  finalmente  Dodone  affogava. 
Onde   gridò:   Se  scacciati  hai  que' cani. 
Posami  in   terra,  ch'io  sou  mezzo  morto, 
Per  Dio,  Morgante,    e  donami  conforto. 

XXII 

Morgante  in  terra  "pasava  il  fardello. 
Che  non  aveva  più  dintorno  gente, 
E  confortava  Dodon  cattivello  ; 
Ma  poi   di  Manfredon  poneva  mente, 
Cli'era  ravvolto  come   il  fegatello: 
Vide  che  morto  parca   veramente, 
E  disse  :  Te  non  porterò  a  la   terra. 
Poiché  se' morto,  finita  è  la  guerra. 

XXIII 

Disse  Dodon  :  Deh  gettalo  nel  fiume  : 
Morgante  vel  gittò  sanza  più  dire; 
Ma  presto  ritornar  gli  spirti  e  '1  lume. 
Però  che  P  acqua  lo  fé' risentire, 
Com'  egli  è  sua  natura  e  suo  costume  ; 
E  Manfredon  comincia  a  rinvenire  ; 
E  corse  là  di  Pagani  una  tresca. 
Tanto  che  in  fine  costui  si  ripesca. 

XXIV 

Morgante  con  Dodon  suo  se  n'  andava, 
E  rimenollo  a  Rinaldo  ed  Orlando  ; 
E  la  novella  a  costor  raccontava. 
Come  il   Pagan   venne  al  fiume  gittando ', 
E  che  sia  morto  con  seco  pensava, 
E  come  il  padiglion  venne  spianando  : 
Non  domandar  che  risa  fuor  si   caccia  : 
E  Dodon  mille  volte  Orlando  abbraccia. 


M  ()  W  (.  A  N  TK      M  V  C,  (\  I  O  W  K 


lì,    intr^f    tdllo    «io    «  li' n.i    .'•«•jiniln, 
I',   riiine   Cliii    ^W   sri^nlt.ivj    aiiror.i. 
Ile   M.ihln"«luii    rlic    s'ora    ii>fnlili», 
(.Oli    pr.iii    S(i<>|iii'i    III   Mil   <'.iiii|)(i   «liiiiura, 
i^l.ir.ivi^linlo   tli-l    {;ip.iiitr   ardilo, 
K   <oiin"   ii>«'ih>   il«'   I' arcnia   era   lor.i, 
1'^   «I"  ojini   «"usa   «lie    };li    rra   iurontralo, 
(ili    ]»ar»'Na   a    luì    s.los.s«>   aver   sugualu. 

XXVI 

In    questo   uiimse  un  iiiossa-ipier   di   Gain», 
(.Ile    r  avvisava   rome   Caradoro  ; 
K   rome   e'  v'  è  il    sipiior   di   Monlalbaiio, 
lil    l'Iivieri,   e   Dodoii   eoii   rosloro, 
K   nel   suo  eaiiipt»   il   sciiator  romano, 
K  die   rercavan    sol    del   suo   inarloro  ; 
E   come   il   tradimento   doppio   andava, 
Per  piiiliar   «lue   rolonilii   a    una   fava, 

x.wii 
Ah   disse   MaiìlVcdoiilo,  or  la   fa<;ione 
So,   perchè   Orlando   è   ito   a   la   rittade, 
1'^   quel   prii;ion   dovea   esser   Dotlone  : 
Or   si    conosce   la    lor  falsilade  : 
Or   SOM    tradito,   or   soii    j;iunto   al   lioccont- , 
K   vassi   pure   a    Roma   per   più   strade  : 
Ma    traditor   non   credevo    che    il    conte 
Fusse,  né  ignun  del   sanj^ue  di  Chiarmuntc. 


j1j«*» 


XXVIll 

Or   aremo  acquistala  qua   la   dama, 
li    Caradoro   vinto   con   asseJio  : 
(Questi   son  paladin    di    tanta  fania, 
('.ir  io   non   conosco   al   mio   slato   rimedio  : 
()iieslo   tiigante   ha   condotto  la    trama. 
Perchè  più   in    dubbio  nii    teneva   e   ledlo. 
Che  fussin    tulli   baroni   africanti  : 
Che   Ira'  Cristian    non   suole   esser   {^igauli. 

XXIX 

Ebbe  re  Manfredon   tanta  paura, 
(^he   si  pensò  la   notte   di   far  allo: 
Poi   disse  :  Noi   slam   sì   sotto   a   le  mura, 
(.he   non   si  pnò  spiccar  qui   nello  il  salto  : 
K"  ci   bisogna   provar   1    armadura, 
Ed   aspettar   de'nimici   l'assalto: 
Non   sarà   giorno   che   Rinaldo   e   1   Coule, 
E  Ulivleri  scenderanno  il  monte, 

XXX 

E    lutto   il   campo  mio   sarà   in    travaglio; 
E   ne   verrà  Dodon   per  far   vendetta  ; 
E   miei   diavol    c»)n   quel   suo   ballaulio 
A    la  mia   e;eiile   darà   grande   Islrella  : 
Pur  ci   conviene   star  fermi    al   berzaiilio  , 
E  Macon   prieso  che   le  man   ci   metta  : 
E  mentre   eh' e' dlcea  queste  parole, 
Tulli   i  baron  per  suo  consiglio  vuole. 

XXXI 

Ed  acconlarsi   che  si  stesse  saldo  : 
Tutta  la   notte  sletlon   con   sospetto  ; 
Morgautc,   eh'  era   «li   potenzia   caldo. 
La   sera   al   conte   Orlando   aveva  tletlo  : 
Poi   eh'  egli   è   morto   Manfredon   ribaldo. 
Non   sarà  prima   dì   eh'  io   vi  prometto, 
CAì'  io    voiilio  andar  col  mio   ballaulio   solo 
Tra   que  pagani   In  mezzo   de   lo   sluul", 


V,i\   ardir   le   trabacche   e   i   padiglioni  : 
Con    la    granala    gli    voglio  scacciare  : 
^edlcle   «he   bel    fummo   da' balconi  ; 
E    tulio   il   campo   a   furia   spnlezzare  ; 
Io   gli   fan't  fug^ir  tome   ghiottoni  : 
I.c   pecchie   soglion   pel   fuoco   sbucare  ; 
Io  porterò   il   liatlapli«i   e  'I   fiioro  mero  ; 
A'edrcle  poi   che  mazzate   da   cicco. 

xxxm 
Mancato  è  il  capo,  male  sta  la  roda; 
Adunque  male   star  dee   tutto   il   dosso: 
Per   eli   occhi   a    tutti   schizzerà  la   broda  : 
Io   schiaccerò   la    carne,    i  nervi   e   l'osso, 
Quand"  io   darò  qualche   bacclnala  soda  : 
So   eh   al   principio   n'arò  molli   addosso, 
Ma   tulli  poi   gli   vedrete  fuggire: 
Orlando  per   le   risa   è 'n   sul   morire. 

XXXIV 

E  di'se:   ^'a  ch'io  ne  son  ben  contento; 
E  poi   si   volse  ove   Carador  era, 
E   sì    dicea  :   Questo  ragionamento 
S«)  che  saranno  parole  da  sera. 
Che  come  fumo   ne  le  porla  il  vento, 
O   dislruggonsi    al    sol,  qual   neve   o   cera. 
A   me  par,    Caradoro,   da   vedere 
Quel  clic  fa  il   campo  e  le  pagane  schiere. 

XXXV 
Se  per  sé  stessi    si   dipartiranno, 
Lasciagli    andar,   che   mi   par  più  sicuro; 
Però  che   sempre   è   nel   combatter  danno, 
E   solo   Iddio   sa   il   tutto   del    futuro: 
Vedrem  pur  che  partito  piglieraimo, 
E    slaremcl   doman   qui    dentro   al   muro: 
Non  si  parleixlo  il   dì,  poi   gli  assaltiamo. 
Che  in  ogjii  modo   te  salvar  vogliamo. 

XXXVI 

Poi   ci    darai   la   tua   benedizione, 
E    cercheremo   ancor  meglio   il   Levante: 
E   così   disse  Rinaldo  e  Dodone 
E   Ulivicr:  ma   non   v'era  Morgante. 
Vannosi   al   letto  con  questa  intenzione, 
Ch'  avevon  tutti  cenato  davante  : 
E   Caradoro  avea  massimo  onore 
A  tulli  fatto  con  allegro  core. 

XXX  vn 
Morgante   avea  mangiato  quel  che  vuole  ; 
Un    i:ran  castron   che   gli  fu   dato  arrosto  : 
Andossi  prima   al  letto   che   non   suole  : 
Che   com'  e'  disse   fare   era   disposto  : 
Né  prima  in   oriente  appare  il  sole 
L'altra   mattina,   di' e"  si   lieva   tosto: 
Prese  il  battaglio  e  certo  fuoco  io  mauo. 
Ed  avv'iossi  nel  campo  pagano. 

XXXVIII 

I  saracin  trovò  eh'  erano  armati  : 
Ma  pure  il  fuoco  in  un  lato  appiccóe. 
Dov'erano  I   deslrier  sotto  i  frascati; 
Tanto   che   molli   di   quegli   abbrucióe  ; 
Ma  furon  presto  scoperti   gli   agguati  ; 
E   in  mezzo   a  più   di   mille   si   trovóe  : 
E    tulio  il   campo   a  furia   sollevossi: 
Oiinuno   addosso   al    sinanle   ca«ciossi. 


M  0  U  (i  A  N  T  i:      MAGGIORE 


XXXIX 

lil   gli  feciono  inloriio   un   litiolelto, 
Clu"  It)  faranno  ranlare  iji    ledesco  : 
Al  ponte  (li   Parisse  era   in   eirello, 
In  mezzo  a' saracini,  e  slava  fresco; 
Clii   getta  lance  e  chi  sassi  nel  petto  ; 
Pure  al   battaglio  stavano  in  cagnesco  : 
Ma  tanta  gente  a   la  fine  v'  è  corso, 
Che  bisognava  a  Morgante  soccorso. 


E  tuttavia  più  la   turba  s'  affolta  : 
Era  sì  grande  e  si   grosso '1   gigante, 
Ch' ognun  che   getta,  facea  sempre  coUa  ; 
Pur  molti  morti   n'aveva   (lavante: 
Che  clii   toccava   il   battaglio  una  volta, 
Lo  sfracellava   dal  capo  a  le  piante, 
E  spesso   tondo  il   battaglio   girava, 
E   cento  capi  per  aria  balzava. 

xu 
Tanto  che  '1  cerchio  faceva  allargare  ; 
Alcuna  volta  menava  frugoni, 
Che  si  senticn  le  corazze  sfondare, 
E  pesta  loro  i  fegati  e  1  polmoni  : 
Quando  si  sente  arnese  sgretolare, 
E  d' ogni   gamba  farne   due   tronconi  : 
E   grida   e  mugghia  il  gigante  feroce. 
Tanto  eh'  assai   ne  storcìisce   a  la  voce. 

xr.ii 
E  pareva  ogni   volta   che  mugghiava. 
Quando  Cristo,  Quem  <faacritìs?  diceva, 
Ch'ognuno   a  quella   voce  stramazzava: 
E  tanti  morti  dintorno   n'aveva, 
Ch' ognun  discosto  a  la  fine   lanciava, 
E   chi   con   archi,   e  chi   dardi    traeva  : 
Tal  che  Morgante  di  molte  uova  succia 
Per  le  ferite,  e  com' orso:  si  cruccia. 

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Egli  era  come  a   dare  in  un  pagliajo  ; 
E  già  tutto  è  forato  come  un  vaglio  ; 
E  si  volgeva  com'  un   arcolajo 
A' saracin  che  facieno  a  sonaglio; 
E  mai  non   uccideva  men  d'  un  pajo 
Quand'  e'  menava  più  lento  il   battaglio  : 
E  più  di   cinque  mila  n'  avea  morti  ; 
Ma  ricevuti   da  lor  mille   torti. 

XLIV 

Avea  nel  dosso  migliaia  di  zampilli 
Che  gettan  sangue  già  per  le  punture. 
Ch'erano  state  d'altro  che  d'assilli: 
CIiì  dà  percosse  di  masse  e  di   scure. 
Chi  '1  petto  par,  chi  le   gambe   gli   spilli  ; 
Chi  dà  sassate   che  parevon   dure  : 
Era  un  diluvio  la  gente  eh'  è  intorno 
Per  ammazzare  il  gigante  quel  giorno. 

XLV 

E   già  pel  (.ampo  il  romore   è  si  forte, 
Ch' a  la  città  oe  fu   tosto   sentore: 
Le  guardie  eh' eran  lasciate  a  le  porte, 
Cominciorno  a  gridar  con   gran  furore. 
Come  Morgante  era  presso  a   la  morte. 
Diceva   Orlando  ;  Vedrai   bello  errore, 
Che  Manfredoiiio  sarà  iscampato, 
E  questo  matto  ha   il  suo  cauqx»  assaltato. 


XLVI 

Tanto  andata  sarà  la  capra  zoppa, 
Che  si  sarà  ne' lupi  riscontrata: 
Questa  sua  furia   alcuna  volta  è  troppa: 
1*1'  fece  pure  in  ver  pazza  pensata 
D'  ardere  un  campo  come  un  po'  di  sloppa, 
E   come   a'  topi   far  con   la   granata  : 
Ma  il   topo  sarà  egli   in  (juesto  caso 
Al  cacio  ne  la   trappola  rimaso. 

XLvn 
Subito  fece  i  suo'  compagni  armare, 
E   Caradoro   le   sue   genti    tutte. 
Perchè  Morgante  si   possi   aiutare 
Da' saracin   clie   gli   davan   le  frutte; 
Cosi   avvien   clii   pel  fango  vuol   trotlare, 
E  può  di  passo   andar  per  le  vie  asciutte: 
E  fece   a   Vegliantin  la   sella  porre 
Orlando,   che  1   dcstrier  suo   vuol   pur  torre. 

XLVIII 

A  Ulivier  si  fé'  dar  Durlindana, 
Ed   a  lui   dette  Cortana,  e  Rondello: 
E  la  bella  e  gentil  Meridiana 
Ulivier  arma  eh' è '1  suo   damigello: 
Corsono  al  campo  a  la   turba  pagana 
Si  presto  ognun,  che  pareva  un  uccello. 
Morgante  vide  il   soccorso  venire, 
E  col  battaglio  riprese  più  ardire. 

XLIX 

E  cominciava  a  sgridar  que' pagani, 
E  far  balzar  giù  molti   de  la  sella  ; 
E   capi  e  braccia  in   tronco,  e  spaile  e  mani, 
Tocca   e  ritocca  e  risuona  e  martella; 
I  saracini  uccide   come  cani  : 
Un  mezzo  braccio  v'  alzar  le  cervella  ; 
E  sopra   i   corpi  ^portì  si   cacciava 
Adosso  a'jvivi,  e  la  rosta  menava. 

L 

Ed  ogni  volta  levava  la  mosca  ; 
Ma  ne  portava  con  essa  la   gota  ; 
O   dov' e' par  che  bruttura  conosca. 
Sempre  col  pezzo  ne  lieva  la  nuota  : 
L'  aria  pareva  sanguinosa  e  fosca  ^ 
Sì  spesso  par  che  il  gigante  percuota  : 
Balzano  i  pezzi  di  piastre  e  di  maglia 
Come  le  schegge  dintorno  a  chi   taglia. 

LI 

E  spesso  avvenne  eh' un  capo  spicccSc, 
E  poi  quel  capo  ad  un  altro  percosse 
Si   forte,  che  la  testa  gli  spezzóe  ; 
E  morto  cadde  che  più  non  sì  mosse  : 
O  quanti' '1   giorno  a  l'inferno  mandcJe  ! 
Quanti  morti  rimason  per  le  fosse  '. 
E  Manfredonlo   già  s'  è  messo   in  punto 
Con  molta  gente,  e  'n  quella  parte  è  giunto. 

LII 

Da  r  altra  parte   Orlando   è  comparilo, 
E  '1  sir  di  Montalban  tanto   gagliardo. 
Ch'accetta,  prima  eh' uom  facci   lo  'nvilo  ; 
E  fece  un  salto  pigliare  a  Baiardo 
In  mezzo,  dove  il   gigante   è  ferito  : 
Sopra  gli   uoniiu  salti)  sanza  riguardo, 
E  ritrovossi   al   rigoletto  in   mezzo 
De'  saracin   eh'  ornai  faranno  lezzo. 


INI  O  l\  G  A  N  T  K      M  A  G  G  I  O  l\  V\ 


(Jiiaitilii    Morjiaiilo    v«'il«'va   i|iirl    salii», 
Parvo   clic  "1    nior«>   in   aria   si    U-vassf  ; 
("lu"  più  (ti    (liiM-i   brarcia   and«'»  in   aria  allo 
Raiardo,   prima   rlie   in   terra   calasse  : 
Or   qni   roiiiinria   il    terriliiU*   assalto  : 
Itinalilo  prf.-t«)  Frnsberta  sna   trassr, 
(^)tiella   rlie   fesse   il   mostro  «la   1"  inferno, 
Per  far  »le' saracin   rrndo  a<>\i'rno. 


Punte,   rovesci,   tondi,  stramazzoni, 
iMandiritti,   traverse  con  fendenti, 
Certi   stramazzi,   certi   sergozzoni  : 
In    dieci  colpi   n'uccise   ben   venti; 
E  chi  partiva   infin   sotto   a   pli   arcioni  ; 
f.ln  ufmo  al  petto,  e  1  manco  inaino   adenti: 
E  le  budella   balzavan  per   terra  : 
Mai  non   si   vide   tanta   crudel   piierra. 

i.v 
Orlando   nostro   sprona   Vcpliantino  ; 
Giunse   d'  un   urto   Ira  quel  popol   fello, 
Che  più   di   cento  caccia   a  capo   chino  ; 
Poi   cominciava  a   toccare   a  martello  : 
Non   tocca   il  polso  sopra   il   manichino  ; 
Facea   de'  saracin'  come  im   macello  ; 
Ed   avea   detto  :  Non   temer,   Morgante, 
Cesare  è  teco,  ov' è '1  signor  d'Angrante. 

LVl 

Queste  parole  avean   sì  sbigottiti 
I  saracin',  eh*  assai   del  popol  fugge  ; 
E  buon  per  que"  che  son  prima  fuggili; 
Tanto   i   nostri   bacon'  già   ciascun   rugge, 
E   ne   facean    gelatine  e  mc^rlili  : 
A  poco   a   poco   la   turba  si  strugge  : 
E  Ulivicri  e  Dodon  giunti  sono 
Con  romor  grande  che  pareva  un   tuono. 

r,vii 
E  Manfredonio  in  sul   campo  scontrava  : 
La   lancia  abbassa,  che  lo  conosceva  : 
Re  Manfredonio  il   cavallo  spronava, 
E  Ulivierì   a  lo  scudo   giungneva, 
E  "usino   a  la  corazza  lo  passava. 
Tanto  che   tutto  d'  arcion   lo  moveva  : 
E  sì  gran  colpo  fu  quel  che  gli   diede, 
Ch'  Ulivler  nostro  si  trovava  a  piede. 

I.VIU 

Ed  ogni  cosa  Ja   donzella   vide 
Ch'era   venuta  con  sua  gente  al   campo, 
E  fra  sé  stessa  di  tal  colpo  ruJLe-; 
Ulivier  come  un  lion  mena  vampo, 
E  per  dolore  il   cor  se   gli   divide, 
Dicendo  :  Appimto  al  bisogno  qui  inciampo: 
Caduto  son   dirimpetto   a  la    dama, 
Donde  ho  perduto  il  suo   amore  e  la  fama. 

LIX 

Guarda  se  a   tempo  la   trappola  scocca  : 
Non  si  potea  racconsolar  per  nulla  : 
I    Sempre  fortuna  a  le  gran  cose  imbrocca, 
'    E  "n(in   sopra   la  soglia   ci   trastulla: 
Non  domandar  se  questo  il  cor   gli   tocca. 
Per  gentilezza  allor  quella  fanciulla 
Se   gli  accostava,  e  diceva  :  L'Iivieri, 
Rimonta,   vuoi    tu   aiuto  ?  in   sul   destrieri. 


(  ^r    i|ucslo    In    brìi    del    ddjipiu    lo    scorno, 
E    parve    fuoco    la   f.m  ia    vermiglia 
Are'  voluto  morire   in   rpiel    giorno. 
Meridiana  pigliava   la   iiriglia. 
Dicendo  :    Monta,  cavaliere   adorno. 
Or  questo   è   (juel  ch'ogni   co'ia  scompiglia; 
E   jiel    dolor   dubitò  sanza  fallo 
Non   poter  risalir  sopra   al   cavallo. 

I.XI 

Morganle  avea  ogni  cosa   veduto, 
Conrtnivier  dal   gran   re   Manfredonio 
Del    colpo  ile   la   lancia   era   caduto, 
E   la   donzella   vi  fu   testimonio; 
E   disse  :   lo  prò  veri)  come  è  dovuto, 
S'io   gli   potessi   appiccar  questo   conio; 
lo   intendo   d"  Ulivier  far  la   vendetta; 
E   nverso  Manfrcdon  presto  si    getta. 

I.XIl 

Meridiana   che   I    vide   venire, 
Gridava:   Indritto   ritorna,  Morganle; 
E   Manfredonio  correva   assalire 
Per  lar   vendetta  del   suo  caro   amante. 
Morgante  pur  lo  veniva   a   ferire  ; 
E   com' e' giunse,   gridava   il    gigante; 
Tu   sei   qui,  re   di   naibi,  o   di   scacchi? 
Col  mio  battaglio  convien  ch'io  t  ammacclii. 

LXIII 

Disse  la   dama:    La  battaglia   è  mia: 
Se  ci  fossi   al  presente  qui   Orlando, 
Non   mi  faresti   sì  gran   villania  : 
Tirati   a   drielo  ;  io   ti   darò  col   1  rando  : 
Venuto  è  qua   con   la   sua   compa<  nia, 
La   fama   e  "1  regno  di   tormi  cercando. 
Morganle   in    drieto  a   la  fine  pur  torna. 
Per  ubbidir  questa   fanciulla  adorna. 

LXIV 

Trovò  Dodone  in   luogo  mollo  stretto, 
Ch'era   venuto  tra  cattive  mane; 
-   Pur  s'aiutava   questo   giovinetto, 
>E  cominciava   a    dar  mazzate  strane  : 
A  questo  e  quello   spezzava  1'  elmetto  ; 
Tanto   che  gli   elmi  faceva  campane. 
Quando  egli  assaggian  di  quel  suo  picciuolo. 
Ma  dà  di  sopra  come  a  1"  orinolo.     "^ 

LXV 

E  rimaneva   il   segno  ov'  e'  percuote  : 
Quanti   ne   tocca   il   baltaglio  feroce, 
Non   si  ponea  più  le  mani   a  le   gote, 
Che  ne  facea  coni'  e'  fosse  una  noce: 
Alcuna  volta  facea  certe  mole; 
eh'  a  più  di  sette  domava  la   voce  : 
Com'un  nocciol  di  pe>ca   ogni  ebno  stiaccia, 
E  fa  balzar  giù  capi   e   spalle  e  braccia. 

LXVI 

E  rimesse  Dodon  sopra  il  destrieri  : 
Dodon    gridava   al   popol  soriano  : 
Io  ne  farò  vendetta  e  d'  oggi   e  d"  ieri. 
Quando   impiccar  mi   volea  quel   villano. 
In  questo   tempo  il  famoso  L'Iivieri 
Exa  pel  campo  con  la  spada  in  mano  ; 
E   dove   Manfredon   combatte,   arriva 
Con   la    donzella   iloriila   e   siuliva. 


M  O  R  (i  A  N  T  K     AT  A  G  O  I  O  1\  K 


88 


UBI 


Un'ora  o  più   <^()inhar(i)l(;  qtir.-tf  Iianno, 
E   non   si    voile   de' (•i>l|)i   vaiila;;jiio  ; 
l'Iivier   tulio  arrossì,  rome  f;im>o 
Gli   amanti  presso   a    b   dama,   il   visajrgio  ; 
E  disse  :  Dania,   iroo   il  ilar  pio  adanno  : 
Lascia   pnr  me   vendicare  il   mio  oltra}^gio; 
Io  vorrei  esser  morto  veramente, 
Quand'  io  cascai,  che   tu  v'  eri  presente. 

LXVIIf 

A  la  mia  vita  non   caddi   ancor  mai  ; 
Ma  ogni   cosa  vnol   coinincianu'nlo. 
Disse  la   dama  :   Tn  ricascherai, 
Se   tn   combatti  cento   volte   e   cento; 
E  sempre  avvenir  questo  troverai 
A  cavalier,   che  sia   di   valinicnto: 
Usanza  è  in    guerra  cader  del   destriere  ; 
Ma  chi  si  fugge  non  suol  mai  cadere. 

LXIX 

Jo  vo' con  ManTredon    tu  mi   consenti 
Che  la  battaglia  mia   sia  in  ogni  modo, 
Per  vendicar  non   un'  ingiuria   o   venti, 
Ma  mille   e  mille,   e  che  paghi   ogni  frodo. 
Disse  Ulivier  :   Se   cosi   ti   contenti. 
Che  poss'  io  dir?  se  non  ch'io  affermo  e  loiio. 
Re  Manfredon,  ciie   le  parole  inlese, 
In  questo  modo  parlava  al  Marchese. 

txx 
Per  Dio  li  prego,  baron  d'alia  fama, 
Tu  lasci  me  come  amante  fedele 
Perdere  insieme  e  la  vita  e  la   dama, 
Che  così  vuol  la  fortuna   crudele  : 
Cercato   ho  quel   che  cercar  suol  chi  ama; 
Trovato   ho  losco  per  zucchero  e  mele  ; 
E  poi   che  la  mia  n.orle  ognun   la   vuole, 
Per  le  sue  man  morie  non  me  ne  duole. 

I.XXI 

So  eh  io  non   tornerò  più   nel  mio  regno 
So  che  mai   più   non  rivedrò  Sona  ; 
So  ch'ogni  fato  m' avea    prima  a  sdegno; 
So  che  fia  morta  la  mia   compagnia  ; 
So  ch'io  non  ero  di    tal   donna  degno  ; 
So  eh'  aver  non   si  può   ciò  ci)'  noni   desia; 
So   che  per  forza   di   volerla   ho  il   Iorio  ; 
So  die  sempre,  ov' io  sia,  l'amerò  morto. 

LXXII 

Non  potè  far  Meridiana   allora, 
Che   del  suo  amante  pur  non   gl'increscessi, 
E  disse  :  Così   va   clii  s"  innamora  : 
Se  mille  voTie   uccider  lo  potessi. 
Perle  mie  man  non  piaccia  a  Dio  che  mora. 
Quantunque  a  morie  si   danni  egli  slessi  : 
E  pianse  ;  sì   di  Manfredon   gli   dolse, 
Ch   essere  ingrata  a   tanto  amor  non  volse. 

LXXUI 

E  ricordossi  ben   che   combal tendo 
L'  aveva  molle  volle  riuiuardala; 
Dicea  fra  sé:   Perchè  d'ira  m'accendo 
Contro  a  costiu",  perdiè  son   sì  spiri. da  ? 
Ciò  che  fatto  ha  com'Io  pur  veggo  e   iilendo: 
E  per  avermi  lungo   tempo    amata  : 
Non  fu  lodata  mai   d'  esser  crudele 
Alcuna  donna  al  suo  amante  fedele. 


Questo   non    vtn)l  j>er  certo   il   nostro  Dio. 
Non  sa  ])iù   che  si   far  Meridiana, 
K   disse:    Manfredon,   se   il    Ino   dexio 
r.  di  morir,   non   voglio   esser  villana  : 
Se    tu    facessi   ]>el    consiglio   mio. 
Per  salvar   te   con   tua   gente  pagana, 
Tu  soneresti  a  raccolta   col   corno, 
E  in  oriente  faresti  ritorno. 

i.xxv 
Poi  rlie  non  piare  al  tuo  fero  des|tr>o. 
Ch'io   sia  pnr   tua    rome  tu  brami   e    vuogli. 
Perchè  pu:;nar  pnr   contro  al  Ino  A|)ollino:' 
Fo  veggo   il    legno   tue»   fra   mille   scogli  : 
Tornati   col   Ino  popol   Saracino, 
E  'I   nodo  «lei    liu>  amor  per  forza  sciogli. 
A    questo   Manfredon   rispose   forte  ; 
Non   Io  sciorrà    per  forza   altro  cìie  morte. 

r.xxvr 
AHor  segni   fa   donzella  più  avanle  : 
O  Manfredon,   di    te  m' inrresce  assai  ; 
E   diegli   un  prezioso  e   bel   diamante  : 
Per  Io  mio  amor,   dicea,  questo   terrai 
Per  ricordanza   del   Ino   amor  costante  : 
E  pel   consiglio  mio   Ir  partirai  : 
E  se   tu  srampi  e  salvi   le   tue  squadre, 
D'accordo  ancor  mi  ti  darà  mfo  padre.  {{',1 

LXXV/I 

Ogni   cosa  si  placa   con   dolcezza; 
E  clii  per  forza   vuol   tirar  pur  1'  arco. 
Benché  sia   Sorian^  sai   che   si   spezza  : 
Oiini   rosa  conduce  il   tempo   al   varco  : 
E   priego    te  per  la   tua   gentilezza, 
Che   tu  comporti   ogni    amoroso   incarco, 
E   sia   contento   di   qui  far  partita, 
E  in   ogni  modo  conservar  la  vita, 

LXXVIII 

La   dipartenza,  perdi'  e'  non   ci  avanza 
Tempo,   qli'  io   veggo  morir  la   tua    gente. 
Tra  noi   sia  fatta  ;   e  questo  sia  abbastanza, 
Poi   che  più   oltre  il   ciel  non   ci  consente  ; 
E  quel   gioiel    terrai  per  ricordanza, 
(  h' io   t'ho  donalo,   sempre  in   oriente: 
E  se  fortuna   e 'l   ciel   t'ha  pure  a   sdegno; 
Aspetta  tempo  e  miglior  falò  e  segno. 

LXXIX 

Quest'ultima  parola   al   cor  s'affisse 
A  Manfredonio,   udendo   la   donzella. 
Che  mai  più  fermo  in   diaspro  si  scrisse  : 
Volea  parl^ire,  e  manca   la  favella  ; 
IMa  finalmente  pnr  piangendo  disse  : 
Aspetta   tempo   e  miglior  fato  e  stella. 
Poi   ch'ai  ciel  piare,   e  tornali  in  Sorta. 
Quanto  son   vinto   da  tal  cortesia  ! 

LXXX 

Quando  sarà  quel   dì,  quando  fìa  questo? 
Or  quel   che   non   si  può  voler  non  deiigio  ; 
Io   tornerò  y>er  non   l'esser  molesto: 
Ricordali    di   me,   eh'  altro   non   chieas;io  ; 
Col  popol   mio,  con  quel  che  e'  è  di  resto, 
Che  mfdti  morti   pel   campo  ne   veggio, 
V:  Ritornerò  sanza  speranza   alcuna 
Nel   regno  mio,   se   rosi   vuol  fortuna. 


AI  O  U  a  A  N  T  K     ÌM  A  (i  (1  I  O  U  K 


I.XXXI 
K    poi"    tuo    aiuor    l«'ii«'i    i[iu'>.|4»    ^ioii'llu  : 
Qnc5l(»    ^«'nijii'c    sarà   j)rt's.>'0   :il    ii.in    curi'  ; 
S'io    Ilo   perr.ilo,    lasso  nirsrliiiirllo, 
(loiilro   al  Ino  |>a(lrr,  rtinlro   al  iiiiit  signore, 
Incoljianc   colui,    fli'' «'   sialo   r|iu-llo 
r.lii'   m'Ita  toikIoIIo   «ln\i*   vuol»-,   anioxtJ 
l\   in   Oiini   modo   a    lo   iliiopuio  ji«'i-ìtonr>*, 
11    vÌmt   jior    Ino    aiimi-   roiiloiiU)   .•.«mo. 

J  XNXII 

V.   poi   si    volse    al   iiiarcliose    l'livi<'ri, 
V.   rliio.so   a   Ini   porilon    ilol    ratliinoiilo  : 
lIli\ior    ali    perilona    \olonliori, 
(Ah-   liei   suo   ilijiarlir    Irojipo    ò   rnnlonlo, 
roi<h\'ran   «Ine    }iran    <ilii<(lli    a   un  t^ii^liori, 
Ed    era   stalo   a    le    parole   atlonlo 
(;iie   detto   avea   Meridiana   a  qnello 
K   ronleniiato,   e  ])oslovi   il   sn}:{:ello. 

I  xxxm 
K  ]>oi   «■li"»*<ili   eldie    laurininto   alqtianlo 
Re    ManiVedonio,   al   fin    s'  arrominialava  ; 
1'.    la    don/olla   con    sospiri    e   pianto, 
AiKlio   dicendo,   la   man    ^ii    toccava  : 
K    dei    j)ensar  jc   si   raNorno    il    ^tianlo. 
l'Iivior  presto    Orlando   ritrovava, 
K   dicoa   ciò   cir  e{i,li    a%ea   lorjno   e   salilo: 
l'I   molto  ])iarqiie   ad    Orlando   e   Rinaldo. 


LXXXIV 

A'enne    per   «  aso   «piivi   Caradoro, 
M    intese    come    T  aciuido   era  faltt). 
JMorjianlf    insieme   vejijirndii   cos|or<», 
hiM'iso    lor   col    liatla{ili«t   era    tratto, 
I''.   ipiel    clic    (ns^e    saper   vnol    da    loro  ; 
Ma    col    lialta|ilit>   non   ilava   di   |iia(to. 
Orlando   «lisse  :    N«)n   far  jiiii,    Morfianle  : 
Alior   ])iii    iorte   «ondiatle    il  (ridante. 

J.xxw 
Re   Manfredonio  e   la   sua    compagnia 
Contento   è   di   lasciar   Meridiana, 
J)iceva    Orlando,   e    tornarsi   in    Sori'n. 
Mor^^ante    allora   il   Latla^ilio   (•iii   spiana, 
E   disse  :   Orlando,   onesta   eia   tra   via; 
E   dette   a   imo   una  ])iccliiata   strana  : 
l'n   altro  ammacca  die  ]iarve  di  cera  ; 
Ed  anco  questo  ne' palli  non  era. 

I,XXX>1 

Orlando    «lisse  :    Il    baltaf^li»»    cin   posa  ; 
Assai    morti   n'  aliliiam   ]»«r   «jiiesto   t:,iorn«>. 
Re   Wanfrodon    sua    f^ente   dolorosa 
Per   tnttij   il   campo   rapuna   col   corno  ; 
E    c«)sì   la   l)atta{:lia  san£;ninosa 
A   questo  modo  quel    di    terminorno, 
T-ome   ne    1  altro   dir  seniiir«)  i)«)i. 
Cristo   vi   guardi,   e  sia  sempre  con   voi. 


CArSTO  Ylll 


ARGOMENTO 


-J>i>^@^4?- 


IVI  cridiana  si  battezza^  e  gode 
Col  Ttiarc/icsc   Ulìvlcr  d''  ainor»  il  frutto. 
Ordisce   Orbano  una   norrlhi   frode, 
Per  cui  non  è.  in  l'arici  un  occhio  asciutfo. 
Dui  campo  d'  Enninionc   il  frn^or  ode 
Carlo   d'  armale  ^cnti^   e   a   tal  ridutto 
De'  paladini  e   cinschedttn   campione, 
Che   sonza   birri   van   tutti  in  prigione. 


->->^©4-S^- 


'  erjiine   santa,   madre  «li   Gesiie, 
Ma«lre   di    tutti    i   miseri   mortali, 
i'er  cui   salvala   nostra  j)role  fue, 
Perclìè   Ui   ci   ami    lauto   e   tanto   vali; 


Donami  grazia  e   tanfo  di  virine, 
Ciri'nii  ritorni   a' Laron' nostri,  i  quali 
Ne  la   città   tornar  volevan   drente; 
E  Manfredon  ne  va  poco  contento. 

II 
Anzi   cliiamava   morte   a   ocni   passo. 
Dicendo:    Oinè,   quanto   pensai   felice 
Esser  per   te,  Meridiana,  ahi   lasso, 
Ch'io   t' lio  lassata   or  misero  e 'nfclice  ! 
Arehhe   fatto   lacrimare  un   sasso 
Per  le  parole,   che   talvolta   dice  ; 
E   tuttavia   la   p,ente  rassettava, 
E  'nverso  ii  suo  cammin   tristo  n'  andava. 

Ili 
Or   chi   avesse   il    gran  pianto   veduto, 
Che   nel    suo   dipartir  fa  la   sua   cenlei 
Certo  vch' assai   aliene   saria   incres«iulo  ; 
Chi  morto   il   padre   lascia,   e  chi  '1  parente, 
E  così  morlo  T  ha  riconosciuto. 
Onde  piangea   «li   lui   miseramente: 
Chi  M   suo  fratello,  e  chi   l'amico   abbraccia, 
Chi  si   percuote  il  petto,  e  chi   la  faccia. 


MORGAN  T  i:     INI  A  G  G  1  O  R  E 


riravi   alriiti  che  cavava  T  elmetto 
AI  suo  fijiliiiol,  al  suo  cognato  o  padre, 
Poi   lo  baciava  con  pietoso  affetto, 
E   tlicea  :  La'^so,  fra  le   nostre  squadre 
Non   toraer.ii   in  Sona  piti,  poveretto  '. 
Collie  direni   noi   a   la   tua  afflitta  madre 
O  (Ili  sarà  piti  quel  die  la   conforti  ? 
Tu  li   riman   con   gli   altri   al  campo    morti. 

V 

Altri  dicean  pel  cammin  cavalcando: 
Non  si  dovea  tanta   gente  pagana 
Menar  per«>  così  qua   tapinando  : 
Certo  non  era  la  dama  sovrana 
Di   tanto  prezzo,  quant'or  vien   costando: 
Or  hai   tu,  Manfredon,  Meridiana? 
Or  se  ne  va  la  tua  gente  sbandita, 
E  mancò  poco  a  lasciar  qui  la  vita. 

VI 

Teco  menasti   tutta  Pagania, 
Come  tu  andassi  per  Elena  a  Troja^ 
CJra  liai   tu  fatta  la  tua  voglia  ria, 
E  se'cagìon  che  tanta  gente  muoja. 
E  cosi  Manfredon  ne  va  in  Sorta 
Afflitto  sconsolato  in  pianto  e  in  noja  : 
Così  chi  segue  ogni   sfrenata   voglia. 
Lasciando  la  ragion,  sente  al  fin  doglia. 

VII 

Orlando  con  Rinaldo  e  Ulivieri 
Si  ritornorno,  e  Dodone  e  Morgante 
Con  Caradoro   e   tutti   i   cavalieri, 
Con  le  bandiere  al  vento  trionfante: 
Gran  festa  è  fatta   a'  Cristian'  battaglieri 
Da   tutto  quanto  il  popolo   africante  ; 
Suonansi   corni   e  trombette   e   tamburi  ; 
Fanuosi  fuochi   e  balli   sopra   i  muri. 

vili 
Essendo  molti  giorni  riposati. 
La  damigella  nn  dì  chiama  il  Marchese  : 
In  una  cameretta  sono  andati  : 
E  poi  che  tutta  nel  viso  s'  accese, 
E  i  suoi   sospir'  tutti   ha  manifestali  ; 
Priega  eh'  a  lei  sia  cavalier  cortese, 
E  che  "1  suo  amor  negar  non  debbi  a  quella. 
Che  nel  suo  cor  sentia  mille  quadrella. 

IX 

IMivier  dice  :  Non  farò  per  certo. 
Perchè  se' saracina,  io  son   cristiano: 
Dal  nostro  Iddio  so  eh'  io  sarei  diserto  : 
Prima  m'uccidi  qui   con  la  tua  mano. 
Ella  rispose  :    Stu  mi  mostri   aperto 
Che  '1  nostro  Macometto  Iddio  sia  vano. 
Io  mi  battezzerò  per  lo   Uio_  amore, 
Perchè  tu  sia  poi  sempre  il  mio  signore. 

X 

Ulivier  disse  de  la  Trinitate, 
Com'  era  una  sustanzia  e   tre  persone. 
Di  lor  potenzia  e  di  lor  dcitate, 
E  poi   gli  fece  una  comparazione  : 
Se   d'  esser  uno  e   tre  pur  dubitale, 
Si   mostra  per  esemplo,   e  per  ragione, 
Cir  una  candela  accesa   mille   accende, 
E  '1  lume  suo  pure  a  1'  usalo  rende. 


De'  miracoli    falli   disse   al   mondo, 
l'^    come   Lazzar   già    risuscitasse; 
Com'  e'  fu  crucifisso   e   nel   profondo 
Del   Limbo  a   trar  moli'  anime   n'  andasse. 
Disse  la   dama  :   Piti   non    ti   rispondo  ; 
E  fu  contenta   che   la   battezzasse: 
E   dopo  a  questo   vennono  a   la  cresima. 
Tanto  che  in  fine  e'  ruppon  la  quaresima. 

XII 

Pili   e  pili   volte  questa   danza   mena 
Ulivier  nostro  pur  celalamenle  : 
Non  si  ricorda  piti  di   Forisena, 
Che  la  soleva   aver  sempre  a  la  mente: 
E  la  fanciulla  leggiadra   e  serena 
Ingravidala   è  di   lui   finalmente  : 
E  narquene  un  figliuol,  dice  la  storia. 
Che  dette  a  Carlo  Man  poi  gran  vittoria. 

XIII 

Uscendo  «n   dì  d'  una  zambra  la  dama, 
Rinaldo  s'  accorgea  di   questo  fatto, 
E   Ulivier  segretamente   chiama: 
Che  fai   tu  ?  disse  ;  tu  mi  pari   un  matto. 
Ulivier  gli  contò   tutta  la   trama, 
Com' ella   è  battezzala,  e   con   che  patto. 
Rinaldo  disse  :    Se   cristiana  è   certa. 
Fa  che  la  cosa  almen  vadi  coperta. 

XIV 

Or  lasciamo  Ulivier  fornir  la  danza, 
E  riposarsi  alquanto,  e  gli   altri  ancora, 
E  ritorniamo  al  signor  di  Maganza 
Gan  da  Pontier,  che  non  si  posa  un'  ora  : 
Avuta  avea  del  suo  messo   certanza. 
Come  impiccato  fu  sanza  dimora 
Da   Carador  ;   onde  n'ha   gran   tormento, 
E  pensa  pur  qualch'  altro  tradimento. 

XV 

E  percir  egli  era  maestro  perfetto, 
Si  ricordò  d'un   gran   re  Saracino, 
Lo  quale  Erminion  per  nome   è  dello, 
Nimico   di   Rinaldo  paladino  ; 
Perchè  Rinaldo   gli  fé' già  dispetto, 
Quando   dette  la  morte   al  re  Mambrino  ; 
Perch'  egli   avea   per  moglie   la   sorella, 
Della  dama  Clemenzia  savia  e  bella. 

XVI 

Avea  più  tempo  questa  donna  eletta, 
Come  fanno *le  mogli   col   marito, 
Pregato  che  far  debba  la   vendetta. 
Erminion  non   1' avea  consentito. 
Come  colui  che  luogo  e  tempo  aspella, 
Siccome  savio,  a  pigliar   tal  partito; 
Gan   da  Pontier  avea  per  alfabeto 
Ogni  trattato  palese  e  segreto. 

XVII 

E  dov'è' possa  seminar  discordia. 
Noi  rilenea  pietà  né  coscienzia, 
Che  lo  facea  sanza  misericordia  ; 
Sapea   il  pensier  de   la  dama   Clemenzia  ; 
E  scrisse  nn   brieve  ;    e  «lopo  lunga  esordia, 
Gli   ricordò   l'oltraggio   e  violcnzia 
Del  buon  Rinaldo  :  e  che  non  debba  starsi, 
Però  eh'  egli  era  il   tempo  a  vendicarsi. 


M  O  I\  (,  A  N  T  K      INI  A  (>  (,  I  O  R  E 


XVIII 

A   te,   Krniiiiion   ili   pran  polt-rp, 
li   conte   G.1II  mille  saluti   niaii<l.i, 
Sempre  parato   ad  opiii   tuo  piacere, 
K   uniiliiiente   a   te   51   rarroniaiKla  : 
(".redo   tii  debili   ocni  rosa  sapere, 
Dove  liìnaldo   si    Iriiovi   e  'n   qiial  banda, 
y.   com"  epli   è   <-bande;;j;iatO    di    corte, 
E   dette  al  re  Manibriii  pur  già  la  morte. 

XIX 

Pel  mondo  va   coin'un   ladron  di  strada  : 
Orlando  è  seco  e  Dodon  per  ventura  ; 
Ed   Ulivier  con  lui  credo  ancor  vada: 
Non    li   bisogna   aver  di   lor  paura: 
Lascia  il    tuo  regno  ed  ogni   tiia~contrada  : 
A   Montalban   te  ne  vieni   a  le  mura  : 
Alardo   e  Ricciardetto   v'  è  a   guardarlo  ; 
E   non  polre'piii  in  odio  aver^^li  Carlo. 

XX 

Se  tu'vien^presto  col   tuo  assembramento, 
In  ])oet)   tempo   so  che   1  piglierai  : 
Gente  non  v'  è  né  vettovaglia  drento  ; 
E  in  questo  modo    ti   vendicherai  ; 
Però   che  fu  pur  troppo   tradimento, 
Ucciderlo  nel  modo   che   tu  sai  : 

10  te  lo  scrivo  per  antico  amore  ; 

E  so  che  vuole  il  nostro  imperadore^ 

XXI 

E'  si   vorrebbe  dinanzi  levare 
Tutti  que'  de  la  casa  di   Chiarmonle  ; 
Ma   con  suo   onor  non   l'ha  potuto  fare: 
Ora  ha  sbandilo   Rinaldo   col  conte 
Per  fargli   sol,   se  può,  mal   capitare  : 
E   se   tu  vien  con  le   tue   genti   a  fronte, 
Carlo  sarà  giustificalo  in   tutto, 
Che  per  tua  man  Montalban  fie  distrutto. 

XXII 

La  lettera  suggella  e  manda  il  messo. 
Che   non   debba  posar  notte   né   giorno  ; 
E   se  farà  suo  debito,  ha  promesso 
Cento  talenti   Gan   nel  suo  ritorno. 

11  messaggier  vuol  far  quel   eh' è   interesso; 
Subito   tolse   la   taschetla   e  "1  corno  ; 

E  dopo  lungo  e  spiacevol  cammino 
Si  rappresenta  al  gran  re  Saracino. 

XXIII 

Erminione  a   questo  pose  orecchio, 
E   tutte  le  ragion'  gli   son  capace,  '^■ 

Benché  conosca   Gan   tradilor  vecchio: 
Dama  Clemenzia  questo  assai   gli  piace  : 
E  finalmente  feciono   apparecchio 
Di   gente  franca  saracioa   audace: 
Ben  centomila  sotto  un  gonfalone 
In  poco  tempo  accozza  Erminione. 

XXIV 

E  poi   che   tutti  furono  assembrati. 
Con   trentamila   giunse  un   ammirante, 
E   d'  archi  soriani  erano   armali, 
E  per  nome  si   chiama  L|onfanle  : 
Avea  per  arme   due   lion   dorali 
Nel  campo  azzurro,  e  ciascun  par  rampante: 
Era  venuto  sanza   aver  richiesta; 
E   molto  Erminion   ne  fece  festa. 


Ed   arrecosfi   in   buono  augurio  e  segno 
La   sua   venuta,   e  quella   gente  franca  ; 
L    arme    d'  Erminion   famoso   e   degno 
Nel   campo  rosso  era   un' a(|uila   bianca; 
Salvo  eli'  aveva   nn   altro  contrassegno, 
Una   rosetta   sopra   1'  alia  manca  : 
E   Kieramonte  suo  fratello  adorno 
Appella   Erminione  e  Salincorno. 

XXVI 

E  disse   a  Salincorno  :   Tu  verrai 
In  FraiH  ia  bella  ;   e  tu,  mio  Fieraiiionle, 
La  mia  corona  in  testa  serberai  ; 
Tanto  mi  fido  a  le  virtù   tue  pronte  : 
Né  mai   del  regno   ti   dipartirai. 
Fin   che  passare  in  (|ua  mi  vedrai  '1  monte: 
A   le   confido  lutto  il  mio  reame  ; 
E  la  {giustizia  fa  eh'  osservi  ed  ame. 

XXVII 

Dama   Clemenzia  d'  allegrezza  ha  pieno 
li   core;   e  fece   al  messaggier  di   Gano 
Nel   suo  partir  donare  un  jialafreno  : 
Cento   bisanti  poi   gli   pose   in  mano: 
E   d'  un   bel   drappo  splendido  e  sereno     -^ 
Gli   dette  un  ricco   e   gentil  caffettano  ; 
E  disse  :  Questo  per  mio  amor  ne  porla  : 
Saluta  Gan  mille  volle  e  conforta. 

XXVIII 

Erminion   gli  fé'  donare  ancora 
Molte  cose  leggiadre  a  la  moresca; 
11  messaggier  parli  sanza*  dimora 
Con  la  risposta,  e  non  par  che  gl'incresca: 
La  qual  risposta   Ganellon  rincora. 
Come  il  nocciolo  ara  tosto  la  pesca, 
E  come  cento  trentamila  avea 
Di   cavalieri,  e  come  e'  si  movea. 

XXIX 

In  pochi   di'  ritornò  il  messaggieri, 
Ed  al  suo  Ganellon  si  rappresenta  : 
Gan  la  risposta  lesse  volentieri, 
Quando  sentì  di   centomila  e   trenta: 
Disse  il  messaggio  :  O  signor   da   Pontieri, 
Di  quel  elle  m'  hai  promesso  or  mi  contenta: 
Erminion  non  vuol  di  lui  mi  lagni, 
E  mostrò   i  don  eh'  ha  ricevuti  magni. 

XXX 

Gan   gli   donò  quel  che  promesso  avea  ; 
E   tutto  pien   d'allegrezza  era  quello; 
A  3Iontalbario  a   Guicriardo  scrivea. 
Che  ne  veniva   Orlando  e  '1  suo  fratello  : 
E  presto  sarà  in  Francia  :  e  ciò  farea 
Per   certa  astuzia  il  maladetto   e  fello. 
Perché   tenessUna   terra   e   le  mura 
Più  sprovvedute,  e  stieu  sanza  paura. 

XXXI 

Intanto  Erminion  si  mette  in  punto  : 
Apparecchiò  naviliì  in   quanlitate; 
E  com'  e'  vide  il  vento  per  lui   giunto. 
Subito  furon  le  vele   gonfiate  ; 
E  giorno  e  notte  non  si  posa  punto  : 
Le  navi  a  salvamento  son  giostrate  ; 
E  in  pochi   di  questa  brigala  magna 
Si  ritrovava  ne' porti  di   Spagna. 


M  O  1\  r,  A  N  T  E     ]M  A  G  CV  I  O  W  K 


XXXII 

Fh  la  novella  subilo  a   Marsilio, 
Come   in  Ispagna   è  veimla   ttraii    •;eiilc  : 
Maravi^liossi  «li  fjiieslo  navilio, 
E  cominciava  a   temer  forlemenle: 
Kl)l>c  oonsiplio,    e   tulio  il   suo  concilio  ; 
K  iiiaiida   imbasceria  siibitamentt', 
Clie  lo   «lebba  avvisare    l'^nniiiioiie, 
De  la  venuta  sua  che  sia  cagloae. 

xxxui 
Erminion  rispose  come  saggio, 
Che  inverso  Francia  con   sua  genie  andava 
Per  vendicarsi   d'  un   antico  oltraggio, 
E  come   il  passo  sol   gli   domandava, 
Ch' a' suoi  paesi  non  faria  dannaggio. 
Marsilio  ne  V  impresa  il  confortava  ; 
E  ])reslo  fu  avvisalo  Carlo  Mano, 
Com' e' passava  gran  popol  pagano. 

XXXIV 

Carlo  sentendo  si  fatta  novella, 
Non  ebbe  a  la   sua  vita  un   tal   dolore  ; 
Turpino  e  Namo  e  Salamone   appella, 
E  raccontava  del   fallo  il   tenore, 
Dicendo:   Orlando  non  sarà  qui   in   sella  ; 
Non   e  è  Rinaldo  ;  ond'e'mi    triema   il  core, 
Né  Ulivieri   il   nostro  paladino  : 
Che  farem  noi,  o  Namo,    o  mio  Turpino  ? 

XXXV 

Or  si  conosce  il  mio  nipote  caro  ; 
Or  si   conosce  Rinaldo  e  "1  Marchese  : 
Turpino  e  gli  altri- insieme  s' accordato. 
Che  si  dovesse  stare  a  le  difese  : 
In  questo  modo  Carlo  confortato  ; 
Namo  per  tulli    le  parale  prese. 
Dicendo  :  Le   città   difenderemo  ; 
E  intanto  aiuto  al  papa  chiederemo. 

XXXVI 

Per  tutta  Francia  fecion  provvedere 
Le  città  le  fortezze  e   le  caslelle  ; 
E   ordinorno  mandar  messaga;icre 
yVI   papa,    a   dir  le   cattive   novelle  : 
Intanto  Erminion   con  sue   bandiere 
Presso   a   Parigi  son  sopra   le  sfelle  ; 
E  fan   tremare  il   monte  e  la  pianura, 
E   tulio  il  regno  sta  con   gran  paura. 

XXXVII 

E  pel  paese  trascorrendo  vanno, 
Rubando   ardendo  e  pigliando  prigioni  ; 
E  mettono  ogni   cosa   a  saccomanno: 
Dove  e'  s^  abballon  questi   mascalzoni, 
In   ogni  parte  facevan   gran   danno. 
Erminion  fra  lutti  i  suoi   baroni 
Elesse  Lionfanle,  che  ponesse 
Il   campo  a  Monlalbano,  e  intorno  stesse, 

XXXVIII 

E  lui  si  stelle  con  sua   gente  al  piano 
Appresso  a  poche  leghe   di    Parigi; 
E  manda  imbasciadore  a   Carlo   Mano 
A  dir  che   gli.  niovea   questi   litigi 
Per  vendicar  Mambrin   degno  pagano, 
E  ^lontalban  disfare   e   San  Dionigi  : 
E  Mallafolle  fu  suo  imbasciadore, 
Va  re  pagan  che  non  gli   triema   il   «ore. 


XXXIX 

Oiugiiendo  a  Carlo  Man   quel   Mattahdlf , 
l'\''  come    matto   e^olle    ver.unente, 
Che   qiianìTo  egli  ebbe    dello  quel  die  vollf, 
lil'' cominciò   a    minacciarlo    aspramente. 
.Carlo  pur  rispondea   timido  e  molle  : 
Astolfo   a   «jueslo  non   fu  paziente  ; 
Trasse    la  spada    fuor   con    gran    tempesta, 
Per  dare  a   Maltaltdlc  in  su  la   lesta. 


Ma   non  potè,  perclu':   lo  prese  Namo, 
E   disse  :  _L'  onestà  questo  non    vuole, 
Cir  a 'mbasclador  oltraggio  noi  facciamo: 
Lascialo  far,  che  fa   come  far  suole, 
Sì  che  al  suo   re   non   ne  faccia  richiamo. 
Mallafolle    tagliava    le   parole, 
E   disse:   .Vstolfo,   in   sul   catnpo   ti    voglio; 
E  forse  abbasserò  questo  tuo   orgoglio. 

xr.i 
E   dipattissi    da   Catlo  aditalo. 
Benché  il   Dusmano   si   scusasse  assai  : 
Al    prrande   Erminion  si   fu   tornato, 
E   disse  :   La  'mbasciala   tua   coniai  ; 
E  molto  fui   da   Astolfo  ingiuriato; 
Ond'  io  li  priego,   se   li  piacqui   mai. 
Che   domattina  sia  contento  io  m'  armi  ; 
E  vo'  con   lutti  i  paladin'  provarmi. 

XI.Tl 

Rispose  Erminion  :   Tu  non   sai   bene 
Ancor  chi  sieno  i  paladin   di   Francia  : 
E  per  questa  cagion    sì  spesso   avviene, 
Glie  molti   n'hanno  forala   la  pancia: 
Sappi   che   Carlo  Man   questi    non   tiene, 
Se  non  fussino  ognun  provata   lancia  : 
Tu   ti  potrai   provar,    se   n'  hai  pur  voglia  ; 
Ma   guarda  ben  che  mal  non  te  n'  incoglia. 

XMII 

E  se  non   v' è  Rinaldo   e   Ulivieri, 
E  se  non  v'  è  Orlando   tanto  forte, 
E'  v'  è   quel   valoroso   e  franco   Uggieri, 
Ch   a   tanti  saracin   già  dato  ha   morte  ; 
E  quel  famoso  e   degno  Berlin^hieri  ; 
Ottone,  e   tanti   altri   baroni  in   corte  ; 
Per  mio  consiglio  al  campo   ti  starai  : 
Pur  se   ti  piace  a  tuo  modo  farai. 

xr.iv 
Astolfo  in  quella  notte  cavalcóe 
Inverso  Monlalban    tutto  soletto  : 
Perdi' e' non   v' è  Rinaldo,  diibili'te 
D' Alardo,   d}   Guicciardo   e   Ri»  (  iardeUo  ; 
Ma   giunto  ov' era   il   campo  risconlróe 
Certi  pagani   e  fu  preso  in   elTetto, 
E  fu  menato  preso   a  T^ammirante, 
Ch'  era  chiamato  il  fiero  Lionfanle. 

XI.V 

Lionfanle  comincia  a   dimandare 
Di   Carlo,   di  5na   gente  e  sua  possanza, 
E  la  cagion   che  vcngon  per  guastare 
Montalban,   come    tosto   avea   speranza  : 
Diee,  che  voglion   Mambrin   vendicare, 
l'erdiè   Rinaldo   le"  lro|>pa  fallanza 
A   traditi. eiklo  mvider  qivel  signore, 
E  mancò  troj»po  al   suo  parer  d'  onore. 


MOI\  (r  \  N  T  K     M  A  (tG  lOK  K 


E  «"ho  per  questo  faria   l.inla   jiMrrra, 
Pfr   vcinlic.ir   (mrs<o   prciMlo   aiiliro. 
A   lui   ri^pM<e   il   sif'nur   d"  lu^liillrrra  : 
Asrolla,   Liouf.intP,   quel    rli' io   dico: 
Pel   mio   (iesìi,  rlic   tlii   «lire  rio,  erra; 
Perdi'  e'  V  iicrii.e  come   suo   nituico 
A  corpo   a   «orpo,   e  sanza   Iradimenlo  ; 
E  non  vi   Tu   ililoll»»  o  mancamento^ 

XI.  VII 

E  racronlù  |«  rosa  in   tal  maniera, 
Che  Lionfanle  roslò  pazienle, 
E  disse  :  Poi  eli'  io  so  la   storia  vera, 
Per  mia  fé  ora   eli' io  ne  son  dolente 
Aver  condotta  qua   la  mia  bandiera: 
Esser  vorrei  'n  Sona  con  questa  dente  ; 
Che  poi   eh' a   trailimento  e' non  fu  morto, 
Erniinion,  per  Maconielto,  ha  il  torto. 

LXVIII 

Io  conobbi  Rinaldo  già  in  Ispapna  ; 
E  per  mia  fé  mi  parve  un  noni   penlile, 
Da  non   dovere   aver  questa  magagna 
Di   far  con   tradimento  opera  vile  : 
Anzi  pareva  una  persona  niapna, 
E   franco  e  forte  e  priusto  e  signorile  ; 
E  'ncrescemi   di  lui   che  non  ci  sia  : 
Ma  per  me  tanto  oltragtiiato   non  fia. 

xcix 
E   s'io  potessi  Monl;ill)nn  pijiliarlo, 

10  noi  farò  pel   giusto   Iddio  Apollino; 
E  in   qualche   modo   si   vorria   avvinarlo 
Che  ritornasse   in   qua   col   suo   cujiino: 
Ma  dimmi,  £rie,ionier,  col  qual  Io  parlo, 
Se   tu   se"  cavaliere  o  paladino. 

Astolfo   il   nóme   suo   jili   disse    allora; 

11  perchè  Lioufanle  assai  l'onora, 

r. 

E  fece   accompajinarlo  a  la  cittate  : 
Era  quel  Lionfanl^e  un   nom  discreto: 
Mandò  con   lui  molle  sue   penti  armale 
Fino  a  le  mura  ;  e  poi  tornano  in  drieto  : 
Astolfo   truova  le  porle  serrate  : 
Furono   aperte,  e  molto  ognun  fn  lieto: 
E  Ricciardetto,   quando   ha  questo  inteso, 
Parve   dal  cor  si   levasse  ogni  peso- 
Li 

£   domandò   se   sapeva  niente 
Del  suo  fratello  ;   e   disse   come   Gano 
Gli  aveva   scritto  mollo  chiaramente, 
Rinaldo  saria   tosto  a  Montalbauo. 
Astolfo  indoviuóe  subitamente 
La  sua   malìzia,   e   scrisse   a   Carlo  Mano  ; 
Che  certo  il   tradì  ìor  dT  Gano  é  quello, 
Ch'  avea  condotto  là  quel  popol  fello. 

MI 

Gano  in  quel   dì  parea  maninconoso 
Più  d'  alcun  altro  di   sì  fatto  assedio  ; 
Eaiispesso  il   viso  facea  lacrimoso, 
Dicendo:    Carlo,  io   non   veggo  rimedio 
A  Monlalbano  ;  ond'  io  ne  sto  doglioso  : 
Credo  che  poco  vi  staranno  a  tedio  : 
E  poi  la  notte   nel   campo   avvisava 
Erminion  ciò  che   Carlo  ordinava. 


Carlo   un   dì  per   ventura  vide  indosso 
A  quel  corrier  cli'ei^li  aveva  mandato 
Al   re   pagano,   un   certo   vestir  rosso 
Di  cammuccà  che   gli   aveva  donato  ;'• 
E  fra   sé  stesso  diceva  :  Io  non  posso 
Pensar  «1*  onde  costui    1'  abbi   arrecato  ; 
E   domandonne   alcuna   volta   Gano, 
Ond' egli  avesse  quel  vestire  strano. 

LIV 

Gan  gli  avea  detto:  A  questi  dì  il  mandai 
Nel   tal  paese  pe^  saper  d'  Orlando 
Novelle  ;  e  perché  poco  ne  spiai, 
Non   te  lo  dissi:   e '1  messapgier  tornando 
Per  quel  ch'io   intesi,  che  ne'l   domandai. 
Un   dì  in  un  bosco   un   pagano  scontrando. 
Credo  che  disse,  lo  fece  morire, 
E  Irassegli  di  dosso  quel  vestire. 

r.v 
Vera   cosa   è  eli'  io  scrissi  a  questi  giorni 
A   Ricciardetto  per  dargli  conforto  : 
Rinaldo  e  gli  altri  paladini  adorni 
Sappi   che  in  Francia  saranno  di   corto: 
Qiiesto  è  perchè  non  credon  mai  che  torni, 
E  hanno   dubitalo   che  sia  morto. 
Carlo   ogni  cosa  ne  la  mente  avrà  ; 
E '1  messaggier  d'Astolfo  allor  giugnea. 

LVI 

E  non   credette  a  quel  che  Astolfo  scrisse, 
Perchè  il  parlar  di   Gan   si  riscontrava; 
E  risposegli   in   drieto,   e  co^l  disse: 
Quand'egli  scrisse  questo,  se  sognava, 
A   dir  eh'  Erminion  per  Gan  venisse  : 
Così  fortuna   Carlo  traportava  ; 
O   forse  cir  era  permesso   dal  cielo. 
Ciò  che  Gan  dice,  gli  paja  il  vangelo. 

i.vii 
Or  ritorniamo  a  Ma  II  afolle  nn  poco  : 
Egli  era  contro  Astolfo  inanimalo 
Per  quel   che  fé',  che  non  gli  parve   gioco: 
La  manina  seguente  si  fu  armalo. 
Però  che  l'ira  riscaldava  il  foco: 
Così  soletto  si  fu  invialo, 
E   venne  presso  al  muro  di  Parigi, 
Dov'  è  la   chiesa  detta  san  Dionigi. 

LVIII 

Ed  un  suo  corno  cominciò  a  sonare. 
Chiamando  Astolfo  che  debba  venire. 
Se  vuol  con   esso  in   sul   campo  giostrare. 
Carlo   comincia  col   Dusniano   a  dire, 
E   Salamon,  quel  che  par  ìor  di  fare  ; 
Se  Matlafolle  si   debba   ubbidire; 
E  finalmente  per  parlilo  prese, 
Che  a  lui  si  mandi  il  possente  Danese. 

Il  Danese  s'  armò  con  gran  furore  : 
Il   suo  cavai  d'acciaio  era  guernilo: 
Chiese  licenzia  ;  e  da  lo  imperadore 
Subitamente  e   da   eli   alici  è  partito: 
Vide  dov'è  Matlafolle  il  signore 
Che  rifaceva  col  corno  lo  'nvito  : 
Maravigliossi   che  "l   vide   soletto, 
E   non   pareva   eh'  avesse   sospetto. 


\ 


M  O  I\  G  AN  TE     MAGGIORE 


Gingnendo  a  ?>Iallaft)lle  il  franco  Uggieri, 
Lo  salutò  con   un   gentil   saluto  ; 
Poi   gli   diceva  :  O  no1>il   ravalieri, 
Per  roniballer  con   noi  se' qua   vennlo; 
lo  sono  slato  per  tolti  i  sentieri 
De'Saracin! ,  e  mai  non  fu' abbaltnto  : 
Che,  pensi   In   con  ispada  o  con  lancia 
Esser  vennlo  acquistar  fama  in  Francia  ? 

r.xi 
Io  son  de'paladini  il  più  codardo; 
E  non   li  slimo,  pagano,  un  bisante  : 
Se  tu  se' pur,  come  credi,   gagliardo, 
Prendi  del  campo,  barone  africanle  : 
Rispose  il  Saracin  :  Per  certo   io  guardo, 
Se  In  se'  quel  cavaliere  arrogante  ; 
Che  mi  volesti  far  villania  in  corte, 
Per  darli  in  ogni  modo  oggi   la  merle. 

LXII 

Disse  il  Danese  :  Troppa  pazienza 
Ebbe  con   leco   il  nostro  imperadore, 
Che  ti  dovea  punir  di   tua  fallenza, 
Se  sialo  tu  non  fossi  imbasciadore  : 
Colui   che  fare   li  volea  violenza, 
Astolfo  è,  d'  Inghilterra  allo  signore  : 

10  son  cliiamato  per  nome  Danese: 

11  Saracino  alior  del  campo  prese. 

T.XIII 

Poi  che  fu  dilungato  il   Saracino, 
PIÙ  d'  un'  arcata,   volse  il  suo  cavallo  ; 
Da  1'  altra  parte  il  franco  paladino 
Tosto   tornava  in  drieto  a   contraslallo  : 
Forno  scontrali  a  mezzo  del  cammino  ; 
E  nessun  pose  la  sua  lancia  in  fallo  : 
Ma   del  Danese  la  lancia  spezzossi 
Sopra  lo  scudo  ;   e  quel  pagan  piegossi. 

LXIV 

Il  Saracin  ferì  con  maggior  forza 
Sopra   lo   scudo  il  possente   barone  ; 
Passollo   lutto,   e   trovava   la   scorza 
De  la  corazza,  e  passala,  e  '1  giubbone  : 
Uggier  piegossi   ora   a  poggia,   ora   a   orza, 
E  finalmente  cadde  de  l'  arcione. 
Re  MaltafoMe,  quando  in  terra  il   vide, 
Maravigliossi,  e  di  ciò  forte  ride. 

LXV 

E  disse:   Or  non  vo'più  che  tu   li   vanii 
Che  mai  più  non  cadesti  del   destriere, 
E   di'  che  ci   liai   provali   lutti   quanti  : 
Provalo  non  m'avevi,  cavaliere: 
Vedi   che  Cristo   e   tulli   i   vostri   Santi 
Non   t' han  potuto  aiutar  di   cadere: 
Renditi  a  me,  come  tu   dei,  prigione. 
Djsse  il  Danese:   Questo  è  ben  ragione. 

j:-xvi 
La  Spada  per  la  punta   il   paladino 
Delle  al   pagan   che   l'aveva   alihatlulo  : 
Menollo  in  san  Dionigi   ii    Saracino, 
E  disse:  Qui   l'aspella,  et»' è  dovulo. 
Poi   cominciava  :   O  figliuol   di    Pipino, 
Sappi,  eh'  Uggier  de  la   sella   è  caduto, 
E  per  prigion   V  ho  messo  in  san  Dionigi  ; 
Mandami   un   altro  baron   di   Pari"!. 


Quando  «idi   Carlo  risonare  il  corno, 
Non  fu  mai  più  dolente  a   la  sua  vita  ; 
E  riguardava  per   la  sala  intorno, 
Dov'  era   la  sua   gente   sbigottita  : 
Dusniano,   e   tutti   gli   altri    consigliorno. 
Che  poi  che   1    Saracin   cosi    gl'invita. 
Un  altro   cavalier  mandar  bisogna  ; 
Se   non  che   gli  saria  troppa   vergogna. 

LXVIII 

Ed  accordarsi   che   v'  andasse  Namo  : 
Nanio   v'  andò,   siccome   gli  fu  imposto  : 
Giugnendo  a  Matlafolle  così   gramo, 
Lo  salutò,  e   dissegli   discosto  : 
Prendi   del   campo  ;  a   la   giostra  vegnamo: 
Glie   dir  parole   assai   non   son   disposto. 
Il  Saracin  che  la   sua  voglia  intende, 
Subitamente  allor  del  campo  prende. 

I.XIX 

Namo   si    volse   tulio  furioso, 
E   si   credette   inghiottir   Matlafolle  : 
Giunse   a  Io  scudo   un   colpo  poderoso  : 
L'  asta  si  ruppe,   che  passar  noi   volle. 
TI    Saracin   eh'  è  forte   e   animoso, 
Nidla   non  par  che   de  1'  arcion   si   crolle  ; 
E  prese   il  savio   anca  a  mezzo   il  petto, 
E  de   la  sella  lo  cavò   di   netto. 


Namo  si  vide  superato  e  vinto, 
E   cosi  disse  :  Io   li   comincio   a   credere. 
Poiché   tu  m'  hai  fuor  de  1'  arcion  sos|»into, 
Cli'  ogni  altro  saracin   tu  debba   eccedere. 
Il  brando  presto   dal   lato   ebbe  scinto, 
E   disse  :   A  te  pri)j;ion  mi  vo'  concedere. 
Disse  il  pagano  :   Or,  se  non   l'  è  fatica. 
Il   nome   tuo,  baron,   vo'  che  mi   dica. 

r.xxi 
Namo  rispose  :  Questo  poco  importa: 
Sappi   eh'  io   sono  il   duca   di   Baviera. 
Disse  il  pagan  :    Per  Macon   li   conforta, 
Che   onoralo  sarai   fra  la   mia  schiera  : 
Di   san   Dionigi   il   condusse   a   la  porla, 
Dove   il   Danese   nostro  prigion   era, 
E  rilornossi   al   campo,  e  '1   corno   suona, 
Carlo  sprezzando,  e  sua  saiUa^  corona. 

LXXII 

Era  Carlo  a  vederlo  cosa  oscura, 
E   tulli  i  suo'  baron   similejnenle  : 
Ognuno   avea   già   in  Parigi  paura. 
Berlinghier  nostro,    quando  il   corno  sente, 
Tosto  apportar  si   facea  1'  armadura, 
E   montò  sopra  il  suo   deslrier  possente  : 
Ne   la  sedia  fatai   rimase   Carlo, 
E  i  suoi  baron  d' intorno  a  confortarlo. 

LXXIIl 

La  lancia   di   Ciresse  aveva   in  mano. 
La  spada  a   lato,   e  cintosi   un   trafiere  : 
Brocca   il   cavallo,   e   giugneva   al  pagano 
A  lanci  e  salti,  che  pare  un  levriere  ; 
E   disse:    Se' lu  quel  baron    villano, 
Che  cosi  sprezzi   il  famoso  imperiere  ? 
Se   tu   sapessi  chi   sotto  è  in  quest'armi, 
Tosto  perdon   \(rresti,   a   doman<larmi. 


MOUr,  ANTK       M  ACCI  Q  i\  K 


Se    ili   sranipi   ila   me,   tu   sarai  "I   |irini(i, 
Tanti   n'  lio   morii    <>ià   riiii   qiit-.>la   spada  : 
Non   tidiiiandar   s'iipni   pcliizzu   cina» 
Con    essa   in    aria,    in   modo   par   die   rada. 
Disse    il   pacan  :    Per  Macon    piiro   slimo 
r.lii    troppo   sia   la   notte   a   la   rugiada  : 
Manila    pel   prete,   e   fa    trovare    i    niorcoli  ; 
C.lie   tu   mi   pari   una   bertiiitia   in  zucruli. 

LXV 

BerliiiplK'r  si   rrurriò  rome   un    dia\olo, 
E   disse  al  Sararin:  Malto,   iiom   bestiale, 
r.he  se'  tu   uso  a  mangiar    crusca   e  cavolo 
Co'  pazzi   sopra  il   carro   trionfale  ; 
Non  poire"  farlo  Marone,   e  'I   suo  avolo, 
O   Apollin,  eli"  io   non   ti  farci  male. 
Dis<e  il   pagan,  poi   che  molto   ebbe  riso  : 
Deh  dimmi  un  poco,  hai  tu  sotto  allro   viso? 

rxvi 
Rispose  Berlinghier:   Non   più  parole, 
E'  ti  parrà   eh"  io   sia  com'  un    gigante  : 
Il  molto  rider  segno  esser  non  suole 
Pero  di  cavalier  saggio  o  prestante  : 
Non   so  quel  che   lu  di  rugiada  o  sole, 
V.   zoccoli   non   ho  sotto   le  piante  ; 
Ma   ne   la  punta   del   mio  brando  forte 
So  eh"  io  vi  porlo,  baron,  la  tua  morte. 

LXXVJI 

Sareslu  mai   Rinaldo,  o  quel  Marchese 
Ch'ha  tanta  fama  al  mondo, o  1  conte  Orlando, 
Disse   il  pagano,  o  puoi  più  che    1  Danese, 
Che  ne  la  punta  la  morte   hai   del  brando? 
Deh   fammi   il   nome    tuo,   se   vuoi,  palese. 
Berlingliier   gli  rispose  minacciando  : 
Non   son   Rinaldo,   Orlando  o   Ulivieri, 
Ma   il   franco  e  forle  e  uentil  Berlui^hieri. 

Lxxvjn 
Il    Saracin,   sentendo  nominarlo, 
Rispose  :   Sia  nel   nome  di  Macone  : 
Dunque   tu  se' de' paladiii   di   Carlo: 
So  che  non   tien  sì  fallo   compagnone 
III   corte,   se  non   usa   di  provarlo  : 
Io    l'  ho  squadralo   dal  capo   al   tallone 
Per   veder   quanto    discosto   gillarti 
Aoglio  in  sul  campo,  o  in  su  l'erba  posarli. 

i.xxix 
Prtndi  del  campo,  ch'io  scoppio  di  ridere, 
Pensando,  cavalier,   quel   che   tu   hai  dello, 
Che   tu  mi   creda  cosi  al  primo  uccidere  : 
Non  potre' farlo   tu,   ne  Macometto  : 
Se   tu  non  soldi   genie   da   dividere, 
O   ver  se   tu   non  voli,  io    li   prometto 
In  san  Dionigi,  ^avalier  dj^^rancia,^ 
Portarti  in  su  la  punta  de  la  lancia. 

LXXX 

Rispose  Berlingliier  :  De  gli   altri  matti 
Ho  gastigati   a"  miei  di  mille   volte, 
E   te   gastigherò  :   vegnamo   a'  falli  ; 
CJie  le  parole   tue  paiono  stolte. 
Disse  il   pagano:    Io   vo"  far  questi  patti. 
Che   tu  mi   lasci   sol   due   dita  sciolte, 
E  mettami   n   un  sacco   il   resto   tulio; 
E   moflrernlii   c!i'  io   li   stimo   un   pullo. 


I.XXM 

Pri-iidi   del   campo,  ditse   Berliaghieri  ; 
l'orse   che   tu   ti   truvi-rai 'n   un   »accu  ; 
V.   subito  rivolse  il   suo   destrieri. 
Direndo  :  Mallafolle,   tu  m'  hai   stracco  : 
Tu   se'  «  ome    lu   hai   nome,  e   volentieri 
Non   gitliam  qui  le  perle  in  bocca  al  ciacco. 
Il   saraciu   del    rampo  preje   e   tolse; 
Poi   con   la  lancia  a  Bcrlinghier  si  volse. 

LXXMl 

Berlingliier  ne  venia  come  un  colombo, 
E    1   Saracin  ne  vico  com'  un  falcone  : 
Da   ogni   parte  si   s( uliva   il  rombo 
De"  lor   deslrier',  ch'u^niin  pare  un  rondone: 
Poi   lasciaron   cader  le  lance  a  piombo  ; 
(ìgnun    in   resta   la   sua   tosto  pone  ; 
Ma   quella  del   Cristian   eh' è  di  ciresse. 
Tosto  si  ruppe,  e  pel  colpo  non  resse. 

L XXX MI 

Il   Saiàcin  ferì  sopra  lo  scudo 
Rtrliugliier  nostro  ;  e   come  fusse  cera. 
Subito   il   passa  ;    e  'I   ferro   acuto  e  ignudo 
Passò   la   corazzina   e   la   panziera  : 
Fino   a   la   carne   andò  quel   colpo  crudo  : 
E  perchè  soda   e   verde   la   lancia   era, 
Per   la  percossa  che  fu  mollo  acerba, 
Berlinghier  franco  si   trovò  su  1"  erba. 

LXXXIV 

E  'n   su  la  punta  più  di  dieci   braccia 
Lo  portò   in   aria,   e  poi  lasciollo  andare, 
E  disse:   Sempre  avvien,  che  chi  minaccia. 
Ne  suol  la   pace  a   casa  poi  portare. 
Berlinghier   mano   a  la  sua  spada  caccia, 
E   volle   la   baltagh'a   rappiccare  ; 
Subilo   del   terreo  ri  Ito  si   getta, 
Per  far  di  Mallafolle   aspra  vendetta. 

r.xxxv 
Ah,   disse   il  Sararin,   tu  falli   troppo  : 
Usanza   è   sempre   de   gentil  baroni. 
Che  que"  che  son  caduti  al  primo  intoppo, 
Porghino   il   brando,    e   dicnsi  per  prigioni  ; 
Or  eh*  io    t'  ho   vinto,  fracassato   e  zoppo, 
A  quel,   che   vuol  la    giustizia,   t'opponi; 
Ed   hai   cavato  fuor  lo   spadaccino; 
Questa  usanza  non  è  di  pxiliLdixiai 

LXXXVI 

Io   t'avevo  sentito  ricordare 
Fra   tutti   gli   allri   un   cavalier  virile, 
Che  non  sapessi  in   nessun  modo   errare, 
Onesto,  saggio,  pulito  e   gentile  ; 
Or  fatto  m'  hai   di   te  maravigliare  :    i 
Questo  mi  pare   un   atto   slato   vile.     1 
Rispose   a  Mallafolle   Beriingliiere  : 
Io   ti  darò  col  brando  e  col  Irafiere. 

LXXXVII 

Matlafolle  non  ebbe  pazienza, 
E   disse  :  Poi   che   tu  se"  in   tanto  errore, 
Io   ti   gastigherò   di    tua  fallenza , 
E  punse  sopra   a' fianchi  il  corridore: 
Dettegli   un   colpo   di   tanta  potenza 
Sopra  r  elmetto,   dice  1'  autore^ 
Che  Berliuiihierl  Tn    terra   inginocchlossì, 
E   non   <apeva  in   qual  HiOudo  si  fossi. 


M OR  GANTE     MACxGIORE 


IXXXVIII 

Rendili   Iti  prigion,  diceva  allora 
Il  Saracino  :   olii,   tosto  rispose 
Il  paladin  :   sanza  far  più  dimora 
Il  brando  per  la  pnnta  in  man  gli  pose. 
Ed   ecci  un  autor  che  dice  ancora, 
E  così  tniovo  uè  T  antiche  chiose, 
Che  ginocchion  lo  fé'  star  quel  che  volle 
Con  le  ginocchia  igniide  Maitafolle. 

LXXXIX 

E  disse  :  Questo  sia  pel  tuo  peccalo, 
Che  tu  volevi  far  le  fusa  torte  : 
E  poi  ch'egli  ebbe  il  suo  brando  piglialo, 
Non  per  la  punta  che  v'  era  la  morie. 
Anzi  dal  pome,  come  e' gli  fu  dato; 
Lo  mise  dentro  a  quelle  sante  porte 
Di  san  Dionigi  :   e  Namo,  che  vedea 
Il  suo  Cgliuol  prigion,  seco  pìangea. 

xc 
Efa  d'ogni  eccellenzia  e  di  costume 
Berlinghier  sopra  tutti  un  uom  dabbene, 
Di  gentilezza  una  fonte,  anzi  un  fiume, 
A  luogo,  e  tempo,  come  si  conviene  ; 
Tanto  che  scritto  n' è  in  più  d'un  volume: 
Or  se  lo  stil  de  la  ragion  non  tiene, 
E  ,  che  conobbe  eh'  ogni  gentilezza 
Perduta  è  sempre  a  chi  quella  non  prezza. 

xct 
E  reputava  MattafoUe  un  matto, 
Come  il  nome  sonava  veramente 
Da  non  servargli  né  ragion  né  patio  : 
Cosi  lo  scusa  ognun  eh' è  sapiente: 
Poi  se  gli  fusse  riuscito  il  tratto, 
Era  salvato  Carlo  e  la  sua  gente: 
E  lecito  ogni  cosa  è  per  la  fede  ; 
Adunque  chi  lo  'ncolpa,  il  ver  non  vede. 


Carlo  sentì  ritoccare  il  cornetto, 
E   disse  :   Questo  mi  par  tristo  segno  ; 
Caduto  è  Berlinghier   tanto  perfetto  ; 
Non  so  chi   abbi   a' suoi   colpi   rilegno: 
Venuto  è  questo  pagan  maladello 
Per  «lislrugger  mia   gente  e   tutto  il   regno. 
Avin  s'  armò,  sentendo  che  '1  fratello 
Era  abbattuto,  per  vendicar  quello. 

xeni 
Avin  si  ritrovò  sopra  la  terra; 
Venne  in  sul   campo  il  valoroso  Ollon«, 
n  famoso  signor  là  d'Inghilterra, 
E  finalmente  si   trovò  prigione  : 
Tutti   gli   abbatte   il   Saracin  da  guerra: 
Venne   Turpino,   Guallier  da  Mulione, 
Salamon  di   Brettagna,  e '1  buono  Avolio; 
Tulli  prigion  n'andar  cheti  com' olio. 

XCIV 

Di  Normandia  il  possente  Riccardo 
Venne  in  sul  campo  ;  e  con  gran  sua  vergogna 
Al  primo  colpo  rimase  codardo  : 
Tosto  s'armava  Angiolin  di  Guascogna; 
Volle  provar  come  fusse   gagliardo, 
E  rilrovossi  come   gli  allri  in  gogna. 
Carlo  rimase  sconsolato   tutto 
Veggendo  il  popol  suo  così  distrtitlo. 

xcv 
Restava  appunto  il   tradì tor  di   Gano  : 
Carlo  non  volle  ch'egli  uscisse  fore; 
Tornossi  Mattnfolle   a  Montalbano, 
Presso  a  la  terra  ov'  era  il  suo  signore, 
E  presentò  i  prigioni   al  re  pagano  : 
Erminioa  fé' lor  massimo  onore, 
E  nel  suo  padiglìon   gli  ha  ricevuti. 
Cristo  del  ciel  vi  conservi  ed  aiuti. 


MORGANTK     MAGGIORE 


CAINTO    IX 


ARGOMENTO 


A^  asciano  Caradoro  i  l'cnturieri 
Francesi  Palodin^  per  gire  altrove, 
fede  Rinaldo^  che  tra  piti  ffnerrieri 
/'crso   ini  J- ierjarnonle  il  passo  iiiitoie  ; 
Di  lancia   un  colpo  scnz'  altri  corrieri 
Lo  spedisce  a  Caronte  a  dar  le  nuove  : 
Kntra  in  città,  e    d'  Erminion  la  vwglic 
E  i  Ji^li  uccide  in  sulle  regie  soglie. 


'^>^€i%<- 


0 


felice  alma  d' ogni   «irazia  piena, 
Fida   colonna,  e  speme  pra/iosa, 
Versine  sacra  umile  e  nazzarena, 
Peiclu-   U*  se' di  Dio  neT  cielo  sposa. 
Con  la   tua  mano  infino  al  fin  mi  mena, 
Cile   di  mia  fantasia   Iruovi   o^n\   chiosa  ; 
Per  la   tua  sol   benignità  eli' è  molta, 
Acciò  clie  1  mio  caiyar  piaccia  a  clii  ascolta. 

II 
Febo   avea   già  ne  1"  oceano  il  volto, 
E   bagnava    fra  1'  onde  i  suoi  crin  d'  auro, 
E   dal   nostro  emispero  aveva   tolto 
Ogni  splendor,  lasciando  il  suo  bel  lauro. 
Dal  qual  fu  già  miseramente  sciolto; 
Era  nel   tempo  che  più  scalda  il  Tauro, 
Quando  il  Danese   e  gli  altri   al  padiglione 
Si  ritrovar  del  grande  Erminione. 

Ili 
Erminion  fé' far  pel   campo  festa: 
Parvegli   questo  buon  conn'nciamenlo  : 
E  Mattafolle  avea  drielo  gran   gesta 
Di   gente  armala  a  suo  contentamento  ; 
E  'ndosso  aveva  una  sua   sopravvesla 
Dov'era  un  Macometto  in  puro  argento: 
Pel  campo  a  spasso  con  gran  festa  andava: 
Di  sua  prodezza  ognun  molto  parlava. 

IV 

E' si  doleva  Mattafolle  solo, 
Ch'Astolfo  un   tratto  non  venga  a  cadere; 
E  minacciava   in  mezzo   del   suo  stuolo  ; 
E  porta  una  fenice  per  cimiere  : 
Astolfo  ne  sare'  venuto  a  volo 
Per  radere  una  volta   a  suo  piacere; 
Ma   Ricciardetto,  che  sapea  l'  umóre. 
Non   vuol  per  nulla  ch'egli  sbuchi  fore. 


Carlo  mugghiando  per  la  mastra  sala 
Coni'  un   lion   famelico  arrabbiato, 
Ne   va   con    Ganelion   che  batte  ogni   ala 
Per  gran  letizia,  e  spesso   lia   simulalo. 
Dicendo:   Ah   lasso,   la    tua  fama   cala: 
Or  fusse   qui   Rinaldo  almen   tornalo: 
Che  se  ci  fusse  il   Conte  e  Ulivieri, 
Io  sarei  fuor  di  mille  stran  pensieri. 

vi 
E   dicea  forse  il   traditore   il   vero; 
Che   se   vi   fusse  slato  pur  Rinaldo, 
Al   qual   non  può  mostrar  bianco  per  nero, 
Morto  Farebbe   come  vii  ribaldo. 
Carlo   diceva  :   Io    veggio  il  nostro  Impero, 
Ch'  omai  perduto  ha   il  suo  naturai  caldo, 
Poi  che  non  e'  è  colui  eh'  era  il   suo  core, 
Cioè  Orlando  ;  ond'  io  n"  ho  gran  dolore. 

VII 

Lasciam  costor  chi  in  festa, e  chi  in  affanno; 
E  ritorniamo  a'  nostri  battezzali 
Che  col  re  Carador  dimora  fanno, 
E  de' paesi  ch'egli   hanno  lasciali, 
E   de  le   guerre  mosse  lor  non  sanno  : 
Eron  più   tempo  lietamente  slati 
Col   re  pagano,  e  pur  volean  partire, 
E   cominciorno  un   giorno  cosi   a  dire  : 

vili 
Assai  con   leco  abbiam  fatto  dimoro, 
Ed  onorati  da   tua  corte  assai  ; 
La   tua  benedizion,  re  Caradoro, 
Dunque  ci   dona,  e  'n  pace  rimarrai  : 
Del   tempo   che  perduto  abbiam,  ristoro 
Sarà  buon  fare  ;   e  me'  lardi,   che  mai  : 
Qualche  paese   ancor  cercar  vogliamo. 
Prima   che    in  Francia  a   Carlo  ritorniamo. 


Carador  consentì  la  lor  partita; 
E  ringraziogli   con   giusti   sermoni. 
Dicendo  :   11   regno  mio  sempre  e  la   vita 
In   lutto  è   vostro,   degni   alti  baroni, 
Poi   fé' venir  la   donzella  pulita, 
E  fece  lor  leggiadri   e  ricchi   doni  ; 
Ma   la  fanciulla   chiamò  poi   da   canto 
Ulivier  nostro,  facendo   gran  planlo; 

X 

Dicendo:  Lassa,  non  lio  meritato. 
Che  m'abbandoni,  mio  gentile  amante; 
Dove   lasci   II    cor  mio  sì  sconsolato  ? 
Tu  mi   dicevi   sempre  esser  costante; 
Or   lu   li  parti;   ed   io   nOu    so   in   qual    lato 
Da  me   li  fugga  in  Ponente  o  in   Levante: 
E  quel   che  sopra  lutto  me  gran  duolo, 
E   del   tuo  sventurato  e  mio  figliuolo. 


I       i«7 


IVI  O  l\  (  i  A  N  T  K     MAGGIOR  K 


^^M^i  die  soia  e  graviila  rimaiigo 
Sanza  sperar  più  te  riveder  mai, 
Però  del  mio   dolor  con   teco  y)iango  ; 
Ma   questa    grazia   mi  roiirederai, 
(]lie,  jìoicliè  pur  di  duo!  la  mente  alTrango, 
(>oii  teco  insieme  me  ne  menerai  : 
E  in  ogni  parte,  ove   tu  andrai   cercando. 
Ne  Yo'  con  teco  venir  tapinando. 

XII 

Ulivier  confortava  la   donzella, 
E  dice:  Dama,  e' non  passerà  molto, 
Com'  io  son  ricondotto  in  Francia  bella, 
Cli' a  te  ritornerò  con  lieto  volto: 
Però  non  ti  chiamar  si   tapinella, 
CI»' io  son  legato,   e  mai  non  sarò  sciolto; 
E  '1  figliuol  nostro,  quando  sarà  nato, 
Per  lo  mio  amor  ti  sia  raccomandalo. 

XIII 

Con  gran  sospir  lasciò  Meridiana 
Ulivier  certo  in  questa   dipartenza, 
Con  isperanza,  al  mio  parer  pur  vana. 
Re  Carador  con   gran  magnificenza 
Con  molta  gente  dintorno  pagana, 
Poi  che  più  far  non  potè  resistenza, 
Gli  accompagnò  con  tutta  sua  famiglia 
Fuor  de  la  terra  più  di  dieci  miglia. 

XIV 

Pur  finalmente  toccò  lor  la  mano  ; 
E  quanto  può  di   nuovo  a  lor  s'è  offerto: 
Via  se  ne   vanno  per  paese  strano: 
E  come  e' fumo  entrali  In  nn  deserto, 
Subitamente  quel  lion   silvano 
Da  lor  fu  disparlilo;  e  questo  è  certo; 
E  volse  a  tulli  in   un   punto   le  spalle, 
E  fuggì  via  per  una  scura  valle. 

XV 

Disse   Rinaldo:  Caro   cugin  mio. 
Vedi  il  lion  com'  è  da  noi   sparito  ! 
Questo  miracol  ci  dimostra  Iddio  : 
Non  è  sanza  cagion  così  fuggito; 
Ma  quel   Signor  eh'  è  in  ciel   verace  e  pio, 
A  qualche  fine  buon  l'ha  consentilo- 
Rispose   Orlando  :   Se  '1  tuo  dir  ben  noto, 
Molto  se' fallo  al  mio  parer  divolo. 

XVI 

Lascialo  andar  con  la  buona   ventura, 
Che  '1  suo  partir,  più  che  '1  venir,  m'  è  caro, 
Che  molle  volte  m'ha  fatto  paura. 
Così  molte  giornale   cavalcaro, 
Tanto   eli'  alfin   d'  una   lunga  pianura 
Un   giorno  in  Danisinarca  capilaro  : 
Questo  paese   Einiinion   tenia, 
Cir  a  Montalbano  è  con  sua  compagnia. 

xvii 
Poi  ch'egli  ebbon   salilo  sopra  un  monte. 
Si  risconlrorno  in   Saracini   armali  ; 
E  poi  che  forno  più  presso   da  ft oriate, 
Furon   da   questi  baroni   avvisali, 
Cile   il  lor  signor  si   chiama  Fieramonle, 
E   quattro   mila  avea  seco  menati, 
Uomini    tutti   maestri   da    guerra, 
Cir  a   visitare   andava   una   sua   terra. 


_ 


Quesl'  è  colui  che  Erminion   lascine, 
QuaniT  ci  parli  per   guardia   del   suo  regno, 
Fierauionte   Baiardo   riguardóe  ; 
Subilo  su   vi  faceva  disegno  ; 
Verso   Rinaldo  in   tal   modo   paride  : 
Deh   dimmi,  cavalier  famoso   e   degno, 
Onde   avestu  questo   cavai  gagliardo  ? 
E  finalmente   gli  cliiedea  Baiardo. 

XIX 

Dicea   Rinaldo:  Assai  me  1'  hanno  chiesto  ; 
Ma  a   nessun  mai  non   lo   volli   donare. 
Disse  il  pagan:   Se  tu  non   vuoi  far  questo, 
Deh   lasciamelo  un  poco   cavalcare. 
Rinaldo   intese  la   malizia  presto 
E   disse  :  Un  beli'  esempio   ti   vo'  dare, 
Saracin,  prima  eh'  io   ti   dia   il   cavallo  ; 
E  raccontò  de  la  volpe,  e  del  gallo. 

XX 

Andandosi  la   volpe   un  giorno  a  spasso 
Tutta   affamata  sanza   trovar  nulla. 
Un   gallo   vide  in  su  n   un   alber  grasso, 
E  cominciò  a  parer  buona  fanciulla, 
E  pregar  quel  che  si   faccia   più  basso, 
Che  molto  del  suo  canto   si    trastulla  ; 
Il   gallo  sempliciotto   in   basso  scende  : 
AUor  la  volpe  altra  malizia  prende. 

XXI 

E   disse:  E' par  che   tu  sia  cosi  fioco; 
I'  vo'  insegnarti  cantar  meglio   assai  : 
Quest'  è  che   tu  chiudessi  gli  occhi  un  poco; 
Vedrai   che  buona   voce   tu   farai. 
Al   gallo  parve  che  fusse   un  bel  giuoco  ; 
Gran  mercè,   disse,  che  insegnato  m'  iiai  ; 
E  chiuse   gli   occhi,  le  cominciò  a   cantare  : 
Perchè  la   volpe  lo  stesse  ascollare. 

XXII 

Cantando  questo  semplice  animale 
Con   gli   occhi  chiusi,  come  i  matti    fanno, 
La  volpe,  come  falsa   e  micidiale. 
Tosto  lo   prese  sotto  questo  inganno, 
E  dovè  poi  maagiarsel  sanza   sale  : 
Così  interviene  a  que' che  poco  sanno: 
Così  faresti   tu,   chi    ti   credessi  : 
Ben   saria  sciocco,  se  '1  cavai   ti  dessi. 

XXIII 

Se  vuoi  giostrarlo,  i'soii  >  al  tuo  comando  : 
Se   tu  m'  abbatti  per  la   tua  virtù 
Su  questo  prato  con  lancia  o  con  brando. 
Sia   tuo  il  cavai ,   non  se  ne  parli  più. 
l'ieramonle  rispose  rimbrottando, 
E   disse  :   Poltronier,  che  parli   tu  ? 
Com'  hai   tu   tanto  ardir,  mallo   villano  ? 
Quel  che  tu  di\  non   direbbe   il  soldano. 

XXIV 

Se   tu  sapessi  ben  con  chi   tu  parli. 
Non  jiarleresli   così  pazzamente, 
Quantun([ue  io  soglio  i   pazzi   gasligarli  ; 
E  '1  mio  fratello  Erminion  possente 
Farebbe  a  J^ulta  Francia   e  sette  Carli 
(inerra,  coni'  or   vi  fa   con  la   sua   genie, 
Ch'a  Montalbano  ha  posto  già  l'assedio; 
Tanto   che   (]arlo   non   ha  più  rimedio. 


M  O  U  C,  A  N  T  K      M  A  G  (>  I  0  I\  E 


E  tante  $clii«Tf  e    (•i'ianti  I»j   menali 
Per   la   vfinJrll.i    far   <li   qnri   Manierino 
Ch'  uccise   il   lior   t\e'  traiiìtor   nomati 
Jlinaliio,   rhe   pel    mondo  «ir   va   me$rluno, 
E   sbattezzar   vuol    tutti    i    battezzati. 
Disse   Rinaldo  :   Bestiai    sararino. 
Sia  rhi   tu   vuoi,   rbe  per  la   pola  mentì; 
Che  mai   Rinaldo  non  fe^  tradimenti. 

XXVI 

Per  forza  o  per  amor  del  campo  piglia  : 
Io  vo' pigliar  per  Rinaldo   la   zuffa  : 
Cir  io  so   eh'  epli   è   di   si   nt»bil   famiglia, 
Che   mai    non   fere   tradimento   o   truffa  : 
£   detto  questo   girava    la   briglia. 
Vergendo    il    Saracin   com'  egli  sbuffa, 
Disse  :   Sarebbe   il    diavolo   costui  ? 
Mai   più  smenlitu  in  tal  modo  non  fui. 

XXVII 

Volse   il   cavallo;  e   tutto  acceso  d'ira 
Prese  de!   campo,  e  poi  si  fu  voltato. 
Rinaldo  a   l'elmo  gli  pose   la  mira; 
E  '1  ferro  de   la   lancia   v'  ha  appiccato: 
Tanto   che   Fierainonle   ne   sospira, 
Perchè    da  la   collottola   è  passato 
Sì,  che  per  gli  occhi   gli  passò  la  fronte, 
E  morto  cadde  in  terra  Fieramonte. 

XXVIII 

I  Saracin,  che  questo  hanno  veduto, 
Coiiiinciorno  pel   colpo   a   sbigottire  ; 
E   come   av\Ten   chi  "1   signor   ha   perduto, 
Pel   prato   cominciar   tutti   a   fuggire. 
Aveva  un   certo  baron  mollo  astuto 
Fieramonte  ;   e  reggendo  quel  morire. 
Venne   a   Rinaldo,   e    ginocchion   si   gella, 
E    disse:  Fatta   hai,   baron,  mia   vendella. 

XXIX 

Se  vuoi  ch'io  parli  arditamente  il  vero, 

10  ti   dirò   di   questo   traditore 

11  qual   tu   hai   morto   gentil    cavaliero  : 
Sappi   cJ»e   1   suo  fralel,   ch*  è   qua   signore. 
Lo   lasciò  qui   a   governo   del   suo   imjiero, 
E   mosso  ha   guerra   a   Carlo   imperatore; 
E  come  e"  disse  a  Montalban  si   truova 
Per  pigliar  quello,   e   faranne  ogni   pruova. 

XXX 

Poi  che  costui   si   vide  qua  il  messere, 
Ha  fatto  rose  contra  osrni   giustizia: 
Rubato   il   terrazzano   e   1   forestiere  ; 
Mostralo   in  molti  modi   sua  nequizia  ; 
A  nessun  fatto  ragione  o   dovere: 
E  per  più  chiar"  mostrar  la   sua   tristizia, 
S"  alcun  pur  ne  volesse  dubitare. 
Le  nostre  donne  cominciò  a  sforzare. 

XX.XI 

E  perchè   alcun   non   aveva  pazienzia, 
E'  lo  faceva  morir  di   segreto  ; 
Tanto  eh'  assai  per  questa  violenzia 
Per   la   paura   si   stavan   di   cheto  : 
Trovato   ha   il   suo  peccato  penitenzia, 
E   tutto  il  popol   nostro   ne   fia   lieto  ; 
^  olle   sforzar  anco   una  mia   Sorella, 
E    non  polendo,  imprigionala   ha   quella. 


XXXII 

Se  tu  se*  cavalier  che  abbi  potestà, 
Come  mi  parve   veder  poco  avanti, 
Togli   il   cavallo  e  la  sua   sopravveita: 
Noi   ti  farem   compagnia   tutti  quanti, 
E   tutta   la   città    ti  farà  festa: 
Noi    <iam    tutti   baron   de'  più  prestanti  : 
Sanza  colpo  di  spada  o  altra  guerra 
A  salvamento  ti  darem  la  terra. 

XXXIII 

Koi  v'abbiam  degli  amici  e  de' parenti: 
Tu   ti  potrai   fermare   in   su   la  piazza  : 
E  mostrerem  far  giostre  e   torniameali  ; 
E  nlanto  farem  metter  la  corazza 
A' più  fid.ìti  che   ne  fien   contenti: 
Tu   terrai  a  bada  quella   gente  pazza  ; 
E  tutti   saran  presi  così  in  zurro  : 
E  ora  il  Dome  mìo  saprai,  Faburro. 

xxxiv 
Allor  Rinaldo  rispondeva   a  quello: 
Prima   eh'  io   t  abbi,  Faburro,  risposto, 
O  mentre  ì  miei  compagni  a  questo  appello, 
Farmi    tu  fermi   questa   gente   tosto  : 
Vedi  che  vanno  via  com'  un  uccello  : 
l^n  mezzo  miglio  già  ci  son  discosto  ^ 
E  sanza  lor  non  si  può  far  niente. 
Disse  Faburro  :  Tu  di'  saviamente. 


E  cominciò  a  spronare  un  suo  giannette  : 
Rinaldo   Orlando  chiamava  e  Dodone 
E    L'Iivierì,  e   contava   ogni   effetto. 
Orlando   orecchio   a   le  parole  pone, 
E  ntese  ciò  che  quel  pagano  ha  detto  ; 
E   disse:   Forse  Dio  sanza  cagione 
Non  ci  ha  mandati  in  questa  parte  strana, 
Ma  per  ben  sol  de  la  fede  cristiana. 

XXXVI 

Ma  si  dolea  che   non   v'  era  con  loro 
Morganle,  il  quale  ha  lasciato  Ulivierì 
(  on  la  figliuola  del  re  Caradoro  ; 
Ch'  era   rimaso   con   lei   volentieri 
Per   aspettar   che   tornassin   costoro  : 
Ed    anco  parve   al    Marchese  mestieri. 
Perchè   il   Bgliuol   di   lui,  quando  nascesse, 
Re  Caradoro  uccider  noi  facesse. 

xxxni 
Meridiana  avea  chiesto  il  gigante 
A   Ulivier  per  un  segno  d'  amore. 
Per  ricordar**  del  suo  caro  amante. 
Poi  che  montato  fu  in  sul  corridore  : 
Ed   L'Iivierì   avea   detto  a  Morganle  : 
Ben  puoi  restar  dove  resta  il  mio  core  : 
Ritornerotli   a   veder  con   Orlando  ; 
E  1  mìo  figliuolo  e  lei  ti  racccoiuando. 

XXXVllI 

Di  questo   Orlando  si  doleva  a  morte, 
Direndo:    Se  Morgante  mio  ci  fosse. 
Egli   è  tanto  feroce  e  tanto  forte, 
The  fare' rovinar  con  poche  scosse 
li   mondo,  non  che  le  mura   o  le  porte  ; 
A  multi,  so,  faria  le  gote  rosse  ; 
So   che   saremo   in   sì  fatto   travaglio. 
Che  mollo  sarebbe  util  quel  battaglio. 


MORO ANTE     MAGGIORE 


XXXIX 

Fabnrro   in  questo  iiiez.zo  è  ritoniaiu, 
Ed  ordinali)  ciò  die  bisoji^nava  : 
Rinaldo  a  Fierainonle  avea  cavalo 
La  sopravvesla  e  l'arme  che  portava, 
E  sopra  il   suo  cavallo  era  montato, 
Tanto  ciie  tutto  il  papan  rassembrava  : 
E  'nverso  la   città  sono  inviali, 
Come  Faburro   gli  avea  ammaestrali. 

XL 

Grande  onor  fanno  tutti   i  terrazzani 
A  quel  che  credon   Fieramonte  sia: 
Rinaldo  in  su   la  piazza  a'  suoi  pa<|;ani 
Facea  far  giostra  e  festa   tuttavia  : 
Faburro  intanto  menava   le  mani  : 
Truova  {ili  amici   e  parenti  :   e  dieta, 
Com'  egli  è  morto  il  lor  crudo  tiranno  ; 
E  come  bea   le  cose  passerannot 

xti 
Che  liberi  sanz' altro  impedimento 
Tosto  saranno;   e  fé' subito   armare 
Gran  quantità,  eh' ojjnuno  era  contento 
Di  voler  la  sua  patria  liberare. 
Mentre  che   in  piazza  si  fa  torniamenlo, 
Il  popol   tutto  stava   a  baloccare  : 
Giunse  in  un  tratto  con  gran  gente  armata 
Faburro,  e   tosto  la  piazza  iia  pigliata. 

xm 
I   Saracin'  che  con  Rinaldo  sono, 
Comincian  tutti  a  insanguinar  le  spade; 
Chi  morto  resta,  chi  chiede  perdono  ; 
E  cominciorno  a  correr  la  cittade 
Con  gran   tumulto  e   gran    furore  e   tuono 
Già  son   di  gente   calcate  le  strade, 
E  non   sapendo   ignun  questo   trattato, 
Dicevan  :  Fieramonte  fia  impazzato. 

XLIII 

Rinaldo   corse   al  palazzo  reale, 
Dov'era  la  reina   e'suoi  figliuoli; 
E  come   giunse  in  capo   de   le  scale. 
Disse   la  donna  :   Perchè  i   nostri  stuoli 
Son  sì   turbati,  e  perchè  tanto  male  ? 
Così  far,  Fieramonte  mio,   non  suoli  : 
Che  caso  è  questo,  e  chi  muove  tal  guerra, 
Che  sottosopra   va  così  la   terra  ? 

XLIV 

Rinaldo  di  Frnsberta   gli  menóc 
Vìi  colpo   tal,  che  gli  spiccò  la  testa  ; 
Prese   i  figliuoli,  e   tutti   gli   anmiazzóe. 
I   Saraciu    dicìen  :    Che   cosa   è  questa? 
E  finalmente   la   terra  pigliòe 
Con  quella  gente  che   dentro  vi  resta: 
Poi   trasse   di   Faburro   la  sorella 
De  la  prigione,  afflitta  e  meschinella. 

XLV 

E  poi   che  fumo  alcun  dì  dimorati, 
E   con  Faburro  ognun  si   fu   scoperto, 
Ed  hanno   i   nomi   lor  manifestali, 
E  '1  popol   vide  ogni   segreto   aperto: 
Furon   tulli   d'accordo  battezzali, 
Rendendo  a   Gesù  Cristo   grazia   e  merlo, 
C'he  liberali   gli   ha  da   quel   crudele, 
E  fallo  a  sé  questo  popol  fedele. 


Poi   con  Fabnrro,   che  sapeva   il    fallo, 
Si   ragionò  de   l'oste   eh' è   a   Parigi, 
E  come  Gano  avea   aspettalo   il    tratto, 
E   mosso   guerra   e   discordia  e   litigi 
Per  dare  a   Carlo  Mano  scaccomatto  ; 
E   che  soccorrer  si   vuol  san  Dioniiii  : 
l'aljurro  s  accordo  che   vi   si    vadi 
Subitamente,  e   che  più  non  si  badi. 

XI.VII 

Orlando  disse  :  E'  mi   dispiace  solo, 
Che  noi   lasciamo  il  possente   gigante 
A  Caradoro  ;   ond' io   n'ho  molto   duolo. 
Disse  Dodon  :   Se   tu  vuoi,   sir  dAngrantc, 
Andrò  per  lui  com' un  falcone  a  volo. 
In  pochi   giorni   sarà  qui   Morgante  : 
A  lutti  piacque  che  per  lui   s'  andassi  ; 
E  per  far  presto  Baiardo  menassi. 

XLVIII 

C^sl  fu  fatto,  e  missesi  in  cammino  : 
E   tanto  va  questo  baron   gagliardo, 
Cile  a  Carador  famoso   Saracino 
Giunse  un  dì  in  su   la  piazza  con  Baiardo: 
Riconosciuto  è  presto    il  paladino. 
Diceva  Carador  :   Se  ben  riguardo, 
Questo  è  Dodoo  che   ci   torna   a  vedere: 
E  quel  par  di  Rinaldo  il  buon  destriere. 

XLIX 

Meridiana,  che  '1  conobbe  presto. 
Giù  per  la  scala  correva   abbrarciallo, 
Dicendo  :  Dodon  mio,   che  gaudio  è  questui 
Io   ti   conobbi  subito  al  cavallo  : 
Ch'  è  di   Ulivier  ?   deh   fammel  manifesto  ; 
Cile  di  saperlo   ho   voglia  sanza  fallo. 
Disse  Dodone  :    Ulivier   tuo   ti   manda 
Mille  salati,   e  a  te  si  raccomanda. 

L 

Or  chi  vedesse  la  dama  amorosa,- 
Subito  come  di  Dodon  s'  accorse. 
Farsi  nel  volto  come  fresca  rosa, 
E   come  presto   abbracciarlo  poi  corse, 
E   domandò   dove   Ulivier  si  posa, 
Non  istarebbe   del  suo   core  in  forse  : 
Ch'  è  di  Rinaldo,  dicea,  baron  franco  ? 
Tu  debbi,  Dodon  nostro,  essere  stanco. 

LI 

Ch'  è  di  quel  paladin  ch'ogni  altro  avanza, 
Orlando  nostro   famoso   e  possente  ? 
Che   di  saper  di    tutto   ho   disianza. 
Intanto  Caradoro  era  presente, 
E  salutò  Dodone  com'è  usanza; 
Poi   domandava   di   tutta   la   gente. 
Dodon   rispose  :   In   paesi   lontani 
Gli  lasciai  in  Danismarche  salvi  e  sani. 

LII 

E  la  cagion  eh'  a   te  son  qui  venuto, 
E,  che  mi  manda   Rinaldo  d'Anione 
E  '1  conte  Orlando  ;   e  che   bisogna   aiuto 
Al   nostro  Carlo   Man  ;   che  Erminione 
A  Montalban  più  giorni  ha  combattuto, 
E   a>sedialo   col   suo   gonfalone: 
Convien  tli'i'nieni   tue  genti  e  Morgante. 
In   questo   tempo  compari   il   gigante, 


ÌM  O  1\  (r  A  N  T  K      iM  A  i\  G  I  O  I\  K 


K  riHse  jiri'sld   Ddiloiii-  .ilihr.irriare  ; 
V.  mille    volte    iiiiiiaii(lò   ti' Mrl;in<li>  : 
F)oil<m   «ili   diif,   rome  «*' vuol»;  andare 
In   Fraiiri.ì,  t-   come   e' lo  niaiiiia  prep;aii(lo, 
(he  in   n.iiiisiiiarrlie  lo   va<ii    a   trovare  ; 
li   lutti   insieme   vennonsi   arror«lan«lo 
1-iie    si   ra<;nni    il    lor  popol   p.icano 
Ter  «iar  S4>(Tor>o  presto  a  Montalbano. 

I.IV 

In  porlii   ili  fnr  fatte  molle  squadre, 
Per  ilover    tulli   inverso  Francia  gire. 
Meridiana   dire:    O   raro  padre, 
Non  mi   volere   una   jrr.izia   disdire: 
Io   v(»  provar  le  mie  viriti  leggiadre 
In   Kr.in<i.i,  ben  s'io  dovessi  morire: 
S'  io   delilio  aver  da   te  mai   alcun  piacere. 
Fa  eh'  io  sia  capitan  di   ine  bandiere. 

LV 

Re   Caradoro  avea   tanto  desio 
Di  ristorar  del    beneficio  antico 
Rinaldo  e   gli   altri,  che  rispose  :    Anch'io 
M'  accordo  al   tuo  parer  ;  però   ti   dico 
Che    tu    li   vadi   col   nome   di   Dio; 
Pcrcliè  Rinaldo  è  stato  buono  amico  : 
Quando  fu   tempo,   ci   delle  il  suo  aiuto; 
Di  ristorarlo  al  bisogno  è  dovuto. 

LVI 

Orlando  e  Ulivier  siccome  amici 
ri  hanno   trattati,  sa   tntlo   il  mio  regno, 
Ne' casi   avversi  miseri  e 'n felici  ; 
Adunque  il  priego  di  Dodone  è  degno  : 
E  ricordar  si  vuol   de"  benefici. 
Ch'esser  ingrato  Iddio  l'ha  troppo  a  sdegno. 
Meridiana   fu   troppo  conlenla, 
Che  in   dubbio  stava  a  la  risposta  allenta: 

LVII 

E   poi  si  volse  a  Morgante,  e  dicia  : 
E   tu  con  meco,   gigante,   verrai. 
Dicea  Morgante  :  Da   tua  compagnia 
Non   dubitar  ch'io  mi  diparta  mai: 
Cos'i   ti   giuro,  e  do  la  fede  mia. 
Disse  la  dama:  Io  ne  son  lieta  assai; 
Farmi  mill' anni  rivedere  il  conte, 
E  l'ardito  Rinaldo  di  Chiarmonte, 

Lvin 
Questo  dicea  con  la  lingua  la  dama. 
Ma  Ulivier  diceva  col  suo   core. 
Morgante  che  sapea  tutta  la  trama. 
Rispose  :  Dove  lasci  il  tuo  amadore. 
Che  so  che   giorno  e  notte  ancor  li  chiama? 
Hai   tu  sì   tosto  lasciato  il  suo  amore  ? 
Disse  la  dama:   Ulivieri  è  qui  meco; 
Però  noi  dissi,  ed  io  soa  sempre  seco. 

LIX 

In  poco  tempo  furono  ordinati 
Quarantamila,  e  fatte  dieci  schiere, 
E   dal  re  Caradoro  licenziati, 
E  date  tulle  al  vento  le  bandiere  : 
Ed  eron  bene  in  punto  e  bene  armati, 
Come  conviensi  a  ciascun  cavaliere  : 
Cavalli   e  scimitarre  a  la  turchesca, 
E  scudi  e   targhe  e   archi  a  la  moresca. 


Meridiana  aveva  un  palafreno 
Quartato  che  pareva  una  montagna  ; 
E  ciò  che  questo    mangiava,  or/o  e   fieno, 
Con  acqua  fresca  prima  gli  si  bagna: 
E  non  era  cavai  ;  ma  nondimeno 
E'  non   se   gli  poteva   appor  magagna  ; 
Se  non  che  il   capo  aveva  di  serpente  ; 
E  molto  destro  e  forte  era  e  corrente. 

L\l 

Questo  in  im  bosco  già  facea  dimoro  : 
E   nacque  d'un  serpente  e  d' un' alfana  : 
Mucghiava  forte,  che  pareva  un   toro  : 
Mai  non  si  vide  bestia  così  strana  : 
Un   che  lo  prese,  il  dette  a  Caradoro, 
E   Caradoro  il   die  a  Meridiana; 
Ne   le  battaglie  sempre  lo  menava, 
E   molta  fama  con  esso  acquistava. 

LXU 

Tanto  cavalca  questa  franca  gente. 
Che  in  Danismarche  a  la  fine  arrivorno  : 
Quando  Rinaldo  la  novella  sente 
Una  mattina  in  su  T  alba  del  giorno, 
Cliiamava  Orlando  e  1  Marchese  possente; 
E  presto  quel  che  fusse  s'  avvisorno  : 
Perchè  di   lunge  si   vede  il  gigante. 
Che  col  battaglio  veniva  davante. 

Diceva  Orlando  :  Ecco  Morgante  nostro. 
Ed  ha  con  seco  gran  genie  pagana  ; 
E  Caradoro   grande  amor  ci  ba  mostro, 
Che  la  nostra  amistà  non  sia   lontana. 
Disse  Ulivier  :  S'  egli   è  Morgante  vostro, 
Dov'  è  la  bella  mia  Meridiana  ? 
Io  'l  bramo   tanto,  eh'  io  la  veggo  e  sento, 
E  j)ar  eh'  io    sia  di  questo  error  contento. 

I.XIV 

E  poi  che  furon  più  presso,  vedea 
Ulivier  questa   che  il   passo   studiava, 
La  qual  conobbe  al  cavai  ch'ella  avea, 
O  ver  ch'amor  così  l'ammaestrava: 
Meridiana,  quando  lui  scorgea. 
Come  stella  nel  vis'o  fiammeggiava, 
E  del  cavai  saltò  subitamente; 
Ed  Ulivier  facea  similemente. 

LXV 

Ed  abbracciolla  con  gran   gentilezza  ; 
Prima  baciolla  al  suo  modo  franzese  : 
La   gentil  dama  per  gran  tenerezza 
Noi  potè  salutar,  tanto  s'accese: 
E  Ulivier  sentìa  tanta   dolcezza. 
Che  le  parole  sue  non  sono  intese  ; 
E  pur  ^oleva  dir  :  Ben  venga  quella  ^ 
Che  sola  a  gli  occhi  miei  fia  sempre  stella. 

LXVI 

Gran  festa  fu   tra' pagani  e' cristiani, 
E  molto  Carador  fu  commendato. 
Che   si   ricorda  in  paesi  lontani 
De'  benefici   del   tempo  passato. 
Dicea  Faburro  :   O  cavalier  sovrani, 
Sempre   ho  sentito   un  proverbio  provato, 
E  lengol  ne  la  mente   vivo  e   verde  ; 
Che  del  servire  al  fin  mai  non  si  perde. 


M  0  R  G  A  N  T  i:     MAGGIORE 


Lxvn 
Ne  la  città  piò  giorni  si  posato, 
K 'n tanto  i  nuovi  Cristian' sono  in  punto: 
Quattromila  in  un  oste  s'  assembrato. 
Dicea  Faliurro:  Or  che  Morgante  è  giunto, 
K  da  partirsi ,  e  molto  mi  fia  caro, 
Orlando,  se  tu  m'  ami   o  stimi  punto. 
Ch'io  sia   di  questa   gente  conduttore  : 
E  moslrerotti  in  Francia  il  mio  valore. 

rxviii 
Orlando  disse  :  E'  non  è  cosa  ignuna, 
Ch'  io  ti  negassi,  l'aborro  possente. 
Allor  Faburro  sua  gente  raguna; 
E  poi  eh'  egli  ebbe  assettata  la  gente, 
Volle  portar  per  insegna  una  luna 
Sur  una  sopravvesta  riccamente 
Di  seta  bianca  lavorata  e  d'  oro, 
SI  che  due  corna  pareva  d'  un  toro. 

LXIX 

Or  lasceremo  il  popol  Saracino, 
II  qual  di  Danismarche  già  s'  è  mosso, 
E  ritorniamo  al  Gglinol   di  Pipino 
Che  piange  e  dice  fra  sé  :  Più  non  posso  : 
Non  e'  è  Rinaldo  :   non  e'  è  il  suo  cugino  -, 
E  tutto  il  mondo  qua  mi  viene  addosso; 
Non  gli  conobbi  mentre  erano  in  corte  ; 
Or  me  n'avveggo,  e  dolgomene  a  morte. 

LXX 

Gan  tradilor  lo  riguardava  fiso, 
E  con  parole  fmte  il  confortava, 
E  simulava  uno   sforzato  riso  : 
O  Carlo,  troppo  di  questo  mi   grava. 
Perchè  pur  bagni  di  lacrime  il  viso  : 
E  trentamila  de'  suoi  ragunava, 
E  disse;  Io  voglio  andare,  il  traditore, 
A  Montalban  con  questi,  imperadore. 

LXXl 

E   tutti  a  Carlo   gli  menava  avante  ; 
E  fece  suo  capitano  il  Magagna, 
Dicendo':  Io  voglio  assalir  lo  ammirante 
Con  questa  compagnia  eh'  è   tanto  magna 
E  so  die  noi  piglierem  Lionfanle; 
Io  lo  farò  dar,   Carlo,  ne  la  ragna  : 
E  seppe  tanto  acconciar  ben  l'orpello. 
Che  Carlo  si   toj^liea  per  oro  quello.  ' 

I.XXll 

A  Montalban  n'andò  con  questo  inganno, 
'     E  si  pensò  pigliarlo   a  salvamento: 
E  lutti   «  l'ammirante   se  ne  vanno, 
E   disse  :  Io  ti   darò  per  tradimento 
La   terra  e  i  tuoi  nimìci   che  vi   stanno  ; 
E  melterolti  fjuesta  notte   drenlo. 
Ma  Lionfante  era   uom   troppo  da  bene, 
E  fece  quel  eh'  a'  suoi  par'  si  conviene. 

LXXIII 

E  disse  :  Io   li  vo'  dire  una  novella. 
La   volpe  im  tratto  molto  era  assetata  ; 
Entrò  per  bere  in  una  secchia  quella, 
Tanto  che   giù  nel  pozzo  se  n  è  andata  : 
Il   lupo  passa;    e  questa  meschinella 
Domanda  cornc  sia  cosi  cascata, 
Disqe  la  volpe;   Di  ciò  non  l' incresca  ; 
Chi   vuol  de'grossi,  nel  fondo   giù  pesca. 


i.xxiv 

10  piglio  lasche  di  libbra,  compare  ; 
Se   tu  ci  fossi,   tu  ci   goderesti  : 

Io  me  ne  vo'  per  un  tratto  saziare. 
Rispose  il  lupo  :   Tu  non  chiameresti 
A  queste  cose  il  compagno,   comare  ; 
E  forse  che  mai  più  non   lo  facesti. 
Disse  la  volpe  maliziosa  e  vecchia  : 
Or  oltre  vienne,  e  'ntrerai  ne  la  secchia. 

r-xxv 

11  lupo  non   istette  a  pensar  piùe, 
E  tutto  ne  la  secchia  si  rassetta, 
ì\.  vassene  con  essa  tosto  giue  : 

Truova  la  volpe  che  ne  vlen  su  in  fretta, 
E  dice  il  sempliciotto  :   Ove  vai  tue  ? 
Non  Yogliam   noi   pescar  ?  comare,   aspetta. 
Disse  la  volpe  :  Il  mondo    è,  fatto  a  scale  : 
Vedi,  compar,  chi  scende  e  chi  su  sale. 

i,xxvi 
Il  lupo  drento  al  pozzo  rimanea  : 
La  volpe  poi  nel  can  dette  di  cozzo, 
E   disse  il  suo  nemico  morto  avea; 
Onde   e' rispose:  Bench'e'sia  nel  pozzo. 
Che  '1   tradilor  però  non   gli  piacea  : 
E  presela,  e  ciufToUa  appunto  al  gozzQ  ; 
Uccisela  ;  e  punì  la  sua  malizia  : 
E   così  ebbe  luogo  la  giustizia. 

Lxxvn 
Se  tradimenti   hai  fatti  a  la  tna   vita 
Già  mille  volte,  a  questa   datti  pace  : 
Tu   non  farai   di  qui   già  mai  partila 
Per  nessun  modo,  Iraditor  verace  ; 
Ch' oiini   tua  colpa  vecchia  fia  punita '• 
Che  \   tradilor  per  nulla  non  mi  piace, 
E  piglierofti  al   gozzo  col  capestro  : 
E  presolo,  e  legar  lo  fece  presto. 

r.xxviu 
E  poi  mandò  di  subito  un  messaggio 
A  dire  a  Astolfo,  ch'era  in  Montalbano, 
Che  perch' egli  era  di   nobil  Icgnaggio,       : 
Bench'e'sia  Saracino,  e   lui  cristiano, 
A  tradimento  non   vuol  fargli   oltraggio, 
O  in   altro  modo  :  e   eh' avea  preso    Gauo, 
E  impiccherallo  pur  che  lo  consenti: 
E   disse  tutto  de'  suoi  tradimenti. 

LXXIX 

Il  messaggiero  a  Astolfo  se  n'  andóe, 
E  disse  come  ha  detto  il  suo  signore: 
E   tutto  il   tradimento   gli   contóe  : 
Astolfo  fece'  a  quel  messaggio  onore, 
E  poi   Guicciardo    e  gli   altri   a  sé  chianuie, 
E  riferì   di  questo  traditore; 
E   chiese  a  lutti  consiglio  e  parere. 
Quel  che  si  faccia  di  Gan  da  Pontiere. 

LXXX 

E  che  per  sé  medesmo  gli  parrebbe. 
Che  si  risponda   che   lo  'nipicchi  presto  : 
Poi  s'  accordorno  cii'  ulll  non  sarebbe  : 
Che  '1   tempo  avverso  non  pativa  questo  : 
Che  la  sua  gente   si  ribellerebbe, 
(^uantupqiie  Gan   meritasse   il  capresto  ; 
E  ringraziorno  il   famoso  Pagano, 
E  chiesonirli    di   cra,iia   vivo  Gniio. 


iM  ()[\  (;  A  !\  r  i:    m  a  (,  e.  i  o  iiK 


I  \X.\I 

Astolfo   tlillP   al   iiirsso   un  palafreno, 
E   «lissr  :   Qiu'slo    (icn  per  amor  mio; 
E   1   ìitess.ipjiier  ritorna   in   un   baleno, 
E  rarrontò  li  Astolfo  il   sno   tJi"«io. 
Lionfnnti-,   noni   di   penlile^za   jiieno, 
Kijposp  :   Come   A.nIoIIo   vuol,   voci'  Io  ; 
!■'.   contro   al   s«io   voler  Gan   liberava: 
Gano  a  Paripi  snbitu  arrancava. 

I,XXSII 

E   «b'sse   a  Carlo  il   traditnr  fellone, 
Cb'  aveva   fatta  certa  sna   pensat.i, 
Come   ingannar  potesse  Erniinione  ; 
Ma  poi  era  la   trapp<ila  scorcata; 
E  come  preso  fu  nel    padis;lione: 
Così   la   sua   tristizia   ba   covertala, 
Dicendo  :  Un  tradimento  facea  doppio, 
Chfe  insin  di  qua  ne  sentivi  lo  scoppio. 

LXXXIII 

•    Carlo  il  crédette  ben,  cbe  "1   ver  dicea, 
Cbe  "1    tradimento   doppio  era   ordinato. 
Astolfo  in  questo  tempo  gli   scrivea, 
Come  questo  fellon   V  avea  inpannato. 
Carlo  a  V  usato  a   Ganellon  credea. 
Che   così  era  nel  ciel   destinato  ^ 
E   conferiva  con  lui  come  prima 
Ogni  segreto,  e  così  facea  stima. 

Lxxxiv 
Erminion  con  la  sua  eente  bella 
Sempre  più  inverso  Montalbano  è  ito. 
Era  per  Pasqua,    giunse  la   novella 
D'un   messaggier  cb' è  tutto   sbigottito: 
Tanto    rbe    giunto   a   gran  pena   favella  ; 
Poi  disse  tutto  per  duolo  smarrito; 
Erminion,  male  novelle  bai   certo  ; 
Sappi  tu  se'  col  tuo  popol  diserto. 

LXXXV 

E  1   tuo  fratello  è  morto  Fieramente, 
Clic   combattendo  un   dì   con   un   cristiano, 
Gli  passò  r  elmo,  e  ruppecli  la  fronte  ; 
E   dice  eh'  è  il  signor  di  Montalbano  : 
Ed   ha  con   seco  quel  famoso  conte 
Orlando,  cbe  tremar  fa  il  monte  e  ì  piano  : 
La    citl.ì  presa   e   abbruciata   è   tutta  ; 
E    la   tua  gente  scacciata  e  distrutta. 

LXXXVI 

Fabnrro  è  quel  cbe  il   tradimento  fé'  ; 
Tutti   i  suo'  amici  ba  fatti  far  cristiani  ; 
E   tutto  il  regno   in  preda   a   costor   die; 
Gran   quantità  son   morti   de' pagani, 
Sanza    trovare   o  rimedio   o  merzè: 
Io   gli  ho  veduti   tagliar  come  cani; 
E  la   tua  donna  in  molti   affanni  e  duoli ^^ 
Uccider  crudelmente  e' tuo"  figliuoli. 

LXXXVII 

E   ti  so   dir    cbe  ti   vengono  addosso 
Con   ben   quarantamila   cavalieri  : 
Ed   era   il    campo   quand"  io  parti"  mosso  ; 
Faburro   è   1   capitan   di   que'  guerrieri, 


(Ile   di   sua   gente   ba  fatto   capo  grosso, 
E   vien   con   b»r  per  mostrare   i   «j-nlieri. 
Qu.indo  il  Pagan  senti  (luel  «  be  gli  ba  detto, 
Bestemmili  forte  Io  iddio  Macomelto  ; 

Lxxxvni 
E   disse  ;  Traditor  crudele   e   rio. 
Mai  più  t'  adorerò  ;  così  li   giuro  ; 
Io   vo'cbe   Satanasso  sia   il   mio   iddio, 
O   se   v'  è   allro   diavolo   piii  oscuro; 
die  l'ho  fatt'ìo?  d«)vc  è  il  fratel  mio, 
Cb   io  lasciai   pur  nel   suo   regno  sicuro  ? 
Dove  è  la  donna  mia  eh'  io  ti  lasciai, 
E  i  miei  figliuoP  eh'  io  ti  raccomandM  ? 

I.  XXX IX 

Cbe  farò  io,  se  in  qua  ritorna   Orlando, 
E   se   torna   Rinaldo  mio  nimico? 
Or  verrò  le  mie   ingiurie  vendicand«t 
Contro   a  costui    del   mio  Mambrincj  antico. 
Quivi   era   Salincorno,   e  larriniando 
Dicea:   Fratello,   ascolta  quel   ch'io   dico; 
Dov'  è   la  fama   e   tua   virtù  fuggita  ? 
Hai    tu  perduto  il   tuo  campo  o  la  vita  ? 


E' SI  conosce  ne  le  avversilade 
Il  savio  sempre  ;  e  nel   tempo  felice 
Non  si  può  ben  veder  chi  ba  in  sé  bonlade; 
Questo  sai   tu  cb"  ognun  cbe  intende   dice: 
Se  Fieramonte  é  morto,  e  fa  cittade 
Distrutta  così  misera  e  infelice  ; 
Tu  bai  qui   tanta  gente  di  tua  setta, 
Che  d'  ogni  cosa  si  farà  vendetta. 


Erminion  per  ira  fé'  venire 
Tutti   i  baron' legali  ;   e  poi  scrivea 
A   Carlo  Mano,   e  manda  così   a   dire  : 
Cbe  gli  farà  morir  di  morte  rea 
Con   gran   vergogna,  con  istran  martire. 
Se  non   gli  dà  Parigi,  conchiudea, 
E  1  suo   tesoro,  e  tutlo  il  suo  paese  ; 
E   che  il  primo  impiccar  farà  il  Danese  ; 

xcii 
Anzi  squartar.,  perchè  e'  fu  già  pa^ano^ 
E  rinnegato  avea  lo  iddio  Macone. 
II  messo   giunse  presto   a   Carlo  Mano, 
E  la   imbasciata  fé' d' Erminione. 
Carlo,   com'  uom    già   disperato   e   insano, 
Nulla  rispose  a  la  sua   orazione  : 
E   1  messaggiero  in  drieto  tornò  ratto, 
Dicendo,  Carlo   gli  pareva  un  mallo. 

xriii 
Carlo,  poi  che  I  messaggio  fa  parlilo. 
Ad   un  balcon   si  stava   addolorato. 
Né  sa   più  cbe   si  far   tutlo  smarrito; 
Ma  "1   suo   Gesù  non   1'  ara   abbandonalo  : 
Che  Orlando  io  questo  tempo  è  comparito, 
Com' io  dirò  ne  1' altro  mio  trattalo. 
Col  suo  fratello   e  col  pagano  stuolo. 
Cristo  sia  sempre  il  nostro  aiuto  solo. 


-»^&Q^^^' 


M  O  K  (;  A  N  T  E     M  \  r,  G  I  O  U  K 


CANTO    X 


ARGOMENTO 


-ti>É>@=H^ 


E 


soccorso  Parigi^  e  Gano  accende 
Romor  che  Carlo  è  in  lega  co'  Pagani  : 
Stuol  Maganzesc  la  città  difende  : 
Rinaldo  ed  Erminion  mcnan  le  mani. 
A^  Paladin  la  libertà  si  rende  ; 
Rinaldo  e  Orlando  han  de"  pensieri  strani^ 
E  It/alagigi  n'  è  la  cagion  forte, 
yegurto  da  Morgante  è  posto  a   ritorte. 


J  e,  Deum,  lairdamus,  sommo  Padre  ; 
Te  confessiam,  Signor  oiuslo  e  verace  : 
Laudata  sia  la  tua  benigna  Madre  : 
Donami   grazia,  Signor,   se   ti  piace, 
Ch'  io  conduca  a  Parigi  le  mie  squadre, 
E  tragga  Carlo  fuor  di   contumace; 
E  eh'  io  ritorni  ov'  io  lasciai   il  mio  canto, 
Con  la  virtù  dello  Spirito  Santo. 

II 
Era  già  presso  a  Parigi  tre  miglia 
Faburro,  eh'  era  innanzi  a  V  altra  genie  : 
Mentre  che  Carlo  voltava  le  ciglia. 
Vide  le  schiere  e  gli  stromenti  sente  : 
Non  sa  che  fussin   de  la  sua  famiglia, 
E  più  che  prima  fu  fatto  dolente  ; 
Pur  così   afflitto  a   la  sua   gente   è  corso, 
E  chiama  Gan  che  debba  dar  soccorso. 

Ili 
Gano  appellò  il  suo  capitan  Magagna, 
E  disse  :  Presto  a  la  porta  n'  andate, 
Che  nuova  gente  vien  per  la  campagna  : 
Quivi  la   vostra  prodezza  mostrate  ; 
Che  starsi   drento  poco   si   guadagna. 
Fumo  in  Parigi   molte   genti   armale  ; 
Ognun  del  caso  nuovo  si   sconforta, 
E  tutti  si  ridussono  a  la  porta. 

IV 

Faburro  è  giunto  valoroso   ardito, 
Che  cavalcava   un  possente  cavallo- 
La  lancia  abbassa  ;   un  cristiano   ha  ferito, 
E  morto  in  terra  faceva  cascallo  : 
Gan  di  Maganza  incontro  gli  fu  ilo, 
E  disse  :  Aspetta,  traditor   vassallo  : 
La  lancia  abbassa,  e  lo  scudo  percosse  i 
Ma  da  1'  arcion  Faburro  non  si  mosse. 


Al  conte  Gano  un  colpo  de  la  spada 
Dette,  che  presto   trovò  la  pianura  : 
Molti  cader  ne  fere    in  su  la  strada  : 
Tanto  die  assai  n«  faggon  per  paura, 
Gan  si   rilieva,  e  non   istette   a   bada  ; 
E  riprovar  volea  la  sua   ventura  : 
E  fece  quel   che  potea   il  fraudolente; 
Ma  in  questo  tempo  giunse  1'  altra  gente. 

VI 

Per  Parigi  era  levato  il  remore, 
E  Carlo  era  montato  in  sul  destriere  ; 
Giunto  a  la  porla  con  mollo  dolore, 
Subito  riconobbe  le  bandiere 
Del  suo  nipote   Orlando   e  '1   corridore, 
Ch' avea  scoperto  il  segno  del  quartiere: 
E  già  Faburro  incontro   gli  è  venuto, 
E  dismontato,  e  fatto  il  suo  dovuto. 

VII 

E  questo,   Carlo,  eh'  ho  bramato  tanto 
Di   vederti  una  volta?    or  son   contento; 
Non  dubitar  ;  pon  fine   al  lungo  pianto  ; 
Qua  è  Orlando,  che   già  presso  il  sento. 
Carlo  si   trasse  per  dolcezza  il   guanto, 
E  disse  :-  Lieva,  baron   d'  ardimento  : 
Ed  a  Faburro   toccava  la  mano; 
jhi  questo  giunse  il  sir  di  Montalbano, 

vili 
E  saltò  di  Baiardo,  e  'nginocchiossi. 
Ecco  Ulivier  che  facea  similmente  : 
Non  sapea  Carlo  in  qual   mondo  si  fossi. 
Tanta  allegrezza  nel  suo  petto  sente. 
Non  si  son  questi  pria   di   terra  mossi. 
Clic  '1  suo   nipote   giugneva   presente, 
E   sai  lo  armato  fuor    di  Vegliantino, 
E  'nginocchiossi  al  figliuol  di  Pipino. 

IX 

Carlo  gli  abbraccia  con  amor  perfetto, 
E  benedisse  mille   volle  o  pine. 
Meridiana  giugneva  in   effetto, 
E   dismonlala  poi   che  in    terra  fùe, 
S'  inginocchiò  dinanzi  al  suo  cospetto. 
Disse  Ulivier  :   Questa  crede  in   Gesiie, 
E  sua  prodezza  non   ha  pari  al  mondo  : 
Viene  a  -veder   te,  imperador  ^ocondo. 

X 

Ed   è  figliuola  d'  un  gran  re  pagano, 
E  molla  genie   ha  qui   di  suo  paese, 
E   vengono  aiutar   te,  Carlo  Mano. 
Subilo  Carlo  le  braccia  distese, 
F  prese  la  donzella  per  la  niano, 
E  ringraziolla  di  si   falle  imprese  ; 
E  grande  onore  a   la  genie  pagana 
Facea  far  Carlo  di  Meridiana. 


M  O  l\  O  A  N  T  K     M  A  ('.  ('.  I  O  K  K 


l.- 


Disse   IMivicri   a   la   pentii   donzella  : 
riie    ti   p.ìr,    ilanin,   de    lei   iinperadore  ? 
Di«:e   la    donna    graziosa   e    lulia  : 
I)t>|!no    di    ploria   e   di   predio   e   d'  onore  : 
\]    «erto   «Ili    di   sua    lamlf    favella, 
Al   mio  parer,  n<»n   può  jiiiiliarr   errore, 
Non    iniiuiisre   pia    la    «ii.i    presenzia 
La    fama,    il    grido    e    la    magnlliienzia. 

-MI 

Carlo   la   fere  ravairar  davanle, 
E  yioi    appresso   il   dura   Ijoraosinone  : 
Erro    .-tjiparir  col    itattaglio  Morganle  : 
Tarlo    cnardava   questo   rompagnone, 
E   disse  :   Mai   non    vidi   un    tal    gisianic  ; 
El)l»e   di   sua   grandezza   ammirazione. 
IMorgante   {•inocrliicui   lo   superava, 
E   così    Carlo   la  man    gli    toccava. 

XIII 

Verso   il  palazzo  Carlo    s' invióc, 
Più  die   mai   fossi   in  sua   vita   conlento: 
finn,    come   Orlando   vide,   si   pens<(e 
Clie   questo  fossi   il  suo  disfacimento  ; 
1'    come    ilisperalo  a   sé  cliiam/ie 
Magagna  ,   e  fece   un    altro   tradimento, 
Dicendo:    Poi   die   questa    gente  pazza 
Entrala  è  drenlo,  soccorriam   la  piazza. 

xiv 
Gridiam,  che  Carlo  tradimento  ha  fallo, 
E  eli'  egli  Ila  dato  Parigi  a'  Pagani  ; 
E   come  alcun   di  lor  v'  è  conlralTatlo, 
Che  pare    Orlando   e   gli   altri   capitani  : 
E   lutto   il   popol   sollevò  in   nn   tratto: 
florsc   a   la  piazza   con    armale  mani  : 
Il   popol   parigin   dava  favore 
A   Gan,    cJiiamando    Carlo   traditore. 

XV 

Non   si   conosce  ancor  per  molli  Orlando 

0  gli   altri,  perchè   Telmo   avieno  in  testa: 

1  Maganzcsi   la  piazza  pigliando. 
Fu   la   novella   a   Carlo  manifesta 

Che   tulio  il  popol  si  veniva  armando  : 
Parvegli   segno   di   cattiva   festa. 
Rinaldo  presto   correva   a   le   sbarre 
Co'  Saratin"  eh'  avean  le  scimitarre. 

XVI 

Fumo  in   un    trailo    le   sharre   tagliale, 
E   in   ogni   parte   ove    Gan  fé'  serraglio  ; 
Meridiana  è   tra  sue  genti  armale, 
E  fé'  gran   cose   in   sì   fatto   travaglio  ; 
Orlando   corse   con   l'altre   briaate: 
Giunse   Morgante,   e   diguazza  il   battaglio  : 
E   Ulivieri   innanzi   a   la   sua   dama 
Dava   gran    colpi   per   acquistar  fama. 

xvil 
Rinaldo  in  mezzo  di  que'Maganzesi 
Quanto   poteva   Frusberta  menava 
Tagliando   a   chi   bracciali,   a   chi   arnesi, 
E  molli   morti   in   terra  ne   cacciava  : 
Molti   ne   fur  feriti    e   molti   presi  ; 
Ecco  il   Magagna  che  quivi   arrivava  : 
Rinaldo   al   capo   un    gran   colpo   gli   mena, 
E  fessel  come   tinca  per  ischiena. 


Ma  poi   che   fu  conosciuto   Rinaldo, 
E   gli   altri,  ognun   per  paura  foggia  : 
(.he   lo    vi-dieno   infuriato   e   caldo: 
'Poslo    la   jiiazza   sgomberar  facia. 
Dicendo:    Ov' è  quel    Iradilor    ribaldo 
Gan   da    Ponlier  ?   ma   foggia   tuttavia: 
Non   si   fidò    di   star   dreiito  a    le  mura, 
I*erch'  egli   avea   di   Rinaldo  paura. 

XIX 

Cosi  fu  presto  cessato  il  furore  : 
E   conosciuti   i   nostri   buon   guerrieri. 
Ognun   gli   abbraccia   con   molto  fervore  ; 
'J'ullo   il   popol    gli   vide   volentieri: 
Ognun   si   scusa   con    lo 'mperadore  : 
Nessun   si    vede   di   que"  da   Pontieri  : 
E    con    gran  festa   e  piacere  e   sollazzo 
Tutti   n'  andornu  a  smontare  al  palazzo. 

XX 

Era   venuta    intanto  Alda   la   bella 
Per  rivedere   Orlando   iT  suo  marito: 
Rinaldo  una  corona  ricca   e  bella 
Donava  a  questa,  ov' era  stabilito 
l'n   bel   riibin   che   valea   due  castella  : 
Alda   la    lidia   col   viso  pulito 
Gran    festa   fé'  del   marito   e   di   quello, 
E   d'  Ulivieri   il  suo  caro  fratello. 

XXI 

Poi  che  furono  alquanto  riposati, 
Queste  parole  Rinaldo  dicìa  : 
O   Carlo,   io   non   ci   veggo    bench'io  guati, 
leggieri   e  Namo   e   l'altra   baronìa; 
Che   n'hai    tu  fatto?   bagli    tu  sotterrali, 
O   son   prigioni   andati    in   Pagania  ? 
Carlo   a   Rinaldo   subilo   ha  risposto  : 
Tutti   son  vivi  e  qui   gli  vedrai  tosto. 

XXII 

E  raccontò  com'  andata  è  la  guerra, 
E  ciò  eh' è  stalo   dopo  il  suo  partire; 
Come  il  re  Erminion  Montalban  serra, 
E   i   suoi   baron   minaccia   far  morire, 
E   come  Astolfo  è  drenlo  ne  la   terra, 
E   Ricciardetto  suo   ch'ha   tanto  ardire: 
Parve   a   Rinaldo   e   gli   altri   il    caso   strano 
De"  paladini,  e  sì   di  Monlalbano. 

XXIII 

Diceva   Orlando  :    Preslo   i   paladini 
Si   bisogna,  Rinaldo,  riscattare: 
Io  vo'  che  '1   campo   là   de'  Saracini 
Domani  a   spasso   andiamo   a   visitare. 
Che   trenta   miglia  son   presso   a 'confini. 
Meridiana   cominciò  a  parlare  : 
Io  vo' venir,  se  la   domanda  è  degna, 
E  '1  mio  Morgante  vo'  che  meco  vegna  ; 

XXIV 

Così  Faburro  e  cosi  il  buon  Marchese  : 
Vedremo  un  poco  come  il  campo  sta. 
Diceva    Orlando  :   e   1   partito   si   prese  : 
Ognun  presto   apportar   V  arme   si   fa. 
Così  coperti   di  piastra  e  d'  arnese 
Usciron   tulli   fuor  de  la   città 
Quella   mattina   al   cominciare  il   siorno  : 
E  n verso  Monlalban   la  via   pieliorno. 


M  0  R  G  A  N  T  i:     MA  G  (i  I  O  R  E 


l^ran  qualche   otto   leg;hc  ravalralì, 
Qiiainld  allor  si  scoptTse  il  padigliuue 
ìy  Kriiiiiiion,   «love  slavan  leji;ali 
Berlingliier  nosfro  e  Namo  e   Salamone^ 
K  1  Danese   e   i;li   altri  isventiirali  : 
E  se  non  fnssi,  die  il  re  Erniinione 
Sentilo  avea  come   Orlando  venia  ; 
Tulli  impiccare  e  squartar  li  facìa. 

XXVI 

Ma  dubitò  di  quel  che  gli  bisogna^ 
Dicendo:  Se  morir  facciam   costoro, 
E' ne  polre' seguir  danno  e  vergogna: 
Gilè  Orlando  vendicar  vorrà  poi   loro  ; 
E  metter  ci  potrebbe  in  qualche  gogna, 
Cile  ri  darebbe  qualche  slran  marloro  : 
Se  vivi  son,  qualche  buon  tratto    fare 
Si  può  con  essi,  e  i  prigioni  scambiare. 

XXVII 

Vide  tante  trabacche  e  padiglioni, 
Destrier  coperti  d'arme  rilucenti; 
E  senlla  trombe  sonare   e  busoni, 
E  far  pel  campo  variali  strumenti  ; 
Per  Montalban   galli,   grilli  e  falconi 
Da  rombattervl  su  poi  quelle  genti  ; 
E  disse  :  Erminion,  per  Dio  sollecita 
Pigliar  la  terra,  e  parmi  cosa  lecita. 

XX  VII! 

Meridiana  disse  al  conte  Orlando  : 
Se  ti  fussi  in  piacer,  caro  signore, 
Una  grazia  mi  fa  eh'  io   li   domando  : 
Io  vo' pel  mezzo  entrar  col  corridore 
Del  Campo  tutto,  e  venirlo  assaltando, 
E   trapassarlo  via  con   gran  furore, 
E  fare  xm  colpo  degno   a  la  mia  vita; 
Così  pregò  questa   dama  gradila. 

XXIX 

Ma  vo'  che  presso  Morganle  a  me  vegna, 
Se  bisognassi  pur  qualche   soccorso  : 
E  forse  arrecherotli  qualche  insegna  ; 
Anzi  per  certo,  bench'  io  te  lo  'nforso. 
Rispose  Orlando  :   La  pregliiera  è  degna 
D"  aver  il   campo  in   tal  modo  trascorso  : 
Non  dubitar,  sicuramente  andrai  ; 
E  tu,  Morgante,  1'  accompagnerai. 

XXX 

Meridiana  allor  prese  una  lancia. 
Brocca  il  cavai  eh'  ha  serpentina  testa^ 
E   grida:  Viva  Carlo,  e  viva  Francia. 
Quando  fu  tempo  misse  1'  aste  in  resta  ; 
Truova  un  pagano,   e  per  mezzo  la  pancia 
Gli  misse  il  ferro  con  molla  tempesta  ; 
Poi   trasse  fuori  una  fulgente  spada, 
E  fé'  pel  mezzo  del  campo  la  strada. 

XXXI 

E  come  morto  fu  questo  pagano. 
Fu  la  novella  a  Salincorno   delta, 
Ch'egli  è  venuto  un   cavalier  villano, 
E  molti  in   terra  col  suo  brando  getta  : 
Salincorno  s'  armava  a  mano  a  mano. 
Però  clie  far  ne  voleva  vendetta  : 
Verso  Meridiana  il  cammin   prese 
Questo  giovin   gentil,  saggio   e   cortese. 


XXKll 

E  molla  gelile,  che  fuggiva,  scaccia  : 
Tornale  a  drieto  :   per  un  sol   fuggile! 
Arebbc  costui  d'  Ercol   mai   le  braccia  ? 
Fugli  risposto  in  parole  spedite: 
Egli   è  il   diavol  die   tua   genie   spaccia  : 
Se  noi  credete,  a  vederlo  venire  : 
Egli  Ila  cacciato  in  terra  ognun  che  truova, 
E  parai   cosa  inusitata  e  nuova. 

XXXIII 

Rispose  Salincorno  :  Io  vo'  vedere 
Chi  è  costui  eh'  ha  in  sé  tanta  arroganza  ; 
Che  sia  passalo  tra  le  nostre  schiere; 
Orlando  non  aria  tanta  possanza. 
Meridiana  rivolse  il  destriere. 
Come  di  Salincorno  ebbe  certanza  : 
Salincorno  la  lancia  abbassa  in  quella, 
E  ferì  ne  lo  scudo  la  donzella. 

xxxiv 
La  lancia  in  aria  n'andò  in  mille   pezzi. 
Disse  la  dama  :  Ah  cavalier  codardo, 
A  questo  modo  la  tua  fama  sprezzi  1 
Questa  non  è  usanza  d'  uom   gagliardo, 
Ch'  a  ferir  con  la  lancia  alcun  t' avvezzi. 
Che  sia  col  brando  ;  e  tu  non  v'hai  riguardo: 
Volgiti  a  me,  poi  che    tu  m'  hai  percossa; 
Vedrai  che  de  1'  arcion  non  mi  son  mossa* 

XXXV 

Ebbe  vergogna   Salincorno  allora, 
E  ritornava  in  drieto  a  fare  scusa. 
Dicendo  :  Io  non  ave'  veduto  ancora, 
Se  tu  l'  avevi  lancia   o  soda  o  busa. 
Meridiana  a  quel  sanza  dimora 
Rispose  :   In  Danismarche  così  s'  usa  ? 
Così  fanno  i  baron  di  Erniinione  ? 
Tu  debbi  esser  per  certo  un  gran  poltrone. 

xxxvi 
Ma  non  si  fa  così  di   Carlo  in  corte, 
Dove  fiorisce  ogni   gentil  costume  ; 
Vedrem  se   tu  sarai   cavalier  forte, 
E  s'  altra  volta  poi  vedrai  me'  lume  : 
Prendi  la  spada  ;  io  ti   disfido  a  morte, 
E  farotti  assaggiar  d'un  altro   agrume. 
Salincorno  la  spada  trasse  fore. 
Per  acquistar,  se  poteva,  il  suo  onore. 

XXXVII 

Poi   che  più  colpi  insieme  si  donorno. 
Né  i'  un  né  1'  altro  guadagna  niente, 
Un   tratto  volle  ferir  Salincorno 
La  gentil  donha,  e  delle   al  suo  corrente  : 
E  molto  biasimato  fu   dintorno, 
Ciie  gli  spiccava  il  capo  del  serpente  ; 
E  ritrovossi  in  su  l'  erba   la  dama  : 
Or  questo  è  quel   che  gli  tolse    ogni  fama. 

XXXVIII 

Morganle  volle  il  battaglio  menare 
Per  ischiacciar  la  testa  a  quel  Pagano: 
Meridiana   gridava  :  Non  fare  ; 
Vendetta  ne  farò  con   la  mia  mano, 
Salincorno   s'  aveva   a   disperare  ; 
E  duolsi  molto   di  quel  caso  strano  : 
I  saraciu  ferno  a  Morgante  cerchio. 
Tanto   eh' al  fin  saranno  di   superchio. 


M  0  K  (1  A  N  T  K     M  A  G  (V 1  O  K  E 


XXXIX 

E  Tni<;<:oii   lui   r«)n   la   (ion/icll.i   in  mezzo, 
V.   roniiiiriorno   mia   frra    li.Ml.iirlia  : 
Ma  a  molli   dava   il   balta;:lio  ri])rezzo  ; 
A   molli   trita   la  falda   e   la  ma|ilia. 
Dicea  Hiiialflo  :    Or  non  isti.im  ])iii  al  rezzo, 
Che   non   è   tcnijio,  se   Gesù  mi   vaglia  : 

10  vepfto  a  ])iede   là  Meridiana 

In    mezzo   a    tntla   la   torba  pagana. 

xr. 
Orlando  «prona  snliilo   il   destrieri, 
K  'nverso  il   rampo   girava   la   briglia  ; 
K  simiglianle  faceva   Ulivieri  : 
dosi    tulio  queir  oste  si   scompiglia, 
r.rminion  sentì   elie  que'  guerrieri 
Eran  venuti,  e  fanno  maraviglia, 
K   disse  :  Traditor  di    31arometlo, 
E"  Ha   Rinaldo  per  più  mio  dispello, 

XI.I 

E  '1   conte   Orlando  che  tornati  sono  : 
Altri   non   so   eh' avessin  tanto   ardire 
Di  metter   qua   la   vita   in   abbandono: 
Sniiilo   incontro   gran   gente  fece   ire, 
E   disse  :  Io  credo  ancor  che  sarà  buono 
Ch'io   m'' armi  tosto;   e  Tarme  fé' venire, 
E  '1  suo   cavai   di  fine  acciar  coperto  : 
Che   vincere   o  morir  dispose  cerio. 

XLII 

Orlando  in  mezzo  a  la  sua  gente  entrava, 
E    una  lancia  eh'  egli   aveva   abbassa  : 

11  primo  che  a  lo  scudo  riscontrava. 

Lo  scudo  e  r  arme  e  '1  petto  gli   trapassa  : 
Poi    trasse  Durlindana,  a  martellava  ; 
Quante   arme  truova,   tante  ne  fracassa  ; 
Fece  un  macel   di   gente  in  poca   dotta  ; 
llinaldo  n  avea  già  morti  una  frotta. 

XLIII 

Ed   Ulivler  facea  quel  che  far  suole  ; 
Ma   tuttavia  tenea   gli  occhi  a  colei, 
Ch'  era  sua  scorta,  come  a   gli   orbi   il  sole. 
Colpi  menando  dispietati  e  rei, 
Percliè  soccorrer  la  sua  donna  vuole  : 
Ovunque   e' guata  facea  l'agnusdei. 
Rivolto  sempre  a  la  sua  dama  bella  ; 
E  quanto  può,  sempre  s'appressa  a  quella. 

XLIV 

E   non  poteva   ancor  romper  la  calca, 
Che   tuttavolta  si  facea  più  stretta  : 
Pur  sempre  innanzi   a  suo  poter  cavalca, 
E 'u   qua   e 'n  là  com' un  lion  si   getta; 
E  molti   con   la  spada  ne  difalca 
De   la   turba  bestiale  e  maladetta: 
E  tristo   a  quel  ch'aspettava  Allachiara, 
Che  gli  facea   costar  la  vita  cara. 


Morgante  in  mezzo  stava   de  lo  stuolo, 
E   col    battaglio  facea   gran  fracasso: 
Meridiana  sentiva  gran  duolo. 
Clic   I   corpo  femminil   già   era  lasso: 
Né  fuggir  può  se   non   si  beva   a  volo, 
Perchè  non  v'  era  onde  fuggirsi   il  passo  : 
Ma  pur  Morgante  spesso  la  conforta, 
E  molta   gente   avea   dintorno  morta. 


xr.vi 
Ed   era   tutto  da' dardi  forato, 
E  lance  e  spiedi  e  saette  e  spuntoni, 
E   tutto   quanto  il   corpo   insanguinato, 
Che  le   ferite  parevan  cannoni, 
(]lie   gettali   sempre  fuor  <la   ogni  lato; 
Avea   nel   capo  cento  verrettoni, 
Ma  Unti  intornc»  avea  fatti  morire. 
Che   già  del  cerchio  non  poteva  uscire. 

XI,VII 

L' un   sopra   l'altro  morto  era  caduto, 
E   gli   uomini  e  i  cavalli  attraversati: 
Tal   che  miracol  sarebbe   tenuto. 
Quanti  fiiron   poi  morii   annumerali  : 
Ave' cinque   ore   o  più   già  combattuto. 
Or  pensi  ognun  (juaiili  e'  n'  abbi  schiacciali. 
Che  non  potea  più  aggiugner  con  le  mani, 
Tanto   discosto   gli  erano  i  Pagani. 

xr.viii 
Meridiana  assai  s' era  difesa, 
E   or  da' dardi   attendeva   a  schermirsi^ 
Avea  la  faccia  come  un  fuoco  accesa, 
Né  polea  più  con  lo  scud«»  coprirsi, 
Tanto  era  stanca,  perchè  troppo  pesa, 
E   non  poteva  del   cerchio  fuggirsi  : 
E  così   afflitta  sventurata  a  piede 
Morir  vuol  prima,  che  chiamar  mercede. 


E  pure   ancora  in  Morgante  si  fida, 
E   dicea  spesso  :   Il  mio  fallar  ti  costa  : 
Ch'io   temo  questa   genie  non   t'uccida. 
Ecco  Rinaldo  eh'  al   cerchio  s'  accosta  ; 
E  com' e' giunse,  metteva  alte  grida. 
Tanto  che  molto   la  gente  discosta  : 
Oltre,  genie  bestiai  senza  vergogna; 
Poi   eh'  a  due  a  pie  tanto  popol   bisogna. 

L 

Fatevi  a  drieto  ;   e    Frusberla  menava; 
Tutti  sarete,  saracin,  qui  morti. 
Meridiana  quando  1'  ascollava. 
Subito  par  che   tutta  si   conforti  : 
Allor  Rinaldo  i   colpi  raddoppiava, 
E   vendicava   di  lei   mille  torti  ; 
E  poi  in  im   tratto,  com'  un  leopardo. 
In  mezzo  il  cerchio  fé' saltar  Baiardo. 

LI 

E  fé' saltar  Meridiana  in   groppa. 
Che  si   giltò  di   terra  com'  un  gatto. 
Né  mica  parve   affaticata   o   zoppa, 
E  fuor  del  cerchio  risaltò  in  un  tratto; 
Così  con  essa  pel  campo  galoppa  : 
Ognun  che '1  vide  ne  fu  stupefatto: 
Quest'  è  Rinaldo  o  '1  gran  signor  d'  Angrante, 
Dicevan   tutti  ,  e  lasciorno  il  gigante. 

LIl 

E  molli   a'  padiglion  si  ritornorno, 
Veggendo  cose  far  sopra  natura. 
In  questo   tempo   giunse  Salincorno  : 
Meridiana  il  vide  per  ventura  : 
Rinaldo  nostro  cavaliere  adorno, 
Che  non  tenea  Frusberla  a  la  cintura. 
Gli  trasse  d'  un  fendente  in  su  1'  elmetto, 
Che  gli  cacciò  Frusberla  insiuo  al  petto. 


M  O  1\  (i  A  N  T  E      M  A  G  G  1  O  K  i: 


MII 

V.   S.iiiiiocirno  cail<le   in    sul    lerri-iio, 
li    viMidir.ila   fti  la   (lainij^i'lla  : 
Itiiialilo  ]>rfse   il   suo   cavai   pel   freno, 
li  le'  montar  Meriillana   in  sella, 
(".he   vi  saltò  su   ia  manco   d'un  baleno: 
E   Ulivier  die  vide   la   dou/.ella, 
Disse:   Io  venivo   ben  per  darli   aiuto; 
Ma  le  schiere  passar  uoi)   ho  pollilo, 

r,iv 
Avca  Faburro,   Ulivieri   ed   Orlando 
Morti  quel   di   inii^liaia  di    Pai^ani, 
E   tuttavia  ne  veni'en  consumando  : 
I  Saracini  ancor  nienan   le   mani  ; 
Ma  tanto  e   tanto   i  paladini  il   brando 
Insanji^uiuato  avevan  di  que'cani; 
Che  per  paura  assai   n'  eran  fu{i;p;iti 
A' padiglioni,  e  gran  parte   feriti. 

i,v 
Erminion   dicea  più-  :   Chi   vi   caccia  ? 
Che  gli   vedeva  fuggir  da  ogni    parte  : 
E' rispondieno   a  quel   clie   gli  minaccia: 
Foggiani  dinanzi  a   la  furia  di   Marte  ; 
E' non   c'è   uom   con   si  sicura   faccia, 
(]he  si   confidi   di  sua  forza   o  arte  : 
Qua  son   venuti   nuovi   Ettorri   al  campo  ; 
Né  contro  a' colpi   lor  si    truova  scampo. 

LVI 

Noi   vedemmo  Rinaldo,  o  fu  il  cugino 
In   mezzo  un  cerchio  saltar  col  cavallo  : 
Quivi   era   tutto  il  popol  Saracino, 
E  non  potemmo  tanto  conlrastallo  ; 
Che  pose  Jn   groppa  u^n   altro  paladino 
Ch'era   assediato,  e  saltò  fuor  del  ballo, 
E   a   dÌ!;j)elto   nostro   il   portò   via: 
Mai   vedemmo  uom   di   tanta   gagliardia. 

LVII 

E  Salincorno  ha  morto,   il   tuo  fratello. 
Erminione  allor  si  dolse  forte, 
E   cos'i   disse:   Poi  che  morto  è  quello 
Ch'  era   il  più  lìer  pagan    di    nostra   corte  : 
A   tradimento  quel   Rinaldo  fello, 
O  '1   suo  cugin   gli   ara  data  la  morte. 
Fugli  risposto  :  E'  non  fu  a   tradimento 
Che  chi   r  uccise  n'  uccidrebbe   cento. 


Allora  Erminion  :   Sia  maladella 
Tua    deità,   Macon,   più   volte    disse  : 
E   giurò  far  del  suo  fratel   vendetta, 
Se  mille  volle   come  lui   morisse  : 
Dov'è  Rinaldo  a   gran  furia  si   getta; 
Ed  una   lancia  eh'  avea,  in  resta  misse  ; 
E  com'  egli   ha  Rinaldo  conosciuto, 
Lo  salutò  con  uno  stran  saluto. 

Dio  li  sconfonda,  disse  Erminione, 
Se   tu  se'  il  prenze   sir  di   Montalbano, 
Colui   che  porla  sbarralo   il  lione, 
Ch' ancor  lo  sbarrerò  con  la  mia  mano. 
Rinaldo,  udendo  si  fatto  sermone, 
A  lui   rispose  :   Cavalier  villano, 
Che  di' tu,  re   di  farfalle  o  di  pecchie? 
Io   t'  ho  a  punir  di  mille   ingiurie    vecchie. 


Rispose  Erminion  :  Del   tempo   antico 
A    vendicar  m'  ho   i(»   de'  miei   parenti  : 
Tu  uccidesti   come  rio   nimico 
Il    re   Mambriu   con   mille    tradimenti. 
Disse    Rinaldo:    Ascolla  quel    ch'io   dico; 
Per  la    tua   gola,  Erminion,   ne   menti  : 
(Ji'  a    Iradimetito   vien   tu   qua,  pagano. 
Perchè  io  non  e'  ero,  assediar  Montalbano. 

I.XI 

Ma  tanto  attraversato  ho  il  piarlo  e'I  monte, 
Ch'io   t'ho   trovato,  e  non   ti  puoi  fuggire: 
E  '1   tuo  fratello  ucirisi  Ficramonte, 
E  detti   al  popol   tuo   giusto   martire  : 
A  Salincorno   ho  spezzala  ia  fronte  : 
Or  faro  te  col  mio  bran<lo  morire. 
Quando  il   Pagan  sentì  rimproverarsi 
Tante  alle  ingiurie,  cominciò  a  picciiiarsi, 

Lxn 
E  in   su  r  arcion  percuotersi  1'  ehnello, 
E   bestemmiar  Macon   divotamenle, 
E  battersi  col  guanto   tutto   il  petto: 
Are'  voluto  morir  veramente  : 
E  poi   rispose:   D'ogni   tuo   dispetto. 
Che  fatto  m'hai,  ne  sarai  ancor  dole'ite  : 
E  misse   come   disperato  un   grido  : 
Prendi  del  campo  tosto,  eh'  io  ti  sfido. 

Lxrii 
E  poi   soggiunse  :  Facciam  questo  patio, 
Da  che   tu  m'  hai  cotanto   offeso  a   torto, 
Che  Montalban  mi   doni,   s' io   t'  abbatto  ; 
E   se   tu   vinci   me,  «latti   conforto. 
Che   i    tuoi  prigion'  ti   renderò  di   fatto, 
Che  nessun   n'  ho   danneggiato  né  morto  ; 
E   che  s'intenda  per  un   mese   triegua  : 
E  poi  ciascun  quel  che  gli  piace  segua. 

I.XIV 

Rinaldo  disse  :  A  ciò  conlento  sono  ; 
E  poi  voltava  in  un   tratto  Raiardo, 
E   dice  :   Se  niai  fusti   ardito  e   buono 
A  questa   volta   fa   che  sia   gagliardo  : 
Poi   si   rivolse  che  pareva   un   tuono  : 
Ne  anche   Erminion  parve  codardo  : 
E  quando  insieme  s'  ebbono  a  colpire, 
Parve  la  terra  si   volessi  aprire. 

r,xv 
Erminion  con  la   lancia  percosse 
Sopra   lo  scudo  il  franco  paladino  ; 
L'aste  si   ruppe,  e  d' arcion   non  si  mosse; 
Ma   1  prò'  Rinaldo   giunse  al   Saracino 
D'  un   colpo   tal,  che   ben  che  forte  fosse. 
Si  ritrovò   in   su  l'erba    a  capo  chino, 
E   disse  :  O  Dio   che  reggi  sole  e  luna, 
Può  far  eh'  io  sia  caduto  la  fortuna  '. 


Egli  è  pur  ver  quel  che  si  dice  al  moinlo, 
Che  questo  è  il  lior  de' cavalier  nomati: 
Rizzossi,  e  disse  :  Paladin   giocondo, 
Or  son  puniti    tutti   i  miei  peccali  ; 
E  «ome  dianzi   più  non   ti   rispondo 
D'  avere  i  miei  congiunti   vendicati  : 
Io  ho  perduto  ogni   cosa  iu   un  punto  : 
D'ogni   mia   gloria   e  fama  il  fine   è   giunto. 


INI  O  l\  G  A  N  T  K      M  A  (\  C.  I  O  l\  K 


I.XVII 

Or   s,irà  vcmlir.ito   il   mio  par»  nlc, 
Or   s.irà   vrndirato  Kieraiiiontr, 
K  Salinrorno   r    Ititla   l'altra   grnte  ; 
IVrò  ch'i  fa   vi-ndctla   con   sur   onlc, 
Al   mio  parere   è  mallo   veramente, 
l'I  spesso  avvien   che   si   batte   la  front*  '■ 
Or  pel   ronsi^lio  «li    <lama   Clen»en/ia 
Dei   suo  peccalo   lui  fallo  penitenzia. 

I.XVIIt 

Che   clii   governa  per  ronsiplio  il  recno 
Di   fmimina,   nttn   può   iJnr.ir  per  cerio  : 
(.he   i  lor  pensier  non  vanno  dritti  al  segno: 
Qiial   maraviglia^   s'  io   ne   son   diserto  ? 
Or  si  conosce   il  mio  lieslial   disegno  : 
0:;iii  cosa   ci   mostra   il  fine   aperto  ; 
Così   convien   che   spesfo  poi   si   rida 
Di  quel   che   troppo  a  fortuna   si  fida. 

l.XIX 

Quel  cl>'  io  promisi,  baron,  vo'servarti, 
r.«»me   pur   ainsto  re   eh'  io  sono   ancora, 
E   tolti   i   tiio'prigion   ve' consegnarli  ; 
Andianne   al  padiglion   sanza  dimora, 
V.   la  promessa   tua   vo' ricordarli. 
Disse   Rinaldo  :    Per  lo  Iddio   eh'  adora 
Ile  Carlo  Mano,  e   tutto   il    Cristianesimo, 
Ciò  che  tu  vuoi,  chiederai   lu  medesimo. 

i.xx 
Inverso   il  padiglitm  preson  la  volta  ; 
Erminion,  ch'era  uom   mollo  da  bene. 
Vece  pel   campo   sonare  a  raccolta. 
Poi   che  fortuna   nel   fondo  lo   tiene; 
La  genie  sua  parca  smarrita  e  stolta, 
Come  ne'  casi  subili   interviene  : 
Rende   i  pricion  eh'  avea  legati  e  presi, 
Co'  lor  cavalli  e   lutti   i   lorn  arnesi. 

LXM 

Chi   vedesse  la  fe'la   e   l'allegrezza, 
Che  fanno  i  nostri  possenti  liaroni, 
Sare"  costretto  per  sua  gentilezza 
Di   lacrimar  con  pietosi   sermoni. 
Diceva  Uggicr  :  Rinaldo,   tua  prodezza 
Ci   ha   tratto  fuor   di  molti   strani  unghioni; 
A  questa  volta  aremmo   tutti  quanti 
La  vita   data  per  quattro  bisanti. 

I.XXII 

Noi  abbiam  sentito  sì  fatto  remore 
Oggi  pel   campo   ch'io  pensai  che  1  mondtj 
Fussi   caduto,   o   giunto   a  l'ultim'ore, 
E  lo   sialo   di   Carlo  fusse   al  fondo; 
Ognuno   avea    de  la  morte   timore  : 
Che    1   Saracin  crudele  e  furibondo 
D' impiccar  lutti  ci  avea  minacciati, 
E   de  la  vita  slavam   disperati. 

LXXIII 

Namo   diceva  :   Il  nostro  buon    Gesiie 
Vi  mandò  qua  per  nostro  aiuto  solo  ; 
E  siam  salvati  per  la   tua  virine, 
E   liberati   da   gran  pena  e   duolo. 
Diceva   Orlando  ;  Non   ne  parliam  pine  : 
Lasciam  pur   tosto   de'  Pagan   lo  stuolo  : 
Carlo   non  sa   quel  clie   segnilo   abbiamo, 
Però  verso  Parigi  ce  n*andian:o. 


I.XXIV 

l^minion   rimase  ansai  scontento; 
E   i   paladini   a   Carlo  ritornaro  : 
Ciarlo   gli   abbraccia   cento  volte  e  cento, 
E    fu    cessato  ogni  suo  du<do  amaro  ; 
Fecesi  festa  per  la  città  drenlo  ; 
Ma  qneslo  a  Ganellon  fu  solo  amaro, 
(^lie  per  paura   fuor  s'era  fuggito, 
E  dubitava  oon  esser  punito. 

LXXV 

Poi  ch'alcun  giorno  insieme  riposarsi, 
Dicea   Rinaldo  un   giorno  a  Carlo  Mano, 
Ch' avea  pur  voglia  da   lui  accommiatarsi, 
E  ritornare  insino  a  Monlalbano, 
E  qualche   dì   con   la   sua   sposa  starsi  ; 
Carlo  contento  gli   toccò  la  mano, 
E  menò  solo  un  servo  mollo  adatto 
Del  conte  Orlando,  detto  Ruinatto, 

LXXM 

•  Ch'  era  scudier  compagno  di   Terigi  ; 
E  mentre  che  cavalca  s'  è  abbattuto 
Forse  sei   leghe  discosto  a  Parigi, 
Dove   giaceva  un  bel   vecchio  canuto. 
Quest'  era,   trasformalo,  Malagigi, 
Dal  che  Rinaldo  non   l'ha  conosciuto. 
Sur   una  riva  appoggiato  a  la  gr«)lla; 
E   d'acqua  piena  aveva  una  barlolta. 

LXXVII 

Rinaldo  il  salutò  corlesemenle; 
E' gli   rispose:    Ben  venuto  siete: 
Se  voi   volessi  ber,  bacon  possente. 
D'una  certa  cervogia  assaggerete, 
Che  doverà  piacervi  veramente. 
Rinaldo  disse:   Io  affogo  di  scie, 
E  di  ber  acqna   di  fossato  o  fiume, 
Quando  cavalco,  non   è  mio  coslume. 

LXXVIII 

Quando  Rinaldo  ha  bevuto  a  suo  modo, 
A  Ruinallo  il  barlello  porgeva. 
Dicendo  :  Peregrin,  di   te  mi  lodo  ; 
E  Ruinatto  come  lui  beeva, 
E  non   sa  ben   di  Malagigi  il  frodo  : 
Malagigi  il  barlette  ritoglieva. 
Rinaldo  poco  e  Ruinatto  andava, 
Ch'osnuno  scese,  e  di  sonno  cascava. 

LXXIX 

Addormentali  pesonsi  a  giacere; 
Maiagiai  gli  segue  come  saggio, 
E   non  poteva  le  risa  tenere, 
Veggendo  quel  eh'  ha  fatto  il  beveraggio: 
Tolse  la  spada  a  Rinaldo  e  '1  destriere; 
E  prese  inverso  Parigi  il  viaggio  ; 
Mise  Frusberta  la  spada  sovrana 
Ne  la  guaina,  ov"  era  Durlindana  ; 

IX  XX 

Così   Baiarde  ov'  era  Vegliantino  ; 
E  ritornò  a  Rinaldo  che  dormìa, 
E   dettegli  la  spada   del   cugino, 
Così  il   cavallo,    e  poi   disparì  via  ; 
E  misse  sotto   al   capo   al  paladino 
l^na   ceri'  erba   che  si  risentìa  ; 
E  risentito,  poco  seco  bada. 
Che  del  cavai   s'  accorse  e  de  la  spada. 


M  O  1\  Cr  AN  T  K      MAGGIO  K  E 


^>J;'^ 


LXXXI 

K  volsesi   a  <|iiel  servo  RiiinaUtr, 
E  disse:   Tu  dcbb' essere   un   «^li  io  Itone  ; 
I)ov'  è  Baiando  mio  ?  ohe   n  hai   tn  fallo  ? 
Qiieslo  è  il  cavai  del  rij;liiiol  di   Milone. 
Rispose  lo  scudiere  sluj)efallo  : 
I'  ho  dormilo  qua  rom'  un  pollrone, 
Che  il  sonno  come   le  mi   vinse  dianzi, 
£  non  son  ito  più  in  drielo  o  più  innanzi, 

LXXXII 

Disse  Rinaldo,  ravveduto  un  poco: 
Questo  ara  fatto  far  per  certo   Orlando; 
E'  vuol  pigliar  di  me  sempre  mai     p;iuoco, 
E  fallo  m'  ha  scambiar  Baiarlo  e  '1  brando: 
Tutto  s' accede   di  rabbia   e  di   fuoco, 
E  fra  sé  disse  :  E'  li   verrà  costando. 
A  Monlalban  pien  di  sdegno  n  andava, 
E  Ruinatto  in  drielo  rimandava. 

LXXXIII 

E  scrisse  al  conte  Orlando:  Tu  m'  hai  tolto 
A  tradimento  pel  cammin   dormendo 
La  spada  e  'l  mio  cavallo,    e  come  stollo 
Sempre  mi  tratti,  e  poi   qe  vien' ridendo  ; 
E  percliè  più  d'una  volta  m'hai   collo, 
Di  sofferirlo  a   questa  non   intendo  : 
Mandami  in  drielo  e  la  spada  e  '1  cavallo, 
Se  non  che  caro  ti  farò  costallp. 

rxxxiv 
Orlando  per  ventura  avea  trovalo 
Il  destriere  e   la  spada  di  Rinaldo, 
Ed  era  forte  con  seco  adiralo, 
E   quanto  inanimato  e  caldo  ; 
Dicendo  :    Come   un  putto  son   gabbato, 
E  parnii   un   alto  stalo   di   ribaldo: 
E  più  che  '1  fatto  il  modo  mi   dispiace, 
E  non  polca  fra  sé  darsene  pace. 

LXXXV 

Intanto  Ruinatto  gli  portóe 
La  lettera   che '1   suo  cugino  scrisse: 
Orlando  mollo  si  maraviglióe, 
E   'nverso  Ruinatto  cosi   disse. 
Se  sapea  nulla  come  il  fallo  andóe, 
E  quel   che  per  cammino  intervenisse  • 
E  Ruinatto  rispondeva  presto  : 
Io  li   dirò  quel   eh'  io  ne  so  di  questo. 

LXXXVI 

E  raccontò,  come  trovò  quel   vecchio, 
E  come  poi   si  posono  a   dormire. 
Orlando  pone   al   suo  parlar  V  orecchio  ; 
Di  maraviglia  credette   stupire; 
Ma  poi  diceva  :  Un  pulcin  fra  'l   capecchio 
Par  che  mi   stimi   Rinaldo  al   suo  dire  ; 
E  così  in  drielo  a   Rinaldo  scrivea, 
Che  del  suo  minacciar  beffe  facea. 

I-XXXVIt 

E  che  quando  e'  partì  dal  re   Carlone, 
Esser  dovea  per  cerio   un  poco   in   vino  ; 
Però  scambiò  la  sua  spada,  e  '1  ronzone  : 
E  che  fia  ver,   che  dormì  pel   cammino. 
Poi   gli   diceva  per  conclu.sione  : 
Perchè  tu  se',  Rinaldo,  mio  cugino, 
VoliT  con   teco  quistion   non  .n'  aggrada  ; 
Però   ti  mando   il  cayallo  e   la  spada. 


i.xxxviu 
Ma  se  il   mio  in  drielo  non   rimanderai, 

10  li  dimostrerò  che   me  ne  duole  : 
E  se  quistion   di  nuovo  cercherai, 

Tu  sai  di' io  so  far  falli,  e   tu  parole; 
E  poco  meco  al  fin  guadagnerai  ; 
Che  sai,  che  'gnun  non   temo  sotto  il  sole 
Or  tu  se'  savio,  e  so  che  tu  m' intendi  ; 

11  mio  cavallo  e  la  spada  mi  reniki. 

LXXXIX 

Tornato   Ruinatto  a  Monlalbano 
Con   la  risposta   del  suo  car'  signore. 
Subilo   il  brando  suo  gli  pose  in  mano, 
E  consegnò  Baiardo  il  corridore. 
Rinaldo   sbuffa   come  un   leo  silvano, 
Per  quel  che   scrisse   il   roman  senatore  : 
E  rimandava  in  drielo  un   suo  vallello, 
A  dir  così,  chiamalo  Tesorello  ; 


Che   non   volea  la  spada  rimandare. 
Né  Veglianlin,  se   non   gli  promettea 
Con   lui  doversi  in  sul  campo  provare. 
Che  di  minacce  sa  che  non   temea  ; 
E   che  nel  piano  lo  volea  affrontare 
Di  Monlalban  con  1'  armi,  conchiudea. 
Tesorello  n'andò  presto  ad   Orlando, 
E  la 'mbasciata  venne  raccontando. 

xci 
[      Orlando  eh'  era  e  discreto   e  gentile, 
;  Ma  mollo  fier  quand'egli   era  adirale». 
Tanto  che  lutto  il  mondo  avìa  per  vile; 
A   (jarlo   lutto  il  fallo  ha  raccontalo, 
E  come  fece  la  risposta  umile. 
Credendo   aver  Rinaldo  umiliato: 
Ma  poi  ch'egli  è  per  questo  insuperbito, 
D'  andarlo  a  ritrovar  preso  ha  partito  : 

xcii 
E  che  non  ricusò  battaglia  mai, 
Che  non  intende  aver  questa  vergogna. 
Carlo  diceva  :  A  tuo  modo  farai  : 
Se  così  sta,  combatter  ti  bisogna. 
Orlando  disse  a  Tesorello  :  Andrai 
Al  preiize,   e  dì   eh'  io  non  so  se  si   sogna  ■■ 
Ma  se  da  ver  m'invila  a  la  battaglia, 
Doman  lo  troverò  se  Dio  mi  vaglia. 

xeni 
E  che  m'aspetti,   coni' e' dice,  al  piano, 
Dal  campo  un  poco  de'  Pagan   discosto, 
Tesorello  tornò  a  Monlalbano, 
E  disse  quel  che   Orlando  avea  risposto. 
Armossi  col   nipote  Carlo  Mano, 
Poi   che  lo  vide  al   combatter  disposto  : 
Però  che  Carlo  mollo   Orlando  amava. 
Così  nel  suo  segreto  il  preiize  odiava^ 

xciv 
Are'  voluto  Carlo  onestamente 
Un   dì  Rinaldo   dinanzi  levarsi  ; 
E  conosceva  Orlando  sì  possente. 
Che  dice:  In  questo  modo  polre' farsi. 
Rinaldo  era  inquieto  e 'mpaziente. 
Né   Carlo  volse   di   lui  mai  fidarsi. 
Rispetto  avendo  a  le  sue  pazze  furie  ; 
Poi  gli   avea  latte  a'  suo'  dì  mille   ingiurie, 


Al  0  ]\  C.  A  N  T  1-: 


E    Irallo   la   corona    pia   di    lesta: 
K  si  perdona   per  <rrU»  opni  tìlTcsa  ; 
Ma  sempre  pur  ne   la  nu-inoria  resta, 
K   rosi   rimo   a   l'altro  rontrappesa. 
Carlo  pensossi    di   farne   la  festa, 
Vepaendo   Orlando  e   la  sna  furia   accesa  : 
Orlando   loUe   Rondelle   e   Tortana  ; 
Che  non   ha   Veglianlin  né   Durlindana. 

XCVI 

^Meridiana  e  Morpanle  n' andorno 
Ton   Carlo  e  con   Orlando  per  vedere 
I  paladini  :  assai  lo  sconfortorno, 
Che  non   si   lasci  il   sipnor  del   quartiere 
r.omballer  col   cupio   suo   tanto  adorno  ; 
Ma  contrappor  non  piiossi  a   lo 'niperìere  : 
E  molto  Carlo  Man  fu  biasimalo, 
Quantunque  s'è  con   lor  giustificalo. 

xcvii 
Tutta  la  corte  s'avviava  drieto, 
Per  veder  questi   due  baron  provare  : 
Morpante  avea,   come  savio  e  discreto, 
Jsconforfato  molto  il   loro  andare; 
Gano  il  sapea,  e  mollo  n'era  lieto. 
Direndo:    Orlando  so   che   l'ha  animazzare 
Quel   tradilor  di  Rinaldo  d' Amone, 
Il  qual  d'  ogni  tnal  mio  sempre  è  cagione* 

xcviir 
Altri  dicìen  pur  de' baron  di  corte: 
Carlo  mi  par  che  perda  il  sentimento  : 
Se  muor  Rinaldo,    e  '1  conte  sia  pur  forte^ 
Non  una  volta  pianperà,  ma  cento  : 
Se  "1   prenze   dessi   ad   Orlando   la  morte, 
(arlo  a   suo' dì  non  sarà  più  contento  ; 
Vennon  pur  ier  di  paesi  lonfani 
Per  salvar  noi  de  l'oste  de'Pagani. 

xcix 
E   tutto  il  popol  ralleprato  s'  era  : 
Ora  e  in  un  punto  perturbalo  e  mesto: 
Erminion   con  la  sua  pente  fera 
Non  s'è   partito  :  e  car'pli  sarà  questo. 
Così  si  parla  in   diversa  maniera  : 
Tanto  è,  che '1  caso   a  ciascuno  è  molesto; 
E  sopra  lutto  la   pente  papana 
Si  condoleva  con  Meridiana. 

e 
E   dicien   tutti  a  lei  :  Mapna  repina, 
Deh   non  lasciate  sepuir  tanto  errore  : 
Adoperate  la  vostra  dottrina 
fol   conte  Orlando,  o  con  Io  mperadore  : 
Benché  noi   siam   di  leppe  sararina, 
E  ce  ne  'ncresce  ;  anzi    ci  scoppia   il   core. 
Meridiana  con  parole  accorte 
Carlo  ed   Orlan(fo  sconfortava  foUe. 

CI 

Orlando  non  ascolla  ignnn   che  parli, 
E   dice  :,Io^ intendo  una  \olta  vedere, 
S'  io  son  Orlando;  e  vo'  il  suo  error  mostrarli 
Di  ritenermi  la   spada   e  1   destriere; 
Non  ch'io  volessi  però  morte   darli,' 
Ma  farlo  discredente  rimanere  : 
E   tanto  finalmente  cavalcorno, 
Ch'a   MontalLai,   funi,,   il   secondo   piamo. 


Rinaldo  stava  più  che   in  ««razione 
D'  appiccar  con   Orland».   la    battaplia  : 
N  edi    che  razza  d'  uomo   o  »  midi/ione  ' 
^  e<li   se  sberpo  era  di  (ine   maplia  I 
E    dice:    S'io   lo   Iruovo   in   su   l'arcione. 
Noi  proverem   coni'  ogni   <ii>mìà   taplia  : 
Ma   poi   che   vide   Orlando  pi/,  i„  .s„|  pia..^, 
Subito    armato   uscì   di  Montalbano, 

CHI 

E   tolse   Durlindana  e   Veuliantino, 
Seco   dicendo:   Se  m'abbattè   Orlando, 
Ara  il  cavallo  e 'I   brando  a  suo  ilominu. 
Erminion,   che   veniva  spiando 
Ch'egli   è  venuto  il  fipliuol   di   Pipino, 
E   la  cagione  ;   un  messo   vien   mandando, 
E   dice  a   Carlo   Man,  se   gli   è   in  piacere, 
Che   vuol  venir  la   battaglia  a  vedere. 

civ 
Carlo  rispose  a  lui   cortesemente,  / 

Ch'  a  suo  piacere  venisse  Erminione  ;      I 
Venne,   e  con   seco  menò  poca  pente 
Per  gentilezza   e  per  sua  discrezione 
Carlo   lo   vide  molto  lietamente, 
E  sempre  a  man  sinistra  se  gli  pone, 
Quantunque  il  re  pagan  ciò  non  voh'a  : 
Ma   Carlo   gliel  domanda  in  cortesia. 

CT 

Rinaldo  venne,  e  seco   ha  Ricciardetto 
In  compagnia,  e  '1  signor  d'  Inghilterra, 
Che  mollo  gli   ha  quest'  impresa  disdetto^ 
Che  con    Orlando  non   debbi  far  guerra";  ~ 
Abbraccia   Orlando  quanto  può  più  stretto: 
Ed   un  Vieri  e  Morgan  te  poi  afferra  ; 
Meridiana  quanto  puole  onora, 
Perchè  veduti  non   gli  aveva  ancora. 

evi 
E  poi  diceva:   O  nostro  Carlo  Magno, 
Coni' hai   tu  consentito  a   tanto  errore? 
Tu  non  ci  acquisti,  al  mio  parer,  guadaguo; 
E  non  sai   quanto  tu  perdi  d'onore: 
Se   tu  perdessi  un  sì  fallo  compagno, 
Qiiant'é  Rinaldo,  sarìa  il   tuo  peggiore; 
Se  tu  perdessi  il  tuo  caro  nipote, 
Per  dolor  poi  graffieresti  le  gote. 

cvii 
Che  cosa   è  questa?  un   sì   piccolo  sdegno 
Per  due  parole  ancor  non   si  perdona  !  ^ 
O  Carlo  imperador  famoso  e  degno, 
Questa   non    è  giusta   impresa   né  bnona  : 
Per  Dio,  de  la  ragion   trapassi  il  seano. 
Carlo   diceva  fra  sé:  La   corona 
Non   mi   torrà   di   testa  più  Rinaldo  ; 
E  stava  nel  proposito  suo  saldtK 

cviu 
Orlando  intanto   a  Rinaldo  s*  accosta, 
E   dice  :  Se'  tu,  cugino,   ostinato 
Combatter  meco?  se  vuogll,  a   tua  posta 
Piglia   del   campo,   e  ciascun  sia  sfidato. 
Rinaldo  non   gli  fece  altra   risposta. 
Se   non   che   presto  il  cavallo  ha  voltato. 
Carlo   diceva:   Io  ne  son  malcontento; 
Direa   di  fuor,  ma   noi  diceva  Ureiito.  : 


MORGANTK     MAGGIOKK 


Mai  non   si   vitK"  faloon  pcrc^riin) 
Voltarsi   CO";!   destro  o   altro   uccello, 
(^oaie   Iliiialdo  fece  Vcgliantiiio, 
()  come  il  conte   Orlando  le'  Hondello. 
Maravigliosfi  il   gran  re  Saracino 
De  l'alto  fiero  e   valoroso  e  bello: 
Rinaldo  volse  a  Vegliantino  il  freno  ; 
E  così  il  conte  in  manco  d'  un  baleno. 

ex 
Un  mezzo  miglio  s' eron  dilungali, 
E  ri  torna  van  con  tanta  fierezza, 
Che   i   Saracin   dicìen   tulli   ammirati  : 
Folgore  certo  va  con  men  prestezza  : 
Se  questi  son  pel  mondo  ricordali, 
È  ben  ragione,  e  se   Carlo  gli   apprezza  : 
Erniinion  tenea  ferme  le  ciglia  ; 
Cile  gli  parca  veder  gran  maraviglia. 

CXI 

Ma  quello  Iddio  che  regge  il  mondo  e  i  cieli, 
Mostrò  ch'egli  è  di   giustizia  la  fonte; 
E  quanto  egli  ama  ii  suoi  servi   ledeli  : 
Mentre  che  Vegliantin  va  inverso  il  conle, 
Par  che  in  un  tratto  se  gli   arricci  i  peli, 
E  volse  in  drielo  a  Rinaldo  la  fronte, 
Come  se  il  suo  signor  riconoscessi, 
E  d'  andar  contro  a  lui  si  ritenessi. 

cxii 
Gridò  Rinaldo  :   Che  diavolo  è  questo  ! 
Voltali  in  drieto,  che  fai   tu,  rozzone  ? 
Orlando   giltò  via  la  lancia  presto  : 
In  questo  apparve  a  la  riva  jin  |ione, 
Il  qual,  poi  eh'  ognun  vide  manifesto, 
Ebbe  di   questo   fatto   am.mirazione  : 
Il  fer  lione   ad   Orlando  n'  and()e, 
Ed   una  zampa  in   allo  su  levóe; 

CXIII 

Ne  la  qual   era   una  lettera   scritta, 
Che  Malagigi   ad   Orlando  mandava: 
Orlando  la  pigliò  con   la  man  dritta  ; 
E  come  1'  ebbe  letta,  sogghignava. 
Rinaldo  con  la  mente  irata  e  afflitta 
Di   Vegliantin   di  subilo  smontava  : 
Vide  il  lion,  che  gli  pareva  strano  ; 
E  come  Orlando  il  brieve  aveva  in  mano. 

cxiv 
Maraviglialo  inverso  Ini   venia: 
Orlando  a   dir  gli   cominciò  discosto, 
Come  Malgigi  ingannati    gli   avi'a, 
E  tulio  il  fallo   gli   conlava  tosto; 
E  poco  men  che  per  la  lor  follia 
Non  avea  1'  un  di   lor  pagalo   il  costo. 
Quando  Rinaldo  la  lettera  intende. 
Tosto  il  cavallo  e'I  brando  al  conle  rende. 

cxv 
E  ringraziò  T  eterno  e   giusto  Dio, 
Ch' avea  questo   mìracol   lor   mostrato, 
E  disse:   Or  mi  perdona,  cugin   mio, 
E  Carlo  e  gli  altri  ;  ch'io  ho  troppo  errato  : 
Ma  Gesù  Cristo  nostro  umile  e  pio 
Veggo,  eh'  al  fin  m'  ha  pur  ralluminato  ; 
tE  riguardando  ove  il   lione   era  ito, 
1  Non  lo  riveggon,  ch'egli  era   spanto. 


Carlo  e  i  baroni   avien  tutti  veduto, 
E  come  Malagigi  scrive  loro, 
(]lie  fu  quel   vecchio  che   trovò  canuto, 
Ch'avea  scambiali  i   cavalli   a  costoro; 
E  ringraziava  Iddio  eh'  ha  provveduto, 
Che'  due  baron'  non   si   dessin  niartoro. 
Erminion,  «'he  vedea   tulio  aperto, 
Parvegli  (juesto  un  gran  niiraòol  cerio. 

CXVH 

E  cominciò  a  dolersi   di  Macone, 
Dicendo:   Tu  se' falso   veramente, 
E  quel  che   ci   ha  mandalo  «jiiel   lione^ 
E  il  vero  Dio  e   Padre  onnipotente  : 
S'io  ti   fé' sacrificio  o  orazione 
A  la  mia   vita  mai,  ne  son   dolente; 
E  in  ogni   nu)do   Cristo   vo'  adorare  : 
E  cominciò  con   Carlo   a  lacrimare. 

CXVII! 

O  Carlo  avventurato,  o  Carlo  «ostro, 
Ogni   grazia  per  certo   a  noi  procede. 
Per  quel  ch'io  veggo,  omai  da  Gesù  vostro  : 
Veggo  eh'  egli   ha  de'  buon    servi  mercede  ; 
E'I   gran  miracol  ci»' egli   ha  qui  dimostro, 
E  che  Macone  è  falso,  e  «hi   gli   crede  : 
Da  ora   innanzi,   degno   Carlo  Mano, 

10  mi  vo'  battezzar  con  la  tua  mano. 

cxix 
Carlo  abbracciò  con  molla  affezione 

11  re,  che  tutto  pareva  cambiato 

Nel  volto,  e  pien   di  molla   contrizione; 
E   disse  :    Cristo  sia   sempre  laudato  : 
Se   vuoi   eh'  io   ti   battezzi,  Erminione, 
Andianne  al  fiume   che  ci   è  qui   da  lato  : 
E  COSI  finalmente   andorno  al  fiume, 
E  batlezzòi  secondo  il   lor  costume. 


Cosi  fu  battezzalo   il   re  pagano; 
E  batlezzossi  il   famoso   ammirante 
Ch'era  slato  a  l'assedio  a   Monl.ilbano, 
Com'  io   già   dissi,  detto  Lionlante  : 
E   s'  alcun  pur  non   si   vuol   far  cristiano 
De'Saiacini,   ritornò  in   Levante. 
Carlo  a  Parigi   con   gran   festa   torna. 
Dove  co' suoi  baron   lieto  soggiorna. 

rxxi 
Ma    il    liadilor   di    Gan,    eli' era   fuggito 
Fuor  di   Parigi,   e  slava  di   nascoso; 
Poi  ch'egli,  inlese  c<mie   il   fatto  era   ilo, 
Drenlo  al  suo  cor  fu  molto  doloroso; 
E  pensa  come   (]arlo  abbi   tradito, 
E  giorno  e  notte  non   Iruova  riposo: 
!  Sente  che  in   corte   si  facia  gran  festa  ; 
La  qual  cosa  più  ch'altro   gli   é  molesta. 

cxxii 
Pensa  e  ripensa,    e  va  suttilizzando 
Dove  e  potessi  j>iù  metter  la  coda, 
O  dove  e'  venga  la  rete  cacciando  : 
D'  ira  e   di   rabbia  par  seco  si   roda  ; 
Pur   finalmente  si    viene  accordando 
Con  set  o  slesso,   e   in  su  questo  s'  assoda, 
Di   tentar  Caradoro,  se  potessi, 
Tanto  che  qualche   scandul   si  facessi, 


MOi\GANTi:    MAr.r. ioni: 


CXXIII 

E   srri<se   il    (r;i(iitor  queste  p;troIe  : 
O  Carail^r,    lii    te   in    Inrresre  as>ai, 
(.he   la    Ina   fì{:lia   Leila  più  rlie  M   $t>le 
In   Franeia   meretrice   mainlala    dai, 
E   gravitia    è   già   falla  ;    uiide   mi   duole, 
Che   Ina    stirpe   real   disprezzi   ornai: 
Coni'  hai   tu   ron>^ii.;lialo   mandar   quella 
Tra    gente   «Irana,   si   giovan«   e   ht-lla  ? 

CXMV 

Per    Inlla   Francia    d'altro   non   si   dice, 
Che  femmina    tna  figlia    è   <liventala 
D'  Flivier,    anzi   piò    rlie  men-lrice. 
Dov'  è    tna    fama    già    tanto   vulgata  ? 
T)ov't'    I    tno  pregio  e   1    tno  nome   fflice, 
r.he    la   tna   schiatta   hai   sì   vilnpcrata  ? 
fio   ch'io   lì   dico,   è  il  ver  de  la  tna   figlia; 
Se   tii  se'  savio,  or   le  slesso  consiglia. 

rxw 
La   lettera   poi   dette   a   un   messaggio, 
Che   a    Carador   ne   va   san/a   dimoro, 
E  "n  poco    tempo    spacciava   il   viaggio, 
E   rappresenta    il    lirieve   a    (!ar.idoro  ; 
11    qnal    sentì    di    gua   figlia    1' t)Ilra<jnio, 
E    mai   non    ebbe   sì    grave   mnrlnro: 
E   la   sna    donna    ne  fn   nu)lta   trama. 
Perù  rh'  al   tutto  ingannala   si   rhi.ima. 

cxxvi 
E  la   figliuola    sventurata   piagne. 
Dicendo  :    Lassa,   perchè   ti   mandai  ? 
Poi    che   scoperte   son   queste  magagne, 
Mentre   tu   eri   qui   non   dubitai  ; 
Perchè    già    tese  mi   parv«m   le  ragne 
E    Iradimenli  ;    ma  pur  non   pensai. 
Che    tanto   ingraia    fiisse    quella   gente  : 
Ma    chi    loslo   erra,   a   beli'  agio   si  pente. 

cxxvii 
O   Caradoro   mio,   quanta    fatica, 
Quanti    disagi,   e   quanti   lunghi   affanni 
Sofferti  abbiam,  tu  'I  sai,  sanza  eh'  io  '1  dica, 
Per  allevar  costei   da' suoi   prim'anni; 
Poi    la   dai   in  preda    a    la   nenie   nimica. 
Piena   di  frode   e   di   doli   e   d'  inganni  ; 
Non   rivedrai   mai   più   tua  figlia   bella  : 
E   se  pur   torna,  svergognala   è  quella. 

CXXVIIl 

Queste  parole  assai  passano  il  core 
Al    tristo  padre  ;   e  non   sapea   che   farsi 
T)i    rncqnistar   la   sua   figlia    e   l'onore, 
Frrchè   tulli   i   rimeilii   erano  scarsi: 
Pur   dopo  molti   sospiri   e   dolore, 
(  on    la    sua    donna   in   tal  modo   accordarsi, 
(.he   si   mandasse  Vegurto   il    gicanle 
A   condolersi   de   le   ingiurie    tante  ; 

fXXIX 

E   che   dovessi   rimandar  la   figlia  : 
E  s'  egli   è   imperador   giusto   e   ria   bene, 
liei    tristo  caso   assai   si   maia\iglin, 
Poirh' Ulivier  per  femmina   la    tiene; 
l>i   che  per   tutta    Francia   si    bisbiglia  ; 
E   die  il    gigante  per  sua   parte   ^iene, 
Che  subito   gli   dia   Meridiana, 
E   rimandassi   sua   gente   pa.jna. 


E  che  se  mai  polià   farne   vendetta, 
(.he   lo   farà   per   ogni   modo  ancora  ; 
Ma    Come   savio,   luogo   e    temjio   aspetta, 
Il    fer   gigante   non    fece   dimora: 
Subitamente   una    sua   alfana   assetta, 
E   presto   uscì   de'  pagan   regni   fora  : 
Tolse   Ja   fromba,   ed   altri   suoi    vestigi, 
1".  'n    poco    teinpf)    a    Carlo  fu   a   Pariiri. 

cxxxi 
Tutto   il   popol   Correva  per    vedere 
(^)nesto   gigante,  ch'era   smisurato: 
Morganle   non   pareva   un   suo   scudiere  : 
A    Carlo  ne  la  sala  ne  fu  andato, 
E  con    parole   assai   arroganti   e  fiere 
In   modo  mollo  stran   l'ha   salutato: 
Macon    l'abbatta  come  traditore, 
E  disleale  e  'ngiusto  iniperadore. 

rxxxii 
Il   mio   signor  mi   manda   a   te.   Cartone, 
Che  subilo  mi   dia   la   sua   figlinola, 
E    lutto   quanto   il   popol   di   flacone 
Che    ti   mandò,   sanza   farne  parola  ; 
1-^   Ulivier,   quel   ribaldo   ghiottone, 
(,on   le  mie  mani   impicchi   per  la   cola  : 
Così   farò,   come  m*  ha   comandato, 
E  piinirollo  d"  ogni  suo  peccalo. 

CXXXIII 

A   Caradoro  è  slato  scritto,  o  Carlo, 
O   Carlo,   o   Carlo,   (e   crollava  "la   testa) 
De   la    tua  corte  ;   che   ntm   puoi  necarlo  : 
De   la   sua   figlia   cosa    disonesta  : 
Non    doveresli   in   tal  modo   trattarlo  : 
Quel    ch'io   li   dico,  è  cosa  manifesta; 
IMivier  tuo   la   lien   per  concubina 
Così   famosa  e  nobil  saracina. 

cxxxiv 
Questo  non   è  quel   ch'egli  are' creduto; 
Questa  non  è  gentilezza   di   Franza  ; 
Questo  non   è  lonor   eh"  ha   ricevuto; 
Questa  non   è  d' imperadore  usanza  ; 
Questa   non   è   giustizia   né  dovuto; 
Quest«i  non    è  buon   segno   d'  amistanza  : 
Questa^  non   è  più   la   figliuola   nostra. 
Poi  cir  ella  è  fatta  concubina  vostra. 

cxxxv 
Questo  non  è  quel  che  promisse  il  conte, 
Quand'  e'parlì   con   gli   altri   del   suo  regno, 
(•osi   <licen»lo,  scoteva   la  fronte  : 
Leu   parca  pien   di  furore   e   di   sdegno. 
Carlo,    sentendo  ricordar   laute  onte. 
Ri-pose  :   Imbasciador  famoso   e   degno, 
Per  quello   Dio   ch'ogni   cristiano  adora. 
Di   CIÒ   che   di",   nulla   ne'nlcndo   ancora. 

cxxxvi 
Tu  m'hai  fallo  pensar  per  lullo  il  mondo, 
E   cosa    che   tu   dica   ancor  non   Iruovo: 
Però   questo   al   principio   li   rispondo, 
(onif   colui   che   certo    ne   son   nuovo  : 
Il   tuo  signor  famoso,  allo  e  giocondo 
Per  vero  amico  e  molto  caro  appruovo  : 
A  la  sua  figlia  ho  fatto  giusto  onore, 
Per  mia  corona,   come  imperadore. 


INI  O  I\  ( ,  A  N  T  E     M  A  (i  G I O  R  E 


0  XX  XVII 

Nò  Ulivieri   ha  falli)  mancamenlo, 
Per  quel   eli'  io  sappi,  o  palese  o  coperto  j 
Che  se  ciò  ftisse,   i'  sarei  malcoiilenlo  ; 
E   non  sareli'oe   gitislo  o  de};;iio  merlo. 
Quando  Ulivier   vedea   tanlo   ardimento, 
Gridava  :  Imperador,    troppo   hai  sofferto, 
Che  dice  questo   traditor  ribaldo  : 
Così  diceva  il  Danese  e  Rinaldo. 

cxxxvm 
Meridiana  eh'  era  a  la  presenzia, 
Non  potè  far  non  si   turbasse  in  volto, 
Quando  sentì   trattar  di  sua  fallenzia, 
fj^'  Che  tal  segreto  stimava  sepolto: 

Perdonimi,  dicea,  la  riverenzia 
Del  padre  mio:  e' parla  come  stolto; 
Che  sempre  in  questa  corte  sono  stata 
Da  Ulivier,  più  che  d'altri,  onorata. 

cxxxix 
Ed  or  che  Carador  facci  richiamo 
Dì  questo,  troppo  in  ver  mi  maraviglio. 
Disse  Ulivier:   Che  tanlo  comportiamo? 
Subito  dette  a  Altachiara  di  piglio  ; 
Ma  tosto  gliela  prese  il  savio  Namo, 
Dicendo  a  quel:  Tu  non  hai  buon  consiglio  : 
Questo  gigante  è  di  natura   acerbo  ; 
E  però  parla  arrogante  e  superbo. 

CXL 

Non  si  vuole  agguagliar  la  lor  natura 
Con  la  nostra,   Ulivier,  né  la  fierezza  ; 
Però  che  non  risponde  tal  misura, 
Come  non  corrisponde  la  grandezza  ; 
Lo  'mbasciador  dee  dir  sanza  paura, 
E  vuoisi  sempre  usargli   gentilezza: 
Ma  manco  pazienzìa  ebbe  Vegurto, 
E  volse  a  Ulivier  presto  dar  d'  urto. 

ex  LI 

Come  un  dragon  se   gli  scagliava  addosso, 
E  Irassegli  d'un  colpo  d' un' accetta, 
Credendogli  ammaccar  la  carne  e  1'  osso  : 
Ma  Ulivier  da  1'  un  lato  si   getta  : 
Carlo  fu  presto  de  la  sedia  mosso  : 
Mal  gran  Morgante  gli  dava  una   stretta; 
E  corselo  abbracciar  subitamente, 
Benché  Vegurto  assai  fussi  possente. 

CXLII 

"Vegurto  prese  luì  sotto  le  braccia. 
Or  chi  vedessi  questi  due  giganti 
Provarsi  quivi  insieme  a  faccia  a  faccia, 
Maravigliato  sarla  ne' sembianti  : 
Ma   pur  Morgante  in   terra  al  fin  lo  caccia. 
Tanto  che  rider  facea   tulli   quanti  : 
Che  quando  e  l'ebbe  in  su  lo  smalto  a  porre. 
Parve  che  in   terra  cadessi  una  torre. 

CXLIIl 

E  nel  cader  percoteva  il  Danese, 
Tal  che  1  Danese  sotto  gli  cascava. 
Orlando  molto  ne  rise   e '1  Marchese; 
Ma  Namo  presto  Carlo  consigliava, 
Cile  si  levassin  così  fatte  offese. 
Così  Vegurto  ritto  si  levava  ; 
E  come  ritto  fu,   gridava  forte, 
E   tulli   i  paladin   disfida   a  morie. 


cxi.iv 
Disse   Ulivier  :   Sareslu  Briareo 
Con    (iiuppiterre,   o  Fialte  famoso, 
O  quel  superbo   antico   Capaneo  ? 
Da   ora   innanzi,   gigante  orgoglioso, 

10  li  disfido,  se   tu  fussi   Anteo. 
Lo  'mperador  possente  e   glorioso 

Mi   dia  licenzia  ;  e  vo'  leco  provarmi  ; 

E  fammi  il  peggio  poi   cJie   tu  puoi  farmi. 

rxi.v 
Ah   Ulivieri,  Amor   li  scalda   il  petto, 
Che  sempre  fa  valoroso  chi   ama  : 
Tu  non  aresti   di  Marte  sospetto. 
Pur  che  vi  fussi  a  vederli   la  dama. 
Disse  Vegurto  :  Per  Dio  Macometto, 
Questo,  più  ch'altro,  la  mia  voglia  brama. 
Ulivier  prestamente  corse   armarsi. 
Che  col  gigante  voleva  provarsi* 

CXLVI 

Morgante  non  potè  più  sofferlrc, 
E  disse  a  Carlo  :  Imperadore,   io  scoppio. 
S'io  non  lo  fo  con   le  mie   man  morire: 
Lascia  ch'i' suoni  col  batlaglio   a  doppio, 
Al  primo  colfìo  il  farò  sbalordire, 
Che  li  parrà  che  egli  abbi   beulo  oppio. 
Carlo  risponde,  ma  non  era  inteso. 
Tanto  ognun  era  di  furore  acceso. 

CXLVIl 

Non  polca  star  Morgante  più  in  guinzaglio. 
Non  aspettò  di  Carlo  la  risposta  ; 
Ma  cominciava  a  calar  giù  il  battaglio, 
E 'l  fer  Vegurto  a  Morgante  s'accosta. 
Or  chi  vedesse   giocar  (|ui   a  sonaglio. 
Non  riterrebbe  le  risa  a  sua  posta  : 
L'  un   col  battaglio,  e   I'  altro  con  la  scure 
S' appiccan  pesche  che  non  son  mature. 

cxLvni 
Non  era  tempo  adoperar  la  fromba  : 
E' si  sentiva  alcuna   volta  un  picrliio. 
Quando  Morgante  il  battaglio   giù  piomba. 
Che   quel  Vegnrto  si  faceva  un  nicchio; 
E   tutta  quanta  la  sala  rimbomba. 
Ma  con  l'accetta  ogni  volta  uno  spicchio 
Del  dosso  lieva  al  possente  Morgante, 
Però  che  molto  è  feroce  il  gigante. 

CXLIX 

Ulivieri  era  ritornalo  in  sala 
Armalo,  e  Con  Vegurto  vuol  provarsi: 
Ma  quando  e'  vide  Morgante   che   cala 

11  gran  battagliò,  e 'nsieme  bastonarsi» 
Si   rilenea  volentieri   in   su  l'  ala  ; 
Però  che  tempo  non  é  d'accostarsi. 
Vegurto   grida,   e  Morgante  gridava, 
Tanto  eh' ognun  per  la  voce   tremava. 

CL 

E'  non  si  vide  mai  lioni  irati 
Mugglììar  sì  forte,  o  far  sì  grande  assalto; 
Né  due  serpenti  insieme  riscaldati: 
Sempre  l'accetta  o  "1   battaglio   é  su   allo  : 
Alcuna  volta  invano  eran  cascati, 
I  colpi,  e   fa'.ta  una  buca  a  lo  smalto: 
Due  ore  o  più  bastonati  si  sono  ; 
Ma   del   ballaglìo   raddoppiava   il   suono. 


INI  O  l\  (\  A  N  T  K      MAGGIOR  E 


lìenrliè   V<'j;iirt«)   assai   pi«i   allo  fosse 
Clu'   1    i;r.iii  IVl()ri;.iiile  ;   e' non   era  più  forte  : 
1'^   già   tulle   le  <arni   avevan  rosse  ; 
\l   a   vederpli   era   ttilla   la   corte: 
Mor{;.inle   nn   trailo   a   Vej»tirlo  percosse, 
Dililteralo   «li    <lar};li    la   morte  : 
Il    pran   ballatilo   in   sul   capo  appiccóe, 
Tal   che  A'egnrlo  morto  rovincie. 

CI.II 

E  parve  nel   cader   quel    torrione, 
r.h'  un   albero  cadesse  di   gran  nave  : 
Fece   tremar   la   tefra  il  compagnone, 
Non  die  la  sala,   tanto  anilò  più  prave  : 
Dovun(]ne  e' piunse,  b)  smalto  o  1  mattone 
Fracassò   lutto,  e  ruppe   una   pran   trave; 
Tanto  clie  "I  palco  sotto  rovinava, 
IC  molta  gente  addosso  gli   cascava. 


dosi  mori   il   superbo   imbasciadore, 
ì]  non   tornò  con  la  ris|iosta  a  drielo  : 
Meridiana   ])ur  n  avea  dolore, 
Ma   l'Iivier  di  ciò  troppo  era  lieto. 
Molto   dl.'-piacque  a  Carlo  imjieradore, 
IJencliè   nel  petto  il   tenessi   segreto  ; 
l'ercliè  pur  era   imbasciador  mandato, 
E  pargli,  a  Caradoro  essere  ingrato. 

CMV 

Caradoro  aspettò  più  tempo  invano 
Che  ne  dovessi  la  figlia   venire. 
Lasciam  costoro,  e  ritorniaitu)  a  Gano, 
('Ile  non   vide   il   disegno  riuscire  ; 
K  manda  così   a  dire  a   Carlo  Mano, 
C<ime  ne  l'altro  canto  vo' seguire: 
Cile  so  cir  io  v'ho  tenuto   troppo  a  tedio: 
Cristo  sia  vostra  salute  e  rimedio. 


CAINTO   XI 


ARGOMENTO 


•>^^@<K-^ 


trarlo  (ìà  bando  al  sir  di  Montalbano, 
Che  con  Astolfo  si  inctlc  alla  strada  : 
A  istigazion  del  turbolente  Gano 
Una  i;iostra  in  Parigi  a  Carlo  ac;^rnda  ; 
Rinaldo  e  Astolfo  rnnndan  tutti  ni  piano: 
Sorpreso  Astolfo,  nvi'ien  che  prigion  vada, 
E  se  Rinaldo  e  Orlando  eran  rncn  destri^ 
Sentiva  come  stringono  i  capestri. 


-^^m^%^ 


santo  Pellican,  che  col  tuo  sangue 
Campasti  noi  da  la  fera  crudele. 
Dal  suo  veien,  come  peslifer'  angue, 
E  poi   gustasti  r  aceto  col  fele, 
Tanto  che  la   tua  madre  afflitta  langue; 
Manda  in   mio  aiuto   TArcangiol   Michele, 
Si  ch'io  riporti   <li  vittoria   insegna, 
E  seguir  possa  questa  storia  degna. 

II 
Gano  scriveva  a  Carlo  in  questo  modo  : 
O  Carlo  imperador,  che  t'  ho   io  fallo  ? 
S  IO  non  commisi  inganno  mai  né  frodo, 
Perchè  consenti   tu  ch'io  stia  di  piallo? 


S'  io   t'  ho  servito  sempre,  assai  ne  godo  ', 
Tu  mostri  essere  ingrato  a  questo  tratto  ; 
E  sanza  udir  le  mie  ragion,  consenti 
Che  i  miei  nimici  sien  di  me  contenti. 

IH 

Quel   dì  eh'  io  presi  in  Parigi  la  piazza, 
Che  sapev'  io  chi   drente  era  venuto, 
O  se  pur  v'era  gente   d'altra  razza, 
Che   ti  paressi  Orlando  sconosciuto? 
Per  riparare  a  quella  furia  pazza. 
Corsi   a  la  piazza;    e  parvemi   dovuto: 
Che  sapev' io  se  tn   t'eri  ingannato, 
O   che  ne  la  città  fussi  trattato  ? 

IV 

Rinaldo  non  istette  mai  a  udire 
Le  mie  ragion  ;  ma  furiando  forte, 
Mi  minacciava  di  farmi  morire  : 
Io  fuggi'  temendo  de  la  morte  ; 
Tu  li  stai  in  festa,  ed  Io  con  gran  martire; 
E  taJrto  tempo  è  pur  ch'io  fui  in  tua  corte 
De'  tuoi  baroni,  e  del  tuo  gran  Consilio  ; 
Or  m'hai  scaccialo  e  mandato  in  esilio. 

V 

Carlo  lesse  la  lettera  piangendo, 
Però  che  molto  Ganellone  amava; 
Ed  ogni  cosa  per  fermo  tenendo 
Che  gli  scriveva,  in  drieto  rimandava, 
Dicendo  :  Il  tuo  partif,  Gan,  non  commendo. 
E   la  distanzia  tua  troppo  mi  grava  ; 
Torna  a  tua  posta,  e  come  caro  amico. 
Come  stalo  mi  se' pel  tempo  antico. 


INI  Oli  (V  \  N  T  K     M  A  (ìG  l  O  K  K 


(iaii  rilorii»),  come  scriveva  ('<ailo  : 
Carlo  lo   vide  mollo  volentieri, 
K  corse,  come   lo  vide,  abbracciarlo  ; 
Heii  sia   tornalo  il  mio   Gan   da  l'onlieri: 
Gali   come   (iinda   in   ironie  osa   l)aciarlo, 
Direa  llinaldo  al  marcbese    Ulivieri  : 
Vedi  die   Carlo  consente  cbe   torni, 
E  rilorniamci  pur  ne' primi   {giorni, 

VII 

Io   vo'  che  '1  capo  Carlo  Man   mi    la;;li. 
Se  non  è  (|nel  eh' a   Caradoro   ha   scrillu, 
E  che  lo 'inbasciador  fece  mandagli: 
Non  so  come  gnanlar  lo  può  diritto: 
Ma   metter   lo  polrìa   in    tanti    trava{;ii, 
Che  ([nalche   volta  piani>;erà  poi   alllitto  ; 
Cosi  pareva  al  Marchese  ed   Orlando; 
Tutta  la  corte  ne   vien  mormorando. 

vili 
Ma  con),?  avvien   che  sempre  la  lortuua 
Si   diletta   veder  diverse  cose, 
E  sempre   volge,  come  fa   la   luna  ; 
Mentre  che  Carlo  par  così  si  pose, 
Sanza  più   dubitar   di   cosa   alcuna, 
Ma  sanza   spine   godersi   le  rose  ; 
Ed  ogni  dì   fa   giostre   e    torniamenti, 
E  lutti  i  suoi   baron    vede  contenti  : 

IX 

Un   giorno  a' scacchi   Ulivler  Borgognone 
In    una   loggia  con  Rinaldo  giuoca  ; 
Vennono  insieme   gincando  a  quislione  ; 
E  tanto  ognun   di  parole   rinfuoca, 
Ch'Ulivier  disse  a  llinaldo   d' Amone  : 
Tu  hai   talvolta  men   cervel  di'  un'  oca  ; 
E  col   gridar  difendi  sempre   il   torto  : 
Non  so  se  ni'  hai  per  tuo  ragazzo  scorto. 

X 

Rinaldo  rispondea  :  Tu  credi  forse, 
Percliè  presente   è  qui   Meridiana, 
(^h'  io   ti   riguardi  :   e   tanto  ognun  trascorse 
D'una   parola  in   un'altra   villana, 
Clie   Ulivieri   il   pugno  innanzi  porse  ; 
La  damigella   gli  prese   la   mana  :  », 

Rinaldo  si   rizzò  subitamente  : 
Ma   Ulivier  non  aspettò  niente. 

XI 

Subilo  corse  per  la  sua   armadura  : 
Torna  a  Rinaldo,   e   trasse  fuori   il    brando: 
Rinaldo  non    l'aveva  a   la   cintura; 
Ma   In   questo   mezzo  si   (tacciava   Orlando. 
Meridiana   triema  di  paura: 
Carlo   Rinaldo  venia  minacciando  : 
Ogni   di   inetti   la  corte   a   romore, 
E  l  torto  hai   sempre,  e  fammi  poco  onore. 

XII 

Rinaldo,  ch'era   tutto  infuriato. 
Rispose   a  Carlo  Magno:   Tu  ne   menti, 
Che  '1   torto  ha   egli,  ed  liamini  minacciato. 
Carlo  gridava   a    tutte  le  sue   genti: 
Fale   che  presto  costui   sia   jiigliato  ; 
«Se   non   die   tutti  farò  malcontenti. 
Dicea   Rinaldo:   Igniiii   non   mi   s'accosti, 
Che   gli   jiarrà   che   le   inosdie    gli   arrosti. 


Orlando  vide   il   cugino  a  mal  porlo, 
E   COSI  disse:    Piglia    tuo  parlilo: 
Vattene   a  Montalban   per  mio  conforto  ; 
(jh'  io   veggo  Carlo   troppo  insuperliito, 
Sanz;»   voler   saper   chi   s'  abbi    il   torlo. 
Rinaldo  s'è  prestamente  fuggilo: 
Tolse   Uaiardo,   ed   obbediva   Orlando, 
E 'nversQ  Montalban   va   cavalcando. 

XIV 

Carlo  si   dolse  con   Ojrlando   molto, 
Perchè  1' avea  così  fallo  fuggire, 
Dicendo  :    Il   traditor  dove  m'  ha  ciìllo  ! 
Per  la   gola  ogni   dì   m'  ha   a  smentire   : 
Ti   ho  a   trattare   un  giorno  come  stolto, 
Subito  fece   il   consiglio   venire, 
E  disse   in   brieve   e  soluta   orazione 
Quel  che  far  debba  del  figlio   d'  Amone, 

XV 
Diceva   Orlando  :   A  mio  modo  farai  : 
Lasciagli  un  poco   uscir  quest'  arroganza, 
Ed  altra  volta   ginocchiou   l'arai; 
E   farem,  che   ti  diiegga   perdonanza. 
Carlo  rispose  :   Ciò   non  farò   mai, 
Che   di  smentirmi  più  pigli  baldanza  : 

10  vo' perseguitarlo  insino  a  morte. 

Né  mai  più  intendo   tenerlo  in  mia  corte. 

XVI 

Namo  a   la  (ine   dette   il  suo  consiglio, 
Che  si  dovesse   di  corte  sbandire. 
Acciò  che   non  seguissi   altro  periglio. 
Che  qualche   mal    ne  potrebbe   seguire; 
E   dicea:   Tutto  il  popolo   è   in   bisbiglio, 
Cir  altra   gente  pagana   dee   venire  ; 
E  forse  ])otre'  farne   novitade  : 
Che  mollo  amato  è  pur  ne   la  citlade. 

XVII 

Astolfo  non   volea   che  si  sbandisse, 
Ma  che   gli  fossi   in   lutto  perdonato-, 
Ma   Ulivieri   incontro  Astolfo   disse, 
Tanto   che  molto   di  ciò  fu  sdegnalo: 
E   Carlo  comandò  che  si   seguisse 

11  bando  come  Namo  ha  consiglialo, 
Gano  avea  detto  solo  una  parola: 

Se   C  ha  smentito,  impiccai  per  la  gola. 

XVIII 

Poi  che  più  Astolfo  non  vide  rimedio, 
E   die   Rinaldo  è  sbandito   da   Carlo, 
Si  dipartì  sanza  stare  più   a   tedio, 
A  Montalban  se  n'andava  avvisarlo, 
Che  consiglialo  s'  era  porgli   assedio, 
E   accordali  poi   di   sbandeggiarlo  ; 
E   ciò  ch'aveva  dello  a   Carlo  Mano 
Per  suo  consiglio  il  traditor  di  Gano. 


Rinaldo  mille   volte   giurò   a  Dio, 
Che  ne  farà   vendetta   qualche  volta 
Di  questo  fraudolente   iniquo  e  rio, 
Se  (iriiiia  non   gli   fia  la   vita  lolla  ; 
K    poi   diceva  :   Caro   cugin  mio. 
So  «he    tu  m'ami;   e  pertanto  m'ascolta 
lo  vo'che    tutto   il   paese  rubiamo, 
E   che   di   luascalzon    vita    te:;namo. 


M  O  1\  G  A  N  T  K     MAGGIORE 


l'I   se  snii   Pier   tfov.isviiiid  n   r.imfuiiio, 
("Ile   sia   sj>(»p;li.il<ì  e   messo  n  (il   «li  sp.id.i 
1'.   Ili(  ri,-))  iliMIo   nnror  sia   n)a1;ii)drii)o. 
Rispose   AsIoHo  :   Perrl)^   sli.mx)   a   bada  : 
i'ilo  sjiojilierò   Otton  per   mi   (jiiatlrino  : 
'Domali   si   vuol   che  s'assalii   la   strada: 
Non   si   risparmi  parcnle  o  rtcìipa^ino  ; 
K  poi   si  parta   il   bollino   e   1   {^iiadaiino. 

xxi 
Se  vi  passassi  con  stia  compaenia 
Saul'  Orsola  con  l'Apiiol   Gabriello 
CI)' aiiiiimziò   la  Yercine   Maria; 
Che   sia   spoulialo   e   lollocii  il  mantello, 
lìirea    Rinaldo  :    Per   la   fede   mia, 
Cbe  Dio    li  ci  ba  iDandato,   rar'  fratello  ; 
Troppo  mi  piace,   e  savio  or   li   conosco  : 
Parmi   iniiranni  che  noi  siam  nel   bosco. 

XXII 

Quivi  era  Dralapijii,  e  confermava 
Che  si   dovesse  far  com'egli  ha  detto, 
Rinaldo  {^enle  strana  radunava  : 
Se  sa   sV»andito   ignnn,   eli   dà  ricetto, 
(ìenle  die  ognun   le  forche  meritava, 
A  Montalban  rimetteva  in  assetto. 
Donava  yianni,  e  facea  buone  spese  : 
Ti)Ulo  ch'assai  ne  ragunò  in  un  mese. 

XXIII 

Tolto  il   paese   teneva   in  paura  ; 
Ogni   dì  si   sentia  qualche   spavento: 
Il    tal   fu  morto  in   una  selva  scura  ; 
Vj  tolto  venti   bisanti  ;  e  al  tal  cento, 
Infin   presso   a  Parigi   in  su  le  mura. 
Non  domandar  so   Gano  era  contento, 
Acciò  che   Carlo  più  s'  inanimassi  ; 
Tanto  che  a  campo  ^i  Monlalbano  andassi. 

yxiv 
E   perchè  più  s'  accendessi  Rinaldo, 
Diceva  a   Carlo  un   di  :   La  corte  nostra 
Par  tutta  in  ozio  per  qux^sto  ribaldo. 
Che  co'  ladroni   a  le  strade  si  mostra  ; 
Io  sono  in  f|uesto  proposito  saldo, 
Che   si   vorrebbe  ordinare   una   giostra 
Per  sollazzar  la  corte  e   \  popnl  prima, 
E  non  mostrar  far  di  Rinaldo  stima. 

XXV 

Carlo   gli  piacque  quel   che   Gan    diceva; 
E  fé' per  tutto  Parigi  bandire. 
Come   il   tal   dì  la   giostra   si   faceva  : 
Che   chi   volessi,  potessi   venire  : 
Tutta  la  corte  piacer  ne  prendeva. 
Gali  per  potere   ogni  cosa  fornire, 
E  per  parer  a  cicS   di   miglior  voglia  ; 
In  punto  misse  Grifon  d'  Allafoglia. 

x\vi 
Quest'era   de  la   scliialta  di  Maganza  : 
Orlando  s'  era   di   corte  partito  : 
Gan   gli    diceva  :   O   Grifon   di  possanza, 
Poi  che  non   c'è  Rinaldo,  eh  è   sbandilo, 
Con   tutti   gli  altri   accettar  dei   la   danza: 
Ch'Orlando  non  si  sa  dove  sia  ilo. 
Grifon  rispose  al  suo   de^no^  signore  : 
Io  farò  sì  eh'  i'  vi  faro  onore. 


Venne  la   giostra  e  'l   tempo  deputato, 
I',    ordinò   lo  'iiqierador  per   segno 
D'onore   a   quel  <hc   l'ara  meritato, 
Vii  bel   carbonchio  mollo  ricco  e   degno, 
Che  in  un   bel    gambo   «1'  oro  era   legato. 
l'iivvi   gran   gente   di   tulio   il   suo  regno, 
IL   molla   baronìa  verme   a  la   giostra  : 
Grifone  il  primo  in   sul  campo  si  mostra. 

XXVIII 

Rinaldo  un  giorno  un  suo  falcon  paiccndo, 
Ecco  venire  il  fratel  Malagigi  ; 
ìi  come  e'  giunse,   diceva  riden«lo  : 
Non  sai  tu  coni'  e'  si  giostra  a  Parigi  ? 
Che  tu  vi  vadi   a  ogni  modo  intendo 
Isconosciuto  con   istran  vestigi  : 
Ed  una  barba  d' erba  porterai, 
Che  conosciuto  da  nessun  sarai. 

XXIX 

Tutto  s'accese  Rinaldo  nel  core, 
E  missesi  di  subito  in   assetto 
Di   sopravveste,   d' arme  e  corridore  : 
1"^  disse  :   Io  intendo  menar  Ricciardetlo, 
E  d'Inghilterra  il  famoso  signore; 
Alardo  rimarrà  qui  per  rispetto. 
Missonsi  in  punto  tulli,  e  l'altro  giorno 
Isconosciuli  a  Parigi  n'  aadorno. 

XXX 

E  solean  questi  sempre  per  antico 
Dismontare  a  la  casa  di  Gualtieri, 
O  ver  di  don  Simon  lor  caro  amico: 
A  questa  volta   trovorno  altro  ostieri 
Fuor  di  Parigi,  ch'era  assai  mendico: 
Quivi  smontorno  e  missono  i  destrieri, 
Per  fuggir  ogni   tradimento  reo  ; 
E   r  oste  appellato  è  Barlolommeo. 

XXXI 

E  poi  Rinaldo  Ricciardetto  manda 
In  piazza  per  veder  qnel   che  facieno. 
Ricciardo   aveva   a   traverso   una  banda 
A  la   sua  sopravvesta  e  al  palafreno, 
E   in   certa  parte  una   gentil  grillanda 
Di  fior' che  quasi  il  petto  gli  coprie'no  , 
Di   bianco  drappo  era  la  soprawesla, 
A  nessun  mai  più  non  veduta  questa. 

xxxii 
Una  grillanda  aveva  a  la  testiera, 
Ed   una   in  su   la   groppa  del  cavallo 
Di  varii  fior'  come  è  di  primavera  : 
La  coverta  è  di  color  lutto  giallo  : 
Vide  la   giostra  che  cominciata  era, 
Né  potè  far  non  entrassi  nel  ballo  : 
Il  jjrimo  ch'egli  scontra  in  terra  ha  spinto  ; 
E  poi  il  secondo  e'I  terzo  e'I  quarto  e'I  quinto. 

xxxiii 
Poi  si  partì,  e  tornava  al  fratello, 
E  disse  ciò  che  al  campo  aveva  fatto. 
Rinaldo  ch'era  armato  come  quello, 
E'I   dura   Astolfo  n' andorno  di  tratto: 
E   tulio  il  popol  si  ferma  a   vedello, 
Perchè  parca  ne  1'  arme  mollo   adatto. 
Ulivicri  era  già  venuto  al   campo, 
E  con   la  lancia  menava  gran  vampo. 


MORGAN  T  K     AI  A  G  (>  1  0-l\  K 


XXXIV 

Hinaldd  come  giunse,  al   suo  liajardo 
L'iia  fiaiu-ala   delle  con   j;li   sproni  : 
Vennepli   inconlro  il   Marchese   {;ap;liardu. 
Non  si   conoscon  (jiiesli   due   baroni  : 
Dne  colpi  grandi  sanza  alcun  riguardo 
A  mezzo  il  corso  dellonsi  i  campioni  : 
Le  lance  in  aria  pel  colpo   ne  vanno  ; 
Ma  1'  uno  a  1'  altro  facea  poco  danno  ; 

XXXV 

Salvo  clic  in  ginorcliion  vanno  i  deslrieri  ; 
VI.  nel  cader  T  cimelio  si  sdilaccia 
Al   valoroso  marchese  Ulivieri, 
Tanto  che  tutto  scoperse  la  faccia. 
^'i(^el  Rinaldo,   e  fece  assai  pensieri 
Di  dargli  morie,  e  fuggir  via  poi  in  caccia; 
Pur  si  ritenne  per  miglior  parlilo  ; 
Ulivier  si  rizzò  lutto  smarrito, 

XXXVI 

Allor  Rinaldo  un'  altra  lancia  prese, 
V^  rivollossi   col  cavallo  a   tondo  : 
Vide  venire  un  certo  maganzese. 
Che  si   chiamava  per  nome  Frasmondo  : 
Sopra  lo  scudo  la  lancia  giù  scese  : 
Gì  Italo  in  terra,  e  poi  gittò  il  secondo, 
i'Aoè  Grifon   eh'  avea  molta  possanza. 
Ch'era  mandalo  da  Gan  di  Maganza. 

XXXVII 

Quivi  comliatte  il   signor  d'Inghilterra, 
Ed  or  questo  or  queiraltro  manda  al  piano; 
Molti  n'aveva  cacciali  per  terra: 
Rinaldo  guarda  se  conosce  Gano  : 
Videlo  un  trailo,  e  Baiardo  disserra  ; 
E  com' e' giunse  al   Iraditor  villano. 
Per  fargli  il   «liuoco,  se  poteva,  netto. 
Gli  pose  a  la  visiera  de  l'elmetto. 

xxxvin 
Gan   si  scontorse  tutto  in  su  1'  arcione  : 
La  lancia  si  spezzò   subitamente  ; 
E '1  suo  forte  destrier  Mallafellone 
S'  accosciò  in   terra,  se  Turpin   non  mente  : 
E  come  fu  caduto  Ganellone, 
vSubilo  intorno  gli  fu  molla  gente 
De'  Maganzesi,  e  corsono  aintallo, 
E  rilevato  fu  su  col  cavallo. 


Quanti  ne  scontra  Rinaldo  in  c[uel  giorno 
Tanti  per  terra  par  che  ne  trabocchi  : 
Alda  la  bella   al   cavaliere   adorno 
Sempre  teneva  qtiel   dì  fiso  gli   occhi; 
E  quanti  cavalier'  con  lui   gìostrorno, 
Parvon  le  lance  gambi   di  finocchi  ; 
Tanto  che  molto  piacque  a   Gallerana, 
Ch'erg  con  Ald;i  e  con  Meridiana. 

XI, 

Falla   la   giostra   fu    dato   i   onore 
Al  buon  Rinaldo  che  lo   meritava. 
Alda   la   bella   al   baron  di   valore 
Un  ricco  diamante  poi  donava. 
Dicendo  :  Questo  porta  per  mio   amore  : 
!•".   Gallerana   un   rubin   suo   gli    dava  ; 
Tanto  lor  parve  im  cavalier  possente  ; 
Rinaldo   gli  accettò  corlesemenle. 


Tornossi  a  l'  osle  di  fuor  de  la  terra 
Rinaldo   con  Astolfo   e  col  fratello, 
(iaii,  i»erch' avola  vergogna  avea  in  guerra, 
Vituperalo  drenlo  il   suo  cor  fello. 
Pensò  di  far  con  sua  genie  tal  serra 
Al  ])aladin'  eh'  egli   uccidessi   quello; 
Acciò  che   tanti   cavalier  prestanti 
D'  aver   vinlì  (|uel   giorno   non  si   vanii. 

XMI 

Subilo  fuor  di   Parigi  son   corsi  ; 
E   giunti   a  l'oste,    Rinaldo   trovare; 
IL  cominciorno  con  graffi  e  con  morsi 
A  volerlo  atterrar  sanza   riparo- 
Cosi   con   esso  a  battaglia   appiccorsi  ; 
Tanto  che   Astolfo   per  forza   pigliare  : 
E  con   fatica   Rinaldo  è   fuggito. 
Con   Ricciardetto  che   1' avi'a  seguilo. 

XMII 

Gan  lece  a   Astolfo  1'  cimelio  cavare, 
(-on   intenzion   di   dargli   poi   la   morte  ; 
Ma  saper  prima  ben   d'  ogni   suo  affare, 
E  del  compagno  suo   eh'  è   tanto  forte  : 
Come  il  conobbe,  cominciò   a  parlare  : 
Tu  se'  quel  tradilor  che   nostra   corte 
Vituperasti  sempre,  e  Carlo  Mano, 
E  malandrin  se' fatto  a  Monlalbano  ? 

XLIV 

I   tuoi  peccati   t'  hanno  pur  condotto 
Dove  tu  merli,  se  tu  guardi   bene 
A   la    tua  vita  ;  e  pagherai  lo  scollo 
Di  quel  eh'  hai  fallo   con   affanni   e  pene. 
Astolfo  per  dolor  non   facea  motto. 
Gan  di  Maganza   a  Parigi    ne  viene  ; 
E   giunto   a   Carlo   lutto   in   volto  lieto, 
(ili   dette  Astolfo  in   sua   man   di  segreto. 

XLV 

Questo  facea  perchè  non   abbi   aiuto  ; 
Né  per  la   via  scoperto  l'ha   a  persona. 
Acciò  che  non  sia   tolto  o   conosciuto  ; 
E  dice:  O  Carlo  Mano,   alta  corona, 
Fallo   impiccar:   che   tu  farai   il   dovuto: 
A   la   sua   vita  mai  fé' cosa  buona; 
Se  tu  riguardi  nel   tempo  passalo. 
Per  mille  vie  le  forche  ha  meritato. 

XLVI 

Carlo  lo  fece   mettere  in  prigione, 
Per  ordinar  di   farne   aspra   giustizia. 
Mentre  che  questo  ordinava   Carlone, 
E   Gan   tulio  -era  acceso   di  letizia  ; 
Rinaldo,  eh'  era  pien  di   passione, 
Senlla   d'Astolfo  al  cor  molla   tristizia; 
E  pensa  pur  com'  e'  debba   aiutarlo, 
Che  dicea  :  Carlo  Man  farà  impiccarlo. 

XLVII 

Orlando   appunlo  a  Monlalban   giugnea, 
nQuale   era  sialo  per  molli  paesi, 
E  rivedere  il   suo  cugin   volea  : 
E  Ricciardetto  e  lui   truova   sospesi  : 
Rinaldo  poi   d'  Astolfo  gli    dicea  : 
Or  questo  par  eh'  al  conte  mollo  pesi, 
Che  in   Agrismonle  stato  era   di  13uovo  ; 
E   non   sapea  di   ([ucsto  caso   nuovo. 


MOl\G  ANTK     M  A  (.  ('.  1  OK  E 


IC   arrttrdossi   roti   ItiiiaMo   iiisii-inr, 
(.^le   1)011   t;li   Ha   la   vita  pcrfJoiiala  ; 
J'^   Malaiii};!    Ita  penluta  o^iii  speme  ; 
Poro  rlie   Carlo   un'ostia   roiKarrala      95- 
Gli   ha  messo  addosso  :  che  ile  l'arie  temè 
Di   Malajii}»!  ;  e   la  prigion   (guardata 
In   modo  avea,  che  non  si  può  aiutare, 
Né  con  inj;epni   o  spirli  lil)crare. 

M.IX 

Dirova    Orlnndo  :  Io  per  me  fun   disposto 
Insieme  con    Aslrdfo  ir  a   morire. 
Disse   Rinaldo:   Ed    io;   farciam   ptir   tosto  J 
Però  elle   n«)n   è   lonpo   da   tiormire. 
Come  fo   il   Sol   ne   1'  Oci'an  nascosto, 
Sidiito  l'arme  si   fecion   p;oernire  ; 
E  Ricciardetto  con  seco  menomo  ; 
E  cavalcar  ia  notte  insino  al  giorno. 

La  manina  per  tempo  capitali 
Fiiron  fuor  de  le  porte  di  Parifiì, 
E   non  si    sono  a   cnun  manifeslali  ; 
Ma   sfellonsi  nascosi  in  san  Dionigi  : 
E   certi   viandanti   son   passali  : 
Orlando  drieto  mandò  lor  Terigi 
A   domandar  se  novelle  sapieno 
Di  corte,  e  quel  che  i  paladin  facieno» 

LI 

Fnjlli  risposto:   Niente  sappiano, 
Se   non   ch'egli  è  certo  mormoramento, 
r.h' un   de' baroni  impicca   Carlo  Mano 
Qnesta   mattina  per  suo  mancamento  ; 
Le  forche   qoa  su   la  strada   voggiano  ; 
Altre  novelle  non  sentimmo   <lrenlo. 
Terigi  presto  ritornava   al   Conte, 
E   di   Parigi   le  novelle  ha  conte. 

LH 

Disse  Rinaldo:  E' fa  por  da   doveiro  ; 
Ben   dehhe   goder  or  qnel   traditore. 
Diceva   Orlando:   E' fallerà  il  pensiero, 
Se  tu  mi  segni,  cugin,  di  bnon   cuore. 
Disse   Rinaldo  :  Morir  teco  spero, 
E 'I   grimo  _ucf  idee  Carlo  imperadore. 
Prima   ch'Astolfo,  come  G.-^Uo   agogna. 
Vegga  morir  con   tanta  sua  vergogna. 

LUI 

Io   trarrò  a  Gano  il  cuor  prima  del  petto, 
Ch'  i'  sofferì  veder  mai   tanto   duolo  : 
Così   la   fede,   Orlando,   li  proUiefto  : 
To  verrò   leco  in  mezzo   de  lo  stuolo 
Così  sbandilo  sanza  alcun   sospetto, 
S' io   vi   dovessi  morto  reslar  solo. 
E   così  insieme  congiurati  sono 
Di  mettersi   a   la  morte  in  abbandono. 

LIV 

E   slanno  a  la   veletta  per  vedere 
Qualunque   uscissi  fuor  de  la   citlade. 
Così   Terigi,   eh'  era   lo  scudiere, 
Aveva  gli   occhi  per  tutte  le  strade  : 
Ognuno   in  punto   teneva   il   destriere. 
Ognun   puardava   come  il   brando  rade, 
Diceva  Orlando  a  Terigi  :   Sarai 
Sul   canq»auile,  e  cenno  ci   farai. 


Ma   la   cIh'   bene   in   ogni   parie   guardi, 
A«  •  io  che  rrror   per  nidia   non   jiigliassi  ; 
Se   tu   vedessi   apparire  stendardi, 
O  che   alle  forche  nessun   s'accostassi, 
Subito  il   di',  che  noi  mui   fustini    tardi  ; 
Che    I  manigoldo   intanto   lo  "mjiicas.si  ; 
Ma,  a  mio  parer,   sanza   diuutstrazione 
S'  ingegnerà  mandarlo  Ganellone. 

T,vr 
Gan   la   Tnillina  per   tempo  è  levato, 
\\  ciò  che  fa   dì   bisogno  ordinava  ; 
Insino   al  manigoldo  ha  ritrovato: 
Non    domandar  coni' e' sollecitava  : 
I  pala<lini  ognun  mollo   ha  pregato: 
Ma   Carlo  chi   lo  priega  minacciava. 
Perdi '  ostinato  era  farlo  morire. 
Tanto  che  pochi  volcaii  contraddire. 

LVII 

Avea  mollo  pregalo  T  ammirante, 
Che  con  Ernunion  si   fé' cristiano. 
Questo  era  quel   famoso  Lionfanle, 
Che  prese  7\slolfo  presso   a  Monlalbano  : 
Meridi.ina  pregava  e  Morgante  ; 
Ma   tulio   il   lor  pregare  era   alfin   vano. 
Gan  da  Pontieri  in  su   la  sala  è  giunto  ; 
Dicendo  a  Carlo:  Ogni  cosa  e  già  in  punto. 

LVlIl 

E  taglia  a  chi  pregava  le  parole. 
Dicendo  :   O  iniperador,  sanza  giustizia 
Ogni  città   le   barbe  scuopre  al  sole, 
Per  non   punire  i    tristi   e  lor  malizia  ; 
Vedi  che  Troia  e  Roma  se  ne  duole  : 
E  sanz' essa  ogni  retno  precipizia; 
La  tua  sentenzia  dcbbe  aver  effctlo, 
E  non  mutar  quel  eh'  una    volta   hai  dello. 

MX 

Carlo  rispose  :   Gan,  sia   tua  la   cura. 
Fa   che  la   giustizia  abbi  suo   dovere  ; 
Quel  che  bisogna  a   tulio  ben  procura. 
Gan  gli  ripose  :   E'  fia  fatto,  imperiere  : 
Di  questo  sta  con  la  mente  sicura: 
Se   Asfollo  prima  volessi   vedere 
Ch'  io  '1   meni   via,  il   trarrò  di  prigione, 
Per  i  sfollarli   a   tua  consolazione. 


Rispose  Carlo:   Fatelo   veniie. 
Astolfo   innanzi   a   Carlo  fu   menato. 
Carlo   comincia   iratamenle   a   dire, 
Poi   ch'a'suoi  pie  se   gli   fu    inginocchiato; 
Com'  hai   tu  avuto,  Astolfo,   tanto   ardire 
Con   quel   ribaldo,  Irislo,  scellerato 
Venire  a  corle,  e  già  circa   a   tre  mesi     <. 
Mettere   in  preda   tulli  i  miei  paesi? 

Perch'  io  avevo  Rinaldo   sbandilo, 
Quand'  io  pensai   tu  mi   fossi   fedele, 
A  Montalban   con   lui   li   se' fuggilo, 
E  fallo   un   uom  micidiale  e   crudele- 
Del   tuo  peccalo  è  tempo  sia  punito  ; 
E   dopo   il   dolce  poi   si    gusta  il   fiele  : 
De  la   tua  morte  e  di   tue  opre  ladre 
Non   me  ne  incresce,  ma  sol  del   tuo  padre. 


IT)! 


M  0  K  G  A  N  T  E     M  A  (x  G  I  O  U  E 


L- 


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f''^  Ollon   fuor  <li   l'arij^i   doloroso 

S'  era   fuggito,  per  non   veder  solo 
Afflitto  vecchio,   misero,  angoscioso, 
Morir  si   tristamcnlc  il  suo  figliuolo. 
Astolfo  allor  col   viso  lacrimoso 
Rispose  con  sospiri  e  con  gran  duolo, 
li  «lisse  uinileuieate  :   O  imperadore, 
Io  mi  t^  accuso,  e  chiamo  peccatore^ 

LXIII 

Io  non  posso  negar,  che  la  corona 
Non  abbi  offesa  assai  col  mio  cugino  : 
Ma  se  per  te  mai  cosa  giusta  o   buona 
Ho  fatto,  mentre  io  fui   tuo  paladino 
Per  lunghi  tempi,  Carlo,  or  mi   perdona 
Per  quel  Gesue  che  perdonò  a  Longino, 
Pel  padre  mio,  tuo  servo  e  caro  amico, 
Se  mai  piaciuto  t'  è  pel  tempo  antico; 

LXIV 

Pel   tuo  caro  nipote  e  degno  conte. 
Per  quel  ch'io  feci   già  teco  in   Ispagna, 
S'  io  meritai  mai  nulla  in   Aspramonte, 
Per  la  corona  tua  famosa  é  magna  : 
E  pur,  se  morir  debbo,  con   tant'onte. 
Quel  tradllor  oh' è  pien  d'ogni  magagna, 
Più  eh'  altro  Giuda,  o  che  Sinon  di  Troia, 
Per  le  sue  man  non  consentir  ch'io  muoia. 

LXV 

Carlo  diceva  :  Questo  a   che   t' imporla  ? 
Gan  da  Pontler    gli  volse  dar  col   guanto  ; 
Ma  '1  duca  Namo  di  ciò  lo  sconforta. 
Astolfo  fu  da'  Maganzesi  intanto 
Preso  e  menato  inverso  de  la  porta, 
E  tutto  il  popol  ne  facea  gran  pianto: 
Uggier  più  volte  fu  tentato  sciorre 
Astolfo,  e  a  Ganellon  la  vita  torre. 

rxvi 
Ma  poi   di  contrapporsi  a  Carlo  teme  ; 
E  non  pensò  che  rius<:issi  netto: 
I  Maganzesi  son  ristretti  insieme. 
Perchè  de' paladini  avean  sospetto, 
E  d'ogni  parte  molta  gente  preme: 
Quel  traditor  di   Gan  per  più  dispetto 
Come  un  ladrone  Astolfo  svergognava, 
EU  manigoldo  pur  sollecitava. 

LXVII 

Avea  pregato  Namo  e  Salamone 
Lo 'mperador  che   dovessi  lasciarlo: 
Avolio,  Avino,   Gualtier  da  Mulione, 
E  Berlinghier  si  sforza  di  camparlo, 
Dicendo:   Abbi  pietà  del   vecchio   Ottone, 
Che  tanto  tempo  t'  ha  servito,   Carlo  : 
Tutta  la  corte  per  Astolfo  priega  ; 
Ma  Carlo  a  tutti  questa  grazia  niega. 

Lxvni 
E  finalmente  a   Gan  fu  consegnalo, 
Che  facci   che  far  dee   di  sua  persona  : 
Gan  sopra  un  carro  l' aveva  legato, 
E  'n  testa   gli  avea  messa  una  corona  ^ 
Per  traditore,  e  '1  glubbon  di  broccato  ; 
E   gran  romor  per  Parigi  risuona  : 
E  un  capresto  d'oro  gli  awolgca  : 
Or  questo  è  quel  eh'  a  Astolfo   assai  dolca. 


Fe'jìcr  Parigi   la  cerca  maggiore; 
Le   trombe  innanzi   e  stendardi  e  bandiere, 
Minacciando,  e  chiamandol  riibalore  : 
Ma  nondimen  del  signor  del  quartiere 
E  di   Rinaldo   lemea  il  traditore, 
E  tnttavolla   gliel  parea   vedere. 
Terigi  presto  del  fatto  s'  accorse; 
Al  conte  tosto  ed  a  Rinaldo  curse< 

LXX 

Orlando  sopra  Veglianlin  s'  assetta  : 
Rinaldo  sta  come  suole  il  falcone 
Uscito  del   cappello  a  la    veletta; 
Ma  per  aver  più  salvo  Ganellone, 
Che  si  scostassi  di  Parigi  aspetta, 
Tanto  che  fussi  giunto  a  lo  scaglione; 
Dicendo:   Quant»  più  si  scosta  Gano, 
Tanto  più  salvo  poi  1'  aremo  in  mano. 

LXXI 

Lasciagli  pure  a  le  forche  venire. 
Che  se  noi   gli  assallassim   cosi   tosto. 
Ne  la  città  potrebbon  rifuggire: 
lo  vo'  che  '1  traditor  tarpiani  discosto  : 
Astolfo  in  modo  alcun   non   dee  morire  : 
Noi  giugnerem  più  a   tempo  che  V  arrosto: 
Forse  verrà  a  veder  lo  'inperadore  ; 
E  vo' con  le  mie  man  cavargli  il  cuore. 

LXXII 

I  Maganzesi  so  che  sgombreranno. 
Come   vedranno  scoperto  il  quartieri, 
O '1  lione  sbarrato  mireranno: 
Cosi  si  fumo  accordali  i  guerrieri, 
E   come  i  can'  con   gli   orecchi  alti  stanno 
Per  assaltare  o  leprella  o   cervieri. 
Gan   traditor  con  mollo  oltraggio  e  pena 
Astolfo  inverso  le  forche  ne  mena. 

Lxxin 
Non  potre'  dire  il   signor  d' Inghilterra 
Come  schernito  sia  da  quella   gente: 
Per  non   vederla   gli   ocelli  spesso  serra, 
E  come  agnello  ne   venia  paziente  : 
Già   lanto   tempo  in  corte  stato  e  in  guerra 
Si  degno  paladin,   tanto  eccellente, 
Morti   a'  suoi   di   con   le  sue  proprie  mani, 
Per  salvar  Carlo,  migliaia  di  Pagani. 

LXXIV 

O  Carlo  Imperarior,  quanto  se' ingrato! 
Non  sai  lu  quanto  e  in  7)dio  a  Dio  tal  peccai" 
Non   hai   tu  letto,  che  per   tal  peccalo 
La  fonie   di   pietà  su   in   ciel   si   secca  ? 
E  con  superbia   insieme  mescolalo 
Caduto  è  d'  Aqiiilon   ne  la   Giudecca 
Con    tutti  i  suoi  seguaci   già  Lucifero: 
Tanto  è  questo  peccalo  in  sé  pestifero. 

LXXV 

Tu   hai  sentilo  pur,  che   Scipione, 
Senilo   di    senno  vecchio,   e    giovan    d'  anni, 
A   Annibal   tolse  ogni  riputazione, 
Di  che   tanto  acquistala   avea   già  a  Canni  : 
Fumo  i   Roinani_ijigrali   a  la  ragione  ; 
Onde  sci'uiron  poi   sì   lunghi  affanni  : 
Questo  peccato  par  che'l  mondo  adugge, 
E  finalmcnle  ogni  regno  distrugge. 


M  O  U  G  A  N  T  E      ÌM  A  (\  (\  1  O  K  E 


LXXVI 

Questo  perralo  scarda   la   i;iiisli/ia, 
Saiiza   la   (|iial   non  può  tiurare   il   in(iiid«t  : 
Questo  perralo   è  pien   d"  4»f:ni   niali/.in, 
Que.>to  perrato   a   pnun   non   è  secwntlo  : 
(ìerusalein  per  questo    preripizia  : 
Questo  perdio  Ila   messo   (ìiuda  al    fondo: 
Onesti»  pe«r.ito   Innlo   {irida   in  cielo, 
Che  ci  pertiirlia  ogni  sua  grazia  e  zelo. 

I.WVM 

Quel   di'  ha   fallo  per    te  pia   il   paladino, 
Credo   tu  "I   sappi   (ma   saper   noi   vuoi) 
Mentre   che   fu   tra  'I  popid   sar.irino  : 
So   che    tra    eli    altri     a>sai   lodar  quel   suoi. 
Non    ti    ricordi,   fijilinitl   di    l'ij>ino. 
De' benefici,  e  penlcr   non    vai   poi: 
E  pur  se  fatta   ha   cosa  che  sia  atroce, 
Del   Ino  Gesù  ricordati   già  in  croce, 

I.XWIM 

Che  perdonava   al  pojiol  che  1"  ofTende, 
Racromand.ilo   ai   padre   umilemente  : 
y\<loMo   in   colpa   ginorcliion   si   rende,     ;,i  ^ 
K   chiede   a   te  perdon  pietosamente: 
E  p«ir  se  'I   giusto  priego  non   s'  accende. 
Di   grazia   ti   domanda   fìnnlmenle, 
Che  per   le  man    di    G.-in   non    vucd   morire  ; 
E   tu  noi  vuoi  di  questo  anco  esaudire. 

LXXIX 

E  non  sai  ben  che  se  qnel  guida  a  morte 
Astolfo,  così  guida  te,  Carlone, 
E  i   tuoi  baroni,  e   tutta  la   tua   corte. 
Fa    che   tu  creda   sempre   a    Ganellone  ; 
Ben    ti   conducerà  fuor   de   le   porte, 
Quando   fia    tempo,  ancor  questo  fellone  : 
E  pei   consiglio  suo   ti  fai  crudele, 
E    ngrato   contro   al   servo   tuo  fedele. 

LXXX 

Astolfo  poi  che  si   vide  condotto 
Presso  a  le  forclie,  e  gnun  per  sé  non  vede, 
Unj)ianto   cominciò  mollo   dirotto, 
Quando  in  sui  primo  scagiion  pose  il  piede, 
E   i   Maganzesi  il   sospingean   di   sotto  ; 
E    disse  :   O   Dio,    è  spenta   ogni   mercede  : 
Non    è  pietà   nel   mondo   più  né  in   cielo 
Pe'  tuoi   fedel'  che  credon   nel  Vangelo. 

I-XXXI 

S"  io   ho   Ire  mesi    assaltalo  a  la   strada 
Per  disperato   e  pien   di   giusto  sdegno, 
Consenti   tu  eh'  a  le  forche  ne  vada  ? 
lo  ho  tanto  assaltato  il  pagan  regno, 
E   tanti   per   te  morti  con   la   spada, 
Che   di    misericordia  era   pur  degno  : 
Com   un   ladron  m' impicca   Cario    Mano  ; 
E  per  più  ini;,iuria  il  manigoldo  è  Gano. 

LXXXII 

Quel   die   l'ha  fatti   mille   tradimenti, 
E  mille  e  mille  e   mille   a   la   sua   vita, 
E   tanti   ha   già   de' tuoi   crisli.mi   spenti: 
Ov  è  la   tua  pietà,  s'ella  è  infinita? 
A  questo  modo    eh    io  muoia   or  consenti  ? 
Per  la   tua  deità  eh"  è  in   ciel   gradila, 
Per  la   tua  santa   e   gloriosa  madre, 
Alibi   pietà  del  mio  misero  padre, 


I.XXXIII 

Se   per  me   stesso   non   V  ho   ineritalo  ; 
Per   le  sue   opre   degne   e   giuste   e   sante  , 
Ma    tu   sai   pur,   se   pel    leni|>o  passato 
(!ondiatluto   ho   nel    Ponente   e  Levante; 
'Jai    rh    i' pensavo   d'avere   acquistato 
Altra   corona   o   carro    trionfante, 
Altri    stendardi   di  più   gloria   e  fama  ; 
Or  col    capresto   (ìan  ladron   mi  chi.ima. 

r.xxxiv 
Avino   era   venuto  per   vedere 
Quel   che   veder  non    vorrebbe  per   certo  ; 
Ma  'I   grande  amor   Io  sforza,   e  più  tenére 
Non   potè   il   pianto,    tanto  avea  sofferto. 
Guardava  Astolfo  contro  a  suo  v<»lere 
Le  forche  in  alto,  e '1  cammin  gli  par  erto; 
E  quanto  può  di  non   salir  s'  attiene. 
Che  di  morir  non  s'accordava  bene. 

i.xxxv 
I   Maganzesi    gli   spnlan   nel   viso. 
Come   fa<  ieno  a    Cristo   i   Farisei  : 
Diceva  alcun   con   iscorno  e  con  riso; 
Or   fien   puniti  i    tuoi  peccati  rei  : 
Iiicordati   di   me   su  in  paradiso: 
Altri    dicea,   come  ferno   i    Giudei, 
Mentre   eh"  ognun   quanto  può   lo  percuote: 
Dimmi,  sin  sai,  chi   li  batte  le  gote  ? 

tx:xxvi 
Tu   il   deveresti  saper,  paladino, 
Tu    deveresti  conoscer  la  mano, 
Se  se' profeta,  astrolago  o  indovino: 
Che,    guardi    tu    del    senator   romano, 
O  die   li   scampi   il    figliuol   di   Pipino? 
Che  aspetti   tu  il  signor  di  Montaibano  ? 
Ne   verrà   a   te  quando   a'  Giudei    il  Messia 
E   anco  Cristo  chiamò  in  croce  Elia. 

LXXX  VII 

Era  a  vedere  Astolfo  cosa  oscura  ; 
Il  manigoldo  tirava  il  capresto. 
Dicendo:   Vien   su  con   buona   ventura; 
E  '1   traditor   di   Gan   dicea  :   Fa  presto. 
Astolfo  avea  de  la  morte  paura, 
Percbé  ha  «iiciotlo  in  volta,  e  vanne  il  resto; 
E    tuttavia   di   soccorso  pur   guarda  ; 
E  quanto  più  polca  di  salir  tarda. 

LXXXVIII 

Con  le  ginocchia  a  la  scala  s'  appicca  ; 
E  "1   manigoldo   gli   dava   una   scossa  : 
<  Ili   qualciie  dardo  a   le   gambe   gli  ficca  ; 
Ma   sosteneva  in  pace   ogni  percossa  : 
Malv(ìlenlier  da' gli  scagiion' si  spicca: 
E  cigolar  si  sentian  prima  Tossa: 
Pur  per  la  forza  di   sopra  e   di   sotto 
Sopra  il  terzo  scaj^lioa  1'  avean  condotto. 

LXXXIX 

Diceva  Gano  :  A  la  barba  1"  arai  : 
Tira  pur  su,  ribaldo   traditore, 
Clie  più  le   strade   non   assalterai. 
Or  questo  é  quel  di'  Astolfo  passa  il  cuore, 
E   dicea^^:   Tradilor  non   fui   già   mai  ; 
3Ia   tu  se' traditore  e  rubatore; 
E  quel   che  tu  fai  a  me,  meriti   lue  ; 
Ma  contro  al  mio  destin  non  posso  piiie. 


M  O  U  G  A  N  T  K     MAGGIORE 


Io  non  posso  pensar  come  il  terreno 
Non  s'  apre,  e  non  oscura  sole  e  luna  ; 
Poi   cl»e   a   te   tradilor  <!' infi;anni  pieno 
M'ha  «iali»  così   in  preda  la  forUina. 
O  Crocifisso   ginsto  Nazzareno, 
Non  è  nel  ciel  per  me  difesa  alcuna  : 
Questa  è  pur  cosa  dispietata  e  cruda, 
Da  poi  che  Iradilor  mi  chiama  Giuda. 

xci 
Dov'è  la  tua  piuslizia,  Sicnor  mio? 
Non  è  per  me  persona  che  risponda  : 
Che  questo   tradilor  malvaj^io   e  rio 
M'uccida  e  con  parole  mi  confonda, 
Noi  solferir,  beniu;no  eterno  Dio. 
E  tanto  sdegno  nel  suo  core  abbonda, 
Che  con  quel  poco  vigor  che  gli  resta, 
Si  percotea  ne  la  scala  la  testa. 

XCII 

Ma  il  manigoldo  tuttavia  punzecchia. 
Ed  or  col  piede,  or  col  pugno  lo  picchia  ; 
Quando  nel  volto,  e  quando  ne  V  orecchia 
E  pure  Astolfo  meschin  si  rannicchia  ; 
E  tullavolta  co' pie  s'apparecchia 
Di  rappiccarsi  a  scaglione  o  cavicchia  : 
Ma  con  le  grida  la   gente  1'  assorda, 
E  '1  manigoldo  scoteva  la  corda. 

xeni 
Alcuna  volta  la  gola   gli  serra  : 
Non  dimandar  s'egli   era  un  nuovo  Giobbe: 
Un  tratto  gli  occhi   abbassava   a   la  terra, 
Ed  Avin  suo  fra  la  gente  conobbe: 
Or  questo  è  quel  dolor  che 'I   cor  gli  afferra  ; 
Fece  le  spalle  pel  gran   duol   più   gobbe  ; 
Raccomandògli   sopra  ogni   altra   cosa 
Il  vecchio  padre  e  la  sua  cara  sposa. 

X'CIV 

Talvolta  gli  ocelli  volgeva  a  Parigi; 
Quando  guardava  inverso  Montalbano  : 
Non  sa  che  1  suo  soccorso  è  in  san  Dionigi  : 
Diceva  allor  per  dileggiarlo   Gano  : 
Che   guardi  tu,  se   ne  vien  Malagigi  ? 
E'fia  qui   tosto;  egli   è  poco  lontano: 
Perchè  con  meco,  Astolfo,  così  adiriti  ? 
Che  liberar  ti  farà  da' suoi  spiriti. 

xcv 
E  nondimeno  un'ostia,  com' io  dissi,   ^^ 
Gli   avea  cucilo  di  sua  mano   addosso 
Ne  la  prigion,  che  caso  non   venissi, 
Che  Malagigi  l'avessi  riscosso; 
Acciò  che  in   ogni  modo   quel  morissi. 
Diceva  Astolfo  :   Omè,  che  più  non  posso 
Risponder,  traditor,  quel   che    tu  meriti 
De' tuoi  peccati  pe' tempi  preteriti. 

XCVI 

Gan   lo  scherni'a  di  nuovo  con  parole, 
E  pure  al  manigoldo  raccennava  ; 
E  '1  manigoldo   tira  come  suole  : 
Astolfo  a  poco   a  poco  s'  avviava. 
Però  che  solo  im    tratto  morir  vuole  ; 
E  Così  finalmente  s'  accordava  ; 
I  Maganzesi  pur  gridan  dintorno, 
E  sbuffan   beffe  con   isclierno  e  scorno. 


()r!ando   in  questo  Astolfo  in  alto   vide, 
1"^   disse  :  Tempo  non  è   da  star  saldo  : 
Non   senti   tu  quel   liimnilo  e   le  gride  ? 
E  'l  simigliante   diceva  Rinaldo  : 
Io   veggo   il   manigobli)   che   1'  uccide, 
E   già  il  capestro   gli   acconcia    il  ribaldo  : 
Non   aspettiam,   che   gli   facci  più   ingiuria. 
Così  di  san  Dionigi  escono   a  furia. 

XCVHI 

Rmaldo  punse  in   su' fianchi  Baiardo  ; 
Che  non   si  vide  mai  saltar  cervietto, 
Ch' a  petto  a  questo  non  paressi    tardo; 
Così  faceva   Orlando   e  Ricciardetto  : 
Non   è  lion   sì  presto  o  liopardo; 
Terigi   drieto  seguiva  il   valletto  ; 
Rinaldo  scuopre  il  lione  sbarrato; 
Orlando  il  segno  ha  del  quartier  moitrato. 

XCIX 

Astolfo  pure  ancora  stava  attento, 
Come  chi  spera   insino  a  morte  aiuto: 
Vide  costor  che  venien  ^ome   un  vento, 
Non  come  strale  o  come"  uccel  pennuto. 
Fumo  in   un   tratto  i  lupi   tra  1'  armento. 
Che  quasi  ignun  non  se  n'  era  avveduto  : 
Ma  poi  che   Orlando  e  Rinaldo  conosce, 
Fu  posto  fine  a  tutte  le  sue  angosce. 

e 
E' paren  proprio  un   nugolo   di  polvere: 
Giunse  in  un  tratto,  la  folgore  e  'l  tuono. 
Il  manigoldo  si  facea   già  assolvere 
Al   duca  Astolfo,  e  chiedeva  perdono, 
Che   gli  volea  poi  dar  l' ultimo  asciolvere, 
E  messo  avi'a  la  vita  in  abbandono, 
E  domandava  di   grazia,   in  che  modo 
Far  gli  dovessi,  che  scorressi  il  nodo. 

CI 

Guarda  fortuna  in  quanta  stremitale 
Condotto  avea  col  capresto  a  la   gola 
Il  paladin  di  tanta  degnitale. 
Che  non  facea  di  morir  più  parola  I 
Avea  mille  vittorie   già  acquistate, 
E   domandava   ora  una  cosa  sola, 
Che  'l  manigoldo  acconciassi  il  capresto 
Per  modo  che  scorressi  il  nodo  presto. 

cu 
Giunto  cbe  fu  tra' Maganzesi  Orlando; 
Ah,  popol  tradilor,    gridava  forte; 
E  misse  mano,  a  Durlindana  il   brando. 
Rinaldo  grida  :  A  la  morte,  a  la  morte  ; 
E  poi  si   venne  a  le  forrlii^  accostando  : 
Trasse   Frusberta,   e  legami   e  ritorte 
Tagliò  in   un  colpo,   e  le  forche,  e  la  scala, 
E  ogni   cosa  in   un   trailo   giù  cala. 

CHI 
Mai   non   si   vide  colpo  così  bello  ; 
Tanto  fu  Tira,  la  rabbia  e 'l  furore: 
Astolfo  cadde  leggier  come  uccello, 
Tanto  in  un   tratto  riprese   vigore  : 
Il  manigoldo  si   spezza  il   cervello  : 
Gan  da  Po.ilier  fuggiva   il   traditore  : 
Avin,  che '1  vide,  drielo  a  lui  cavalca; 
Ma  non  potieno  uscir  fuor  de  la  calca. 


JM  O  U  (i  A  N  r  i:      MAGGIORE 


Orl.Tiulo   »•  ili  me/./o   di   (|iu''  di   M.ijraiiza  ; 
V,   iiuMia    colpi    di    drit'to   e    davnnte 
Con  Diirlind.ìiia,   e  faceva   V  iisan/.i  : 
(>tiaiiti   ne   piiiunr,   al   ci«'l    Vdl-idii  le  {tiaiitc. 
1".    Hicciardclli),    cliiia   molla   j)ossanzfl, 
Molli    n'uccide   col    tirando   pesante  : 
Tom'  nn   lion  famelico  ojiniin  ruiiiie  ; 
Gan   da  Poulier  verso  Parigi  fujige. 

cv 
E' si  vedea   in   nn   tratto  sbaragliare 

I  Mapanzesi,  e  fne^ir  ])er  panra 

Clii   qna   olii   là,  percliè  possa   campare  : 
Trasse   Rinaldo   nn   colpo  per   venlnra, 
Un  Maiian/ese   morto   fé' cascare, 
K    tcdsepli   il   cavallo  e   V  armadiira  ; 
1-L  rassettava   Astolfo  d'  Insilili  terra  ; 
E   corron   tulli  poi   verso  la   lerra. 

evi 
I  Maganzesi  innanzi  si   cacciavano, 
Come  il  Inpo   suol   far   le  pecorelle  ; 
E  questo  e  quello   e  qnelT  altro  tagliavano, 
E   braccia  in   terra   balzano   e  cervelle  : 
Fino  a   le  mura   i   colpi  raddoppiavano. 
Cacciando   ì  brandi   giù  per  le  mascelle: 
Altri  avean  fessi   iusin  sopra   gli   arcioni, 
Chi   insino  al  petto,   e  chi  insino   a'  talloni. 

cvii 
Astolfo,  poi  cir  a  cavai  fu  montato, 
Tra'  Maganzesi  a   gran  furor  si   getta, 
(/ridando  :  Popol   crudo   e  rinegato, 
Gente  bestiale,   iniqua  e  maladelta, 
Io   li   gasligherò   del    tuo  peccato: 
E   con   la   spada   facea   gran   vendetta  ; 
E  niolta   avea   di  quella   turba   morta. 
Prima  ch'entrati  sien  drcnlo  a  la  porla. 

CVIII 

Ricciardetto  era  a   Ganellone  affianchi, 
E   col   cavai   lo   segui'a  a   tutta   briglia  ; 
BtUK^ue  convien   che  1    tradilore   arranchi. 
Perchè  da   lui  non  levava  le  ciglia, 
(iiimti   in   Parigi   i   baron   degni  e  franchi, 
Subito   tutto  il  popol   si   scompiglia  : 
E   come  fu  saputa   tal   novella, 
Subito  i  paladin  montorno  in  sella. 

ax 
r.arlo,  sentendo  come  il  fatto  era  ito, 
E  che   in   Parigi   era   Rinaldo  e '1   conte, 
E   come   Astolfo  è   di   sua  man  fuggilo; 
Con  ambe  man  si  percosse  la  fronte  : 
Esser  gli  parve  a   sì   tristo  partito, 
Che  si  fuggì  per  non  veder  sue  onte, 
E  la  corona  si   trasse  di   testa, 
E  ndosso  si  stracciò  la  real  vesta. 

ex 
Era  Rinaldo   già  in  piazza  venuto 
Col   conte   Orlando,   e  sollevalo   tutto 

II  popol,   che  di  Astolfo  gli  è  incresciulo, 
E  dì.-iava   Carlo  sia  distrutto, 

Da  poi  eh'  a   Gano  avea  sempre  creduto, 
E  seguitato  n'era  amaro  frutto: 
Presso  la  piazza   al  palajiio  corrieno, 
Là  dove  Carlo  Man  pigliar  credìeno. 


Dicea  Hinablo  ;  Ignun  non  mi  dia  impaccu) 
lo  intendo  a   Carlo  far  <|uel   «  IT  è  dovere: 
Come   vedete   cb'  io  le  man   gli   caccio 
Addosst»,  ognun   da  parte   stia  a   vedere  : 
La  prima   «osa   il   vo"  pigliar  jiel   braccio, 
1'^    levarlo    di   sedia   da   sedere; 
Poi   la   corona   di   testa   cavargli, 
E   tutto  il  capo  e  la  barba  pelargli. 

exii 
E  mettergli   una  milera  a  bendoni, 
1'^  "n  sul   rarro   tli  Aslolfo  farlo  andare 
Per   tutta  la  (iltà  come   i   ladroni  ; 
E   farlo    tanto   a   Gano  scoreggiare, 
Che  sia  segnato  dal   capo   a'  talloni  ; 
1^  r  uno  e   r  altro  poi  farò  scjuarlarc  : 
Ribaldo    vecchio   rimbambito  e   pazzo  ! 
Così  con  gran  iuror  corse  al  palazzo. 

r_xiii 
Carlo  la  sala   aveva  sgomberata. 
Perchè  e' conosce  Rinaldo  assai  bene: 
Vide   Rinaldo  la   sedia  votala; 
vSnbito   fnor  del  palazzo   ne  viene, 
E  per  Parigi  fece  la  cercala  ; 
E  minacciava,  che  chi   Carlo   tiene 
Nascoso,   o  sa   dov' e' si   sia   fuggilo, 
Glie!   manifesti,  se  non,  fia  punito. 

ex  IV 
Carlo   a   rasa  d'  Orlando  per  paura 
S'era  fuggilo,   inteso  la  novella, 
Come  Rinaldo  drento  era  a   le  mura  ; 
E  nascoso  l'  avea  Alda  la   bella. 
Che  '1   dì  venuta  v'era  per  ventura; 
E   triema  tuttavia  questa   donzella. 
Che   non   vi   corra   il  popolo  a  furore, 
E   che  sia  morto  il  vecchio  imperadore. 

cxv 
Gan  si  fuggiva  innanzi  a  Ricciardetto  : 
Ma  poi   che  più  fuggir    non  può  il  fellone, 
E   già  Rinaldo  si   vedeva   a  petto  ; 
Al  conte   Orlando  si   delle  prigione: 
E 'I  conte  Orlando  rispose:  Io   t'accetto, 
Per   far  di   le   quel   che  vorrà  ragione. 
Diceva   Gano  :  Io  mi   ti  raccomando. 
Che   tu  mi  salvi  almen  la  vita.   Orlando. 

ex  VI 
Com' e' fu  preso  il   tradilor  ribaldo. 
Ognun   gridava:  Fagli  quel  eh  e'merta: 
Non  si  polea  rattemperar  Rinaldo, 
Che  lo  voleva  straziar  con  Frusberta, 
E  come  il  veltro  non   islava  saldo, 
Quando  la  lepre  ha  veduta  scoperta. 
Diceva   Orlando  :   Aspetta   d'  aver  Carlo, 
Ch'io  vo' in  sul  carro  con  esso  mandarlo. 

cxvu 
Per  tutta  la  città  tutto  quel   giorno 
Cercalo  fu   di   Carlo  ;   e  finalmente. 
Non   si   trovando,  al  palagio  n'  andorno  ; 
E  '1  conte  Orlando  è  il  suo  luogotenente. 
Alda  la  bella   col  suo  viso  adorno 
La  notte   se  n'andò  celatamente. 
Ed  ogni   cosa  diceva   al  suo  sposo. 
Coni' eir  avea  lo  "niperador  nascoso. 


M  O  K  (i  A  N  T  E      IM  A  (1  (>  i  O  ì\  K 


CXVIII 

Orlando  disse  :   Fa  «he   lu  Io   lonj:,a 
Colalo,  tanto  <lie  passi   il   itirore  ; 
E  fa  che  io  modo  nessun   non  avveniva, 
Che   nulla  manchi   al   nostro   imperadorc, 
Acciò  clic   ij^nim  disa<i;io   non  sosl(Mi<;a, 
Ch'  egli  è  pui-  vcccliio  e  ii)io  padre  e  sij^uqrc; 
Così   tliceva  :  e   la   die  sia  secreto  : 
Vedi  s'  Ur}apclq  rjqstro  pr;^  t^ispre|,o» 

ex  IX 
E'  pi'  innrescea  di  Carlo  quanto  puole  ; 
E  di   Rinaldo  dubitava  forte, 
E  per  ])iclà  ne  balenava   le   J!;ole, 
Che  non  gli  dessi  a  la  fine  la  morte, 
Perchè  era   vecchio,  e  lui  pur  suo  nipote  ; 
E  sa   che   guasta   sarebbe   la   corte. 
Così  forno  alcuin   giorno  dimorati  ; 
E  i  Magauzesi  morti,  e  chi  scacciati. 

cxx 
Rinaldo  pure  Orlando  ritoccava, 
Cile  si  dovessi  con  ogni  supplizio 
Uccider   Gan,  che  così  meritava; 
E  che  dovessi   a   lui   dar  quest'uffìzio; 
Astolfo   d'  altra  parte  il  de-mandava 
Di   grazia   in  luogo   di   gran   benefìzio; 
Che   di  sue  ingiurie  far  volea   vendetta; 
Orlando  rispoiidea,   che   Carlo  aspetta. 

cxxi 
E  che  farebbe  sì  crudel   giustizia 
Di  lor,   eh'  ognun  ne  sarebbe  contento. 
Gan    nel  suo  core  avea  molta   tristizia, 
E  dubitava  di  molto   tormento. 
Come   colui  eh' è  pien   d'assai  malizia. 
Orlando,  eh'  era  savio  a  comj)imento, 
E   «li   Rinaldo   conoscea  1'  umore. 
Lasciava   pur  ralFreddarlo  nel   core. 

cxxu 
Dopo  alcun   giorno,  quando  tempo  fue. 
Gli  cominciò  così  parlando  a  dire  : 
Di   Carlo  ornai,  dimmi,  che  credi   tue  ? 
Per  disperato  dovette  morire  : 
Ucciso  si  sarà  con  le  man  sue  : 
Fuor  di  Parigi   non  si   vide  uscire  : 
E  quel  che  più  mi   dà  perturbazione, 
E,  che  stanotte  il  vidi  in  visione. 

CXXIII 

E' mi  pareva  a  vederlo  nel  volto, 
Cile  fossi   tutto   afflitto  e  doloroso. 
Di  quel  color  eh' è  1'  uom   quando  è  sepolto, 
La  barba   e  '1   petto   tutto  sanguinoso, 
E   tutto  il  capo  arruffalo  e   ravvolto  : 
E  con   un  atto  mollo  disdegnoso 
Mi  guardassi  nel   viso  a  mano  a  mano 
Un  Crucifisso  eh'  egli  aveva  in  mano. 

cxxiv 
Dond'  io  n'ho  lutto  questo  giorno  pianto  ; 
Che  come   desto  fa'  disparì   via  ; 
Ed  io  temendo  mi   levai;   e 'nlanto 
Feci  prego  a   la  Vergine  Maria, 
Al  Padre,  al  Figlio,  a   lo   Spirito   Santo, 
Che  'nlerpetrar  dovessi  quel  che   sia  : 
E  parmi   aver  ne  la  mente  compreso. 
Che  Carlo  è  morto,  e  Cristo  abbiamo  offeso. 


ex  XV 

Non  si   dovea  però   vederlo  morto, 
Però  che  pur  tenuta   Im  la  corona 
Già   tanto   tenipo  ;  e  juir  si   vede  scorto 
Quanto   Dio  amassi   la  sua  stirpe   buona, 
Che   dal  ciel   Io   steiidard(»   gli   fu   porto, 
Che  non  fu  dato  al   mondo  mai   a  persona: 
Temo  eh'  offeso  non  abbiam  Gesiìe 
Pc'  suQÌ  grar)  rqerli  e  per  le  sue  vir(.ue. 

CJ^XVI 

E  credo  che  sarebbe  utile  ancora 
Che  si  mettesse  per  Parigi   un   bando, 
Che  chi  sapessi  ove   Carlo   dimora, 
O  vivo  o  morto  lo  venga   insegnando  ; 
E  come  giusto  imperador  s'  onora. 
Che  si   venissi   il  sepolcro  ordinando; 
Pero  che  il  ciel,  se  lia   concepulo   sdcgnu 
De  la  sua  morte,  mostrerà  gran  segno? 

(xxvii 
Quando  Rinaldo  le  parole  intende. 
Subitamente  nel  volto  cambiossi  ; 
E  di   tal  caso  sé  mollo  riprende. 
Dicendo  :   Io  non  pensai  che   così  fossi  : 
E  nel  suo  cor   tanta  pietà  s'accende. 
Che  gli  occhi   già  son  lacrimosi   e  rossi  ; 
E  disse:   Orlando,  quel   che  detto  m'hai, 
Mi  pesa  troppo,  e  dolgomene  assai. 

CXXVIII 

Ma  non  pensai  però  che  tanto  male 
Di   questo   caso  seguitar  dovessi  : 
Ma  dopo  il   fallo  il   penler  poi   non  vale  ; 
A  me  par  verisimil   s'  uccidessi  ; 
Perchè  pur  sendu  di  stirpe  reale, 
Ara  voluto   uccidersi  lui  stessi, 
Piuttosto  eh'  altri   vi  ponessi  mano  ; 
Come  di  Annibal  sai  che  letto  abbiano.     • 


Mandisi   il   bando,  al   mio  parere,  e.  toolu, 
Che  lo  riveli  sanza  alcun  sospetto 
Chi  r  ha   tenuto  o   tenessi  nascosto  ; 
Però  che  di   dolor  mi   s'  apre  il  petto, 
E  d'  onorarlo  per  Dio  son   disposto 
Sì  come  imperador  magno  e  perielio  : 
E  sempre  piangerò  questo  peccato  ; 
E  vo'  al  sejiolcro  andar,  com'  è  trovato. 

cxxx 
E  dico  eh'  a   voler  ben  onorallo, 
E'  si  raguni   tutto  il  concesloro  ; 
E  che  si  facci  subilo  scoi  tallo, 
Non   di   marmo  o  di  bronzo,   anzi  sia  d'  oro, 
Con   la   corona   sopra    un    gran   «avallo. 
Come  ferno  i   Roman'd'  alcun  di  loro  ; 
E   lettere  scolpite   eterne  e  salde 
De  la  sua  gloria  e  fama  e  pregio  e    laide. 

cxxxi 
E  come  il  ciel  già  mandassi  il   vessillo, 
Ch'  è  stato  in   terra  assai  più  avventurato, 
Che  quel  eh'  a  Roma  riportò  Cammillo, 
Allor  che '1   Campidoglio  era   occupato. 
Orlando  come   savio  alquanto  udillo. 
Poi  prestamente  il  bando  ebbe  ordinato: 
E   com'  e'  fn  per   tulio  andato  il  bando, 
Abla   la   bella   ne   venne  ad   Orlando, 


I 


INI  O  R  G  A  N  T  K      M  A  f.  C,  1  O  R  E 


l'I   (li>>p,   rumi'  darli»   in   r.is.i   Avra, 
V.  coiiir  per  ilolor  min   parca   vivo  : 
Tnlla    la   «orto    praii    f«'>la    farca, 
l't'i'ciir   «•rciloari    ili    vita    (ii-oi   ])riv(): 
llinaldo   indilo   lieto   si    vciira, 
Acrnsanild  sr   misero  e  callivo: 
1'^   fu   menalo   a    eorle   a    };rjiitl   onore, 
l'L   povlo   in   sedia    Ciarlo   iinper.ulore. 


CNXXIII 

Astoir«i  rliiese  a   (!arlo  prrdoiianza, 

K    (]arlo   ])eriionan/a   rliiese   a   lui, 

E«l   arriisava   il   ronle  di    Mauaiiza, 

Dierndo  :    Consiglialo   da   (]nel  fni. 

Quivi   alcun   {liorno   si  fere  T  usanza  : 

Opniin   si  scolpa   de' peccali  sni  : 

("-Olile  nel   dir  sejitienle   dirò  in   versi. 

Guardivi   il   ciel   da   tulli   i  casi   avversi. 

1 


CAINTO    XII 


ARGOMENTO 


"^^^^r* 


G. 


iJ ano  lascia  iti  corte  :  a  tradimento 
Prende  in  un  bosco  lìicciordelto,  e  a  Cario 
Lo  dà  in  potere  ;   e   Carlo  assai    conlento 
S'  è  ^iìi  de/iherato  d'  impiccarlo. 
Orlando  parie  a  così  strano  d'ente; 
Ricciardetto  ha   chi   i-iene  a   liberarlo. 
Farisei  per  suo   re  Jìinaldo  adotta; 
E  Orlando  dal  Persiano  è  messo  in  grotta. 


■^^m^^- 


O 


fonie  di  pietà,  fonte  di   «razia, 
Madre  de'peccator',  nostra  avvocata, 
Di  cui  la  mente  mia  mai  non  si  sazia 
Di   dir  quanto  tu  sia  nel  ciel  beata  : 
Tu  redemisli  nostra  contumazìa, 
Dal  dì  die  n   terra  fusti   annunziata  ; 
Non  mi  lasciare,  o  Vergine  di   gloria, 
Tanto  ch'i' possa  ordinar  questa  storia. 

II 
Troppo  sarebbe  lungo  il  dire  in  rima 
Di   tanta  gente  appunto  le  parole, 
E   d'ogni  cosa  far  non  si   de' stima. 
Rinaldo  il  tradilor  Gan  morto  vuole, 
Carlo  di   grazia  V  avea  cliiesto  prima, 
De  la  qual  cosa  il  popol  se  ne   duole  ; 
Pur  lo  lasciar  con  questa  condizione, 
Che  mai  più  in  corte  non  istia  il  fellone, 

III 
Rinaldo  malcontento  si  ritorna 
A  Montalban  con  Ricciardetto  insieme  ; 
Bla  "1   Iraditor  di   Gan   che  non  soggiorna, 
E  sempre  inganni  de   la  mente  preme  ; 


Coiiiinf  io  presto  a  ritrar  fuor  le  corna  : 
Perchè  Rinaldo  non  v'  era,  non   teme; 
E   Carlo  l'ha  salvato  da   la  morte, 
Ed  or  cacciar  noi  sapeva  di  corte. 

IV 

E  cominciò  di  nuovo  a  far  pensiero, 
Che   Carlo  gli  credessi  al  modo  antico. 
Per  distruggere  alfìn   tutto  il  suo  impero  ; 
E   Carlo  ritornato  è  già  suo  amico, 
E  ciò  eh'  è  bianco  gli  pareva  nero. 
Diceva  Gano  :   Intendi  com' io  dico: 
Se  viver  non  vuoi  sempre  con  vergogna, 
Rinaldo  al   tutto  spegner  ti  bisogna. 

v 
Carlo   diceva  :  A  la  fine  io  ]a  lodo  j 
Perchè   tu  vedi  ben  quel  che  m'  ha  fallo  ; 
Ma  non  ci  veggo  ancor  la   via  nè'l  modo, 
E  molte  cose  con  meco  combnllo. 
Diceva  il  traditor  pien  d  ogni  frodo: 
Io  credo  satisfarti  a  questo  tratto  : 
Come  scacciato  da  te  me  n'andróe 
A  Montalbano,  e  segreto  staróe. 

VI 

E  manderotti  lettere  poi  scritte. 
Che  parrà  che  sien  falle  ne   le  Mecche: 
Dirò  che  le  mie   genti  sieno  afflitte, 
E  che  punite  omai  sien   tante  pecche; 
E  molte  altre  parole  a  te   diritte; 
Ch"  io  vo'  tornar  a   dir  salamalecche, 
Peccavi,  Domne,  miserere  mei 
De  le  mie  colpe  e  de' processi  rei. 

VII 

Tu  mostrerai  le  lettere  palese  : 
Rinaldo  crederà  ch'io  sia  lontano, 
E   eh'  io  non   torni  più  in   questo  paese  : 
Un   di  ch'egli  esca  fuor  di  Montalbano, 
Subito  insieme  saremo  a  le  prese; 
E  so   eh'  io  r  uccidrò  con  la  mia  mano; 
E   come  morto  fia,  sai  che  "I   tuo  regno 
Sicuro  è  poi,  e  tu,  imperador  degno. 


m  O  \\  (;  ANTE     ]M  A  G  G I  0 1\  E 


A  Carlo  piacque  al  fin  questo  consiglio, 
E  fere  vista  Gan   da  sé  scacciare. 
Gan  dette  presto  a  suo' arnesi  di  piglio: 
Prima  fingeva  sé  raccomandare. 
Carlo  mostrava  con  turbato  ciglio, 
Che  in  corte  più  non  lo  vuol  raccellare, 
K  che  cercando  sua  ventura  vada, 
E  ritrovassi  subito  la  strada. 

IX 

Partissi   il  traditor  celatamente, 
E  presso  a  Monlalban  fece  un  agguato, 
E  scrisse  a  Carlo  come  la  sua   gente 
E  lui  in  paganìa  era  arrivato; 
E  mostrava  pregare  umilemente, 
Che  perdonar  gli  debba  ogni  peccato  ; 
E  Carlo  aveva  le  lettere  mandate 
A  Montalbano,  e  molto  palesate. 

X 

Rinaldo  s'  era  im   giorno  dipartito 
Per  passar  tempo  con  un  suo  falcone  ; 
E  Ruinalto  con  lui  era  gito 
Verso  Agrismonte  a  lor  consolazione  : 
E  Ricciardetto  un  dì  ne  giva  al  lito 
Del  fiume,  ove  nascoso  è  Ganellone 
In  una  valle,  ov'  è  certo  boschetto 
Presso   a  quel  fiume  a  pie  d'un  bel  poggelto. 

XI 

E  mentre  in  qua  e  in  là  s'andava  a  spasso 
Gan  si  pensò  che  Rinaldo  quel  sìa  : 
Uscì  del  bosco  con  molto  fracasso, 
Ed  assaltoUo  con  sua  compagnia  ; 
Tanto  che  preso  rimaneva  al  passo  : 
La  notte  inverso  Parigi  ne  già, 
E   dette  Ricciardetto  preso  a  Carlo; 
E  ordinorno  presto  d'  impiccarlo. 

XII 

Orlando,  poi  che  questo  fatto  ba  inteso, 
Molto  pregato   avea  lo'mperadore 
Che  non  guardassi  d'  aver  costui  preso, 
E  non  gli  facci  oltraggio  o  disonore: 
Carlo  rispose  di  grand'ira  acceso: 

10  vo'  impiccarlo   come  traditore. 
Perchè  d'Astolfo  impedì  la  giustizia. 
Con  esso  insieme  per  la  sua  nequizia. 

XIII 

Diceva  Orlando  :   E'non  è  ancora  spento 

11  fuoco,  Carlo,  eh'  arder  potre'  ancora  : 
Se  tu  r  uccidi,  io  non  sarò  contento  : 
Rinaldo  ne  verrà  sanza  dimora  : 

Vedi  che  Gan  già  fatto  ha  tradimento  ; 
E  sanza  lui  non  puoi  vivere  un'  ora. 
Carlo  dicea  :  Traditor  non  fu  mai, 
E   ciò  eh'  ha  fatto  è  percliè  m'  ama  assai. 

XIV 

E  tu  le  l'hai  recato  in  su  le  corna, 
Tu  e  Rinaldo,  perch'  egli  è  fedele, 
E  dì  né  notte  già  mai  non  soggiorna 
Di  spegner  chi  contro  a  me  fu  crudele. 
Partissi  Orlando  ;   e  stando  un  poco   torna. 
E  disse  :  Io  giuro  a  le  sante  Vangele, 
Che  se  tu  uccidi,  Carlo,  il  mio  cugino, 
Io  ti  farò  de  la  vita  tapino. 


E   trasse  fuor  la   spada  Durlindana, 
E  con  la  punta  una  croce  fc'  in  terra, 
E  'n  su  la  croce  poneva   la  mana, 
E   dipartissi,  ed  uscì   de   la   terra  : 
Ma  la  regina  savia  Gallerana 
Pregava  insieme  col   sir  d'  Inghilterra, 
E 'I  duca  Namo,  Ulivieri,  e'I  Danese, 
Ch' almen  la  morte  gì' indugiassi   un  mese. 

XVI 

Carlo  le  forche  in  sul  fiume   di   Sena 
Fece  ordinare,  e  ciò  che  fa  mestiero. 
Gan  traditor  grande  allegrezza  mena, 
Perch' e' pensò  riuscissi  il  pensiero: 
Tutta  la  corte   di  sdegno  era  piena. 
Rinaldo   e  Ruinatto  il   suo   scudiero 
Intanto  a  Montalbano  era  tornato, 
E  Ricciardetto  suo  non  ha  trovato. 

XVII 

E  scrisse  a  Astolfo  come  il  caso  stava 
Che  1  avvisassi  e  stesse  proveduto. 
Però  che  molta  gente  ragunava 
Per  dare  a  Ricciardetto  presto  aiuto  : 
Astolfo  d'  ogni   rosa  lo  'nformava, 
E  come  Carlo  gli  avea  conceduto 
Un  mese  tempo  a  mandarlo  a  la  morte  ; 
Ma  duolsi  sol  eh'  Orlando  non  è  in  corte. 

XVIII 

Or  questo  è  quel  eh'  a  Rinaldo  dolca, 
Che  si  fussi  partito  il  conte  Orlando  : 
Che  sanza  lui   di  camparlo  temea  ; 
Pur  la  sua  gente  veniva  assettando  : 
E  Gallerana,  che  glie  ne'  increscea, 
Ogni   dì  Carlo  veniva  pregando, 
Che  Ricciardetto  libero  lasciassi, 
Acciò  che   Orlando  in  corte  ritornassi. 

XIX 

E  non  tentassi  tanto  la  fortuna;' 
E  non  credessi  tanto  al  conte   Gano  : 
E  se  mai   grazia  far  gli   debba   alcuna. 
Che  Ricciardetto  gli  dessi  in  sua  mano  : 
Ma  non  poteva  ancor  per  cosa  ignuna 
Rimuover  da  l' impresa  Carlo  Mano. 
Rinaldo  pur  quel  che  seguissi,  aspetta, 
E  tuttavia  la  sua  brigata  assetta. 

XX 

Era  già  presso  il   giorno  deputato, 
E   Smeriglione  e  Vivian  di  Maganza, 
Come  Carlo  avea  detto,  hanno  ordinato  •. 
E  Ganellone  avea  tanta  arroganza, 
Ch'  ognun  che  priega  è  da  lui    minacciato. 
Lo  'mperador  gli  avea  dato  baldanza  ; 
Tanto  che  Namo  per  nulla  non  v'era, 
E  per  isdegno  n'era  ito  in  Baviera; 

XXI 

E  Berlin ghieri  ed  Ottone  ed  Avino, 
S'  eran  partiti,  Avolio,   e   Salamoue, 
E  '1  figliuol  del  Danese  Baldovino, 
Veggendo  a  Gan   tanta  presunzione. 
Erminion,  che  fu  già  Saracino, 
Era  con  Carlo  pieii   d'  afflizione, 
E  r  amico  d'  Astolfo  Lionfante 
Famoso  e  degno  e  gentile  ammirante. 


iMORGANTK     MACWWOKE 


XXII 

Kvvi   Morjiaiile  con   la   damierlla 
Meridiana,   f   rtiii   suo   conrcstoro. 
()(;iiuii   (li   Rirciardetlo   assai  favella, 
Dio   farle»   a   (orlo   s»li   dava  iiiarloro. 
Gai)   da   Poiitier  sua   liaronia    appella, 
Quando   fu   tempo,  v   runiandava   loro 
Che    liiociardello   siilkJlo   leiin^siiio, 
H  'il  sul  fiunie  di   Sena  lo  'nipiccassioo. 

XXIII 

Rinaldo  era  venuto,  come  scrisse 
Astolfo;   e-^pn  sue   penti  stava  attento 
Aspellar  che  "l   fralel   di   fuor  venisse  : 
Vide  in    un   tratto   gli   sleiidartli  al  vento, 
Prima   che   fuor  Ricriardello   apparisse, 
K   Smeriglion,  che  si  facea  contento, 
K  molto  a   quel  meslier  ]>areva  destro; 
E  1  buon  Vivian  ch'era  l'altro  maestro. 

XXIV 

Non  aspellò,  che,  come  Astolfo,  venga 
Fino   a   le  forche  ;  ma  tosto   si  lìiosse, 
Accio  eh'  alcuno   scherno   non   sostenga, 
Che  ne  la  fronte   sputato   fili   fosse: 
Verso  la  porla  par  che  '1   caniniin   tenga  : 
Tra   Maganzesi   in   un   tratto  percosse: 
E   Ricciardetto  suo  fu  sciolto  presto, 
Che,  com'Astolfo,  al  collo  avea  il  capresto. 

XXV 

Or  qua  or  là  si  scaglia  con  Baiardo, 
E  fece  cose  quel   dì  con  Frusberla, 
Che  chi  '1  dicessi  fia   dello  bugiardo. 
Ma  come  fu  la  novella  scoperta, 
Ognun  fuggiva  ;  in   questo   tempo  Alardo 
Ismeriglìon   co«   la   zucca   scoperta 
Trovava  ;   e  con  un  colpo,  che   die  a  quello, 
Gli  partì  il  capo,  e  fessegli  il  cervello. 

XXVI 

E  poi  si  volse  con  molla   tempesta 
Verso  Vivian  da  Pontier  eh"  era  appresso, 
E  con  la  spada   gli   die  in   su  la  testa  ; 
L'  elmo   e  la  cuffia  iusino   al  mento  ha  fesso: 
Rinaldo   a  Gan    terminò  far  la  festa, 
E  finalmente  s'  appicca  con   esso  : 
E  'n  su  'n  braccio  un  colpo  V  ha  ferito, 
Che  cadde  in  terra  pel  duci  tramortito. 

xxvii 
E  fu  po-lnlo  come  morto  via  ; 
E  Ricciardetto  sopra   un   deslrier  monta, 
Che  Smeriglione  abbandonalo  avìa  ; 
E  con  la  spada   tra  costor  s'  affronta  : 
I  colpi  e  le  gran  cose  che  fac  a. 
Per  non  tediar  chi  legge,  non  si  conta. 
Carlo  era   corso   già  insind  a  la  porla  ", 
Vide  Rinaldo  e  molta  gente  morta; 

XXVIII 

E   disse  fra  suo   core  :   1'  ho  mal  fatto  : 
Ecco  di  nuovo  il  popol   sollevato  : 
E  fuor  de  la  città  si  fuggì  ratto. 
Rinaldo  drento  in  Parigi   era  entrato, 
E   grida:    Popolazzo  vile  e  matto, 
Com' hai   tu   tanto   oltraggio  comportato? 
A  sacco,  a  fuoco,  a  la  morte,  a  furore  ; 
E  misse   tutto  Parici   a  romore. 


XXIX 

K  cominciò  in   un  certo  bor^o  il  fuoco 
Appiccare,  e  rubar   botteghe   e   case, 
Tanto   eh' a' Parigin' non   parca   giuoco; 
Non   si   facea  qui   le  misure   rase. 
Co>i  il   furor  cresceva   a   poro  a  poco; 
Tanto   che  pochi   drento   vi   rimase, 
Sentendo   al  fuoco   gritlar  e  a   la  morte  ; 
E  per  paura  uscien  fuor  de  le  porte. 

XXX 

Non  rimase  un  Maganzese  solo, 
Che  non   fuggissi   per  la  via  più  piana  ; 
E  molto  pianto  si   mentiva  e   duolo; 
Ma  la  reina  presto   Gallerana 
Sì  misse  in  mezzo   di    tutto   lo  stuolo; 
E   come  savia,   benigna  ed  umana, 
Pregò   Rinaldo  che  fossi   contento, 
Che  "1  fuoco  almen   dovessi  essere  spento. 

XXXI 

Rinaldo  aveva  sentito  ogni  cosa. 
Ciò  die  per  Ricciardetto  fatto  aveva 
L'alta   reina   degna  e   gloriosa  i 
Subito   un  bando  per  tutto  metteva. 
Che,  poi  che  piace  a  la  donna  famosa, 
Ognun  si  posi,  e  1  fuoco  si  spegneva  : 
Prese  la  terra  quel  giorno  a  suo  agio  ; 
E  Gallerana  lo  menò  al  palagio. 

xxxii 
E  fu   quel   dì  Rinaldo  incoronato; 
C,lie  contraddir  non   gli  potè  persona  ; 
E  ne  la   sedia   di   Carlo  è  posato, 
E  messogli  poi  in   testa  la  corona, 
E  d'  una  vesta  regale  addobbalo  : 
E   di  sua  forza  ognun  quivi  ragiona  ; 
Percir  egli  aveva  quel  dì  fatte  cose, 
Ch' a  tutto  il  popol  fur  niaravigliose. 

XXXIII 

Gano  in  Maganza  si  fece  ritorno; 
Benché  portato  vi  fu  come  morto 
Da  le  sue   genti  che  1'  accompagnorno. 
A  Gallerana  non  fu  fatto  torlo  ; 
Ognun   come  a  reina  gli  è  dintorno  : 
Così   Rinaldo  comandava   scorto, 
Che  fatto  fossi  a  la  reina   onore, 
Come  se  Carlo  fosse  imperadore. 

XXX IV 

Vero  è  th"  un  altro,  che  ne  scrive,  dice 
Che  subito  ne  venne  3Talagigi, 
E  menava  C(m  seco  Beatrice, 
Che   di   Rinaldo  madre   era  a  Parigi, 
Perdi'  esser  volea  lei  la  'mperadrice  : 
Ma  *l  preoze  si  ricorda  de' servigi; 
E  vuol   che   Gallerana  sia  in  effetto, 
Perchè  molto  aiutato  ha  Ricciardetto. 

XXXV 

Tornò  a  Parigi  Namo  e  Salamone, 
E  Berlinghier  famoso  e  Baldovino, 
Ch'  ei  a  Bgliuol   del  sir  de  lo   Scaglione  ; 
Tornò   Gualtieri   a   corte,   tornò  Avino, 
Tornò  con  gli  altri  insieme  il  franco  Ottone, 
E   tutto  quanto  il  popol  parigino: 
E   i  Maganzesi   ognun   nettò  la  soglia  ; 
Che  luiìi  ve  ne  rimase  seme  o  foglia. 


\ 


INI  O  I\  (t  \  N  T  K     M  A  G  G  l  O  W  E 


XXXVI 

Fecionsi  fuoclii  assai  per  la  ci  Hate  ; 
Fecionsi   pioslrc   e  halli   e   feste   e    giiioclii  ; 
Fiiroii   tutte   le  dame  ritrovate, 
E  gli  aiiiador",  che  non   ve  n'  era  pochi  : 
Tanti  slraiiiholti,  romanzi  e  ballale, 
C<lie  lutti  i   tanltriii' son  fatti  rochi  ; 
Seatiensi  lamhurelli  e  zulTulelli, 
Liuti  e  arpe  e  cetre  e  or<:;anelt). 

XXXVII 

Era  Rinaldo  molto  reputato, 
E  più  che  fusci  mai   contento  e  lieto, 
Se  non  eh'  Orlando  suo  non  v'  ha  trovato  ; 
Dond' ej^li  avea  pran  duol  nel  suo  sej^relo: 
Orlando  con  Terigi   è  cavalcato 
Più  e  più   idiomi    già  contraddivieto  ; 
E  'nverso  Pagania   n'  andava  forte, 
Con  intenzion  mai  più  tornare  in  corte. 

XXXVIII 

E  tuttavolta  piangea  Ricciardetto, 
Dicendo  :  Io  so  che   Carlo  V  ara  morto  ; 
Ond' io  n'ho   tanto  dolor  nel  mio  petto, 
Ch'  io  non  ispero  più    trovar  conforto: 
Il  traditor  di   Gan  per  mio  dispetto 
Eia  slato  il  primo  a  cosi  fatto   torto: 
E  '1  simiglianle   Terigi   direa. 
Che  Ricciardetto   troppo   gli   dolca. 

XXX IX 

Aveva  già  cavalcato  più  d'  un  mese, 
E  finalmente  in  Persia   si   trovava  ; 
E  come  fu   condotto  in  quel  paese. 
Sentì  che   gran  battaglie  s'  ordinava  : 
E  poi   eh'  un  giorno  una  montagna  scese, 
Una  città  famosa  ivi  mirava. 
Là  dov'  era  assediato   TAmostanle 
Dal  gran  Soldano,  e  da  un  fer  gigante. 

XL 

Aveva  una  figliuola  molto  bella. 
Che   luce  più  che  stella  mattutina, 
L'Amostante;   ciiiamata  Chiariella, 
Tanto  leggiadra    accorta  e  peregrina. 
Che  per  amor  di    lei  montato  è  in  sella 
Il   Soldan   con  sua   gente  saracina, 
Per  acquistar,  se  può,  sì  bella  cosa  : 
E  '1  gran   gigante  non   trovava  posa, 

XLI 

Ch'era  detti»  per  nome  Marcovaldo, 
A'^enuto   de   le   parli   di  Murrofco, 
Di   gran  prodezza  e  di   giudicio  saldo; 
Ma  per  amor  di  lei  pareva  sciocco, 
Come  chi  sente  1'  amoroso  caldo, 
(ìhe  solca  dare   a   tutti   scaccorocco  : 
Ma  tanto  il  foco  lavorava  drento, 
Che  per  costei  j>erduto  ha  il  seulimenlo. 

XLII 

Cavalcava  un' al  fan  a  smisurata 
Di  pel  morello,  e  stella  avea  in  fronte  ; 
Sol   un  difetto  avea  eh'  era   sboccata  ;  Sj, 
E  pel  furor   gli  par  piano  ogni  monte  : 
Arebbe  corso   tutta  una   giornata  ; 
Tant' eran  le  sue   membra  h»rti    e  pronte. 
Giunse  Terigi  e  '1  figiiuol   di  Miloue 
Dov'  era  del  gigante  il  padiglione, 


Ch'  era   tulio  ili   Cuoio  di   serpente, 
Ct)ii   certi  Macometli   messi  a  oro. 
Con  gran  carbonchi,  se  Turpin   non  mente, 
Zaflir',  balasci  ;  e   valeva  un   tesoro, 
Orlando  al  padiglion  poneva  mente 
Dove  il   gigante  faceva  dimoro  ; 
E  slava   tanto  fiso   a  mirar  questo. 
Che  Marcovaldo  s'  adirava  presto. 

XMV 

Perdi'  e'  giocava  a  scacchi  a  suo  sollazzo, 
Sì  com'egli   è  de' gran  signor' costume  ^ 
Volsesi,  e   disse  con   un   suo  ragazzo  ; 
Chi   è  quel  poltronitr  che   tiene  il   lume? 
Caccialel  via  :    e'  dehbe  essere   un  pazzo  : 
Donde   è  venuto  questo  strano  agrume  ? 
Fu  preso  a  Vegliantiu   tosto  la  briglia, 
Cli'  Orlando  al  padiglion   lenea  le  ciglia. 

XLV 

Terigi  quando  vide  il  Saracino, 
Ch'  avea  preso  la   briglia  al  conte  Orlando, 
Come  fedele  e  servo  al  ]»aladino, 
Subito   trasse  a  la   testa  col    brando  ; 
E  quel   Pagan   gitlava   a  capo  chino, 
Che  le  cervella   fuor  venuon  balzando. 
Ah,  disse   Orlando,  come  bene   hai  fallo 
A  gastigar,  Terigi,  questo  mallo  ! 

XLVI 

Marcovaldo  colui  vide  cadere: 
Maravigliossi,  che   non  parve  appena. 
Che  Terigi  il  toccassi  :   Ah  pollroniere. 
Gridava  forte,  matto  da  catena  I 
E  poi   si   volse   ad  un   altro  scudiere: 
Piglia  quel,   disse,    e   drento  qua   lo  mena  : 
Ch'  io  non  intendo  soflTerir  tal   torlo, 
Ch'  egli  abbi  in  mia  presenzia  colui  morto. 

XLVU 

Allora   Orlando  prese  DurKndana,- 
Che  tenìpo  non  gli   par  di   stare   a  bada  ; 
Ed   acco6lossi   a  la   turba  pagana  : 
Terigi   s'  arrostava  con   la   spada  : 
Quanti   ne  giugne,  in   terra  morti  spiana  ; 
Tal  che  non  ve  più  ignun  che  innanzi   vada: 
Orlando  a  chi   non   era   al  fuggir  destro, 
Facea  col  brando  il  segno  del  maestro. 

XLVIIl 

Maravigliossi    tanto  il  fer   gigante 
Di   quel   che   vide   in   un  momento  fare 
Al  conte   Orlando   a' suoi   occhi  davante. 
Che  cominciò  così   seco  a  parlare  : 
E' basterebbe  al   gran  signor  d' Angrante, 
Che  in   tutto  il  mondo  si  fa  ricordare, 
Quel   ch'ha  fatto  costui  qui  col  suo  brando: 
De  la  qual  cosa  mollo  rise  Orlando. 

XMX 

Fate  venir,  gridò,   lo-lo  mìe  armi, 
Ch'  i'  Ilo  di  questo  fallo  maraviglia  : 
Io   vo'  con  questo  cavalier  provarmi, 
Che  tutta  quanta  mia   gente  scompiglia  ; 
Veggiam   se   ardito  sarà  d'  affronlaruii  ^ 
E  fa  sua  alfana  pigliò  per  la  briglia: 
Prese   une  lancia,   e  'nverso  Orlando   corse  ; 
Ma  'I  buon  Terigi  del  fatto  s'  accorse. 


MOKGANTK      MAGGIORE 


A  un  P.-t;;.Tn  di  man   tolse  una  lanria, 
t  disse:    l'iella,  piglia   tosto,  «onte: 
Le   {jeiilile/zf   son   rimase  in   Francia; 
Krro   il   pi'iante   che   ti    viene  a   fronte; 
Ne  per   veri;<»pna   arrossila   l»a   la   guanrìa 
Di   venirli   a   trovar;   rlie  jiare   un  monte; 
Tu   con  la  spada,  e   lui   eon   1'  aste  in  resta: 
Vedi   die   pente,  anzi   Tanaglia  è  (juesla  ! 

ir 
Rispose  Orlando:  Sia  quel  eh' csfer  vuole, 
r.lie   in   ogni  modo  non   la   slimo  un  fico. 
Vero  ci»' egli  è  si   grande,  die  mi  duole, 
Ch'appena   gli  porrò   l'aste  al   liellico: 
Ma  il   brando  taglia  pur  com' e' si   suole; 
(^on   esso   il   Irallerò   come   nemic»). 
Terigi   stava   a   diletto   a   vederlo; 
E   Vegliantin  ne  va  com' uno  smerlo. 

MI 

E  poi  in  up   tratto  la  lancia   abbassava, 
E  va   inverso   il   Pagan   di   buona   voglia, 
E  'n   su   lo  scudo   basso  lo   trovava  : 
Questo  passò  come  fussi  una  foglia, 
E   la  corrazza   e  lo  sbergo  passava  ; 
Tanto  che  Marcovaldo  ebbe   gran  doglia  ; 
E  ruppe  la  sua   lancia  a  mezzo  il  petto 
Al  conte,  bestemmiando  Macometto. 

MII 

L'  alfana  che  pel  colpo   ebbe  paura, 
Perchè  gli  parve   di  nu)lta  possanza, 
Era    di   borra,   com' io   dissi,   dura:    St 
Suliilo   fere   col  morso   l'usanza, 
E   c(miinciò   a    sgomberar  la  pianura  ; 
Ma    l  conte   Orlando   seguiva  la   danza: 
Egli   e  Terigi   i   cavalli   spronorno, 
E  drielo  a  Marcovaldo  s'  avviorno. 

LIV 

Poi   che   tutto  ebbe  attraversalo  il  piano. 
Giunse  V  alfana   appiè  de   la   montagna  : 
Quivi   al(ìn  pur  la  ritenne  il   Pagano, 
Però  che  tutta   di  sudor  si   bagna. 
Orlando   grida  :   Saracin  villano, 
Ben   l'ho  seguilo  per  ogni  campagna: 
Questo  è  quel   di   che  ti  convien   morire; 
Vogliti   in  drieto,   tu  non  puoi  fuggire. 

LV 

Sentendo  il  Saracin  così  chiamarsi, 
Volsesi  in  drielo,  e  trasse  il  brando   fuore, 
E   disse:  Al  mondo  ignun   non  può  vantarsi, 
Cli'io  lo  fuggissi  per  viltà  di   core: 
Ma  sappi   che  i  rimedii  son  si  scarsi 
Bi   questa   ajfana  a  frenare  il  furore, 
Quand'  ella  piglia   con   la   bocca  il   morso. 
Che  iasin   dove   tu  vedi   son  trascorso. 

LVI 

Ma   tu  se' qua  condotto  dov' io  voglio, 
E   1    tuo   compagno   eh'  uccise  il  mio  servo: 
S'io  son  quel  Marcovaldo  ch'esser  soglio. 
Non   lascerò  a  tagliarti  osso  né  nervo. 
A  piò  di  sette  abbassato  ho  l'orgoglio: 
E   sempre  col  nemico  questo  osservo, 
Ch'io   non  mi  curo  por  la  lancia  in  fallo; 
Ma   con   la  spada  mi   serbo  ammazzallo. 


Rispose  Orlando:   Tu  il  dl'per  vergogna  : 
Cile    tu  romjiresli   un   gambo   di  (inocchio 
A    gran   fatica  ;   e  scusa  or   li   bisogna  : 
Ad   io  rh'  allato  a   te  paio   un  ranocchio, 
So   che   col    ferro    ti   gratlai    la   rogna, 
E   corse   il   sangue  piò  gin  die  'I  ginotcliio: 
Cosi    f  avessi   veduto  la  dama, 
(-he  (ìhiariella  jter  nome  si   chiama. 

I.VIII 

Disse   il   Pagano:  Or  donde  liai  tn   saputo 
(hi    tenga   del  mio  cor  le  chiavi  e '1  freno';' 
Sappi   che  molte   volle  m'ha   veduto 
(iitlar  piò  cavalier' morti   al   terreno, 
E   mai   jierò   di  me  non   gli   è   incresciulo; 
Ma  pur  per  compiacergli   nondimeno, 
S'  io   gli   credessi    dar  sollazzo  e  festa, 
Di   le,  poltron,  gli  manderei  la  lesta. 

i.ix 
Rispose   Orlando  :  E'  Pia  piò  bel  presente 
La   tua,   gigante,  ch'è  maggiore  assai: 
(31  tre   veggiam  come  sarai  valente, 
E   quel   eh'  a   Chiariella  manderai  : 
E   Durlindana   alzò  subitamente. 
Dicendo:    Or  Macomello  chiamerai;. 
E   dieglì   un   colpo  in  su  la  destra  spalla. 
Che  '1  fer  gigante  in  qua  e  'n   là  traballa  : 

LX 

E  fece   lo  spallaccio  sfavillare; 
Ma  pure  al  taglio  de  la  spada  resse  : 
E  'I   Saracin  si   volle  vendicare, 
E  par  eh'  un   gran  fendente  al  conte  desse. 
Orlando   con   lo   scudo  vuol  parare  ; 
Ma  la  pesante  spada   e  dura  il  fesse, 
E  due  parte  ne  fé',  se  '1  dir  non  erra, 
E  r  una  de  le  due  balzava  in  terra. 


Orlando  per  grand' ira  l'altra  getta, 
E  battella  al   gigante  nel  mostaccio; 
Poi   Durlindana   in  pugno  si  rassetta, 
E   trasse   un   coljio  al  Saracino  al   braccio. 
Che   benché  1'  arme   assai  fussi  perfetta, 
Parve  che  fossi   o  di  cera  o  di   ghiaccio  : 
Il   braccio   gli    tagliò  jìresso   a   la  mano; 
Tal  ch'un  gran  mugghio  metteva  il  Pagano. 

LXII 

E  la   spada   e  la  man  vide  cadere  ; 
E  cadde  pel  dolor   giò  de  l' alfana; 
E   disse:  lo  mi   t'arrendo,  ch'è  dovere, 
Ch'  io   veggo  ogni  speranza  in  Macon   vann: 
Per    grazia,   non  per  merlo,   cavaliere. 
Dimmi   se  se'  de  la   legge  cristiana, 
Pili   che   tu  m'  hai  cosi   condotto   a  morie, 
Ch'  io  non  trovai  Pagan  mai   tanto  forte. 

LXIII 

Disse  Orlando:  Da  poi  che  tu  mei  chiedi 
Per  grazia,  io  userò  mia  cortesìa  : 
Io  sono   Orlando,   e  questo  che  tu  vedi, 
E   il   mio  scudier,  ch'è  meco  in  compagnia; 
Tu  se'  morto  e   dannato,  sin  non   credi 
Presto  a  colui,   che  nacque  di  Maria: 
Battezzati  a  Gesù,  credi   al   Vangelo, 
Acciò  che  r  alma   tua  ne  vadi  in  cielo. 


INI  O  I\  G  A  N  T  K      MAGGIORE 


Macoim'lto   l' aspella  ne  lo 'nfcrno 
Con   gli  altri  malli  che  vati   tlriclo   a  lui  : 
Dove   III  arderai  nel  fuoco  elerno, 
Giù  ne   uli   aliissi   dolorosi   e  bui. 
Disse  il   l'aiian  :  Laudalo   in  seinpllerno 
Sia   Gesìx   Cristo,  e   tutti   i   Santi  sui  : 
Io  voglio  in  ogni  modo   ballezzarini, 
E  per  tua  mano,  Orlando,  Cristian  farmi. 

r,xv 
E  ringrazio  il  tuo  Dio,  poi  ch'i'son  morto 
Per  man  del  pi  ù  famoso  uom  che  sia  al  mondo; 
S' io  mi  dolessi,  io  arci  certo  il   torto  : 
Battezzami  per  Dio,  baron   giocondo: 
Ch'io  sento   già  nel   cuor  tanto  conforto, 
Cii'  esser  mi  par  d'  oiini  peccato   mondo. 
Orlando- al  fiume  subito  correa; 
Trassesi  1'  elmo,  e  d'  acqua  poi  V  empiea  ; 

LXVI 

E  battezzò  costui  divotamenle  : 
E  come  morto  fu,  sentiva   nn  canto, 
E  Angeli   apparir   visibilmente. 
Che  r  anima  portar  nel  regno   santo: 
E  d'  aver  nìorto  costui  fu  dolente, 
E  con   Terigi  faceva   gran  pianto  : 
E  feciono  nna  fossa  a  drenlo  e  scura, 
E  dettono   a  quel  corpo  sepoltura. 

LXVU 

Ma  ima  grazia,  prima  che  morisse, 
Al  conte  chiese  quel  gigante   ancora  ; 
Cile  se  per  caso   già  mai  avvenisse, 
Che  parlasse  a  colei  che  lo'nnamora; 
Che   gli   dicessi   come   il  fatto   gisse, 
E   come  sempre  insino   a  1'  ultim'  ora 
Di   Chiarella   e   del   suo  amor  costante 
Si  ricordò,   come  fedele  amante. 

Lxvin 
E  che  per  merlo  di  sì   degno  affetto 
Dovessi   qualche   volta  venir  quella, 
Dove  il  suo  corpo   giacerla  soletto, 
E   chiamassi  e   dicessi  :   Chiariella 
Ti  piange,  Marcovaldo   poveretto, 
Qual  ti  parve  nel  mondo  troppo  bella  ; 
Cli' avea  speranza,  se   costei   il   chiamassi. 
Che  r  anima  nel  corpo  ritornassi. 

LXIX 

O   come  fece  a  pie  del   gelso  moro 
Piramo,  quando  Tlsbe  lo   chiamóe, 
Ch'  era   già  presso  a  V  ultimo  martoro. 
Cos\  far  egli    Orlando  il  confortóe. 
Dicendo  :  Io  lo  farò,  se  pria  non  moro. 
Che   a  la  città   son  certo    ch'io  n' andróe  : 
E  cosi  fece  a  luogo  e  tempo  Orlando, 
Per  venir  sempre  la  sua  fé  servando. 

LXX 

Terigi  aveva  veduto  andar  via 
L'  anima  in  ciel  con  molti   Angeli  santi, 
Sempre  cantando   dolce  melodia  : 
Tutto  smarrito  par  ne'  suoi  sembianti. 
Quando  e' sentì  dir:  Salve,  Ave  Maria, 
Con  armonia   celeste   e  dolci   canti. 
Disse  ad   Orlando  :   Io  ho  invidia  a   costui, 
Che   come  lui  da   le  morto  non   lui. 


Da  ora  innanzi   tra  Pagani   andiamo, 
Ch'  io   non   istinto  piit  di   stare  in  vita, 
Purché  per  la   tua  fé,   Cristo,  mojamo  : 
Poi   cite  queir  alma  vidi    a   la  ])arlita. 
Diceva   Orlando,  al   campo  ritorniamo: 
Questa   novella  non   vi  Ha   sentita: 
Non   ci   dee  riconoscer  quella   gente  ; 
Né  di  costui  non  sapranno  niente. 

I,XXII 

Così  pel  mezzo  del  campo  passaro, 
Che  conosciuti   non  fur  da  persona  ; 
E  'n  verso   la  città  poi  sen'  andaro, 
Dov'  era  l'Amostanle  e  sua   corona  ; 
E  del  palazzo  real   domandaro  ; 
Poi  inverso  quello  ognun  di  loro  sprona  ; 
Tanto  che  sono   al  palazzo   arrivati, 
E  innanzi  a  l'Amoslante  appresentali. 

LXXIII 

Ad  un  balcon  rAmostanle  si  posa  : 
Chiariella  veggendo  il  conte  Orlando, 
Cir  era  più  fresca  che  incarnata  rosa. 
Molto  lo  squadra,  e  venia  rimirando  : 
E  disse  al  padre  :  Stu  guardi  ogni  cosa, 
Quando  costor  si  vennono  accostando. 
Come  stava  costui  sopra  1'  arcione, 
Tulli  i  suoi  segni  son  d'  un  gran  barone. 

LXXIV 

Così  fossi   egli   Orlando  quel  cristiano. 
Ch'ha  tanta  fama,  come    e' par  qui   desso: 
Che  non  saria  pien   di  stendardi   il  piano  : 
Non  ci  starebbe  il    campo  così   appresso, 
Che  non  ci  arebbe  assediati  il  Soldano. 
Orlando  udiva  e  ridea  fra   sé  slesso  : 
L'Amoslante  parlò  cortesemente  ; 
Ben  sia  venuto,  cavalier  possente  : 

LXXV 

Macon  sia  sempre  la  vostra  difesa  : 
Se  voi  cercate  da  me  soldo  avere. 
Che  vedete  il  mio  caso  quanto  pesa. 
Io  vel  darò,  e  più  che  volentiere: 
Costor  venuti  son  qua  per  mia  offesa; 
Evvi  il  Soldan  con  tutte  sue  bandiere 
Venuto  qua  del   corno  egiziano  : 
E  cuopre  con  sue  genti  il  monte  e  "1  piano. 

LXX  VI 

E   raccozzalo  ha  qua   tutto  il  Levante; 
E   vuol  per  forza  pur  questa  mia  figlia  : 
E   per  ventura  ci   venne  un   gigante. 
Che  dà  terrore  a  tutta  mia  famiglia: 
Sopr'  una  alfana  ognun  si  caccia   avanle 
Molto  sboccata,  e  corre  a  sciolta  briglia, 
E  già  de  le  mie  genti  ha  strutte  molle  ; 
Or  va  giistando  tutte  le  ricolle. 

Lxxvn 
Orlando  disse  :  Il  gigante  eh'  hai  detto. 
Non  temer  più  che  in  su  1'  alfana  vada  : 
Non  ti  farà  più  danno,   ti  prometto. 
Non  tornerà  in  suo  regno  o   in  sua  contrada; 
Appiè  de  la  montagna  al   dirimpetto 
Oggi  l'uccisi  con  questa  mia  spada: 
Io  te  lo  dico,  re,  per  tuo  conforto. 
Che  quel   gigante   giace  in   terra  morto. 


MOR  a  A  N  T  K     M  A  (i  G  l  O IV  E 


I.XXVIII 

Non  potei  rAniostaiite  creder  questo, 
ÌL  (loniaiidava  pur  per  più  rerlezza  : 
Di' eh' iiccidcsli   il   gigante  nioleslo  ? 
Poi  r  aì)l)rarriò  per  la  iindla   allegrezza, 
Dicendo  :    Poco  mi   curo   del  resto. 
La   daiìiigella  con   gran   tenerezza 
Corse  abbracciare   Oliando   inctintancnle, 
CI»' a   dire    il    ver,  non   "li  spiacciuc  niente. 

i.xxix 
E  men  sarìe  dispiaccinlo  a  Rinaldo; 
Dove  se'  tu  sipnor  di  Montalbano  ? 
Diceva  Orlando  ;    Tu  .«aresti  saldo 
S' ancor  più  oltre  stendessi   la  mano. 
Dunque  tu  di'  eh'  bai  morto  Marcovaldo, 
Dice  la  dama,  cavalier  sovrano  ? 
Sia  benedetto   chi   li   peneróe  : 
y.  mille  volle  Macon  ringrazióe. 

I.XXX 

Avea   già   Cbiariella   posto  amore 
Al  conte  Orlando,   tanto  gli  è  piaciuto, 
E  già  Cupido  la  saetta   al  core. 
Or  ritorniamo   al  Soldan  eh  ha  saputo 
Che  Marcovaldo  è  de  la  vita  fore, 
E   gran   dolor  n'  avea,  come  è  dovuto  ; 
E  '1  viso   lutto  di  lacrime  bagna, 
Quand'  e'  guardava  in  verso  la  montagna. 

LXXXI 

Ma  chi  r  uccise  saper  non  potea  ; 
Detto  gli  fu  eh'  egli  era  un  viandante, 
E  questo  verisimil  non  parca, 
Sappiendo  quanto  era  fiero  il  gigante  ; 
E  per  ventura  seco  al  campo  avea 
Un  savio   antico  e  sottil  negromante  ; 
E   disse  :  Fa   eh*  io  sappi  ]>er  tua  arte 
Chi  è  colui   eh'  uccise  il  nostro  Marie. 

LXXXII 

Il  negromante  allor  per  ubbidire, 
Ch'  era  maestro   di   somma   dottrina, 
Subito  fece  per  arie  apparire 
Quel  che  bisogna  con  sua  disciplina  : 
Trovò  come   un  cristiano  il  fé'  morire, 
Che   si  facea  di   legge  saracina  ; 
E  come  egli  era  col   grande  Amostanle  : 
Cosi   trovò  chi  avea  morto  il  gigante. 

LXXXIII 

Quando  il  Soldano   il  negromante  udi'o. 
Dolor  sì   grande  non  sentì  già  mai, 
E   disse  :  O  Macometto,  o  pazzo  Dio, 
A  tuo   diletto  consumato  m'hai: 
E  scrisse  a  l' Amostanle  il  caso  rio, 
Dicendo  :  Re  di  Persia,  tu  non  sai. 
Che  quel  ch'ha  morto  il  gigante  pagano, 
E  quel  eh'  è  leco  ;  e  sappi  eh'  è   cristiano. 


LXXXIV 

E  qualche  tradimento  farti  aspetta: 
Da   ora  innanzi,  se  (jnesto   ti  piace, 
Io  vo'  di  Marcovaldo  far  vendetta, 
y,  far  ron   teco  a   tuo  modo   la  pace. 
La   lettera  suggella  e  manda  in  fretta. 
A   l'Amostanle  il   caso  assai   dispiace, 
Quando  sentì  come  cristiano  è  (|uelIo  ; 
Cbiamandol  traditor,  ribaldo  e  fello. 

I.XXXV 

E  la  risposta  faceva  al  Soldano, 
Che   vuol  far  pace  e  Iriegua  a  ogni  modo, 
Pur  che  punito  sia  questo  cristiano: 
Così  la  pace  si  metteva  in  sodo. 
Poi  prese  Orlando  un  giorno   per  la  mano, 
E  disse  :  Cavalier,  sappi  eh'  io  godo, 
Ch'i' ho  col  gran  Soldan  la  pace  fatta, 
E  parlirassi  questa  genie  matta. 

T.XXXVI 

Orlando  non  pensava  tradimento; 
Disse  che  mollo  se  ne  rallegrava, 
E  di   tal  pace  troppo  era  contento. 
Dicendo:  Del   Ino  caso  mi  pesava; 
Or  tutto  alleggerito  il  cor  mi  sento. 
Poi  rAmostante  pel  Soldan  mandava; 
E  lui  vi   venne,  e  montò  presto  in  sella. 
Per  veder  anco  la  fanciulla  bella, 

LXXXVII 

Segretamente  il   trattalo  ordinare: 
Di  pigliar  il  Cristian  preson  parlilo, 
Quando  fia  al  letto   e  non  ara  riparo  : 
E  così  fu   tra  loro  stabilito. 
Venne  la  notte:   e  al  letto  se  n' andaro  : 
Orlando  a  la  sua  camera  n'è  gito 
E  disarmossi,  e  crede  esser  sicuro; 
Ma  non  sapeva  del  suo  mal  futuro. 

LXXXVIII 

Quando  più  fisso  la  notte  dormìa, 
Una  brigata  s'  armar  di   Pagani, 
E  un   di  questi  la  camera  aprìa  ; 
Corsongli   addosso  come  lupi  o  cani  : 
Orlando  a  tempo  non  si  risenlla. 
Che  finalmente   gli   legar  le  mani  : 
E  fu  menalo  subito  in  prigione 
Sanza  ascoltarlo  o  dirgli  la  cagione. 

LXXXIX 

E  dopo  lui  Terigi  fu  menalo, 
E  messi  poi  nel  fondo  d'una  torre. 
Orlando  era  di  questo  smemorato  ; 
Per  quel  che  fussi  non  si  sapea  apporre 
Che  l'Amostanle  1'  avesse  ingannato  ; 
Ma  disse  :  E'  mi  vorrà  la  vita  torre. 
Come  ne  l'altro  cantar  vi  fia  detto. 
L' Angel  di  Dio  vi  tenga  pel  ciuffetto.  C'i 


.  •— 


M  O  K  G A  N  TK     MAGGIO  IV  K 


CAINTO    XUl 


ARGOMENTO 


-ì^^®=?^' 


R. 


biposto  a  Carlo  il  diadema  in  tcsta^ 
Partono  Ricciurdc.lto  ed   Ulii'icri 
Col  ficr  Rinaldo^  il  qual  suona  a  tempesta 
Sopra  Marsilio   re  là   tra  gli  Ibcri  ; 
Ma   r  un  dclV  altro  buon  amico  rcsta^ 
E  a  Saragozza  spronano  i  destrieri. 
Rinaldo  è  messo  d'amor  sulle  rostCj 
E  a  prò  rf'  Orlando  corron  per  le  poste. 


V  erjiiiie  sacra  d'  ogni  bontà  piena, 
Madre   di  quel  per  cui  si   canta  Osanna, 
Ver2;ine  pura,  Vergine  serena, 
Dammi  la  tua  quotidiana  manna; 
Con  la  tua  mano  insino  al  fin  mi   mena 
Di  questa  istoria,   che  \  tempo   e'  ingaima, 
E  la   vita  e  la  morte  e  '1  mondo   cieco, 
SI  eh'  io  faccia  ascoltar  ciascun  con  meco. 

II 
La  damigella  con   dolci  parole 
Con  motti  ben  cogitati  e  soavi 
Diceva  al  padre  :   Così  far  si  vnole, 
E  punir  sempre  i  frodolentì   e  pravi: 
Però  di  questo  caso  non  mi  duole, 
E  vo'  che  lasci  a  me  tener  le  chiavi, 
E  governargli,  e  serrare  ed  aprire, 
Acciò  che  non  ci  possa  ignun   tradire. 

Ili 
Di  questo  l'Amostante  s'allegróe, 
Che  queir  nficio  pigliassi   la   dama  ; 
E  le  chiavi   a  costei   raccomandóe  : 
Or  questo  è  quel  che  la  donzella  brama. 
Subito  al   conte   Orlando  se   n'  andóe 
A  la  prigione,  ed  umilmente  il  cliiama, 
Dicendo  :   Cavalier,   di   te  mi  pesa  ; 
E  ciò  che  vuoi,  farò  per  tua  difesa. 

IV 

Orlando  quanto  può  costei  ringrazia, 
E   disse  :   Dimmi,  sai   tu  la  cagione. 
Perchè  il   tuo  padre  in  tal  modo  mi  strazia, 
E  messo  m'ha  di   subito  in  prigione? 
Di  questo  fa  per  Dio  mia   voglia  sazia, 
Trammi  di  dubbio  e   di  confusione  : 
E  sta  non  mi  puoi   trar  di  questa  torre, 
Non  mi  lasciare  almen  la  vita  torre. 


Rispose   Cliiarlella   al  paladino  : 
La  cagion  rhe '1  mio  padre   t'ha  qui  preso, 
E  che'I  Soldano  da   un  certo  indovino, 
Come  tu  sia  Cristian  par  ch'abbi    inteso, 
Benché  In  mostri   d'  esser  Saracino  ; 
E  perchè  del   gigante   fiensi  offeso, 
Ha  fatto  pace  col   Soldano,  e  saldo 
Di   vendicarsi  del  suo  Marcovaldo. 

VI 

Ogni  Cristian  che  uccide  un   africante, 
Secondo  nostra  legge,  morir  debbe  : 
Tu  uccidesti  adunque  quel   gigante 
La  vita  al   nostro  motlo  te  n'  andrebbe  : 
Ma  perdi'  io  t'  ho   già  eletto  per  mio  amante. 
Tolsi   le  chiavi,  che  di  te  m'  increbbe  ; 
E  di  morir  non   dubitare  ornai  ; 
Che  tu  se'  salvo,  e  libero  sarai. 

VII 

Io  lio  tanto  sentito  ricordare 
Quel  cavalier  eh'  Orlando   è   nominato. 
Che  sue  virtù  m' han  fatta  innamorare, 
E  per  suo  amor  non  sarai   abbandonato  : 
Del  nome  tuo,  di  me   ti  puoi  fidare, 
Dimmel,   baron,  ch'assai  mi  sarà  grato. 
Orlando  rispondea  :   Gentil  madama,  ' 

Io  son  colui  che   Orlando  il  mondo  chiaraajrfl^ 

vili 
Guarda  dove  condotto  m'  ha  fortuna, 
Ch'  appena  crederai  eh'  io  sia  quel   desso  : 
Io  mi  parti',  né  di  mia  gente  alcuna 
Volli,  se  non  qui  il  mio  scudiere  appresso: 
Ho  cavalcato  al  sole  ed  a  la  luna  ; 
Ora  il  tuo  padre   a  forza  m'  ha  qui  messo: 
Ma  se  pensalo  avessi   tradimento. 
Per  lo  mio  Dio  non  mi  nietlea  qui  drento. 

IX 

A  te  mi  raccomando,  poi  ch'io  sono 
Dove   tu  vedi,   e  fa  che   \  mio  destriere 
Sia   governato  ;  e  poi  sempre  ti  dono 
L'anima  e  'l  citore,  e  ciò  ch'è  in  mio  potere. 
E   vo' che  intenda  ancor  quel  ch'io  ragiono; 
Se  tu  potessi  questo  mio  scudiere 
In   qualche  modo   di  qui  liberarlo. 
Manderei  per  soccorso  in  Francia  a  Carlo. 

X 

Non  potè  sofferir  che  piii  parlassi 
La   damigella  udendo  eh'  era   Orlando  : 
Parve  che  '1  cor  nel  petto  si  schiantassi 
Per  gran   dolcezza  ;  e  <lisse  lacrimando  : 
Io  credo  che  Macon  qui   ti  mandassi 
Per  mio  amor  5f)l  ;  ma  non  so  come  o  quando: 
Che  sempre   desialo  ho   di   vederti  ; 
Ma  in  altro  modo  qui  vorrei   tenerti. 


-M  OR  (V  A  N  TK 


I       S'  io   dovessi   il  mid  padre  far  morire 
Con   le  mie  prttprie  man,   tn  non   morrai': 
Amor   (oni.ìudj,  ed  io   voglio   ubJtidire, 
die   tu   Ma   salvo;    e  salvo   le   n'andrai: 
Qii.indo  fia   tempo   ti   saprò  aprire  ; 
ti    tuo  cavai,   contento   ne  sarai: 
E   lo  M:u<lifr  Ha   franco   ad   opni   modo; 
E  clic  tn  il  mandi  in  Francia  affermo  e  lodo. 

XII 

Foi   eh'  elibe   Chiariella   rosi   detto, 
La^i-iava  Orlando,    e   vanne  al   padre   tosto, 
E   «lii  e*  :   Qnel   sergente  poveretto 
Si   morrà  certo,  elie  nii   par  disposto 
Di   non  voUr  mangiar:   ctmie  folk-Ito 
Cjiualo  Ila  via  ciò  eli"  i'  ì:1ì  lio  innanzi  posto; 
E   colpa   in    ver  non  ci  ha  dj  pnnna   banda. 
Ch'ubbidir  dee  qnel  che  'I   signor  comanda. 

XIII 

Rispose  rA.™ostante  :  Mandai  ria  : 
Se  si   morisse,   e'  ci   sare'  vergogna  ; 
Fa   che   queir  altro  ben    guardato  sia  : 
Di   questo  non   aremo   altro   che  rogna. 
Disse   la   dama  :   Per  la   fede  mia, 
Ch'io   non   so   se  farnetica   o  se  sogna: 
Quanti"  io  domando,  e'  guata  come  un  mallo, 
E  non  risponde  ;  anco  sta  stupefatto. 

XIV 

E  poi   tornava   a  la   prigion  ridendo, 
E    disse   come   il   fatto   era   fornito. 
Diceva   Orlando  con   Tcrigi  :   Intendo, 
Che  presto  insino   a   Carlo  ne  sia  gito, 
E   che   tu  meni  Vegliantin  commendo, 
E   «lica    il  caso   coni"  io  son   tradito 
Da   TAmostante,  e   trovomi  in  prigione  ; 
E  quel  che  stalo  ne  sia  la  cagione. 

XV 

Cosi   a  Rinaldo  mio  dirai  ancora. 
Ad  Ulivieri  e   tutta  nostra  corte, 
Che  mi   soccorri n  prima   che  qua  mora. 
Che   tutti   so  poi  piangerien   tal  morie. 
Terigi   si   parli  sanza   dimora, 
Sella    il   cavallo,   etl   usci   de   le  porle  ; 
E   tanto   cavalcò  per  monte   e  piano. 
Che   giunse   ove  non  era   Carlo  Mano  : 

XVI 

Perché  pensava   a   Parigi   trovarlo. 
Ma  col   suo    Ganellone   era   a   Pontieri  : 
Sentì   come   Rinaldo^^  fatlo^Carlo  : 
A   lui   n'andava,   e  così  a   Ulivieri. 
Rinaldo,  come   giugneva   a   guardarlo, 
Subito  pien  fu  di   tristi  pensieri  ; 
Perch    e'  piangeva  sì  miseramente, 
Che  in  modo   alcun  non  potea  dir  niente. 

xvn 
Gridò  Rinaldo:    Ch' è  del  mio   cugino? 
Tu  debbi  certo  aver  mala   novella. 
Allor  Terigi  quanto  può  meschino, 
A   gran  fatica   in    tal  modo  favella  : 
L  Amostanle   di   Persia  Saracino 
L'ha   incarceralo,   e   guardai   Chiariella, 
Una  sua  figlia  nobile   e   gradita. 
Quale   ha   promesso   campargli   la  vita. 


Que$r  è  perch' egli  uccise  Marcovaldo  : 
Onde   il    Soldano  aveva  un  negromante; 
1-^  che   Cristian   quel  fosse  intese  saldo, 
Che   r  avea   morto  ;   e  fé'  con   l'Amostanle 
La  pace  e   i   patti   il   traditor  ribaldo. 
Che   fossi  preso  il   buon  signor  d"  Angranle. 
La  notte   luti' a  due  fummo  legati, 
E  in   un  fondo  di   torre  incarcerati. 

XIX 

Orlando   s'accomanda   a    Carlo  Magno, 
A   le,  Rinaldo,   o  ver  santa  corona, 
Al  suo  cognato,  a  l'amico,  al  compagno; 
Prima  che  così  perda  la  persona: 
Vedi   che   di   sudor  tutto  mi   bagno: 
Volalo  son,  non  come  fa  chi  ^rona, 
Tanto   ch'i' son,   come   tu  vedi,   giunto: 
Or  tu  se' savio,  e 'ntendi  il  caso  appunto. 

XX 

A  la  sua  vita   tanto   afflitto  e  gramo 
Non  fu  Rinaldo,  quanto   a  questa   volta, 
E   disse  sospirando  :   Che  di',  Namo  ? 
Ch' i' ho   già  per  dolor  la  mente  stolta. 
Quel   savio   vecchio  disse:  Noi   intendiamo; 
S"  i' Jio  questa   imbasciata  ben  raccolta. 
Ch'aiutar  ci   bisogna   Orlando  presto: 
Ora    dirò  com'  io  farei  di  questo. 

XXI 

Ogni   allro   aiuto,  che  lo  imperadore 
E   llivieri   al  fin   sarebbe  vano; 
Perchè  qui   è  la  forza  e  '1  grande  amore  : 
Direi   che  si  mandasse  a  Carlo  Mano, 
E   che  ritorni   a  l'usato  signore 
Per  la  salute   del  popol  cristiano  : 
E  ciò  che  tu  vorrai,   conlento  fia  ; 
E   voi  n'  andiate  presto  in  Paganìa. 

XXII 

A-lolfo   sia   gonfaloniere  eletto. 
Che  so   che   Carlo  fia  contento   a  quello. 
Per   quel  ch'ha  fatto  a  lui   e  a  Ricciardetto: 
Can   sia  sbandilo   a  l'usalo  e  ribello. 
Rinaldo,  appena  aveva  Namo  detto. 
Che   disse:   Così  posto  sia  il  suggello: 
Così   da' paladin"  fu  posto  in  sodo, 
E  scrisse  un  brieve  a  Carlo  iu  questo  modo. 

XXIII 

Perchè  se"  vecchio,  io  l'ho  pur  riverenzia, 
E  'ucrescemi   tu   sia   sì   rimbambito. 
Che  a  Gan  pur  creda  e  la  sua  fraudolenzia, 
Che  mille  volte  o  più   t'  ha   già  tradito, 
Sanza  trovar  1  error  suo  penilenzia, 
E   per  suo  amor  di   corte  m'hai   sbandito; 
Astolfo  e  Ricciardetto  a  mille  forti 
dolesti  uccider  pe' suoi  ma' conforti. 

XXIV 

Degno  saresti  d'ogni  contumace; 
Ma  perchè  mio  signor  fusti  già  tanto, 
Io   ti  perdono,  io  fo  con   teco  pace, 
E   I   tuo  pristino  imperio  giusto  e  santo 
Ti  rendo,  e  la  corona,  se  li  piace, 
I   tuoi   baroni   e  "1    tuo  regale  ammanto, 
La  sedia  tua,   l'antico  e  degno  scetro, 
Suiiza   più   ricercar  del   tempo  addietro. 


12 


M  OR  GANTE     MAGCxlORE 


XXV 

Sappi  eli'  Orlando  è  preso  in  Pa2;an'ia  : 
Vieni   a  Parigi   tuo  lilit'iaiiUMiIc, 
Ed  Ulivieri  ed  io  in   compagnia 
SoccorriT  lo  vogliani  subitamente  : 
Astolfo   tuo  gonfalonier  qui  fia  : 
Quel  Iraditor  non   vo'qua  per  niente: 
Gallerana  reina  è  riservala 
Come  fu  sempre,  e  da   tutti  onorala. 

XXVI 

La  lettera  suggella,  e  manda  il  messo  : 
Subito  a  Carlo  Man  si  rappresenta: 
Carlo  fu  lieto,  e  in  ordine  s'è  messo: 
Gan  nel  suo  petto  par  eh'  assai  duol  senta: 
Tornò  a  Parigi;  e'ncontro  venne  ad    esso 
Tutta  la  corte,  assai   di   ciò  contenta  ; 
E  lutti  r  abbracciavan   lacrimando, 
E  gran  lamento  si  facea   d'  Orlando. 

XXVII 

Quivi  piangeva  il  marchese  Ulivieri, 
Né  riveder  eredea  più  il  suo  cognato  : 
Piangeva  Astolfo   e '1  valoroso  Uggierì  ; 
E   Salamon  pareva  smemoralo: 
Piangeva  Baldovino  e  Berlinghleri  ; 
Ma  il  savio  Namo  ognuno  ha  confortalo  ; 
Rinaldo  con  solenne  e   degno  onore 
Ripose  in  sedia  il  magno  imperadore. 

xxviii 
Poi  mise  al  suo  cavallo  il  fornimento, 
Ed  Ulivier  con  lui  volle  partire  : 
Terigi  s'assettava  in  un  momento, 
E  Ricciardetto  disse:  Io  vo' venire. 
Rinaldo,  poi  che  vuol,  ne  fu  contento  : 
Ognun  pur  si  voleva  profferire  ; 
Ma '1  prenze  non  volle   allri  per  compagno: 
Cosi  si  dipartir  da  Carlo  Magno. 

XXIX 

E  feeion  sopravveste  divisale  : 
E  cavalcando  per  la  Spagna,  un   giorno 
Il  re  Marsilio  e  certe  sue  brigate 
In  un  bel  piano  a  cavallo  seontrorno, 
E  con  parole  saracine  ornate. 
Come  fur  presso  a  lui,  lo   salutorno. 
Disse  Marsilio  al  prenze  :    Il   tuo  cavallo 
Troppo  mi  piace,  s'  a  me  vuoi  donallo. 

XXX 

Questo  mattin  mi  venne   in  visione, 
Ch'io  guadagnavo  si  nobil   destriere: 
Se  noe  lo  doni,  per  lo  Iddio  Macone 
Tu  mi  trarrai  fuor  d'uno  stran  pensiere, 
Cioè  dì  non  aver  meco  quistione: 
Però  fa  gentilezza,   cavaliere  : 
Che  pur,  s'altro  rimedio  a  ciò  non  veggio, 
Combatterono,  e  Ui  n'  andrai  col  peggio. 

XXX{ 

Disse  Rinaldo:  E' fu  già  temporale. 
Che  si  fussi  il  destrier  di  chi  'l  sognava  : 
Chi  possedeva  quella  cosa  tale 
Qnal  fosse,  per  quel  sogno  gliel  lasciava  : 
Onde  un  borghese,  non   lì  dico  quale, 
Vn  paio  buoi   dormendo  immaginava 
D'  un  suo  vicin,  che   gli  teneva  cari, 
E  volevagli  pur  sanza  danari: 


XXXII 

An/i    voleva  pagarlo  di   sogni: 
Colui   dicea  :   Del   jnio  gli  comperai, 
E  cosi  credo  eh'  a   le  far  bisogni, 
Se  non   ch'ai  fin  sanz'essi   le  n'andrai: 
Mentre  che  par  che  in  tal  modo  rampogni, 
Si  ragunò  dintorno   genie  assai, 
E  non  sappiendo  solver  la  quistione, 
N'andorno  di   concordia  a   Salamone. 

XXXIII 

E   Salamone  perei»'  era  sapicnle, 
Con  questi   due  se  n'andò  sopra  un  ponte, 
E  fevvi   i   buoi  passar  subitamente, 
E  poi   si  volse  con  allegra  fronte 
A  quel  che  gli  sognò,  disse  :   Pon  mente  ; 
Vedi   tulle  le  lor  fattezze  pronte 
Là  giù  ne  l'acque?  e  l'ombra  si   vedea 
Di  que'  buoi  ciie  colui   sognali   avea. 

XXXIV 

Disse  colui:  E' paion  proprio  i  buoi 
Ch'  io  vidi  :  e  Salamon  rispose  il  saggio  : 
Tu  che  sognasti,  logli,  che  son   tuoi  : 
Colui   che  li  pagò,  de'  aver  vantaggio  : 
Non  bisogna  sognargli,  che  son  suoi  : 
Così   sta  la  bilancia  di  pafaggio  : 
Così  dich'  io   a  le,  nota,  Pagano, 
Che  il  mio  cavallo  arai  sognalo  invano. 

XXXV 

Se  volessi  altro  dir  del  campo  piglia  : 
Questo  destrier  si  sia  di  chi  il  guadagna. 
Il  re  Marsilio  si  fé' maraviglia  : 
Disse  :   Questo   è  da  bosco   e   da  campagna: 
Non  ho  nessun  qui   tra  la  mia  famiglia 
Ch'avessi   tanto  ardir  né  in   tutta  Spagna, 
Quanto  ha  costui;  e  mostra  esser  uom  forte. 
Poi   gli  rispose:    Oltre,  io   li  sfido  a  morte. 

xxxvi 
Rinaldo  non  istelte  a  parlar  troppo, 
Le  redini  girò  del  palafreno  ; 
Poi  ritornava  per  dargli  d'intoppo: 
Facea  tremare  il   ciel,  non  che  1   terreno. 
Perchè  Baiardo  non  pareva  zoppo. 
Diceva  alcun   di  maraviglia  pieno: 
Sarebbe  questo  del  Cristian  concilio, 
Che  così  fiero  va   a   trovar  Marsilio  ? 

XXXVII 

Quando  Marsilio  vide  il   cavaliere. 
Fra   sé   diceva:  Aiutami  Macone, 
Che  poco  vai  qui  contro  al  suo  potere 
Allegar  Trimegisto,  o  vuoi  Platone  : 
La  lancisTabbassa,  e  pungeva  il  destriere  : 
A  mezzo  il  petto  di  Rinaldo  pone  : 
E  benché  ì  colpo  fusse  ostico  e  crudo, 
Ruppesi  in  pezzi  l'aste  ne  lo  scudo. 

XXXVIII 

Rinaldo  a  la  visiera  pose  a  quello, 
E  fece  fuor  balzar   tante  faville. 
Che   tante  mai   non   ne  fe'Mongibello  : 
Are' quel   colpo  giltali  giù  mille: 
L'  elmo  rimbomba,  e  'ntronava   il  cervello: 
E  sanza  fare   al   testo  altre  postille, 
Marsilio  rovinò  giù  de  l'arcione, 
E  fu  pur  sogno  il  suo,  non  visione.  v>*V 


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M  O  U  G  A  N  T  E     MAGGIO  W  V 


XXXIX 

E  disse  :  Diniiiii  per  I.i   tua  Icanza, 
Chi  tu  se',  ravalicr,  per  rorlcsia, 
Che  mai  pili  vidi   a   noni   tanta  possanza. 
Disse   Rinaltlo  :   Ter  la   lesta   mia, 
Io  U\  tliri),  perch'  io  rion   lio   «Inttanza  : 
Non   pnarderò  s'io   sono   in    Papanìa  : 
Sarà  quel   ch'esser  può:   franco   Pagano, 
S.^ppi  che  '1  signor  son  da  Montalbano. 

XI- 

Ed   alzò  la   visiera   de   P  elmetto. 
Per  dimostrar  che  non   avea  paura. 
Disse  il  Pagano  allor  :   Per  Macometto  : 
Ogni  suo  sforzo  in   te  m«)strò  natura. 
Dicea  Rinaldo:   E  questo  è  Ricciardetto: 
Andiani   cercando  la  nostra  ventura: 
Questo  è  Terigi   d'  Orlando  scudieri, 
E  questo  è  il  nostro  famoso  Ulivieri. 

XLI 

Marsilio  guarda  questi  compagnoni  : 
Disse  :  Voi  siete  così   travisati, 
Voi  mi  pareste  quattro  ragazzoni  : 
Non  vi  conobbi,   in  modo  siete  armati  : 
Ben  posson  sicuri  ir   questi  campioni  : 
E'  ci  sarà   de  gli   altri  arrelicati. 
Che  rimarranno  a   questa   rete,  slimo  : 
Dimmi   s'io   son,  Rinaldo,  statuii  primo? 

XMI 

Disse  Rinaldo  :  Il  prin.o  per  mia  fé. 
Da  poi  che  tu  domandi,   io   ti  rispondo: 
E  stato  è  buon  principio  un  tanto  re  ; 
Ma  qualcun   altro  ancor  sarà  il  secondo: 
Or  se   tu  vuoi   il  cavai   ch'io  non   ti   die, 
Perchè   tanto  il   tuo  nome  suona  al  mondo, 

10  te '1  darò,  magnanima  corona; 

E  poi  soggiunse,  e  1'  arme   e  la  persona. 

XLIII 

Marsilio  era  uom  generoso  e  discreto  : 
Molto   gentil  rispose   come  saggio: 
To  non  son  ragazzin  d'andarti   drieto  : 
S'io  lo   logliessi,  io  farei   troppo  oltraggi*); 
Però  che  '1  tuo  valor  non  m'  è  segreto  ; 
Ch'  io  n'  ho  veduto  a  questa  volta  il  saggio: 

11  sogno  è  ver,  ch'acquistalo  ho  il  destriere, 
Poi~che  me '1   dai;   ma  non  sognai   cadere. 

XLIV 

E   vo',  Rinaldo,  una   grazia  mi  faccia: 
Che  venga  meco   a  starli   a  Siragozza 
Co"  tuo"  compagni,  e  ciò  non  li   dispiaccia, 
Benché  a   te   nostra   terra  parrà  sozza; 
Né  creder  eh'  a  Parigi  si   confaccia. 
Dove  ogni  gentilezza  si  raccozza  ; 
Pur  qualche  giorno  ti  darò  diletto, 
Quanl'io  potrò,  per  lo  Dio   Dlaconietlo. 

XLV 

Rinaldo  disse  :  Tanta  cortesia 
Per  nessun  modo,  re,  confonder  voglio  ; 
Ma  s' io  t'  ho  fatto  al  campo  villania, 
Di  questo,  quanto  posso,  or  me  ne  doj^lio, 
E  dicone  mia  colpa  o  mia  pazzia, 
Che  così  far  per  certo  mai  non  soglio  ; 
Non   ti   conobbi  allor,  pel  mio  Gesue. 
Disse  il  Pagan  ;  Di  ciò  non  parlar  piiie. 


]Non   li  bisogna  di  ciò  scusa  prendere  : 
Usanza   è  di  mostrar   la  sua  prodezza, 
E   sempre  non  si  può  di   pari  ofTcndcrc  : 
Bench'  io  radessi  per  la   tua  fierezza, 
lo  ne   volevo   in   ogni  modo  scendere, 
RinaMo   rise   di    tal   gentilezza, 
E   disse  :   La  risposta   tua   significa 
Quanto  la   tua   corona  è  in  sé  magnifica. 

xi.vii 
Rimontò  a   cavai   Marsilio  allora; 
Cosi   Rinaldo,  perchè  n'era   sceso, 
Come  colui  eh'  i   suoi  maggiori  onora  : 
Marsilio  per  la   man   poi   l'ebbe  preso, 
E   Ulivier  volea  pigliare  ancora  : 
Ma   Ulivier  s'  è  scusato  e  difeso  : 
E  poi   che   i   convenevoli  fatti  hanno. 
Inverso   Siragozza  se  ne   vanno. 

XLVIIl 

E  disniontali   al  palazzo  reale, 
Marsilio  sempre    tenne   per  la  mana 
Rinaldo  per   le  scale  e  per  le  sale. 
La  sua  figliuola,  della  Luciana, 
Ch'ogni  altra   di  bellezza  assai  prevale, 
Feccsi   incontro  benigna  ed  umana, 
E  salutò  Marsilio  e   i   suoi  compa{;ni 
Con  alli   onesti   e  graziosi  e  magni. 

XLIX 

Né  prima   questa  Rinaldo  vedea, 
Che  si  sentì   da  uno  slral  nel  core    . ,  ^ 
Esser  ferito,   e  con  seco  dicea: 
Ben  m'  hai  condotto  dove  vuoi.  Amore, 
A   Siragozza  a  veder  questa  Iddea, 
Che  più   che  '1  sol  m'  abbaglia  di  spl<  i:<l(>rn: 
E  rispondeva  al   suo  gentil  saluto 
Quel   che  gli   parve   che  fossi   dovuto. 

r. 
Quivi   alcun   giorno   dimorar  conienti  : 
Non  domandar  se   Cupido  galoppa 
Di   qua   di   là   con   suoi   nuovi   argommli, 
E  la  fiincinlla  serviva   di   coppa  : 
Rinaldo  sempre  ebbe   gli  occhi  luce;ili  : 
Alcuna  volta  con   essi  rinloppa  ; 
Or  questo  è  quel  che  come  zolfo   o   esca 
Il  foco  par  che  rinnalzi  ed  accresca. 

LI 

Mentre  che  sono  in   lai  consolazione. 
Un  messaggiero   al   re   Marsilio   venne, 
E   geltasegli  in   terra  ginocchione, 
E   dice,  come   un   gran  caso   intervenne  : 
Che  morti  ha  cinquecento  o  più  persone 
l^n    gran   cavai   co' denti   e  con  le  penne, 
Ch'  era   sfrenato,  e  fu   già   di   Gisberlo  ; 
E  parca   un   demone  in   un  deserto. 

Lli 

Noi  savam  cinquecento  cavalieri, 
Diceva  il  messo,  e  giunli  a  la  mont.'igna 
Fummo  assaliti   da  questo  destrieri  : 
Non  si  potea  fuggir  per  la  campagna: 
Missesi  in  mezzo  fra' tuoi   cavalieri: 
Non   fu  mai   lupo  arrabbiato  né  cagna, 
Che  così  morda   e  divori   ed  attosclie  ; 
Né  anco  i   calci  suoi  paiou  di  nioscht. 


INI  O  l\  (;  A  N  T  E      M  A  (;  G  1  O  R  i: 


lo '1   vidi,   o   re   Marsilio,  ri/zar   dianzi, 
Ed  accostarsi   .1  un  Pagano  a  pcllo, 
E  poi  menar  de  le  j^ampe  dinanzi  , 
Clie  pensi   In,  c1k>   gli   dessi   un  luifTelto, 
Da  far  cadérgli   del   capo   due  sciiianzi  ? 
E'  gli   schiacciò  le  cervella  e   V  elnielto, 
E  balzò  il  capo  più  di   dieci   braccia  : 
Pensa  co' piò   di  drielo  s'egli  scliiaccia. 

1.IV 
Se  dà  in   quel  muro  una  coppia   di   calci, 
E' farà  rovinar   questo  palagio: 
Io  feci  presto  mazzo  de' miei  salci, 
Che  lo   star  quivi   mi  parve   disagio  ; 
Però  che  contro  lui  poche  arme   vaici. 
Tanto  superbo  par,  bravo   e  malvagio  : 
Sanza  pietà  mi  pareva  Briusse  : 
Io  mi  fuggi',  che  attorno  andavan  busse. 

LV 

Né  credo,  che  vi  sia  campalo  un  solo  : 
E  '1  tuo  nipote  vidi  morir  10, 
Afflitto  poveretto  con  gran  duolo. 
Quando  Marsilio  queste  cose   udi'o. 
Che  così  tristamente   tanto  stuolo 
Vi  fosse  morto  :  O  Macon  nostro  Iddio, 
Dlcea  piangendo,  come  lo  consenti 
Che   così  sien  distrutte  le   tue   genti  ? 

LVI 

Questi   eran  pur,  Macon,   de  tuo' Pagani, 
Che  così  morti  son  come  tu  vuoi  : 
Sarestu  mai  d'  accordo   co'Crislianj  ? 
Ma  se  tu   se',  ch'arai  tu  fatto,  poi 
Che  lutti  sarera   morti   come   cani  ? 
Arai  falli  morir  gli   amici    tuoi. 
Sarai  tenuto  al  fin  pur  lu  crudele. 
Poi   che  fia  spento  il  popol  tuo  fedele. 

LVII 

Rinaldo  vide  Luciana  bella 
Dolersi   con  parole  inzuccherale; 
Verso  Marsilio  in   lai  modo   favella  : 
Manda   con  meco  de  le   tue   brigale 
Un,   che  m'insegni  questa"  bestia  fella: 
Non   li    doler  de  le   cose  passale: 
Qiie'  che  son  morti,  Dio   gli  faccia   sani  : 
Vedrai   ch'io  1' uccidrò  con  le   mie  mani. 

I.VIII 

Tra  pazzi   e  pazzi,   e   bestie  e  bestie  fla. 
Che   c'è  ben   di   due   gambe   bestie   ancora; 
Forse   a  qualcuno  uscirà  la  pazzia. 
Il  re  Marsilio   consentì   allora, 
Quantunque  fare   gli  par  villania: 
Che   di   Rinaldo   suo   già  s'innamora; 
E  (lettegli   a  la  fine  un   suo  valletto: 
E  Ulivier  volle  ire  e  Ricciardello. 


Volevalo  Marsilio  accompagnare  : 
Rinaldo  disse:   Io   non   voglio   altro  meco; 
Se  non  che  ancor  Terigi  volle  andare. 
Che   sa  ch'egli   è  suo   debito   esser  seco. 
Vedevasi  Rinaldo   sfavillare. 
Come  volea  colui   eh' è  pinto  cieco. 
Dicea  Marsilio  :   Io  priego  il   nostro  Dio, 
Che   t'accompagni,  car' Rinaldo  mio. 


Rinaldo  se   ne  va  verso   il   decerlo  : 
E  '1   messaggier  irio-slrò   dov'  e'  credea 
Che  sia   il   cavai,   benché  noi   sa]>pi   certo  ; 
Rinaldo   allor  di   Baiardo  scendea  : 
In  questo   il   gran   dcslrier  si   fu  scoperto, 
Che   già  pel  bosco  sentiti    gli   avea  : 
Ma   f[uel  Pagan,   come   vide   il   cavallo, 
Sopra  un  gran  cerru   terminò  aspettallo, 

I,XI 

Ed  anco  s'  arrecò  su  bene  in  velia. 
Disse  Ulivier  :   Per  DTo,    tu  mi   par  pratico: 
A  questo   modo  ogni   animai  s'  asj)clla. 
Disse  il  Pagano  :   Egli   è  pazzo   e   lunatico; 
E  so  quel  che  sa  far  con  la  zampetta  ; 
Questo   è  colpo   di  savio   e   di   gramatico: 
Saprò  me' dire   conie  il  fallo  è  ilo 
Al  mio  signor;  però  son  qui  salilo. 

LXIl 

Ricciardetto,   veggendo  il  Saracino, 
Che  come   il   ghiro  s' era  innalberato, 
Diceva  :    Esser  vorrebbe   im  orsaccliino, 
Che  insin   costì  t'  avesse  ritrovalo. 
Disse  il   Pagan  :   Va  pure  a  tuo  cammino  : 
Il   giuoco   netto  piace  tu   ogni  lato  i 
Io   temo  il  danno  e  '1  pentirsi   da  sezzo  ; 
De  la  vergogna,  io   mi  vi  sono  avvezzo. 

LXIII 

Come  Baiardo   il    cavai    bravo  vede, 
Non  r  arebbon   temilo   cento  corde:        ^      ,. 
A   guisa   di   battaglia  lo   richiede  : 
Corsegli   addosso,   e   tempestava   e  morde, 
E  r  UBO  e  r  altro  si   levava   in  piede  : 
Parean  le   voglie  lor  del  pari   ingorde; 
Chi  annitrisce,  chi   soffia  e  chi   sbuffa; 
E  per  due  ore  o  più  durò  la  zuffa. 

I,XIV 

Rinaldo  un  poco  si  stelle  a   vedere; 
Ma  poi   veggeiiilo   che  'I    giuoco  pur  basta, 
E   che  co'  morsi   quel  bravo   destriere 
E  con  le  zampe  Baiardo  suo   guasta  ; 
Dispose  far   un   colpo   a  suo  piacere  : 
E  mentre  che  Baiardo  pur  contrasta. 
Delle   a   quell'altro  un  pugno  tra  gli  orecchi 
Con   guanto,    tal   che   non  ne   vuol  parecchi. 

LXV 

E   cadde    come   fussi    tramortito; 
Baiardo  si  scostò,   eh'  ebbe   paura  : 
Gran  pezzo  stelle  il   cavallo  slordilo  ; 
Poi   si  riebbe,   e   tutto   s'assicura: 
Rinaldo   verso- lui  presto  fu    gilo: 
Prese  la   bocca  a  la  mascella   dura  : 
Missegli   un  morso  eh'  aveva  recalo  : 
E  quel  cavallo  umile  è  diventato. 

I.XVI 

Maravigliossi   Terigi   e '1    Marchese: 
Rinaldo   soj)ra   Baiardo  montava. 
Né  per  la  briglia  il    cavai   bravo  prese. 
Che  come   un  pecoriu    drielo   gli   andava  : 
Il   Saracin   del   cerro   allora   scese, 
Ch'  a   gran  fatica   ancor  s'  assicurava. 
Tenendo  sempre   in   cagnesco  le  ciglia, 
E   di  Rinaldo   avea   gran  maraviglia. 


M  O  I\  G  A  N  T  i:     M  A  0  T,  I  O  I\  1- 


Per  Sirapo7za  fnpuiva  la  pente, 
Come   Hinalilo   fu   <ir<rnl«>   a   I.i   pcirta  ; 
AI.i   niiel   cival   se   n  niKlava   tiniilmriite  : 
l'ii    la   iiovrlla   a   Marsilio   rapjiorla: 
Wniif   a   viilere  ;  f   la   ciania  piarente 
Di    ipu'sto   palafren   pia   si   conforta  : 
1'    ilonianilò   con   parole   Iciiuiailre, 
(  lie   plici   «lonassi  Rinaldo  e  "1  suo  padre. 

I  Wlll 

Rinaldo,  che   pli   avea   donalo  il  core, 
Ben  poteva   il  cavai    donare  a  quella. 
Irovossi   nn   fornimento   al   corruiore  : 
Rinaldo  adtiosso   pli  y>o$e  la  sella  ; 
F."  lasciosa   trattar   dal   suo  sipnore, 
Come    si  mnpne   una   vii  pecorella  : 
Poi   vi   montava,  e  preso  in  man  la  briglia, 
Gli   fé'  far  cose   die  fu  maraviglia. 

LXIX 

T'n   piorno   ancora  insieme  dimorare, 
Ch'Amor  pur  lo   tenea   lepato  stretto, 
Poi   da   Marsilion   s'  accommiataro  ; 
Marsilio   consenlirpli  fu    costretto. 
Quando  senti    d'Orlando  il  caso  amaro; 
E   ciò   clt'  aveva   pli   offerse  in   efTello. 
La    damigella  sospirò   alquanto 
Dinanzi  al  padre;   ma  poi  fé' gran  pianto. 

LXX 

Ed  ogni   piorno  con   seco  piangea, 
Gli"  era   già   tutta   <li   Rinaldo   accesa; 
Aeu limila  bacon"  pli  proflerea 
Dovunque  egli  volessi  a  sua  difesa; 
K   ringraziala   Rinaldo   1' avea  ; 
E   nel   partir  mollo   il   suo  cor   palesa: 
Quando  fia  tempo,   disse,  per  lor  mando  ; 
E   sempre,   dama,  a    te  mi  raccomando. 

LXXI 

Passaron   tutla  la   Spagna  costoro, 
E   arrivomo   un   giorno   in   un   gran  bosco: 
Genti    trovorno  eh"  avean   gran  marloro  : 
Dicea  Rinaldo  :  Nessun   ci   conosco. 
A  sé  chiamava   un   vecchio  barbassoro, 
Ch" era   tutto   turbato  in   viso  e  fosco, 
E  disse  :   In  cortesia  di^  la  cagione, 
Che   voi  parete  pien  d"  afflizione. 


I.XXII 

ni«po?e  il  barba«.Mir  :  Tu  lo  caprai, 
l'rrclu-   si   fanno   (|ui   questi    lamenti: 
Ni»i    siam   «r  una  città,  die   tu  vedrai 
Tosto,   ihè  miglia   non   e'  è  hmpe  venti  : 
Arila   si   chiama,   come   intenderai  : 
Tutti   siamo  scacciati    e   malcontenti, 
Sanza    sjierar   chr   nidia    ci    conforti  ; 
Se  non  che  insieme  piangiam  mille  torli. 

LXXIII 

Nostro  signor  si   chiama  il  re  Vergante, 
Più    cru<lel   uom   che  forse   al   mondo   sia  : 
Non   crede  in  Cristo,  e  meno  in  l'revigante: 
Questo  ribaldo  per  sua   tirannia 
Le  nostre  figlie  lia   tolte   tulle  quante 
Per   {sforzarle,  e   noi   cacciati   via  : 
Ed    ogni    di   fa   dar  aspro  martire 
A   quelle  che  non   voglion  consentire. 

LXXIV 

Rinaldo   pli   dispiacque   tal   matera  : 
Partissi,  e   seguitò  la  sua   giornata  ; 
E  lascia  il  barbassor,  die  si  dispera 
Con   l'altra   gente  così  sconsolala; 
A   la   città   s'  appressa   in   su   la  sera  ; 
A'erso  la  porta   la  briglia   ha    girala, 
E  disse:   Andiamo  a  veder  questo  fallo: 
Forse  che  far  si  potrebbe  un  bel  tratto. 

LXXV 

Giunti   a  la   terra,  ad  un  oste  n'andorno, 
Che   tutto  pien   si  mostrava   d'affanno  ; 
De   la   cagion   del  fatto  domandorno  : 
Costui   coniò  del   lor  signor  lo  "nganno  : 
Tanlo   che   tutti  si   maravigliorno, 
Come   sofferto   sia   que*to   tiranno; 
Venne   la   cena,   e  furono  onorati, 
E   i   lor  cavalli  e  lor  ben  governali. 

LXXVI 

Parve    a  Rinaldo  l'oste  un  uom   da  bene; 
E  "ncrebbegli   sentendo   una  sua  figlia 
Il  re   Vergante  ha   tolto  a  forza  e  tifue: 
E   diceva  :   Oste,   sare  maraviglia, 
S"  io   dessi   al  re   Vergante   tante  pene, 
{'.]:'  al  popol    lutto   asciugassi   le   ciglia  ? 
E   cominciava  Toste   a  confortare, 
Com   io  dirò  ne  l'altro  mio  cantare.    -■"_. 


M  O  1\  G  A  N  T  E      MAGGIORE 


CAINTO     XIV 


ARGOMENTO 


•?^®#*> 


F. 


crganfc  frustator  delle  donzelle 
Resta  giù  d'  un  baìcon  prccìpilafo 
Da  Rinaldo^  che  fu  cose  pili  belle, 
Dopo  clic,  tutto  un  regno  ha  battezzato. 
Un  esercito  grande  è  sulle  scile 
Al  soccorso  d'  Orlando  destinato. 
Col  suo  Rinaldo  Luciana  sciala^ 
E  d'  un  bel  padiglion  te  lo  regala. 


-ì>2^l'©<H=5- 


X   adre  del  oielo,  e  re  de  l'universo, 
Sanza   il  qiial   non   si  muove  in  aria  fojslia; 
Non  ini  lasciar  perduto  ire  a   traverso, 
Mentre  eh'  ancora  è  pronta   la  mia  voglia  : 
Poi  che  tu  m'hai,  cantando  a  verso  a  verso, 
'^  Condotto  insino   al  mezzo   de   la   soglia  ; 
Con  la   Ina  man  mi    guida  a  sa^lvameuto 
Infino  al  porto  con   tranquillo  vento. 

U 
L'oste  rispose:  Chi  la  mia  vendetta 
Facessi  adorerei   sempre  per  santo. 
Disse  Rinaldo  :   Domattina   aspetta, 
E   tutti  a  riposar  ci   andiamo  intanto  : 
Come  fia   giorno,  i  destrier'  nostri  assetta  : 
Vedrai  s' io  dico   il  vero,  o  s' io  mi  vanto. 
Cosi  Rinaldo  se  n'  andava  a  letto, 
E  fece,  e  rluscigli  un  bel  concetto. 

Ili 
La  mattina  per  tempo  fu  levato: 
L' oste  i  cavalli   apparecchiali  aveva, 
E  da  costor  non  volle  esser  pagato: 
Ma  di   sua  povertà  lor  proifereva  : 
Guata  Rinaldo   e  Ulivieri   armato, 
E  molta   animirazion  seco  prendeva  : 
Che  gli  pareva   ognun  fiero  e   gagliardo, 
E  "Veglianlìn  vagheggiava  e  Baiardo. 

IV 

Rinaldo  se  n'  andò  verso  il  palazzo  : 
Al  re  montava  il  baron   valoroso  : 
Era  a   vederlo   tutto   il  popolazzo  ; 
Quivi  sentiva  un  pianto  doloroso 
De  le   donzelle.  Il  re  superbo  e  pazzo 
Vide   costoro,  e   tutto  disdegnoso  ; 
Chi  siete   voi,  domandav'  a  Ulivieri, 
Così  presuntuosi  cavalieri? 


Rinaldo  gli  rispose  :  La  risposta 
Farò  io  per  costui  che   tu  domandi  ; 
E  poi  che  presso  a   la  sella  s'  accosta, 
Disse  :  Per  certo  di  te  fama  spandi  : 
Non  so  come  il  ciel  facci  tanta  sosta, 
Ch'a  Belzebù  giù  in  bocca  non   ti  mandi  : 
De  la  tua  tirannia,  can  traditore, 
Dieci  leghe  lontan  mi  venne  odore. 

VI 

Era  la  sala  piena  di  Pagani  ; 
Non  gli  rispose  alcun,  ch'avieno  sdegno, 
E  divorato  1'  arlen  come  cani 
Quel  signor  tristo  d'ogni  morte  degno. 
Rinaldo  seguitò  :   Con  le  mie  mani 
Per  gastigarti  sol,  Vergante,  vegno  ; 
CiriiFo  sono,  e  per  divino  effetto 
Mi  manda  iu  questa  parte  Macometto. 

VII 

Adultero,  sfaccialo,  reo,  ribaldo, 
Crudo  tiranno,  iniquo  e  scellerato. 
Nato  di   tristo  e  di  soperchio  caldo. 
Non  può  più  il  elei  patir  tanto  peccato, 
Nel  qual   tu  pure  se'  ostinalo  e  saldo, 
Lussurioso,  porco,  svergognato, 
Poltron,  gaglioffo,  paltoniere  e   vile, 
Degno  di  star  col  ciacco  nel  porcile. 

vai 
Dunque  tu  porti  in  testa  la  corona;  . 
Va,  mettiti   una  mitera,  ghiottone. 
Nimico  d'  ogni  legge  giusta  e  buona, 
In   odio  a  Dio,   al  mondo,   a  le  persone  : 
Ben   verrà  la  saetta  quando  e'  tuona  : 
Perdi' e' non  paga  il  sabato  Macone, 
E  '1  fuoco  eterno  rigido  e  penace, 
Lupo  affamato,  perfido  e  rapace. 

IX 

Non  pensi   tu  che  in  ciel  sia  più  giustizia, 
Malfusso,  ladro,  slrupatore  e  mecco, 
Fornicator,  uom  pien   d'  ogni  malizia, 
Ruffian,  briccone  e  sacrilego  e  becco  ? 
Non  potrebbe  schisar  la   tua   tristizia 
D'  una  parola  sol  la  voce  d'Ecco: 
Tener  le  nobil'  donne  saracine 
Vergine  e  'ntalle  per  tue  concubine  ! 

X 

E  batterle  ogni  dì  sì  aspramente, 
Ch'io  non  so  a  chi  pietà  non  ne   venissi, 
S'  alcuna  pur  di  lor  non   li   consente  ! 
E  come  il  centro   non  s'  apre  e  gli   abissi  ? 
Vergante  uscito  parea  de  la  mente  : 
Ognun   ienea  a  Rinaldo  gli  occhi   fissi, 
E   dicien  molli  :  Costui  vien  dal  cielo, 
(^hè  ciò  che  dice,  ogni  cosa  è  il  vangelo. 


MORGANTE      MAGGIORE 


Non  sapra  die  si  dir  Vergante,    e  tanto 
Mulliplirò   1.1    furia   e    la    t«'mpr$la. 
Che   Rinaldo   lo  prese   da   1"  un  ranto» 
E   la   roronn    ^li   strappò   di   testa, 
E   tutto   gli   stracriò  il  reale  ammanto: 
Opnnno   stava   a   veder  questa   fe>ta  : 
Poi   lo   portò   tra   quella   pente  pazza, 
E   d'  un  balron  lo  pittò  in  su  la  piazza. 

XII 

Tutti  color  rlie  1'  avevon  veduto, 
A    pian  furore   spomberan   la  sala, 
Dicendo  :  Da  Macon  questo  è  venuto; 
Beato  a   chi  piitea   trovar  la   scala. 
Rinaldo,   come  savio  uom   ed  astuto, 
Che   le  parole   e   1'  opere  sue  insala, 
Subito   andò   dove   le   damigelle 
Avca  sentite  batter  meschinelle. 


E  vide  eli'  eran   dispogliate  ancora, 
E  tutto  il   dosso   veraliegtiialo  avie'no  ; 
Partissi,  e   del   palagio   usciva  fora, 
E   vide   il  popol   d   allegrezza  pieno, 
E  come   volentier  ciascun  V  onora  ; 
Che   tutti  riverenzia  gli  faciéno  : 
Ed  accostossi  ov' era   alcun  barone;;:) 
Poi  comÌDCiò  questa  degna  orazione. 

XIV 

Quel   vero  Dio,  che  fece  prima   Adamo, 
Poi   pel  peccato  suo   volle  morire, 
Perchè   a  lo  nferno  danuali   savamo, 
E  non  si  può  con  ragion  contraddire  ; 
(Perchè  alcun  Saracin  mi  fé' richiamo 
Del  vostro  re)  qui  m"  ha  fatto  venire. 
Per   liberar  non   sol  le  figlie  vostre  ; 
Ma  perchè  a  gire  a  lui  la  via  vi  mostre  ; 

XV 

La  qual  voi  avete  per  certo  smarrita 
Per  lunghi   tempi  :   e  Macon  falso  e  rio 
Conoscerete  dopo  la  parlila  : 
Ma  '1  mio  Gesù  benigno  e   giusto  Dio, 
Per  la  sua  carità  eh"  è  infinita, 
Perch"  egli   è  grazioso  e  santo  e  pio, 
Alluminar  vi  manda,  e  darvi  segno, 
Ch"  al  fin   v*  aspetta  nel   suo  eterno  regno. 

Json   ha  voluto  comportar  l'oltraggio, 
Che  vi   faceva  il   signor  vostro  a  torto  : 
Questo  esser  debbe  ad  ogni  saN-io  un  saggio 
Di  sua  potenzia  ;  poi  eli"  io  1*  ho  qui  morto 
Ne  la  presenzia   del  suo  baronaggio  : 
Da  lui  sol  venne  1'  aiuto  e  '1  conforto  : 
Lui  mi  die  forza  che  così  facessi  ; 
E  fé"  che  ignun  non  si  contrapponessi. 

XVII 

Lui  vi  spirò,  potete  intender  certo, 
Ch'  a  la   giustizia  dar  dovessi  loco. 
Però  che   troppo  1'  aveva  sofferto  : 
Ed  or,  per   trarvi  de  l'eterno  foco, 
"N'uol  eli 'io  vi  mostri  il  vostro  errore  aperto, 
Nel   qual  cresciuti   siete  a  poco   a  poco  : 
Però   tornate   tulli   al  cristianesimo: 
Cile  non  si  può  in  ciel  ir  sanza  ballesìuio. 


XVIll 

p"inite    le  parole,   il  popol    tutto 
(  uniinciava   a  gridare   ad   un   voce  : 
Sia   benedetto   chi   il   tiranno   ha  strutto, 
Ch  "  è   slato  a' suoi   suppetli   tanto  atroce: 
E   poi   che  de'  seguirne    un  maggior  fruito, 
Adoriam   tutti  quel   che  mori  in  croce: 
Dicci   il   tuo   nome   sol,   tutti  prepliiamo, 
£  poi  per  le   tue  man  ci  battezziamo. 

XIX 

Che  poi   che  morto  hai"I  traditor  ribaldo, 
Vogliam   per  sempiterna   tua  memoria 
Un   simulacro  farti   d'oro  saldo. 
Dove  sia   disegnata  questa  ist«>ria. 
Ri'pose   il  prenze  a   tutti  :  Io  $on  Rinaldo 
Da   Montalban  che  v'ho  dato  vittoria; 
Ed   or  v"  arreco  l  ulivo  e  la  pace 
Dal  mio   Gesù  che  d'adorar  vi  piace. 

XX 

Allora  il  popol   cominciò  a   gridare: 
Viva   Rinaldo,   e  viva   il   tuo   Gesiic  : 
Ognun   qui    t"  ha   sentito  ricordare 
Già  mille  volte  per  le  virtù   tue. 
E   così   cominciava   a  battezzare 
Rinaldo   alcun   baron   con   le  man   sue: 
Ognuno  a'  pie  suoi   pinocchion  si   getta, 
E  '1  primo  voleva  esser  per  la  fretta. 

XXI 

In  pochi   dì  fur   tutti  battezzati. 
L'albergator,  che  ritenne  costoro. 
Quanto  poteva  più   gli   ha  ringraziati. 
Questa  novella   sentì  il  barbassoro, 
E  gli  altri   che  Rinaldo  avea  trovati; 
A   la  città  venlen  sanza  dimoro  : 
E  "1  barbassoro  avea  nome  Salante  ; 
E  molto  gaudio  avea  del  re  Vergante. 

xxn 
Or  chi  vedessi  quelle  damigelle 
Venirsi  a  battezzar  divotamente, 
E  quanto  allegre  parevano  e  belle, 
Di   lor   s"  innamoreblie   certamente: 
Elle  parìen   del   ciel  le  prime  stelle  : 
Le  madri   e  i  padri  ognun   n'era  gaudente: 
Gran  festa   si  facea  per  la  cittade, 
E  le   castella  e  lallre  sue  contrade. 

XXIII 

Il  barbassoro  de  la  gran  foresta 
Diceva  al  prenze:   Quanto   ti  so  grado: 
Ch'  a   quel  ribaldo  rompesti   la   testa  ; 
Sappi,  ch"  io  son  di   nobil  parentado  : 
Ogni   cosa  sia   tna   eh'  è  in  mia  potestà. 
Dicea  Rinaldo  :  Intender  mi   fia   a    grado, 
Questa  città  quanti  uomini  farebbe 
Da   portar  arme  qual   si   converrebbe. 

XXIV 

Rispose  il  barbassoro:   Questa  terra 
Ha  sotto  sé  cinque  altre   gran   citiate.: 
Centomila  Pagan"  faran  da  guerra, 
Sanza  molte   castella  e  le  villate  : 
Io  so  che  la  mia  lingua  in   ciò  non  erra  ; 
Ma   tu  potrai  veder  le  schiere  armate. 
Rinaldo  udendo  ciò  the  quel  dicea, 
A  Gesù  Cristo   arazie  ne  rendea. 


M  O  R  G  A  N  T  E     M  A  (>  G  l  O  K  E 


E  slellesi  alcun  giorno  a  riposare 
Rinaldo,  e   i   suoi   compagni  allegrainente  : 
Il  popol   lo   voltava  incoronare  ; 
Ma   Rinaldo  non   volle  per  niente, 
Dicendo  :  In  libertà   vi   vo'  lasciare  : 
Il  signor  vostro   è  Cristo  onnipotente  : 
Poi  (piando   un   tratto   vide   tempo  ed   agio, 
Il  popol  ragnnò   tutto  al  palagio. 

XXVI 

E  ragunalo,  fece  parlamento, 
E   disse  :   Or  die  di   voi  fidar  mi  posso, 

10  Yo' che  voi  intendiate   a  compimento 
Per  che   cagion   di   Parigi   son   mosso, 
E  perch'  io   vivo  nel  cuor  malcontento 
D'ini  peso  che  mi   grava  Insino  a   Tosso: 
L'Ainoslante   di   Persia   ha  imprigionalo 

11  mio  cugin,  eh'  Orlando   è  nominato. 

xxvii 
Vorrei   ciie  mi  tacessi   compagnia, 
Tanto  eh'  Orlando  mio  si  riavessi. 
Poi  che  finita  fu   la  diceria, 
Fu  commesso  a  Salante  che  dicessi, 
E  che  per  parte   de  la  baronia 
Ciò  che  chiedea  Rinaldo  gli  offeressi  : 
AUor  Salante  ritto   si   levóe, 
E  come  savio  a  parlar  comincióe  : 

XXVIIl 

Rinaldo,  poi   che   liberati  ci   hai 
Da  Macon,  da   Vergante,   e   da  lo'nferno; 
Non   pensi    tu   che  noi  siam    tutti   ornai 
Sempre   tuo' servi   e  schiavi  in  sempiterno? 
Ciò  che  domandi,   a    tuo  piacere   arai, 
Ed  ora   e  sempre  vivendo   in   eterno: 
Taccisi   tosto   come  vuoi   la   impresa, 
Che  di   tal  cosa  a  tutti   assai  ne  pesa. 

XXIX 

Rinaldo  ringraziava   tutti  quanti, 
E  poi   per   lutti  i  paesi   mandava 
Subitamente  niessaggieri   e   fanti, 
E   n\olta   gente   tosto  s'  ordinava  : 
Vennono   a   corte   a   Rinaldo  davanti, 
In  men  di   un   mese   vi  si  raccozzava 
Novantamila  cavalieri   armati, 
E  tutti  in   guerra  ben  disciplinati. 

XXX 

E  poi   vi   venner   due   giganti  fieri. 
Con   diecimila  armati  in  sii  1'  arcione. 
In  ])unlo  ben   di   ciò  che  fa  mestieri, 
Che  rinegato  avìen   tutti   Macoiie, 
E  servivan   Rinaldo  volentieri 
L'uno   e   l'altro   gigante   o    torrione; 
De'  quali  aveva  1'  un  nome   Corante, 
E  l'altro  s'appellava  Liorgante. 

XXXI 

Costui,  che  molto  amò  già  il  suo  signore, 
Poi   che  vide  Rinaldo   che   V  ha  morto, 
Non  potè  far  non  si  turbassi  il  core, 
E  disse  con  Salante  :  E'  mori  a  torto  : 
E  perch'  io  fui   suo   amico   e   servidore. 
Mal   volenlier  quest' oltraggio  comporto, 
Né  posso  far  eh'  io   non  ne  pigli   sdegno': 
Per  la  mia  nuova  fé  con  voi  noi>   vegno. 


XXXII 

Disse   Rinaldo  :   E'  sarà  forse   il    vero, 
Che  meco  non    verrai   come   tu  hai   dello,     , 
E  morto  resterai,   gigante  fiero. 
Che  tu  non  credi  in  Cristo  o  in  Macomctlo. 
Era  il   gigante  superbo   e   leggiero, 
E   disse:  S'io   li  piglio  pel    ciudetlo, 
Io   ti   farò  sentir  eh'  io  son   gigante, 
E  forse   vendicato  fia  Vergante. 

XXXIII 

La  poca  pa/.ienzia  s'  accozzóe 
Di   Rinaldo  e  'l   gigante   apj)imto   bene  : 
Rinaldo   la  sua  spada  fuor   lirtie, 
E   d'  una   punta  criv»*llando   viene. 
Tanto   che  in   mezzo  il  petto   gliel  caccióe, 
E  riuscì  di   drieto  per  le  rene  : 
Non  potè  Liorgante   alzar   la  mazza  ; 
Che  come   un  pollo  morto   giù  stramazza. 

xxxiv 
E  parve  che  cadesse  una   gran   torre. 
La   gente   corse   a   si   fatto  romore, 
E   domandava   ognun  che  quivi   corre  : 
Che   voi   dir  questo?  e  'nleso  poi   il    tenore, 
Dicevan   tulli  :   E'  non   vi  si   può  apporre  ; 
Poi  che  Vergante  amava  il  traditore, 
E   dicea   che  fu   a    torlo  il  di   ammazzato  : 
Così  Rinaldo   assai   fu  commendato. 

xxxv 
Poi    col   consiglio  del  savio   Salante 
Rinaldo  a   Siragozza   un   messo  manda 
A  Luciana  famosa   e  prestante"; 
E  quanto  più  polca  si  raccomanda, 
Che   venga  presto  con  sua   gente   avante; 
E   di   tal  cosa  roinor  non  ispanda  ; 
Che  si   ricordi   quel   eh'  ella  ha  promesso  ; 
E  in  pochi   giorni  compariva  il  messo. 

xxxvi 
E  Luciana   il    vide   volentieri, 
E   disse   al  padre  quel  che  scrive  il  prenze. 
Disse  Marsilio:   Che  i   tuoi  cavalieri 
Tu  metta  in  punto  e  tutte   tue  potenze  ; 
Ch'  io   arò  sempre   in   tutti   i   miei  pensieri 
Rinaldo  nostro  e  sue  magnificenze  : 
Troppo  mi   piacquon  l'  opre  sue  leggiadre: 
E  cosi  in  punto  si  misson  le  squadre. 

XXXVII 

Diceva  Luciana  :   Io  voglio  ancora, 
Che  mi  conceda  che  con   essi    vada  : 
E  se  per  me  il   tuo  sangue  non  si  onora, 
Non   mi  lasciar  mai   più  portar  la   spada  : 
Ma  questa  é  quella   volta  che  rinfiora. 
Disse  Marsilio  :  Fa   come    l'  aggrada, 
Pur  che  si   faccia  piacere   a   Rinaldo, 
Che  di  servirlo  soii  più  di   te  caldo. 

XXXVIII 

Diceva  la  fanciulla   a  Salugante  ; 
O  Salugante,  io   vo'  che  meco  vegna 
Con  questa   genie  ch'io  meno  in  Levante, 
Acciò  che  sia   quest'  opera  più  degna. 
Egli  rispose  :  Pel   mio  Triviganle 
Volenlier  ne  verrò  sotto  tua  insegna. 
Così  fumo   ordinali   prestamente 
Ventimila  a  cavai  di  buona   gente. 


MO  I\  GANTE     M  A  G  O  1  O  I\  E 


XVXIX 

Così  la  «lama  «li   Marìilion^ 
Si    diparti   co' rav  .ilicri   annali: 
K   per   iii>ir;iiia   uri   suo  gonfalone 
Kron   (lue  rori   insieme   inralenali: 
V.  portò  srr«»   un   rirro  pa«li{;lione, 
Del   qiial  saranno  assai  maravigliali: 
riiè  non  si   vide  mai  simile  a  quello; 
Tanto  era  lavoralo  ricco  e  bello. 

xr. 
E  'n  pochi   giorni   volava  la   fama 
Al  prenze  come  vien   la   ilamigella  : 
Siiliitamenle   molli   Itaron'  chiama, 
E  fece  i  principal  nKmtare  in  sella, 
£   così  incontro  n'andorno  a  la   dama: 
Rinaldo,  come  appariva  la    stella, 
Dicea  :  Rinato   è  Cristo  veramente. 
Ch'apparila  è  la  stella  in   Oriente. 

xr  I 
Ginnse  la  donna,  e  'n   terra  è  dismontata; 
De   la  qual   còsa   Rinaldo  si   duole, 
Che  la  sua   gentilezza   è  superata  : 
Dismonta  presto,  e  con   destre  parole 
Si  scusa,  e  parte  la  fanciulla   guata, 
Come  sta  fissa   T  aquila   nel  sole  : 
E  dei  pensar  che  la  dama  il  saluta; 
E  che  rispose  :  Tu  sia  ben  venuta. 

XLII 

Rimontati  a  cavai,  tutti  n'  andorno 
Ne  la  città  con  festa  e  con  onore  ; 
E  poi  ch'ai   gran  palazzo  dismontorno, 
Disse  la  dama  :   O  mio  caro  signore, 

10  t'ho  arrecalo  un  padiglione  adorno, 

11  qual  sempre  terrai  per  lo  mio  amore, 
Con  le  sue  man   V  ha  fallo  Luciana 
Contesto  d'  oro  e  seta  soriana. 


E  fecelo  spiegare  in  sua  presenzia. 
Quando  Rinaldo  il  padiglion  vedea, 
Maravigliossi   di   tanta  eccellenzia, 
E  disse  :  Cerio  io  non  so  quale  Iddea 
Avesse  fatta  tal  magnificenzia. 
Se  fusse  Palla,  e  grazia  gli  rendea, 
Dicendo  :  Per  tuo  amor  lai  padiglione 
Sempre  terrò  :   che  così  vuol  ragione. 

XLIV 

Egli  era  in  questo  modo  divisato  : 
In  su  la  sala  magna  fu  disteso  : 
In  quattro  parte,  ov'  era  figurato 
Quattro  elementi  ;  e  '1  primo  parea  acceso 
Ch  era  per  modo  ad  arte  lavoralo, 
Che  si  sare"  per  vero  foco  inleso 
Pien  di  faville  e  raggi  fiammeggianli  : 
Ch'  ognuno  abbaglia  che  gli  sta  davanti. 

XLV 

Quivi  eran  certi  carbonchi  e  rubini. 
Che  campeggiavan  ben  con  quel  colore  : 
Certi  balasci   e   granati   sì  fini, 
Che  in  ogni  parte  rendeva  splendore: 
Quivi  eran   cJierubini   e  serafini 
Come  è  nel  foco  de  lo   eterno  amore  : 
Quivi  è  la  salamandra  ancor  nel  foco. 
Che  si  godea  contenta  in  festa  e  "n  sioco. 


Ne  la  seconda  parte  è  1'  aer  puro 
Azzurro   tutto,  e '1  tiel   con   ogni  stella. 
La  Luna  e  "1   Sid*-,  e   Venere  e  Merciiro, 
E   Giove   appresso,  e   Voi»  an   «lir  martella  ; 
Saturno   e  jMarte  in   aspetto   più   duro; 
Dodici   segni,   ed   ogni    («iva    bella, 
Cile   tutto  non   è    tempo  a   raccontare  : 
Poi  gli   nccei   sotto  si   vedean   volare. 

.\I.VII 

L'gjjuila  in   alto  con   sue  rote  andava 
Guardando  fiso  il  Sol  com'ella  è  avvezza: 
Tanto  che  il  Sol  le  penne  gli  abbruciava, 
E  rovinava  in  mar  giù  de  l'altezza: 
Quivi   di  nuove  penne  s'  adornava, 
E  riprendeva  poi  sua  giovinezza  : 
E  la  nuova  fenice,  come  suole. 
Portava  il   nulo  a  la  casa  del   Sole. 

xLvin 
Ed  avca   tolto  incenso  e  mirra  prima, 
E  cassia  e  nardo   e  balsamo  ed  amomo. 
Ed  arsa,  e  poi  rinata  in  su  la  cima. 
Qui  è  il  falcon  salvalico  e  quel  domo  ; 
E  1   un  par  che  i  colombi  mollo  opprima; 
E   l'altro  fa  con  1' aghiron   giù  il  tomo. 
Quivi  è  r  astor  col  fagiano  e  1   terzuolo. 
Che  drieto  a  la  pernice  studia  il  volo. 

XLIX 

Quivi  era  lo  sparvier,  quivi  la  gazza, 
Che  par  che  si  volessi  innalberare 
E  mentre  che  foggia  forte  schiamazza  : 
Quivi  è  la  ludoletta  a  volteggiare, 
E  drieto  il   suo  nemico  che  l'ammazza: 
E  lo  smeriglio  si  vede  squillare 
Di  cielo  iu   terra,  e  la  rondine  ha  innanzi, 
E  par  che  l'uno  a   l'altro  poco  avanzi. 

L 

Quivi  si  vede  i  gru  volare  a  schiera, 
E  quel  che  va  dinanzi  par  che  gridi  : 
E  l'oche  han  fatto  a  la  fila   bandiera  : 
E  come  questi  par  che  1' una   guidi: 
Quivi  è  la  tortorella  a  primavera, 
E  par  che  in  verdi  rami   non  s'  annidi, 
Più  non  s"  allegri,  e  più  non  s'accompagni, 
E  sol  ne  1'  acqua  torbida  si  bagni. 

LI 

Quivi  sì  cava  il  pellican  del  petto 
11  sangue,  e  rende  la  vita  a'  suoi  figli  : 
Evvi  lo  starno  e  la  starna  in  sospetto 
Ch'ogni  uccel  che  la  vede  non  la  pigli: 
E  "1  nibbio  si  vagheggia  a  suo  diletto, 
Ad  ogni  mosca  chiudendo   gli   artigli: 
E   gira  l'avvoltoio  e   l'abuzzago: 
E  1  gheppio  molto  del   vento  par  vago. 

LII 

Ed  anco  il  milion  si  va  aggirando  ; 
E   la  ghiandaia  va  facendo  festa; 
E  la  gazza  marina  vien  gridando, 
E  scende  in   basso  con  molta  tempesta  ; 
E   la  cutretta  la  coda  menando 
Si  vede,  e  rizza  la  pupa  la  cresta  : 
Quivi   si  pasce   di  sogni   il  moscardo, 
Perch'e'non   è  come  il  frate)   gagliardi». 


i3 


MORGAN  T  E     INI  A  C  (  ^  I O  l\  1  : 


11  pitrlno  v'  era,  e   v»  volniulo  a  scosse, 
riu"  1  tonijierò  tre  lire  e  poro  un  Lesso, 
Perdi'  e'  pensò  <;li'  mi  papagallo  fosse  : 
Mjiudollo   a   Corsignan;  poi   non  fu  desso: 
Tanto  che  Siena   ha   ancor  le   gole  rosse  : 
(^)iiivi   è   il  riijjogolelto  e  '1  lieo  appresso, 
K  M  pappagallo,  quel  eh'  è  da  dovere, 
E  il  verde  e'I  rosso  e'I  bigio  e'I  bianco  e'I  nero. 

Gli  slornellelli  in  frolla  se  ne  vanno  ; 
E   tulli   quanti  in  becco  hanno  1'  uliva  : 
Le  mulacchie  un   lumullo  in  aria   fanno  ; 
La  passer  v'  è  maliziosa  e  cattiva, 
E  par  sol  si   diletti   di  far  danno  : 
E  i  corho   come  già   de  1'  arca  usciva  : 
Evvi   il  falappio  ed  evvi  la  cornacchia 
Che  garre  drieloaglìallri  uccelli,  e  gracchia. 

LV 

Qnivi  superbo  si  mostra  il  pagone, 
E  grida  come  gli  occhi  in  terra  abbassa  ;; 
Garzetto  e  l'anilrella  e'I  grande  ocione  ; 
Quivi  la  quaglia  che  pareva  lassa, 
Volando  d'  una  in   altra  regione  : 
Quivi  è  l'oca  marina  che '1  mar  passa; 
L'anitra  bianca  e'I  maragon  calarsi, 
Parean  che  in  giù  volassin  per  tuffarsi. 

LVI 

L' acceggia,  la  cicogna  e'I  pagolino, 
La  gallinella  con  variale  piume, 
L'  uccel  Santamaria  v'  era  e  '1  piombino  ; 
E  '1  bianco  cigno,  che  dorme  in  sul  fiume, 
Parca   che  fusse  a  la  morte  vicino, 
Però  cantassi,  com'  è  suo  costume  : 
Quivi  col   gozzo  e  col  gran  becco  aguzzo 
Si   vedea  1'  anilroccolo  e  lo  struzzo. 


Barallole,  germani  e  farciglioni, 
Altri  uccei  d'acqua,  io  non  saprei  dir  tanli  : 
Certi   uccelletti  che  si  dice  alcioni. 
Che  fanno  al  mar  sentir  lor  nidi  e  canti  ; 
Altri  uccellacci  chiamali   griccioni  : 
Lungo  sarebbe  a  coniar  tutti  quanti, 
Che  slan  per  fiumi,  per  paludi  e  laghi, 
Perchè  de'  pesci  e  de  l' acqua  son  vaghi. 

LVIII 

11  marin  lordo,  il  bottaccio  e  '1  sassello, 
La  merla  nera  e  la  merla   acquajuola, 
Poi   la   tordella  e  '1  frusone  e  1  fanello, 
E  il   lusignol   ch'ha  sì  dolce  la  gola; 
Il   zigolo,   il  bavieri   e'I  montanello, 
Avelia   e  capitorza   e  sepajuola, 
Pincione  e   nileragno  e  pettirosso, 
Il  raperugiol  che  mai  intender  posso. 

LIX 

Quivi  era  la  calandra  e  '1  calderine. 
Il  monaco  eh'  è  tulio  rosso  e  nero, 
E   1  calenzuol  doralo  e  il  lucherino, 
E'I  ortolano  e'I  beccafico  vero; 
Insino  al  re  de  le  siepe  piccino. 
La  cingallegra,  il  luì,  il  capinere, 
Pispola,  codirosso  e  codilungo> 
E  uno  uccel  che  suol  beccare  il  fungo. 


Rondoni   e  balestrucci  eran  per  1'  aria  ; 
Poi   in   altra  parte  si  vedea  soletta 
La  passer  penserosa  e  solitaria  ,   . 

Che  sol  con   seco  starsi   si   diletta,     i    f'Jl^^aA 
A   tutte  l'altre  nature   contraria: 
Etvi   il  cuculio  con  sua  malizielta. 
Che  mette  1'  uova  sue  drenlo  a  la  Luca 
De  la  sua  balia,  eh'  è  della  curuca. 

LXI 

Il  pipistrello  faceva  stran   volo  ; 
E   degli   uccei   notliirni  sbandeggiali 
L' allocco,  il  barbaggiani  e  l'assiuolo. 
Civetta  e  gufo,  e   gli  altri  sventurati  ; 
Non  ne  mancava  al  padiglione  un  solo 
Di   que' che  fur  ne  l'arca  numerati: 
Ultimamente  v' è  il  canieleone, 
Benché  alcun  dice  vi  fussi  il  g£Jfone. 

Lxn 
Vedeasi  in  mezzo  rilucente  e  bella 
Ne  la  sua  sedia  Giunon  coronata  ; 
E  Dejopeja  e  l'altre  intorno  a  quella, 
E  mollo  da  le  ninfe  era  onorata  : 
Eoi  parca  che  tentassi  procella, 
E   che  picchiassi  la  porla  serrala  : 
E  Nolo  ed  Aquilon   già  fuori  uscie'no, 
Ed  Orion  d'  ogni   tempesta  pieno. 

I,XIII 

Poi  si  vedeva  Dedalo  che  '1  figlio 
Avea  smarrito  e  balteasi   la  fronte. 
Che  non  credette  al  suo  savio  consiglio  : 
Vedesi  il  carro  abbandonar  Fetonte  ; 
E  '1  fero  scorpio  mostrargli  1'  artiglio  ; 
E  com' e' par  che  in   basso  giù  dismonte, 
E  la  terra  apre  per  1'  arder  la  bocca, 
E   Giove  il  fulminava  de  la  rocca. 

LXIV 

La  terza  parie  è  figurala  al  mare: 
Quivi   Sì  vede  scoprir  la  balena, 
E  far  talvolta  navilj  affondare  ; 
E  dolcemente  cantar  la  sirena. 
Che  i  naviganti  ha  fatti   addormentare  : 
Il  delfin  v'  è  che  mostrava  la  schiena, 
E  par  eh' a' marinai   con  questo  insegni. 
Che  si  prevegghin  di  salvar  lor  legni. 

LXV 

Il  marin  vecchio  fuor  de  1'  acqua  uscia, 
E  '1  pesce  rondin  si  vedea  volare  ; 
Ma  'I  pesce  tordo  così  non  facia  : 
Vedeasi  il  cancro  l'ostrica  ingannare; 
E  come  il  fuJ;celletto  in  bocca  avia, 
E  poi  che  quella  vedeva  allargare, 
E'  lo  metteva   nel  fesso  del   guscio, 
E  pei  v'  entrava  a  mangiarla  per  l' uscio. 

r,xvi 
Raggiala  e  rombo,  occhiata  e  pesce  cane, 
La  triglia,  il  ragno,  il  corvallo  e'I  salmone. 
Lo  scorpio  con  le  punte  aspre  e  villane, 
Ligusta  e  soglia,   orata  e  storione  ; 
E  '1  polpo  con  le  membra  così  strane, 
E  '1  miiggin  con  la  trota  e  col  carpione, 
Gambero  e  nicchio  e  calcinello  e  seppia, 
E  sgombero  e  morena  e  scarza  e  cheppia. 


M  O  l\  (;  A  N  T  K     M  A  C.  C,  I  O  W  V. 


E   tonni   «1   vctlicn  pif;liarc   a  srliicrf, 
E  coriiiolclli   p  l.iinpréd»'   e   «ardcllf, 
E   allri   pesri  di    tante  nianit-rp, 
("lip   «lii    non  poo^^i   ron   cento  favfllp, 
Ver  fiumi   e  laplii  e   diverso   peschiere  : 
l'ero  «he  son  più  i   pesci   che   le  stelle; 
Anguille  e  lucri   e   tinche  e  pesci  persi  : 
Pensa,  che  quivi  polevan    vedersi. 

I.XVIII 

E  .che  vi  fussi  boncio  e  barbio  e   lasca, 
Alefe  finalmente  v'era  scorto, 
E  come  sol  de  1'  acqua  quel  si  pasca, 
E   tratto  fuor  di  quella  parca   morto  : 
Vedevasi   la  manna   che   giù  casca, 
E  "1  pesce  per  pigliarla   stare  accorto  : 
E  come  il  pesrator  molto  s'affanni 
Con  rete  ed  esca  e  con  mille  allri  inganni. 

LXIX 

Poi    si   vcdea  Nettuno  col   tridente 
Guardar  con' alti   ammirativi  e  schifi, 
Quando  prima  Arpo  nel   suo  recno  sente, 
Che  lo  voleva  a   Colchi   puidar  Tifi  : 
Scilla  abbaiar  si  senti'a  crudelmente  ; 
E   i  mostri   suoi   digrignavano  i  grifi: 
Vedeasi  Teti,  e  vedevasi  Ulisse 
Come  più  là  che  i  sogni  d'  Ercol  gisse. 

i,xx 
Cimoto  e  Triton  placar  la   tempesta; 
Glauco  poi  si   vedeva  ondeggiare; 
Esaco  afflitto   con  molta  molesta 
Cercando  Esperia  ancor  sott'  acqua  andare: 
Talvolta   Galatea   fuor  trar  la   testa, 
Che  fé"  già  Polifemo  innamorare  : 
Nòtavan  per  lo  mar  con  ambe  mane 
Converse  in  ninfe  le  navi   troiane. 


Poi   si  vedeva  navi  in  quantitate 
Gir  sopra  V  acqua,  e  molti  legni   strani, 
Balnieri,  grippi   e   galeazze  armate, 
E  brigantin",  carovelle  e  marrani. 
Liuti,   saetti'e,  gonde  spalmate, 
E   sopra  fuste  menarsi   le  mani  : 
Battelli   e  paliscalmi  e  schifi  e  barche 
D'  uomini  e  merce  e  varie  cose  cardie. 

LXXII 

L'jilllma  parte  toccava  a  la  terra; 
Quivi  si  vede   tutte  1"  erbe  e  piante  ; 
E  come  il   globo  si  ristringe  e  serra  ; 
E  le  città  famose   tutte  quante; 
E  gli  animali;   e  come  ciascun  erra 
Chi  qua  chi  là  per  Ponente  e  Levante, 
Per  Mezzogiorno,   e  chi  per  Tramontana  : 
Ogni  fera  domestica  e  silvana. 

Lxxni 
Il  liofante  parca  molto  grande 
Calloso  e  nero,   e   dinanzi   d"  un   pez'o  ; 
E  come  quegli  orerciii  larghi  spande, 
E  stende  il  grifo  lungo,  ch'egli  ha  avvezzo 
Pigliar  con  esso  tutte  le   vivande  ; 
E  noi  potea  toccar  se  non  un  ghezzo  : 
Fuor  de  la  bocca  gli  uscivan  dTìe  zanne 
C!i  eron  d'avorio,   e  lunghe  ben  sei  spanne. 


J.XXIV 

Evvi  il  lione  ,  r  'I   dippo  gli  va  dricto  : 
l°>v%i   il  cavai    famoso  sanza  freno, 
E  r  asinelio,   e  1    bue   si    inan<'iii-to, 
E   I  mul   che   tutto  par  di   vi/i   pieno  : 
Vedevasi  il  castor  mollo   discreto. 
Che  de' suoi   danni   eletto  aveva   il    meno, 
I'.    vtrapjiasi   le   iiiemhra   genitale, 
>  eggendo   il  cacciator,  per  manco  mali-. 

JXV 

Il   leopardo  pareva  sdegnato 
Perdi"  e' non   prese   in   tre  salti   la  preda; 
E   I    liororio  è  in   grembo  addormentalo 
D"  una  fanciulla,  e  par  che  egli  conce«la 
Esser  da   rpiesta   tocco  e  pettinato  ; 
Ma   non   si   fidi   a  I'  acqua  e  non   gli    creda, 
Se  non  vi  mette  il  corno  prima  drento  ; 
E  se  quel  suda  sta  a  vedere  attento. 

LXVI 

Tutto   bizzarro   e  pien   di  furia   1' ors«»  ; 
E  1   lupo  fuor  del  bosco  svergognato. 
Gridato  da  la  gente,  e  da   can  morso  ; 
E    I   porco  che  nel   fango  è  imbrodolato: 
Quivi  era  il  cavriuol  che   molto   lia  corso, 
E  poi   s'  è  posto  a   ber  tutto  affannato  : 
E  "l  cervo  che   1  pastor  che  canta  aspetta, 
Insin  che  1  altro  intanto  lo  saetta. 

rjcxvii 
E   1  bufoi   che  ne  va  preso  pel  naso  ; 
E  la  capretta  ;  e  1  umil  pecorella 
Ch' avea  le  poppe  munte  e   1  dosso  raso: 
La  lepre  paurosa  e  meschinella 
Par  che  si  fugga   temendo  ogni  caso: 
Quivi  era  il  dromedario  e   la  cammella. 
Che  con  lo  scrigno  mansueta  e  doma 
Lasciava  ginocchion  porsi  la  soma. 

Lxxvm 
La  volpe  maliziosa  era  a  vedere  ; 
E  "1   can  pareva  fedele  e  leale: 
Evvi  il  coniglio,  e  scherza  a  suo  piacere  : 
Mollo  senlacchio  pareva  il   cinghiale: 
Poi   si  vedeva  la  damma  e  1  cerviere. 
Che  drieto  al  monte  scorgea  1  animale: 
Quivi  era  il   tasso  porco  e  "1   tasso  cane. 
Che  si  dormien  per  le  lor  buche  o   tane. 

i.xxix 
E  lo  spinoso,  e  l'istrice  pennuto^ 
E  sopra  il  bucolin  del  topo  il  gatto 
Con  molta  pazienzia  come  astuto. 
Tanto  che  netto  riuscisse  il   tratto  : 
Bevero,  e  1  ghir  sonnolente  e  perduto, 
E  puzzola  e  faina  e  lo  scoiatto  : 
Evvi  la  lontra,  e  va  cercando  il  pesce. 
Ed  or  soli'  acqua  ed  or  sopra  riesce. 

LXXX 

Gatto  mammon,  bertuccia  e  babbuino, 
Mufo,  camoscio,  moscado  e  zibetto. 
La  donnoletta  e  1  polito  ermellino. 
Che  parca  tutto  bianco  e  puro  e  netto  : 
La  martora  si  sia  col  zibellino: 
Eravi  il  vaio,  e  sfavasi  soletto; 
E  molto  bello  e  candido  il  laltizio  ; 
E  altre  fiere  poi  pi<iie   d'i   vizio. 


M  A  G  (>  I  O  I\  i: 


!.XX\I 

La  lonza  manibla  e  la  paniera, 
1-:  "l  ilrapo  eh'  avca  morto  il  liofanle, 
K  nel  cailcrgli  aiKlosso   qnella   fera, 
Aveva  ucciso   lui   come  ijinorante, 
Che   del  futuro  accorto   {;là   non  s'era: 
Evvi  il  serpente  superbo  arroiiante 
Che  fiammeggiava  fuoco  per  la  bocca, 
E  col  suo  fiato  attosca  ciò  che  tocca. 

I,\X\Il 

•       E  '1  coccodrillo  avea  Tuoni  prima  morto, 
Poi  lo  piangeva,  plen  d'  inganni   e  froda  ; 
E  '1  tir  eh'  avea  lo  'ncantatore  scorto, 
Acciò  che  le  parole  sue   non  oda  : 
Aveva  1'  uno  orecchio  in  terra  porto, 
E  l'altro  s'ha  turato  con  la  coda; 
Poi  si  vedea  col  fero  sguardo  e  fischio 
Uccider  chi  il  guardava  il  basalischio. 

Lxxxni 
Con  sette  capi  T  idra  e  la  cerastra  ; 
La  vipera  scoppiar  nel  partorire  : 
La  serpe  si  vedea  prudente  e  mastra 
Tra  sasso  e  sasso  de  la  scoglia  uscire  : 
L'aspido  sordo  freddo  più  che  lastra, 
Che  con  la  coda  voleva  ferire; 
La  biscia,  la  cicigna  e  poi  il  ramarro, 
E  moli'  altri  serpenti  eh'  io  non  narro. 

LXXXIV 

Jenna  vedìesi  de  la  sepoltura 
Cavare  i  morti  rigida  e  feroce  ; 
La  qual  si  dice,  chi  v'  ha  posto  cura. 
Ch'ella  sa  contraffar  l'umana  voce; 
La  cientro  con  la  faccia  orrida  e  scura, 
E  iacul   tanto  nel  corso  veloce: 
E  la  farea  crudel  che  per  Libia  erra; 
L'  ultima  cosa  è  la  talpa  sotterra. 

LXXXV 

Poi  si  vedeva  andar  pel  mondo  errando 
Ceres  dolente,  misera  e  meschina  ; 
E  in  ogni  parte  venia  domandando 
S'  alcun  veduto  avesse  Proserpina, 
Dicendo  :  Io  1"  ho  perduta,  e  non  so  quando: 
E  la  fanciulla  bella  e  peregrina 
Vedevasi  di  rose  e  violette 
Contesser  vaghe  e  gentil' grillandetle. 

LXXXVI 

Poi  si  vedea  Pluton  che  la  rapi'a, 
E  così  stara  il  padiglione  adorno  : 
I  carbonchi  e  le  gemme   eh'  egli  avia, 
Facean  d' oscuia  notte  parer  giorno; 
Tal  che  sì  bel  mai  più   vide  Soria  : 
Trecento  passi  o  più  girava  intorno: 
Le  corde  aveva  e   gli   altri  fornimenti 
Di  seta  e  d'oro  più  che 'l  Sol  lucenti. 


I.XXXVIl 

Non  si   potea  saziar  di  mirar  fiso 
Rinaldo  il  padiglion,  poi   disse  :   Certo 
Questo  fé' Luciana  in  paradiso; 
Non  fu  già  Filomena  in   un   deserto: 
Né  mai   sarà  il  mio   cor  da  lei  diviso  : 
E  so  che  per  me  stesso   ciò  non  merto  ; 
Ma  minor  dono  e  di  manco  eccellenzia 
Non  si  conviene  a  tua  magnificenzia. 

I.XXXVIII 

Questo  sempre   terrò  per  lo   tuo  amore  : 
Questo  terrò  sopra  ogni   cosa  degno  : 
Questo  terrò  con  singolare  onore  : 
Questo   terrò  di   tue   virtù  per  segno  : 
Questo   terrò  eh'  albergherà  il  mio  core  : 
Questo  terrò  perchè  del  tuo   sia  il   pegno  : 
Questo  terrò   vivendo   in  sempiterno: 
Questo  terrò  poi  in  cielo  o  ne  1  inferno. 

txxxix 
Disse  la  dama:  Ascolta  quel  ch'io  dico: 

10  ti  vorrei  poter  donare  il  Sole  ; 
E  non  sare'  bastante  a  tanto  amico  : 

11  tuo  cor  generoso,  come  suole. 

Si  mostra  pur  magnalnio  al  modo  antico  : 
Ma  intender  chi   l'ha  fatto,  il  ver  si  vuole: 
S'io  dissi  Luciana,  io  presi  errore:    '*'."'•'' 
Con  le  sue  proprie  man  1'  ha  fatto  Amore. 

xc 
Or  qual  sare' quel  cor  qui  d'adamante, 
Di  porfiro  o  diaspro  o  d'  altra  petra. 
Che  non  s'  aprissi  o  mutassi  sembiante  ? 
E'  traboccò  giù  1'  arco  e  la  faretra, 
E  le  saette  d'Amor  tutte  quante  : 
Yolea  pur  dir,  ma  la  voce  s'  arretra, 
Rinaldo  qualche  cosa  a  la  donzella  ; 
Ma  non  potè,  che  manca  la  favella. 

xci 
Ben  s'accorse  colei,  ch'era  pur  saggia, 
Che  per  soperchio   amor  non  rispondessi  ; 
E   disse:   Sare' io  tanto  selvaggia, 
Ch'a  così  degno  amante  non  piacessi. 
Purché  mai  tempo  e  luogo  e  modo  accaggia  ? 
E  qual  sare'  colei   che  noi  facessi. 
Salvando  sempre  e  1'  onore   e  la  fama  ? 
E  ingrato  è  quel  che  non  ama  chi  l'ama. 

XCII 

Rinaldo  ringraziò  pur  finalmente 
De  le  parole  grate  eh' avea  dette 
Ultimamente  la  donna  piacente  ; 
Bendi'  egli  avessi  al  cor  mille  saette. 
Fu  commendato  da  tutta  la  gente 
Il  padiglione;  e 'n  camera  si  mette; 
E  cominciussi   a  trattar  molte  cose. 
Che  fien  ne  V  altro  dir  maravigliose. 


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M  0  R  Cm  ante      M  a  C.  C,  I  O  W  K 


CAIMO    \V 


ARGOMENTO 


•&H®<§^ 


lì, 


inaldo  è  in  Persia  con  armata  schiera^ 
E  disfida   a  battaglia  VAmoslantc. 
Orlando  da  quel  career  dov^  ef;H  era, 
E   trailo   aliar  da   Chiariella   amante  ; 
F^li  e  Rinaldo  dal  giorno  alla  sera 
Si  don  delle  picchiate  tante  e   tante^ 
E   di  Copardo  per  un  tradimento 
Presa  è  la  terra,  e  VAmostantc  è  spento. 


B, 


'enigna  maestà,  yita  superna, 
Ch' alhiiiii  questo  e  quell'altro  eml.spero, 
Principio  d'ogni  cosa  santa  eterna; 
Donami   grazia,  clie  nel   giusto  impero 
A'  tuoi  pie  santi  1'  anima   discerna 
Tanto  ch'io  riconosca  il  falso  e '1  vero; 
E  'osino  al  fine  il  mio  debole  ingegno. 
Ti  priego,  aiuti,  se  '1  mio  priego  è  degno. 

II 
Fecion  consiglio  Rinaldo  e  Balante 
Che  si  movessi   la  gente  cristiana, 
E  che  s'andassi  a   trovar  l'Amostanle  ; 
E   così   confermava   Luciana. 
Fu  la  novella  in   Persia  in  poco  stante, 
Che  ne  veniva   gran   turba  pagana  : 
E  l'Amostante  ancor  non  sapea  scorto. 
Che  gente  fussi,  e  che  Vergante  è  morto. 


Partissi  dunque  centoventimila 
Di  gente  valorosa  e  fiera  e  magna. 
Per  quello  che  l' autor  nostro  compila. 
Con  que'  che  Luciana  avea  di  Spagna  : 
Né  creder  eh'  egli  andassino  a  la  fila  ; 
Coprìeno  i  monti  il  piano  e  la  campagna  ; 
Tanto  che  sono  in  Persia  capitati, 
E  presso  a  la  città  tutti  accampali. 

IV 

Rinaldo,  che  di  e  notte  non  soggiorna 
Per  riavere  il  suo  cugin  perfetto  ; 
Poi  ch'attendata  fu  la  gente  adorna, 
A  l'Amostante  mandò  Ricciardetto, 
Dicendo  :  A  lui  va  presto,  e  qui  ritorna 
Con  la  risposta,  e   conchindi  in   effetto, 
Ch'  a  corpo  a  corpo,  o  pur  campai  battaglia 
Subito  fuor  ne  veughi  a  la  schermaglia. 


E   Ricciardetto   andò   coni' e' gì' impose, 
E   fece   a   l'Amostante   la  'nibasciata  ; 
Il   qual   molto   superbo   a   lui  ri>pose. 
Che   non   sa   chi   si   sia  questa  brigata  ; 
E  molta  maraviglia   Ita   di   tai   cose: 
Che  la  corona  sua  sempre  onorata 
Combatter  non  è   usa  mai  in   Levante 
Con  qualche  vile  arcaito   o  ammirante. 

VI 

Che   truovi  uom  simiglianle  a  sua  corona, 
E  poi   verrà  «li  fuor  couiimcli'  e'  vuole 
A   corpo   a   corpo   a  provar  sua  persona  : 
3Ia   di  campai   batlaiilia  assai  si   duole 
Sanza   giusta   cagiun   lecita  o  buona  : 
E  poi  soggiimse   ancor  queste  parole  : 
Se   tu  non  fussi  messaggier  mandato. 
Con  le  mie  man  so  ch'io  t' atei  impiccato. 

VII 

Non  lascio  per  amor,  ma  per  vergogna, 
A  quel   che   t'ha   mandato,  fa  risposta: 
Domandai  s'  egli   è   desto,  o  pur  se  sogna, 
Che  molto  pazza  fu  la  sua  proposta: 
Né   d'  aspettar  qui   altro   li   bisogna  : 
Questo  ti   basti,  e  vattene   a   tua  posta. 
Ma  Ricciardetto  non  fu  paziente, 
E  così  disse  disdegnosamente  : 

VIII 

Se  conoscessi  ben  chi  a   te  mi  manda, 
Noi  chiameresti   arcaito  per  certo, 
E  pazza  non   terresti  sua  domanda  : 
Ma  si  conosce  il  tuo  vii  core  aperto  : 
Sappi  che  stu  se' re  da  questa  banda, 
Quand'io  t'avessi  pur  molto  sofferto, 
O  Amostante  vii,  superbo  e  sciocco. 
Il  mio  signore  acquistato  ha  il  Murrocco  ; 

IX 

E   di  Carrara   e  d'Arna  è  coronato, 
E   molti  altri  reami   tiene  al  mondo, 
E  non  sarebbe  Marte  biasimato 
Combatter  con  tal   uom  sì  rubicondo. 
L'Amostante  vcggendol  furiato, 
Rispose:   In  altro  modo  ti  rispondo: 
Ritorna  al  tuo  signor  che   ti  mandóe  ; 
E  di',  eh'  un  gran  baron  gli  manderóe. 

X 

Ricciardetto  tornò  nel  campo   tosto, 
E  disse  come  il  fatto  era  seguito, 
E  quel  che  l'Amostante  gli   ha  risposto. 
Lasciam  costor  posarsi  un  poco  al  lito, 
Chè'l  messo  ha  fatto  quel  che  gli  fu  imposto; 
Torniamo  a  l'Amostante  sbigottito, 
Che  non  sapea  che  farsi,  e  sta  sospeso, 
E  di  tal  caso  avea  nel   cor  gran  peso. 


MOI\  Cr  A  N  T  E     MA  (X;  I01\  E 


Vegpentlol  rosi  afllillo   (",lnari«-lla, 
Diceva:   Io  ci   conosco  un  buon  tÌuilmIìo  : 
Tu  sai  che'l  miglior  uom  che  monli  in  sella, 
Si  dice  ciré   Orlando;  end' io  più  a   tedio 
Non   li   terrò,  diceva  la   donzella. 
Poi  die  tu  se' condotto  a  questo  assedio: 
Sappi   che  quel,    che   tu   tieni   in   prip;ione, 
li  conte  Orlando   è  fijvliuol   di  Milone. 

XII 

E  credo  che  farà  sol  per  mio  amore 
Ciò  eh'  io  vorrò  :   che  così  m'  ha  promesso 
Più  e  più  volle:  ch'io   gli   ho  fallo  onore 
Sempre   dal  di  che   in   carcere  fu  messo. 
S(d)ito  crebbe  a   i'vVnioslanle   il  core: 
E  disse  :   Può  Macon  far  che  sia   desso  ! 
Troppo  mi  piace  tu  l'abbi  onoralo, 
Chè'l  ciel  per  nostro  ben  l'ha  riservato. 

XIII 

Ma  vo' che  mi  prometta  ritornarsi. 
Finita  la  battaglia,  poi  in  prigione. 
Che  M  gran  Soidan  potre'meco  adirarsi, 
(Mie  sai  ch'io  il  presi  a  sua  conlemplazione  ; 
E  qualche  modo  poi  potre'  trovarsi 
Per  questo  mezzo  a  la  sua  salvazione. 
Chiariella  ad   Orlando  n'  andò  presto, 
E  d'ogni  cosa  gli  cliiosava  il  testo. 

xtv 
Se  tu  volessi  per  mio   amore,  Orlando, 
Combatter  con   costui   che  vuol  battaglia, 
Questo  servigio  io   lo  verrò  scullando 
Nel  cor  per  sempre,  se  Macon  mi   va<!;Iia  : 
Io   le  ne  priego,  io  mi   ti  raccomando  : 
Un  deslrier  li   darò  coperto  a  maglia. 
Rispose  Orlando  :   Sia  quel   che  ti  piace  : 
Meglio  è  morir,  che  stare  in  contomacc, 

XV 

Ah,  disse  Chiariella,  è  questo  quello. 
Ch'io  t'ho  promesso  mille  volte  e  mille  ? 
Tu  m'hai  passato  il  cor  con  un  coltello: 
Io   verrò,   dico,   queste  porte  a  aprille. 
Come  a  te  fia  in  piacer,  signor  mio  bello: 
Ma  sol  per  ricoprir  molte  faville, 
Carlo  aspettavo   che   di   qua  passassi. 
Acciò  che  più  sicuro  il  failo  andassi. 

XVI 

Non  ti  curar  prometter  ritornarli 
Ne  la  prigion,  poi  che  'l  mio  padre  vuole, 
CIi'  io  verrò  per  Macone  a  liberarli. 
Prima  che  molli   dì  s'  asconda  il  Sole 

10  vo'  il  destrieri  e  1'  arme  apparecchiarli. 
Cosi  furon  finite  le  parole: 

E  di  prigione   Orlando  è  liberato, 

E  innanzi  a  l'Amostante  appresenlato. 

XVII 

L'Amostante  1'  abbraccia  umilemente, 
E   quanto  può  del   suo  fallir  si  scusa  ; 
E  se   gli  ha  fatto  oltraggio,  che  si  pente: 

11  gran  Soidan  di   ciò  ne  ncolpa  e   accusa; 
E  che  per  far  la  pace  il  fé'  vilmente. 
Come  per  suo  miglior   talvolta  s'  usa  ; 

E   lecito  operare   era  ogni  ingegno 

E   tradimento,  per  salvar  sé  e  'l  regno. 


Orln?ido,   come  savio,   fu  contento, 
l'I  disse  :  Per  amor   de   la   tua  figlia 
Farò  sol   cjuel   che   ti  fia  in  pini^imento, 
Che  così  Chiariella  mi   consiglia; 
Che  so  che  sanza  lei   morivo   a  stento; 
E   ch'io  sia   vivo  mi  par  maraviglia: 
Armossi    tutto   innanzi   al   re  pagano, 
E  Chiariella  l' armò  di  sua  mano. 


Come  fu  armato,  saltò   in  sul  destrieri  ; 
E   Chiariella   gli   fé'  compagnia 
Armata  con   trecento  cavalieri  : 
Cosi  da  l'Amostante   si  partia  ; 
Verso  de  l'oste  pigliava   il  sentieri. 
Come  Rinaldo   apparir   lo  vedìa, 
Che  stava  attento  armalo  al  padiglione, 
Subitamente  montava  in  arcione  : 


E  Luciana  anche  lui  avea  armalo, 
E  datogli  il  deslrier  che  gli  donóe 
A  Siragozza,  e  poi  1'  ha  accompagnato, 
E  molli  cavalier' seco  menóe  ; 
Adunque  il  giuoco  è  molto  pareggiato: 
E  così  inverso  Orlando  se  n'  andóe 
Rinaldo,  e  salutò  cortesemente  ; 
E  la  risposta  fu  similemente. 

XXI 

Ma  l'uno   e  l'altro  quanto  può  s'ingegna 
Non   esser  a  la  voce  conosciuto. 
Acciò  eh'  al  suo  disegno  ognun  pervegna. 
Dicea  Rinaldo  dopo  il  suo  saluto  : 
Io  credo,  cavalier,  eh'  al  campo  vegna 
Per  far  con  1'  arme  in  man  quel  eh'  è  dovuto  ; 
Piglia  del  campo;   ognun  mostri  sua  forza: 
E  volson  l'uno  a  poggia,  e  l'altro  a  orza. 

XXII 

Orlando  volse  con  tanta  destrezza 
Nel  dipartirsi   al  suo  cavai  la  briglia, 
Che  non  si   vide  mai  tal  gentilezza; 
E  Luciana  affisava   le  ciglia  : 
Parvegli  un  atto  di  molla  prodezza  : 
Ma  Chiariella  con  seco  bisbiglia  : 
Questo  è  pur  quel  che  '1  mondo  grida  certo 
Ne  r  arme   tanto   valoroso  e  sperto. 

xxni 
Rivoltava  il  deslrier  Rinaldo  prima, 
Cominciò  al  modo  usato  a  furiare  : 
Orlando  che  sia  vòlto  anco  si   stima  ; 
Subito  in  drielo  lo  venne  a  trovare  : 
Ma  non  potre'  qui   dir  prosa  né  rima 
Qual  sia  il  valor  ch'ognuno  usa  mostrare: 
Se  Annibal  parea  1' un,  l'altro   è  Marcello; 
Se  r  un  volava,  e  V  altro  è  uà  uccello. 

XXIV 

E'  si  vedea  sol  polvere  e  faville  : 
Non   credo  eh'  a  veder  fossi  più   degno 
A   la   città  famosa  Etlorre   e  Achille  : 
Ognun   di   grande  ardir  mostrava  segno. 
Ma  che  bisogna  far  tante  postille, 

0  dar  per  fede  a   chi   noi  crede  il  pegno? 
Non  son   costor  de'  paladin'  di   Francia 

1  miglior  cavalier'  che  porlin  lancia  ? 


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io5 


INI  O  K  CV  AN  TE     M  A  G  G  I O  K  E 


Le   lance  si   sprzzomo  pariiiifiitc 
Sopra   ^Vi  snuli,  e  i  deslrifr'  via  passurnu, 
(".Dine  fuljitire   va  mollo  fcrvrnlp; 
Poi   con    le  spaile   a   ferirsi    tornoriio  ; 
Or  quivi   s'  accostò   tiilla   la   genie  : 
Quivi   la  zuffa  insieme  rappiccorno. 
Era  veiuilo  a  vedere   il  gigante, 
Con  Luciana,  cliiamato  Corante. 

xwi 
E  stava  in  pie  r»)me  im  pilastro  saldo 
A   veder  di   costor   la   gran   tempesta  : 
E  Luciana   avea  messo   a  Rinaldo 
In   dosso   una   leggiadra   sopravvc'^la. 
Orlando   «li'  era   insuperbito   e   calchi, 
Con  Durlindana  avea  stampata  (]uesta  : 
E  Luciana   si   doleva   a  morte, 
Dicendo  :   Mai  non   vidi   uom    tanto   forte. 

xxvii 
Egli   eran   1'  uno  e  1   altro   sì   inriammati 
Rinaldo   e  1   conte   Orlando,  che  l'un    lullro 
Non  iscorgea,   lanl'  erano   infiammati  ; 
Né  si   vedea    vantaggio  a   Timo  o  T  altro  : 
Ferivansi   co  brandi   sì  infiammati, 
Che   nel   colpirsi   dicea  1'  uno   a   V  altro  : 
Aiutali   da  <]ucslo,  can  nialfusso  ; 
E  detto   questo,  si   sentiva  il  busso. 

XXVIll 

Rinaldo  dette  im   colpo   al  conte  Orlamlo 
Sopra   il  ciniier,  che   gliel  fece  sentire 
Erusberta   che   ne   venne   giù  fischiando  ; 
Non   ebbe   a  la  sua  vita  un   tal  martire, 
E 'nsiuo   in  su  la   groppa  vien  jiiegondo, 
E   disse  :   Oh   Dio,  non  mi  lasciar  morire  : 
Aiutami   tu,  Vergin   benedetta  ; 
E   1  me'  ehe  può  uè   V  arme  si  rassetta. 

XMX 

E   trasse  con   tantira  Durlindana 
Al  prenze,  che  lo  giunse  in   su  1'  elmetto. 
Il   qual  sonò  che  parve  una   campana, 
E  con   fatica  a  la  percossa  ha  retto  ; 
Ed  «>gni   cosa  vide  Luciana, 
Tanto  eh'  eli  ebbe  del  colpo  sospetto  : 
(.he  'usino  al  collo  del  deslrier  piegossi 
Riualdo,  tal  eh'  a  grau  peua  rizzossi. 

XXX 

Non   arebbe  però  voluti   Ire, 
Che  uscito  sare'Iuor  del  seminato: 
Pur  si  riebbe,  e  ritornava  in  sé, 
E  "1  brando   i   crini   al   cavallo  ha   trovato  ; 
Sì   che  due  parli  del  collo  gli   fé', 
E  'nsieme  con   Rinaldo  è  rovinato. 
Gridò  Rinaldo  al  conte:   Traditore, 
Tu  r  uccidesti  per  viltà  di  core. 

XXXI 

Rispose   Orlando  :  Traditore,  o  vile 
Non  fui  mai  reputato   a  la  mia   vita. 
Ma  sempre  in  verità  baron  gentile; 
Or  se  mi   venne  la  mazza  fallila, 
E' me  ne  ncresce,  e  però  parlo  umile; 
Ma  innanzi   che  da  me  facci  partita. 
Io   ti  farò  disdir  quel   che  tu   hai   detto, 
E  poi  saltò  del  suo  cavai  di  nello. 


E  cominciorno  più  aspra  battaglia, 
Che  si   vedessi  mai    tra   due   baroni  : 
Lo  scudo   in  pezzi   l'uno   a   l'altro   taglia. 
Non   «avalier'  parieno,  anzi   drag<mi  : 
E   benché  regga   la   piastra   e   la  maglia, 
Pe' colpi   spesso   cadeau    ginocchioni: 
E  r  uno  e  1'  altro  soffiava   e  sbuffava. 
Come  un   lione  o  altra  fera  brava. 

xxxui 
Dannosi   pimte,   dàimosi   fendenti. 
Dannosi   stramazzon,   danno   rovesci, 
Eanno.si  batter  drenlo  a   1'  elmo   i   denti  : 
Frugano  in  modo   da  sbucare  i   pesci 
Alcuna   volta   co'  brandi   taglienti, 
Acciò  che  meglio   il    disegno  riesci  : 
Raddoppia  il  colpo  Inno  a  l'altro  e   jìiomlia: 
E   1    aria  e   1  cielo  e   la   terra  rimbomba. 

xxxiv 
Rinaldo  un    tratto   Frusberla  riserra 
Per  dare   al   conte  Orlando  in   su   la   testa  : 
Orlando  si   scostò,   donde  il   brando   erra, 
E   cadde  in   basso   con   tanta   tempesta, 
(-he  si  ficcò  più  d'  un   braccio  sotterra  : 
Pensa  se  fatto   gli  arebbe  la  festa, 
E  se  fu   grande   il   furore  e  la   rabbia; 
(^ir  ajipena  par   che  la  spada  riabbia. 

XXXV 

Orlando  allor  se   gli  scagliava  addosso, 
E    grida  :    Or  potre'  io,  come   tu  vedi. 
Tagliarti   con  la  spada  insino  a   1'  osso. 
Poi  che   tu  hai  confitto  il  brando  a' piedi: 
Ma  basta  che  tu  intenda  sol  eh'  io  po.-so  ; 
Cir  io  non  son   tradilor,  come   tu  credi. 
Disse  Rinaldo  :   Ogni  ragion  liai   tue, 
E   che  sia  traditor  mai  dirò  piùe. 

XXXVI 

Era   già  sera,  e  '1   Sol  verso  la  Spagna 
Ne  1  O-èan   tuffava   i   suoi   crin' d'oro; 
E   Chiariella  graziosa  e  masna 
Benignamente  parlava  a  costoro  : 
Perchè  e'  si  fa  già  bruna  ogni   campagna, 
Ponete  fine  a  si  fatto  marloro  ; 
E  per  mio  amor,  così  vo'che  si  segua. 
Che  venti   dì  facciate  insieme  triejiua. 

XXX  VII 

E  l'uno  e   l'altro  rimase  conlento: 
Diceva   Chiariella:    Al   mio  parere, 
Nou  vidi  mai  più  a   uom   tanto    ardimento. 
Né  mai  jiiù  penso  a' miei   giorni   vedere, 
lo   Iriemo   tutta,  quando  io  mi  rammento 
De'  colpi  fatti,   e  del   vostro  potere  : 
E  perchè  lanta  virtù  si  conservi, 
Ho  chiesto  triegua,  e  vuch"  ognun  l'osservi. 

XXXVIII 

Rinaldo  si   tornò  col  suo  Balaule 
Ai  padiglione  ;  e   la  sua  Luciana 
Gli   trasse  1'  armi   eh'  avea  messe  avacte  : 
Orlando   torna  a   la  «ittà  pagana  ; 
E   Chiariella   disse  a  lAmostante, 
Che   gli  pareva   oltre  ogni   cosa   umana 
Quel  eh  avea  fatto  in  sua  presenzia  Orlando; 
Dicendo  :   Quanto  so,   tei  raccomando. 


MOUGANTK     MAGGIORE 


XXXIX 

Orlando   volle   in   prijiion   ritornarsi, 
K   rende  Dnriindana  e   l  armadnra, 
1'^   5ta   ron    Cliiariella   a   ragionarsi. 
Or  rilorniumo   al   rampo  a   la  pianura. 
Coranle   1'  altro   {jiorno  fere  armarsi, 
Dicendo:   Io  intendo  provar  mia   ventura: 
Ed   arrostossi  a  le  mura,  a  la   terra, 
E  mandò  a  dir  che  cercava  di   guerra. 

XL 

Aveva  cinquecento  scelti  quello 
De'  mijilior'  eh'  ea;li  ave.-si    nel  suo  campo  : 
Era  montato  in  su 'n  suo  morello 
Nato  d'alfana;    e   menava   gran   vampo, 
Chiamando  l'Amoslanle   tristo  e   fello. 
Direndo  :   Contro   a  me  non   arai  scampo, 
JNè   triefjua  o  pare  o  palli   né  concordia  : 
Ch'  uom  non  se'  degno  di  misericordia. 

XLI 

Erano  usciti   già  certi  Pagani 
De   la   città  col   gigante  a  la  mischia, 
Ma  lutti  gli  straziava  come  cani  : 
A   qual  le  spalle,  a   chi  il    capo  cincischia, 
Colpi  menando  sì  aspri  e  villani, 
Che  per  paura  nessun  più  s'  arrischia 
E  dieci  braccia  accostarsi  a  la  mazza  : 
E  bison;nava  con  sì  fatta  razza. 


Chiarirla  sentì  che  il  Saracino 
A  molti  il   capo   ha  schiacciato    com'  uova, 
E  fa   fuggire  il  suo  popol  meschino  ; 
5^!ibito   Orlando   a   la  prigion  rilruova, 
E  dice  :  A  questa  volta,  paladino, 
Aiutami,  poi  ch'altro  non  mi   giova: 
Sappi  eh'  egli   è  comparito  un   gigante, 
Ch  ammazza  ognun  che  se   gli  para  avante. 

Xtlll 

A  te  ricorro,  come  niio  rifugio, 
Che  non  mi  lasci  in  questi  casi   estremi  : 
E'debbe  avere  un  poco  il   cervel  bugio; 
Cli'ognun  minaccia,  e  1  ciel  non  par  che  temi: 
E"  li   convien   soccorrer  sanza  indugio  ; 
Che  tutto  il  popol  nostro  par   che   triemi  ; 
E  per  paura  ognun   tornato  è  drento  ; 
Che  del  bastone  hanno  avuto  spavento. 

XLIV 

E' n' ha  già  bastonati  centinaia; 
E  trita  lor  le  carni,  i  nervi  e  l'ossa. 
Rispose  Orlando  :   Sempre  ove  a  te  paia, 
La  mia  persona,    Chiariella,  è  mossa  : 
E  so  che  se  m'aspetta  a  la  callaia, 
Vedrai   che  la   tua   gente  fia  riscossa. 
Feresi  1'  arme  trovare  e'I  cavallo  ; 
E  Chiariella  sua  sol  volle  armallo. 

XLV 

E  fere  armare  alquanti  cavalieri  : 
Orlando   disse  volea  poca   gente  : 
Che  lasci   col  gigante   a  lui  i  pensieri. 
Armossi   Chiariella  incontanente, 
E  con   Orlando  montava  a   destrieri, 
Anzi   su  vi   saltò  molto  attamente: 
E'I   suo  fralel,   ch'era   ardito   e   gagliardo, 
N  andò  con  lei,  eh'  avea  nome  Copardo. 


Era  il   gigante   a  la  porta  a  aspettare  : 
Ville  costoro,  e   innanzi   si   facca  ; 
Ma   Cliiarielia,  che  '1  vide   accostare: 
Io   vo' con  esso  provarmi,   dicea: 
Se  (juesla   grazia.   Orlando,  mi   vuoi  fare. 
Orlando  di'  è  contento  rispondea. 
Allor  la   dama   va   inverso  il  Pagano, 
Che  se  n'avvide,  e  prese  un'asta  in  mano. 

XLVII 

Abbassa  la  sua  lancia  Chiariella, 
E  poi   nel  petto  al   gigante  la  spezza; 
Ma  non   si  mosse  punto   de   la  sella 
Per  sua  gran  forza  e  per  la  sua  grandezza, 
E   giunse  ne  lo   scudo  la   donzella 
Con  r  aste  dura  e  con  molla  fierezza, 
E  fecela  cader  fuor  de  V  arcione, 
Che  mollo  spiacque  al  figliuol  di  Milone. 

XLVIII 

Cerante  la  volea  pigliar  pel  braccio, 
E  come  il  lupo  portamela  via. 
Diceva  Orlando  :  Non  gli  dare  impaccio  : 
Se  tu  la  tocchi,  per  la  fede  mia. 
Per  mezzo  il  petto  la  spada  ti  caccio  : 
Oltre,   gaglioffo  pien  di  codardia: 
De  la   tua  gran  viltà,  per  Dio,  m' incresce  ; 
Ed  è  ben  ver  eh'  ogni  trista  erba  cresce. 

XLIX 

Non  li  vergogni  tu  donna  sì  degna 
Volerne  via  portar,  can  peccatore, 
Che  in   tutte  quelle  parti   ove  il   Sol  regna 
Non   è  donzella   degna   di  più  onore  ? 
Né  vo'  che  il  suo  cader  tuo  pregio  legna  ; 
Che  fu  difetto  del  suo  corridore. 
Disse  il  gigante  :  Per  Macon,  eh'  io  sono 
Contento,  e  per  prigione  a  te  la  dono. 

I, 
Orlando  disse  :  Tu  mi  pari  or  saggio  ; 
Che  quel  che  non  puoi  vender,vuoi  don  farne. 
Se  tu  vedessi  costei  nel  visaggio. 
Diresti  :   Cibo  non   è  da   beccarne 
Un  uom  sì  rozzo,  rustico  e  selvaggio  ; 
Ch'io  so  che  i  denti    tuoi  non  son  da  starne. 
Allor  Copardo  addosso  a  quel  si   getta, 
Per  far  de  la  sorella  sua  vendetta. 

LI 

E  l'uno  e  l'altro  ima  lancia  pigliava; 
E   di   ronrordia   insieme  si  sfldaro  ; 
Ma  alfin   Copardo  in   terra  si   trovava  ; 
E   restò  prigionier  sanza  riparo: 
Perchè  Corante  ad  Orlando  parlava  : 
Che  costui  sia  prigion,  tu  intendi  chiaro. 
Così,  per  non  opporsi  a  la  ragione, 
Copardo  n'  andò  preso  al  padiglione. 

LII 

Disse  il  gigante  :   Ed  anco  la  donzella 
E  mia  prigion  ;  ma  non  la  vo'  contendere  ; 
Però  ch'io  la   gitlai  fuor  de  la  sella; 
E  s'io  volessi,  io   te  la  farei  rendere; 
Che  tu  dicesti  eh'  io  ti  donai  quella. 
Per  questo  eh'  io  non  la  potevo  vendere. 
Orlando   disse  :  Sia   come   si  vuole  ; 
Con  r  arme   arai   costei,  non  con  parole. 


M  O  R  G  A  N  T  V:     M  A  G  G  I  O  I\  i: 


Di.tse  il   (>ig.ìntr  :  Disfuialo  fia, 
Da  poi   die   tu  m'  liai   tolto  la  mia  preda ^ 
Poi   mi   miiiarria,    e   «limiiii    villania  : 
E  rrrdi   per    vill.i   le    I.»   conceda? 
Io  t'  Ilo  lionato   per  mia  cortesia 
Questa   don/ella,  e  par  che   tu  noi  creda. 
Orlando   al   suo   cavai    la   briglia    volse, 
Ed  un'  arcala   o  più  del  Cc->tnpo   tolse. 

LIV 

Poi  ritornava  per  dargli   'a  mancia  ; 
E    1  Saracin   con   la   lancia   s'  altbassa  : 
Ma   1  conte   Orlando   gli  pose  a   la  pancia, 
E  '1  petto  e  '1   cuore  e   le  reni   gli   passa  : 
Due  braccia  o  più  riusciva   la   lancia, 
E  parve  allor  rovinassi   ima  massa  ; 
Perchè  Corante  abbandonava  il  freno, 
E  dette  un  vecchio  colpo  in  sul  terreno. 

LV 

Rinalijo  al  padiglione   aveva   detto, 
Quando   Copìirdo  prigion   lu  menalo, 
Ch'  andas.vi    tra  le   squadre   a   suo   diletto. 
Che   gT  increscea  di    tenerlo  legato  : 
E   giurato   gli   avea  per  Macomelto, 
Se   dal   gigante  non   è  liberalo, 
Rappresentarsi  a  ogni  suo   volere  ; 
E   va  pel  campo  veggendo   le  schiere. 

LVI 

In  questo  tempo  la  novella  viene. 
Come  Coranle  caduto  era  morto, 
E  che  passato   è  "1  ferro  per   le  schiene  : 
Ebbe   di  questo  Rinaldo  sconforto, 
E    volle  chi  r  uccise  intender  bene, 
Giurando  vendicar  si  fatto  torto  ; 
E  minacciava,   e  facea  gran  tagliata, 
Comunch' e' fussi  la  Iriegua  spirata. 

LVII 
Copardo   già  pel  campo  aveva  inteso, 
Come  quest"  era  d   Orlando  cugino  ; 
Però  veggendo  Rinaldo  si  acceso, 
Rispose  :   A  me  perdona,  paladino  : 
Per  quel  eh'  i'  ho  da   tua  gente  compreso. 
La  pace  si  farà  con  poco   vino  ; 
Io   t' ho   a   dir  cose   che   ti  piaceranno  ; 
E  ila  silenzio  posto  a  tanto  affanno. 

LVIII 

Sappi  che  quel  eh'  ha  combattuto  teco, 
E   il  conte  Orlando  che  prese  dimora  ; 
E  a   tua  posta  il  menerò  qui  meco 
Per  quello  Dio  che  la  mia   gente  adora. 
Rinaldo,  il  di  che  combattè  con  seco, 
Di  sua  gran  forza  ammirato  era  ancora  ; 
E  cominciossi  tosto  a  ricordare, 
Cb'  altri  eh'  Orlando  noi  poteva  fare. 

E  se  non  fossi  la   sorella  mia, 
Dicea  Copardo,  che  s'è  innamorata 
De  la  sua  fama  e  di  sua  gagliardla. 
Sarebbe  or  la  sua   vita   annichilata, 
Perchè  il  mio  padre  ncm  lo  conoscla  ; 
Ma  poi  che  vide  la   terra  assediata. 
Gli   dette  Chiariella  per  rimedio 
Di  liberarlo,  per  levar  1'  assedio. 


Ma  per  y)aura   lo    tien   del    Soldano, 
]-'.    non    gli    dà    di   partirsi    licen/ia  : 
Ma    tu   sc'(|ui    or   con    armata   mano; 
Io    ti    darò    la   città    in    tua   potenzia  ; 
Tanto   m'  incresce   di    tal   caso    strano 
D'un   uom   si   degno   e  di   tanta  ecccllenzia; 
Ea   mia    sorella    tanto    amor   gli    porta, 
Ch   a    tradimento   dareniti    un    porta. 

I.XI 

Rinaldo  eh' avea   già   legalo   il   core 
Per  gran   dolcezza,   abbracciava   Co|)ardo, 
E   disse:    Io   sento   già  tanto   fervore 
Del   mio  cugin,  che    tutto   nel  petto  ardo  ; 
So  che   tu  parli   con  perfetto  amore, 
Se   bene   a   le  parole   tue  riguardo  ; 
E   Chiariella  per   la  fede  mia 
Si   loderà  de  la  sua  cortesia. 

LXII 

Al  mio  parer,  ritorna   a   la   citiate, 
E   di   con   Chiariella  questo  fatto  : 
Quando  fia   tempo  poi   me  n'  avvisate, 
Ch'  io  so  che   riuscir  ci   debbe    il    tratto  : 
Ch'  io  mi   confido   ne  la   tua   bontate 
Sanza   far   teco  altra   convegna   o  patio. 
E   dettegli  il  cavallo  e   1'  armi   sue  ; 
£  presto  al  padre  suo  dinanzi  lue. 

LXIII 

L'Amostante  dicea  :   Chi   t'  ha  mandato  ? 
Copardo  dice:   Da  me  son  fuggilo. 
Rispose   l'Amostante  :  Tu   hai  fallato  : 
Poi   disse  :   Forse  è  pur  miglior  parlilo, 
Che  non   t'  avessi   un   giorno  là  impiccato. 
Copardo   a   Chiariella  sua  n'  è  ilo  ; 
E  ogni   cosa  ragionorno  insieme  ; 
E  la  fanciulla  d'  allegrezza  geme. 

LXIV 

Erasi   Orlando   tornato  in  prigione 
Quel   di   eh'  al   campo   avea  moi  lo  (-orante: 
La   damigella  fé'  conclusione 
Di    tradir  la  sua  patria   e   l'Amostante, 
E  rinnegar  con  questo  anco  Macone  ^ 
Or  vedi  questo  amor  quanto  è  costante  1 
Lasciò   Copardo,    e   vassene  ad   Orlando, 
Che  si  vivea  a  1'  usato  sospirando. 

LXV 

E  disse  :  Che  diresti   tu,  barone, 
Se  fossi   il   tuo   Rinaldo  qua  venuto. 
Per  liberarli   e  trarli   di  prigione: 
E  se   tu   avessi   con   lui   comballulo, 
E  mortogli   già  sotto  il  suo  rondone, 
Acciò  che  non  ti  possi  dare  aiuto  ? 
Non  sarebbe  ragion  lu  confessassi 
Essere  ingrato  a  chi  ne  domandassi  ? 


Or  oltre  io   ti   vo'  dir  presto  ogni  cosa, 
E   darti   una  novella  che  fia   buona, 
Ch'io   veggo  la   tua  vita   assai   dogliosa: 
Sappi,  che  1   tuo   Rinaldo   e"  è  in  persona 
Per  trarli   di  prigion  si  tenebrosa, 
(^ome  colui   che   l   grande  amore  sprona  : 
Per  questo  a  l'Amostanle  ha  mosso  guerra, 
E   per   tuo  amor  si   combalte  la   tt*rra. 


'4 


IM  0  I\  O  A  N  T  E     MAGGIORE 


U 


213 


rxvii 
Copardo   è   lilornalo,   »•   ilollo   Iia   questo; 
E  perch'io   t'ho   donalo  il  uno  amor   tulio, 
L'anima   e 'I  cuore,   e   s'allro  c'è   di   re.slo, 
M'  accordo  che  mio  padre   sia   dislrullo, 
E   dare   al   tuo   civ^m   la   città  presto. 
Acciò  che   del   mio  amor  tu  vef;}r;a  il  frutto; 
Che   non    ti   pasca  più   di   foglie  e  fiori, 
E  elle   tu  esca  oniai   di   career  fuori. 

LXVIII 

Orlando,  quando   inlese   Chiariclla, 
Rispose  :   Io   credo   tu  fussi  mandala 
Il  primo   dì   «lai   cielo   un'  anjriolella, 
CIj'  a   la  prigion  mi   li  fussi  mostrala  ; 
E   se'  sempre  poi   stata  la  mia  stella, 
E   la  mia   calamita  a   le   voltata; 
Qual   merito,  qual   falò   vuol   ch'io   sia 
In   grazia   tanto  a  Chiariella  mia  ? 

LXIX 

Io   ti   dono  le  chiavi   in  sempiterno 
De   la   mia   vita  ,   lien    tu  il  core  e  1'  alma  ; 
lo   vo  che  1  nostro  amor  si  facci   eterno  ; 
Tu   se'  colei   che  1'  ulivo  e   la  palma 
M'  arrechi,   e   che  mi   cavi   de  lo  inferno, 
E  la   tempesta  mia  converti  in  calma. 
E   non   potè  più  oltre   Orlando  dire, 
Tanta   dolcezza   gli  parea   sentire. 

i.xx 
Cliiarlella   a   Copardo  ritornava, 
E   ordinò  che   la  notte   sep;uente 
Rinaldo  venaa  ,   ed   Orlando  cavava 
Di  fuor   de   la   prigion   segretamente  ; 
Ed   a   Rinaldo   un  messaggio  mandava  ; 
E   scrisse   che  venisse   arditamente; 
E  soggiugnea  queste  parole  appresso  : 
Giunta  la  letlra,  sia  impiccalo  il  messo. 

LXXl 

Rinaldo,  eh' a  quest'opera  era  allento. 
Aveva  in  punto  già  le    genti   armale  : 
La  lettera  ubbidiva  a   compimento: 
Al  messo  sue  vivande  ebbe  ordinate  ; 
E  fecegli   de'  calci   dare  al   vento  ; 
Poi   se  ne  andò   a   la  porla   a   la  citiate  ; 
Quivi   trovava   insieme   armali  in   sella 
Copardo  con    Orlando   e   Chiariella. 

r.xxii 
Preso  la  porta,  levorno  il  romore  : 
A    sacco  a  sacco,  a    la  morie  a   la  morte, 
E  muoia  l'Amostante  traditore, 
E   i   suoi   seguaci,   e  tutta  la   sua   corte  : 
Il  popol   si   desiò   tutto  a  furore  : 
Vide  i   nemici   già   drenlo  a  le  porte: 
E   chi  fuggiva,   e  chi  per  arme  è  corso. 
Chi   si   nasconde  e  chi  chiama  soccorso. 

r.xxiii 
L'Amostante  si   desta  spaventato, 
E   sente   tanta   gente  e   tante  grida  : 
Subilo  alcun    de' servi   ha   domandato: 
Che   vuol  dir  questo  clie  1  popolo  strida  ? 
II   me'  che  può  si   lieva,   e  fussi   armalo, 
E   corre  come  cieco  sanza   guida  ; 
E  non  sapea  lui  slesso  ove  e' si  vada, 
Ch'  aeva  snìarrila   la   mente  e  la  strada. 


i.xxiv 
Pur   s'avviava   ove   e'sentia   gran   zuffa, 
E  risconlrossi   a])punlo   in   Ulivieri, 
C/h'  era   nel   mezzo   di   quella   baruffa  ; 
E   de   la  spada   gli   dette  al   cimieri. 
Tanto  che  '1   colpo  ne   lieva   la  muffa. 
Ma   non  potè  piegarlo   in  sul  destrieri: 
Ulivier  lo  conobbe    incontanente, 
E   trasse   de   la   spada   un   gran  fendente. 

i.xxv 
Un  cappelletto   avea   di   cuoio   colto 
L'Amostante    la   notte  in   tesla  messo  ; 
Ma   Ulivier  lo  passava   di   sotto  ; 
E   \   capo   e   1   collo  al   Saracino   ha  fesso  ; 
E  fecelo  d'  arcion   giù  dare   il   bollo  : 
La    gente  si  fuggi   che   gli   era   apj)rfSso 
Piena   di   doglie   e   terrore   e  sconforto, 
Si  come   avvien  quando  il  signore  è  morto* 

LXXVl 

Rinaldo  avea  veduto  cader  quello  : 
Benedetta   li  sia,   gridò,  la  mano  : 
Ch'  a  quel  cagnaccio  partisti   il   cervello  : 
Tu  se'  pur  de'  baron'  di   Cario  Mano. 
Or  qui   comincia   avviarsi   il  macello. 
Era  venuto  un    gigante  pagano, 
Che   si  chiamava   il  feroce   Grandono, 
E  gettasi   tra  questi   in   abbandono. 

LXXVII 

Ulivier  riscontrò  quel  maladetlo, 
E   trasselo  per  forza  da  cavallo, 
Però  ch'ai   colpo  suo  non   ebbe  retto; 
Poi    si   gillava  in  mezzo  a  questo   ballo  ; 
E  perchè  il  popol  molto  è  insieme  stretto, 
Colpo   non  mena  che   giugnessi   in  fallo: 
E  spesso   dava  anch'  a'  suoi  di   gran   bolle. 
Che    d'  error  pieno  è  il  furore  e  la  notte. 

tXXVITI 

E  mentre  che  1   gigante  pur  combatte. 
Vi  sopraggiunse  a   caso  Luciana  : 
Ma  quel   Grandon,   com'  a  costei  s'  abbatte, 
Gli   dette  una  percossa  assai  villana  ; 
Però  che  le  piccliiate  sue  son  malte  ^ 
E  finalmente  in  terra   giù  la   spiana, 
E   non   sentla  mai   più  né  gel   né  calda; 
Se  non   che  corse  a  quel  furor  Rinaldo, 

LXXIX 

E  ripose  a  cavai  questa   e  1   Marchese  ; 
E   domandò   chi   1'  aveva  abbattuto. 
Disse  Ulivieri  :  In   terra  mi   distese 
Un  gran  gigante,   e  poi  non    l'ho  veduto. 
Mentre   che  sono  in  si  falle  conlese, 
Orlando   a  Ricciardetto  s'  è   abbattuto  ; 
E  perchè  e'  noi   conobbe   ne  la   stretta 
Lui   e  '1   cavai   d'  un  colpo  in   terra  getta. 

i.xxx 
E  poi   trovò  Terigi   suo  scudiere, 
E  sopra  l'elmo   gli   appiccava  il  brando 
Per  modo   che  rovina   del   destriere. 
Benché  l'elmetto  non   venga  spezzando. 
Quando  Terigi   si   vide   cadere, 
Dicea  fra  sé  :   Dove   se'  tu.   Orlando  ? 
Che  stu   ci  fussi,  i'  non   sarei   cascalo, 
O  pur  cadendo,  io   sarei   vendicalo. 


M  O  R  G  A  N  r  i:     M  A  G  i\  I  0  f\  i: 


I  XXXI 

Orlando   il   rironoLbr   a   \e  parnir  : 
Di&moiitò  prrslo,   «r   rllip^t•pli   pfrcJono, 
Dicrtitlo  :    Del    lui>   caso   usai   mi   duole  ; 
Ma   che    tu   monti    in   sella  sarà   buono  : 
Cosi   sempre   la    noi  te    avvenir   suole, 
Diceva   Orlando  ;   Or  pli   altri   dove  sono  ? 
Aresti    tu   vetlulo  Rirriardrtlo, 
O  Ulivier,  cir  io   ho   di   lor  sospetto? 

I,\X.\1I 

Di>se   Teri^i  :    L'Iivier   vidi    diau/i, 
Che   cacciava    una    turba    di    Paviani  ; 
Ma   Ricciardetto  è  in   terra   qui   dinanzi, 
£   stato  sarai  tu  con   le   tue  mani  ; 
Credo  che  poco   di   vita   gli  avanzi  : 
Morto  r  aranno  questi   cani   alani. 
Orlando  guarda,   e  Ricciardetto   vede 
Che  si  difende  con   la  spada  a  piede. 

Lxxxni 
E   grida:   Ah   Ricciardetto,  hai  tu   paura'. 
Orlando   è   teto  ;   tu   non   puoi  perire. 
Che   sai   eh*  io   t'  Ito  fatata  li   \eutura  : 
Quel   che   t'  ha  fatto   de   la   sella  uscire, 
E  stato  un  gran   tuo   amico,  o  tua  sciagura. 
Quando   Ricciardo  senti  cosi   dire. 
Disse  :   Per  certo  io  mi   maravigliai. 
Che   con   un  colpo  io   e  "1  cavai  cascai. 

LXXXIV 

E  dissi  fra  me  stesso  :   Ecci  Pagano, 
II   qual   dovessi   aver   tanto   valore  1 
Allora  Orlando  strigne   il   brando  in  mano, 
E   gettasi   là  in  mezzo   del  furore, 
E   grida  :   Ah   traditor  popol  villano. 
Con  on  soletto   acquistar   credi   onore  '. 
A   drieto,  Saracin"  canaglia,  porci. 
Che   Ricciardetto  mio  credete   torci. 

i.xxxv 
E   Ricciardetto   in  sul  cavai   rimonta; 
E    di  Rinaldo   cercau  per   la   terra  ; 
Tanto  che   Orlando   e  Rinaldo  s   afTronla, 
E   cominciorno   a  rinforzar  la   guerra  : 
E   Chiariella   i   suoi   peccati   sconta. 
Che  spesse  volte  si   truova   a   gran  serra: 
E   con  fatica  ha   salvata   la   vita. 
Che  da  Copardo  e  gli  altri  era  smarrita. 

LXXXVI 

Combatteron  costor  tutta  la  notte: 
Ma   i   terrazzani   al  fin   domandoo  patti, 
Cii"  avien  le  membra  faticate   e  rotte, 
E   dubitavan  non   esser  disfatti: 
Era  tra  lor   de  le  persone   dotte  : 
Posou   giù  l'arme  con  qnesti   contralti: 
Che  la   città  sia  lor  liberamente, 
Salvando  tutta  la  roba  e  la  gente. 

LXXXVII 

Era   a])parito   in   oriente  il   giorno  : 
E   Chiariella   a  Rinaldo  ne  viene, 
E  si   diceva  :   Cavaliere   adorno. 
Le  cose  veggo  ornai   che  vanno  bene  : 
E   tutti   insieme  al   gran  palazzo   andorno  : 
Rinaldo  per  la  man    Copardo   tiene, 
E  molle   cose   con   esso  favella  : 
Orlando   sempre  alalo   ha   Chiariella. 


I.XXXVIII 

Venncvi   il  popol   tulio  la  mattina 
A    visitar  co.-lor  come  signori. 
Rinaldo   parla   con   inulta   dottrina  : 
O   (iliiariclla,  quanto  nt   innamori  ! 
Di   (|uesta   terra   vo"  che  sia   reina 
Ve    brnelicj    e   i    servigi    e    gli    onori, 
Per   non   parer  per   nes>un   modo    ingrato  ; 
E  1   tuo   Copardo  re   sia   coronato. 

I.XXMX 

E  fé*  de  l'Amo-^tante  ritrovare 
Il   corpo,   e   p(Ji   gli   dette   sepoltura 
E   tulla    la   città   fece   ordinare. 
Orlando   d*  ogni   cosa  gli   die  cura, 
E  sia  con   Chiariella   a  molleggiare. 
Quando   cavalca  iuìin  fuor   de   le  mura  ; 
E   ogni   dì  se  ne   vanno   a   sollazzo, 
Rinaldo   governava  nel  palazzo. 

xc 
Or  ci   convien   lasciar  costoro   un   poco. 
Il  Soldati   si   tornava   a  Babillona, 
Fatta   la   pace,  e  messo   Orlando   in  loco. 
Che  peuM»  che  lasciasAÌ   la  persona  : 
Senti   com'era   acceso   un   altro  foco, 
E   come   gli    era  morta   la   corona 
De   lAniostanle,   e  presa   la  sua   terra  ; 
E   cominciava   a   dubitar  di    guerra. 

xci 
In   drieto   verso  Persia   ritornava 
Col   campo   lutto  per  miglior  partilo, 
E   presso  a  poche  leghe  s  accampava  ; 
E  ntese   meglio   il  caso   com'era  ito: 
Un   suo  messaggio  a  la  città  mandava, 
E   duolsi   1  Amostanle  sia  perito  : 
Ma  che   comunelle  la   cosa   si  sia, 
Che  s*  appartiene   a   lui   la  signoria. 

xcu 
E  se  Rinaldo   la   terra   non   lascia. 
Che  s'  apparecchi   di   difender  quella, 
Se  non  che  gli  darà  di  molla  ambascia  : 
E   troppo  biasimava   Chiariella, 
Che  come  meretrice,  anzi  bagascia 
D'  Orlando,  il   tradimento  avea  fall*  ella  : 
Ed   era   un   barbassor  molto   stimalo 
Colui  che  imbasciadore  avea  mandato. 


Giunse  al  palazzo,  ove  ciascun  dimora, 
Il  barbas^oro,   espose  la  mbasciata  : 
Quel  Macometlo,  ci»e  per  noi   s'  adora, 
Distrugga  questa   gente  battezzata  : 
E  1  mio  signor  eh'  è  nel  campo  di  fuora, 
E  la  sua  figlia  eh*  ha  1"  arme  incantata. 
Famosa  e  forte   che  si  chiama  Antea, 
Salvi  e  mantenga:   in  tal  modo  dicea. 

xciv 
E   guardi   e  salvi  ciascun  Saracino  ; 
E  spezialmente  que' del   gran   Soluano  : 
E    viva  Trivigante  ed   Apolllino  ; 
E   sia  distrutto  ogni   fedel  Cristiano  ; 
E   sopra   tulli    Orlando  paladiuo, 
E   I  superbo  signor   di   Moutalbano, 
Astolfo   col   Danese   e   Ulivieri, 
E   Carlo  e  Francia  e   tutti  i   cavalieri. 


]M  0  l\  (;  \  N  T  K     M  A  Cx  G  I  O  R  F. 


Hinnldo    non    pol<'   piti    lnnl<»   orpoplio 
J«()irorir   tJfl    paj;an    l»i'sliale   e    inaMo, 
('.Ite  par  rlie   pli   alilii    trovali    tra   1'  oplio. 
Disse  ad  Orlando:    Io   vo'fare  mi  bel  IrAtlo, 
Oirio   so  pnnire   i   pazzi   qiiaud' io   V(>{!;lio  : 
Vedrem   come   a  saltar  cosini   sia   adallo, 
E   com'  egli   abbi    la  persona   destra  : 
E  'n  piazza   lo  gillò  d"  una  Gneslra. 

xc.yì 
La  novella   al   Soldan   n'andò  di    volo: 
Onde  il   Soldan  si   dtiol  molto   aspramente, 
E  minacciava   appareccliiar  Io  sluol(>, 
E  la  città   assediar  con  molla   gente. 
"Veggendol   la   stia'  figlia   in   lauto   dnolo, 
Diceva  :  La  ragion   ti   r^co  a   mente. 
Glie  non   dovea  però  il   tuo  barbassoro 
Parlar  come  si  dice   in  coneisloro. 

xcvii 
Per  quel  eli' io  intendo,  e' disse  cose  strane: 
Se  y^io'ì  clie  la  'mbasciata  da   Ina  parte 
Udita  sia  da   le   genti   cristiane. 
Non   ti   b^ogna  altro  messaggio  o  carte  : 
Lascia   andar  me,  che  con  ]>arole   umane 
Dir»)  con   miglior  modo   e  miglior  arte  ; 
E  so   eh'  io   tornerò  con   la   risposta. 
Donde  il  Soldan  rispose  :  Va  a   tua  posta. 

XCVIIl 

Qnesta  fanciulla   udito  avea  per  fama 
Rinaldo  nominar  molto   in   Sor-ia  ; 
E  perchè  le  virtù  mollo  quella   ama, 
S'innamorò  de   la  sua   gagliardia. 
Or  s'  alcun   vuol   saper  come   si   chiama, 
Quantunque   il  barbassor  dello  l'aria, 
Repliclierem  ch'ella   avea  nome   Antea, 
E   tutte  sue  bellezze  eran  di   Dea. 

iiax 
E  parevan   di  Dafne  i  suoi  crin  d'  oro  ; 
Ella  pareva   Venere  nel   volto  : 
Gli   ocelli   stelle  eran   de   l'eterno  coro; 
Del  naso  avea   a  Giunon  l'  esempio   tolto  : 
La  bocca   e  i  denti   d'  un   celeste   avoro  : 
E  '1  mento  tondo  e  fesso  e  ben  raccolto  : 
La  bianca   gola,  e  1'  una  e   1'  altra  spalla 
Si  crederla  che  tolto  avesse  a  Palla: 


E  svelte  e  destre  e  spedita  le  braccia 
Aveva  lunga   e  candida  la  mana 
Da  potere  sbarrar  ben  1'  arco  a   caccia, 
Tanto  che  in   questo  somiglia  Diana: 
Dunqu»  ogni   cosa  par  che  si  coniacela: 
Dunque  non   era  questa   donna  umana: 
Nel  petto  larga,  quanto   vuol  misura, 
Proserpina  parea  ne  la  cintura. 

CI 

E  Dejopeja  pareva   ne'  fianchi, 
Da  portare  il    turcasso  e  le  quadrelle  ; 
Mostrava   solo  i  pie  piccoli   e   bianchi  : 
Pensa   che  l'altre  parli  anco  eran   belle. 
Tanto,   che  nulla   cosa  a  costei  manchi  : 
A  questo  modo  fatte  son  le  stelle  : 
E  vadinsi   le  ninfe  a  ripor  ti»tte, 
Che  certo  allato  a  quesita  sarian  bruite. 


Avea   certi   atti   dolci   e   certi   risi, 
Certi   soavi   e   leggiadri   costiinii 
Da    fare   spalancar   sei    paradisi, 
1'^   correr  su   jie' monti   a  l'erta  i  fiumi, 
Da    fare   innamorar  cento   Narcisi, 
Non   che   Gioseppe  per   lei   si   consumi  ; 
Parca   ne'  passi  e   I'  abito  Rachele  : 
Le  sue  parole  eran  zucchero  e  mele. 

CHI 
Era  tutta  cortese,  era   gentile, 
Onesta,  savia,  pura  e   vergognosa, 
Ne   le  promesse  sue   sempre   virile  : 
Alcuna   volta   un  poco   disdegnosa 
Con    un   atto  magnalmo  e  signorile  : 
Ch'  era   di  sangue   e  di  cor  generosa  : 
Eron   tante   virtù   raccolte   in   lei, 
Che  più  non  è  nel  mondo  o  fra  gli  Dei. 

civ 
Sapeva  tutte  l'arti   liberali: 
Portava   spesso   il   falcon  pellegrino: 
Feriva   a   caccia   lioni   e   cinghiali  : 
Quando  cavalca   un  pulito   ronzino, 
E  correr  noi  facea,  ma   metter  ali  : 
Da  ogni  man    lo   volgeva  latino  : 
E  nel   voltar  chi   vedeva   da  parte, 
Are' giuralo  poi  clie  fussi  Marl«. 

cv 
Questo  cavallo  al  Soldan  fu  mandato, 
Che   gliel  mandò  l'Arcailo  Almansore 
Di   Barberia,   e   in   Arabia   era  nato  ; 
Né  mai   si   vide  il  più  bel  corridore  : 
Il  padre  a  questa    T  aveva  donato. 
Però  che  molto  l'aveva  nel  core: 
Tra  falago  e  sdonniHO  era  il  mantellu  ;     " 
Né  vedrà  mai  Sona  slmile  a  quello. 

evi 
Egli   avea   tutte  le  fattezze  pronte 
Di   buon  cavai,  come   udirete   appresso-; 
Perchè  nato   non   sia  di   Chiaramonle  : 
Picf^ola   testa,   e  in  bocca  molto  fesso: 
Un  occhio  vivo,  una  rosetta  in  fronte. 
Lunghe  le  nari,  e '1  labbro  arriccia   spesso; 
Corto  l'orecchio,  e  lungo  e  forte  il  collo; 
Leggier  sì,  eh' a  la  man  non  dava  un  crollo. 

CVII 

Ma  ima  cosa  noi  faceva  brutto  : 
Ch'egli   era  largo  tre  palmi  nel  petto; 
Corto  di  schiena,  e  ben  quartato  tutto  ; 
Grosse  le   gambe,  e  d'ogni  cosa  netto; 
Corte  le  giunte,  e'I  pie  largo,  alto,  asciutto; 
E  molto  lieto  e"  grato  ne   l'aspetto; 
Serra  la   coda,  e  anitrisce  e  raspa  ; 
Sempre  le  zampe  palleggiava  e  inaspa. 

CVIII 

Il  primo  di  che  Antea  volle  provallo. 
Fé'  cosa  in   Babilonia  in  su  la  piazza, 
Che  fu   troppo  mirabil  sanza  fallo. 
Quand'  ella  vide  così   buona  razza, 
E  le  virtù  del  possente  cavallo, 
Veiinegli   voglia   portar  la  corazza  ; 
E  da  quel   tempo   cominciò  armarsi, 
E  in  giostre  e 'n   lorniamenti  a  sprimentarsi. 


iNl  0  I\  (;  A  N  T  E      MAGGIO  W  E 


Poi  cominriò  in  liatta{:lia  an<iare  annata^ 
Come   Caniniilla   o   la    Pciilfsilfa  : 
E   la   sua   .irmaiiiira   era   incantata, 
Che   nessun    ferro   tagliar  ne   potea  : 
Kra   iu    Damasro   stata    lavorata, 
Fornita   d  oro,  e  piii   clic  "I    Sol    Iticea  : 
1-   quandi   ravalier"  piostran   con   quella, 
Tanti    giltati   avea  fuor   de   i^   sella. 

ex 
Eran   venuti    di    tulio  Levante, 
Di   Persia,  e  di  Fenicia,  e   de  lo  Egitto  ; 
E    alcun   cavalier   famoso   errante  ; 
Ognuno   aveva   abbattuto   e   sconiìtlo  : 
Nessim   barun  più   gli    veniva    avante. 
Che    con   la   lancia   non   lo  facci   al   gitto; 
E   nsino   al   ciel    la   fama  risonava  ; 
E  Babilluoa   e  '1  Soldan  V  adorava. 


E   maraviglia   non   è   che   l' adori, 
Cir  i>j;ui   suo   effetto  pareva   disino, 
Al    tutto   de   r  uman   rostimie   fuori  : 
Massime   là   quel   popol    Saracino, 
Ch'era   già   avvezzo   a   mille   antichi   errori, 
Come   si   legge   di   Belo   e   di   Nino  : 
Donde  e'  credevon    cerio,   che   costei 
Fussi   nata   del  seme  de  gli  Dei. 

CXII 

E' si  potre' mille  altre  cose  ancora 
De    le   virtù   di   questa   donAa   dire; 
Ma  percir  e' fugge  il   tempo,  e   cosi  Torà, 
La   nostra   storia   ci    convien   seguire  : 
E   se   talvolta   un  bel  canto  innamora, 
Pure  alfin  piace  nuove  cose   udire  : 
Così  direm   nel  bel   cantar  seguente, 
Acciò   che  a   tutti   consoli   la  mente. 


CA?hTO    xyi 


ARGOMENTO 


^^©«H^ 


r     iene  a  Rinaldo  Anica^  perchè  suo  padre 
I^.^ercdità  delVAinostante  chiede  ; 
Ainaldo   adocchia   le  forme   leggiadre 
Di   tal  donzella,  e  più  lume  non  vede. 
Con  tre   campion  delle  contrarie,  squadre 
Anteo  combatte,  e   un  solo  a  lei  non  cede. 
Rinaldo   e   Orlando,  partito   il  Soldano, 
Si  trot'an   ira  i  giganti  a  un  caso  strano. 


•'>^t^^ 


O 


gloriosa   figlia  di  Davitle, 
Ch'  ogni  emisperio   allumi    e  1   ciel   fai  bello. 
Per  cui  salvate  fur  tante   alme  alflitte 
Quel  dì   che   ti   disse  Ave   Gabriello  ; 
Insino  a  qui   son   nostre  storie  pitie 
Col   tuo  color,   tua   arie  e   tuo  pennello  ; 
Con  la  tua  grazia  abbiam  passato  il  mezzo.; 
Non  lasciar  la  mia  mente  al  buio  e  al  rezzo. 


Pareva  a  Anlea  mill"  anni   di  vedere 
Rinaldo   e  Ulivieri   e    I   conte   Orlando, 
E   Ricciardetto   si  buon   cavaliere, 
E    tutlavolla   si   viene   assettando: 


De  la   sua  gente  ordinava   tre  schiere 
Forniti   d°  arme  e  di   lancia  e   di  brando  ; 
E   dal    Soldan   facea   la   dipartita  : 
E  finalmente  in  Persia  ne  fu  ita. 

Ili 
Né  prima   giunse  in  su  la  piazza  questa, 
Ch'una  lancia  pigliò  con   gran  fierezza  : 
Mosse  il  cavallo^  e  poi   la  pose  in  resta, 
Ruppela  in   terra  con   gran  gentilezza; 
E  mentre   che  "1  cavai  furia  e   tempesta, 
Volselo  in  aria  con  tanta   destrezza, 
Che  non  lo   volse  mai   sì  destro  Ettorre  ; 
E  1  popolo  a  furor  là  a  veder  corre. 

IV 

Rinaldo,  che   vedea   da  la  finestra, 
Maravigliossi   troppo    di   quell'atlo, 
E   disse  :  Donna  mai   vidi   sì  destra. 
Né   cosa  più  mirabil    eh*  ella   ha  fallo  : 
Questa  e  pur  d'  ogni  cosa  la  maestra. 
Orlando  ne  pareva  stupefallo: 
E  vanno   tutti   incontro   a  la  donzella; 
Ed  evvi  Luciana  e  Chiariella. 

V 

E   giunti  appresso  a  la  gentil  Pagana, 
Ognun  la  salutò  con  grand"  onore  : 
Ella  rispose  in  lingua  soriana 
Cose,   che   tnlti   infiammava   nel   core  : 
E   in   mezzo   a    Chiariella  e  Luciana 
Menala   fu   nel  palazzo   maggiore, 
E   in    una  ricca   sedia   a   seder  posta  : 
Poi  fece   in  questo  modo  la  proposta. 


M  O  1\  (i  A  N  T  E      IM  A  G  (;  1  O  II  E 


Quel  primo  Dio  che  fere  e   cielo  e   terra, 
E   la  naliira  e  stelle   e  sole   e  luna, 
Ed   a  stia  posta  V  abisso   apre   e  serra, 
E   fa,  quando   e'  vuol   1"  aria   eliiara   e  bruna, 
E   ci»'  è  pietoso   e   {ì;ÌmsIo,   e   mai   non   erra, 
fienchè  ciascun   por   <^ridi    a    la   fortuna  ; 
Salvi   e  manlenita   il  mio  padre   Soldano, 
E  1  buuH  Kinaldo  e  '1   Senalur  romano, 

VII 

E   Uliver,  Ricciardetto  e  Terijìi, 
E   s' alcun   c'è   de   la    vostra   brij;ata, 
E   Carlo  imperadore   e   san   Dionis;!'. 
La   ca»;ion  eli'  il    Soldan  m'ha  qui  mandala. 
Non  è  per  ricercar   guerra  o   litigi  ; 
Ma  credo 'ndoviniate  la 'mbasciata  : 
Altro  non   vuol  che  quel  che   vuol  ragione, 
E  conservar  la  sua  giurisdizione. 

vili 
Questa  città  con   1'  altre   tutte  quante 
Dui  corno  qua  di  Persia  e  di   Sorla, 
E  di  tutto  il  paese  di  Levante, 
Son  sottoposte   a  nostra  monarchia  : 
Però  poi   eh'  egli    è  morto  l'Amostante, 
Ritorna  al  padre  mio  la  signoria: 
Questo  si   dice,   e   questo   chiar'si  mostra, 
Che'n  ogni  modo  questa  terra  è  nostra. 

IX 

Né  credo  che  voi  siale  in  quest'errore 
Di   non  sapere   a  cui  ricade  il  regno  : 
Ma   ogni   cosa  il  roman  senatore 
Ha  fatto  per  vendetta  e  per  isdegno  ; 
Il  quale  ha   tanta  forza  in  nobii   core. 
Che  fa   de   la  ragion  passare  il  segno  : 
E  così  fé'  il  Soldan  (nota,  Rinaldo) 
Per  isdegno  anco  lui  di  Marcovaldo. 

X 

Se  voi  volete  lasciar  la  cittade 
Sanza  quislion,   contento   è  il  padre  mio, 
E  ritornar  ne  le   vostre   contrade  : 
Se  questo  non  farete,  sia  con  Dio  : 
Noi  proverem  se   taglian  nostre  spade, 
E  così  da  sua  parte  vi   dich'io  ; 
E   vengo   a  protestarvi   nuova   guerra, 
Se  non  ci  date  libera  la  terra. 

XI 

Poche  parole  a  chi  m'intende  basti; 
E  poi   soggiunse:   O  misero   Copardo, 
O   Chiariella  mia,  quanto  fallasti! 
O   giudizio   del  ciel,   tu   vien   sì   tardo? 
Ma  licito   ti   sia;    poi   che  cavasti, 
Se  ben   col  mio   giudizio  retto   guardo, 
Di  luoghi  tenebrosi,  oscuri   e  bui 
Sì   gentil  cavalier  quanto   è  costui. 

XII 

E   volsesi  ad  Orlando  con   un  riso, 
Con   un   atto  benigno   e   con   parole, 
Cile  si   vedeva  aperto  il   paradiso. 
Che  si  fermò  a   udir  la  luna  e  '1   sole. 
Ma  Chiariella   diventò  nel   viso 
Del    color   de   le   mammole   viole  : 
Così   Copardo;   e   gli   occhi   giù  abbassorno; 
Che  del  peccalo  lor  si  ricordorno. 


_ 


vSogni  più  oltre  Antea:  Ciò  ch'io  vi  ho  detto, 
sE  quel   die  'I  jiadre  mio   da  voi  sol  brama; 
Or   vi    dirò   quel    eh'  io   serbo   nel   petto  : 
E   questo  il   cavalier  eli'  ha   tanta  fama, 
La   (|ual   già  non   asconde   il   suo   cospetto? 
Se'  tu   colui   che    lutto   il   mondo   chiama 
Il   miglior  paladin   che   abbassi   lancia, 
Onore  e  gloria  di   Carlo  e   di  Francia  ? 

XIV 

Se'  tu,   Rinaldo  mio,  famoso  e  bello  ?  yt^J 
Se' tu  colui   che    li   stai   in   su  quel  monte? 
Se'  tu   d'  Orlando  suo   cugin  fratello  ? 
Se' tu  quel   de  le   gesta   di   Chiarmonte  ? 
Se'  tu  colui   che   uccise   Chiariello  ? 
Se'  tu  quel   eh'  ammazzasti  Rrunamonte  ? 
Se'  tu  il   nimico  di   Gan   di   Maganza  ? 
Se'  tu  colui  eh'  ogni  altro  al  mondo  avanza? 

XV 

Rinaldo  sono,  o  gentil  damigella, 
Come   tu  conti,  e  di  quel  parentado. 
Disse  la   dama  :  Di   te  si   favella 
Per   tutto   r  universo  5   e   ciò  ni' è  a   grado; 
Salvo   eh'  alcun   te   mancatore   appella 
Di    gentilezza:   eh' udito- hai    dì   rado 
A  imbasciador  già  mai  far  villania, 
Coiiuinch' e' parli,   o  qualunque  e' si   sia. 

XVI 

Tu  uccidesti   il   nostro   imbasciadore  ; 
Io  non  vo' giudicar  chi  s'abbia  il   torto; 
Se  non  che  mi  dispiace  per  tuo  onore, 
E  per   onor  di  me  :  poi   eh'  egli   è  morto, 
Sendo  mandato   da  sì   gran  signore. 
Di   far  di  lui   vendetta  mi  conforto; 
Né  sanza   giostra   in  drielo   vo' tornarmi  ; 
Cosi  ti  sfido,  e  prenderai  tue  armi. 

XVII 

Se  tu  m'abbatti  per  tuo  valimenlo, 
Ogni   cosa  sia   tuo  che  tu  hai  acquistato, 
E   so  che  "1  padre  mio  sarà  contento  : 
Ma  s'  io   t'  arò   del   tuo   cavai   gittato. 
Io  vo' che   i  tuoi  stendardi  spieghi  al  vento, 
E   con   tua   gente  in  Francia  sia   tornalo  ; 
E  che  tu  lasci   in  pace  i  nostri  regni  ; 
E  contro   al  padre  mio  mai  più  non  vegni. 

XVIII 

Rinaldo  disse   a   la  donna  famosa: 
Percir  io  non   paia   né  muto  né  sordo. 
Ciò   che   tu   liai   detto   nel  petto  ogni   cosa 
Drenlo  scolpito   ho.    ch'io  me   ne  ricordo: 
Ma   tu  facesti   a,  la  fine  tal   chiosa. 
Che  fa  che   d'ogni   cosa  siam  d'accordo: 
Non   e'  é  più   giusta  cosa  che  la  spada 
A  assolver  nostra  lite  :  e  così  vada. 


Ma   una  grazia  ppima  lì   domando, 
Che  con    la   spada   al   campo  ci    troviamo, 
Così   li   priega   il   mio   cugin   Orlando, 
Che  insieme  questo   giorno   dimoriamo, 
Ch'  io  sento  il  cor  ferito  ;   e  non   so  quando 

10  fussi   da   te  preso,    o  con   che   amo; 

11  terzo   dì  sopra   il  mio   buon  destriere 
Verrò   in  sul   campo  armato   a   tuo  piacere. 


M  O  R  (V  A  N  T  K     M  A  C.  C.  I  O  l\  K 


1 

r 


XX 

Ri>pose  a   le  parule  presto   Aniea  ; 
C.\o  (Il    a  le  piaci"  a  nif  ronvii-n  rhc  piar(*ia. 
ì\   nn*iilrr   rl)e   rosi    pli   rl-pomlra, 
vS   arci-se    tutta   qniiiila    ne    la   faccia  ; 
Però   eh'  un   fnen    sul    ilne    cori    ardea. 
("urne   anima   }:eiitii   presto  s'  allaccia  ! 
<  osi    ferito   è    1' uno   e   1' iti  tri»   amante 
Da   quello  strai   che  passa   ogni   adamante. 

XXI 

li   romincioriio   insieme   a   ripuanJarsi 
Ojrnim   |ii(i  die   1*  usato   intento  e  fiso: 
Rinjldo  non   potea   di   lei  saziarsi  ; 
Né   crede   di' altro    ben   sia    in    n.iradiso  : 
E    la    fanciulla    cominciò   a   pensarsi. 
Che   cosi    liei    già   mai   fossi    Narciso  : 
Dovunque   e'  va,   gli   lenea  drieto   pli  ocelli; 
E  par  die  fiamme  Amor  nel  suo  cor  fiocciti. 


E   ordinossi   un   convito   sì   manne, 
riie  simil   forse  non  fu   ancor   veduto. 
Disfe  Rinaldo  al    suo  caro  comparilo  : 
O    Ulivier.   qui    liisojina    il    tuo   aiuto  : 
Vadane   Persia   e  ciò  eh'  io   ci    iiuadajjno  : 
Fa   che   tu   abbi   a   tutto  provvednlo  ; 
E   vo'  che   di   tua  man  serva   costei 
Per  lo  mio  amor,    com'  io  per  te  farei. 

XXIII 

E  s"  io   ti   fé*  mai   aeiitilezza   alcuna 
Di   Forisena   e   di   Meridiana, 
Fa   che  qui   cosa   non   manchi  nessuna, 
Da   onorar  questa   gentil    Pagana. 
Disse  Ulivier:   Così  va   la  fortuna: 
Cercati    d'  altro  amante,  Luciana: 
Da   me  sarai   d'  ogni   cosa  servilo  : 
Ed   ordinò  di  subito  il  convito. 


Fumo  al  convito  le  vivande   tulle 
Che  si  polevon  dare  in   quel  paese, 
Con  preziosi   vin,  confetti   e  frutte  ; 
Furonvi   tutte  le  dame  cortese 
De  la  città  ;  né  creder  le  più  bruite  : 
E   sempre   di  sua  man   servì  il  Marchese, 
Massime   Antea   con   molta  riverenzia, 
Di   coppa,   di  coltello  e  di   credeuzia. 

XXV 

Fatto  il  convito,  vennon  molli  snonì, 
Acciò  che  meno   il   giorno  lor  rincresca. 
Trombe   e   trombette  e  nacchere  e  busoni, 
Cemboli   a  staffa  e   cembanelie  in   tresca, 
Corni,   tambur,  cornamuse   e   sveelioni, 
E  moli'  altri  stormenti  a   la  moresca, 
Liuti   e   arpe  e  chitarre   e  salteri, 
Buffoni   e  giuochi  e  inCniti  piaceri. 

XXVI 

Così   passorno  il   giorno   con  gran  festa. 
Ma  poi   che  1    Sole  in   Granata   s"  accosta, 
La  gentil  donna  con  voce  modesta 
Disse,  eh'  al  tulio  tornare  è  disposta. 
Benché  tal   dipartenza   gli   è  molesta, 
Al   gran   Soldan   ch'aspetta   la  risposta: 
E  1   terzo  di,  come  promesso  avea, 
Essere  armata  in  sul  campo   dicea. 


XX  VII 

Cosi    la   fesla   ristette   col   ballo, 
E   dipartissi   la   donna  famosa  : 
Itinaldo   compagnia   gli   fé'  a   cavallo 
Insino   a    presso    ove    il    Soldan    si   posa: 
E   morir   si    credette   sanza   fallo, 
Quaud' e'  lasciò  questa   dama   vezzosa: 
E    con  fatica    le   lacrime   tenne, 
Iniln  che  juire  a  casa  se  ne   venne, 

XXVIII 

Il   Soldan   domandò  quel   eh' avea  fatto 
La   gentil   figlia   in    Persia  co'Cristiani  : 
Ella   gli   disse   la   convegna   e  '1   patto. 
Che '1   terzo  dì   debb' essere   a   le  mani; 
E   che  sperava    dare   scaccomatto 
Al   buon   Rinaldo   con   l'arme   in   su' piani, 
E    racquislar   tolte   le   terre   sue  : 
Donde  il   Soldan  molto  conlento  fne. 


Però   che  molto  in   costei   si   fidava. 
Or  ci   convien    tornare   a   dar  conforto 
A  Rinaldo   eh' a   letto  se  n'andava, 
E   non  pareva   già   vivo  né  morto; 
Ma   con  sospiri    Antea  sua   richiamava. 
Dicendo:   Lasso,   tu  m'hai   fatto   torto, 
Avermi   dato,   e  poi  furato  il   core  : 
E   detto  questo,   si   dolea  d'Amore. 

XXX 

Com'  hai   tu   consentito  die  costei 
M'  abbi   così  rubato   da   me  stesso, 
E   trasformato  così   tosto  in   lei. 
Tanto  che  quel  ch'io  fui  non  son  più  des-o? 
Ella  se  n'ha  portati  i  pensier' miei  : 
Questo  non  è  quel  che  tu  m'  hai  promesso  ; 
E  non   ti   gloriar,  se  col   tuo  arco 
Per  donna  sì   gentil  m'hai  preso  al  varco: 

XXXI 

Che  non   sarebbe  ingannata  Europia, 
Non  si  sarebbe   trasformalo   in   toro 
Giove,   e  mutata   la   sua  forma  propia. 
Né  Ganimede  rapilo  al   suo   coro, 
S'  avessi  visto  sì  leggiadra  copia  : 
E  non   sarebbe  Dafne   un  verde  alloro, 
Se  Febo  avessi  veduto  il   dì  Antea, 
Che,  innamorato,  aspetta,  pur  dicea. 

XXXII 

Né  fatto  servo  de'  servi  Damelo  ; 
Né  tanto   tempo  Giacobbe  fedele, 
Che  veggendo  costei,   come  discreto, 
Serviva  per  Antea,  non  per  Rachele  ; 
Che   col   suo   viso  fari'a  mansueto 
Ogni   aspro   tigre   arrabbiato  e  crudele; 
Anzi  farebbe   il  mar  pietoso   e   i  venti  ; 
E  per  vederla,  fermi  stare  allenti. 

XXXIII 

E  non   arebbe  Andromada  Perseo 
Combattuta   col   capo   di   Medusa; 
E  fatto  un  sasso  diventar  Fineo  ; 
Né  fatto   arebbe  Ipolito  mai   scusa  : 
Né   tanto  Euridice   chiesto   Orfeo  ; 
O   ver  conversa   in   nn   fonte  Aretusa, 
Se  stata  fussi   Antea  nel  mondo   allora. 
Che   de   gli   abissi   l'anime  innamora. 


Il 


y 


M  O  R  (i  A  N  T  E     MAGGIORE 


XXXIV 

Non  bisognava  che  Venere  Iddca 
Insegnasse  a   Ipòmene   già  come 
(dittassi,   mentre   Atalanta  correa, 
(Ionie  fussi   passata  innanzi   il  pome  : 
Nr   nel   suo  Aconcio   (".idippe   scrivea,    9>^? 
A'eggendo  a  questa  il  bil  viso   e   le   chiome; 
li    non   sarebbe   il   convito   turbato 
Del  pome,  eh'  a   Parisse  fu  mandato, 

XXXV 

Che  non  Y  arebbe  giudicato  a   Venere  : 
Noi»   bisognava   far  di   ciò   contesa  ; 
E  Troja   non  saria   conversa   in   cenere, 
E    tutta   Grecia  mossa   a   tanta   impresa, 
Vergendo  nude   queste  membra   tenere, 
riie  m'han  sì  il  cor  ferito  e  T  alma  incesa: 
Né  da   sé  sé  per  sé   slesso   diviso 
Arebbe  questa  reggendo  Narciso. 

xxxvi 
E  non  sarebbe  Leandro  d'Abido 
Portato   così   misero   e   m.eschino, 
Come   tu  sai,  fra   1'  onde   già  Cupido, 
A   pie  de  la  sua  donna  dal  delfino, 
S'avesse  Antea  veduta,  ond' io  pur  grido; 
Né  Polifemo  in   sul  lito  marino 
Cliiamata   Galatea  con  la   zampogna, 
Dolendosi  che  in  grembo   Ali   a  lei   sogna. 

xxxvii 
Tu  non  aresli   già,  Teseo,  menala 
Ipolita,  del  regno  già  Amazzone  ; 
Tu   non   aresti   Adriana  lasciala 
Su   risoletta  in   tanta  passione; 
E   non  sarebbe   Emilia  repugnala  ; 
Alene  per  Arcila   e   Paiamone  ; 
Né  Piramo  già  morlo,  e  mille  amanti, 
Ch'or  sare' lungo  a  coniar  tutti  quanti; 

xxxvin 
Se  fussi  al  secol  lor  vivuta  questa, 
Cli'  io  pur  non   vidi   mai  più  bella  figlia, 
S  io   guardo  ben  la  refulgente  testa, 
E   1  capo   suo  che   Venere  simiglia. 
La  faccia  pulcra,   angelica   e  modesta, 
1  duo  begli  occhi  e   l'archeggiale  ciglia, 
E   gli  atti  e  le  parole  sì  soave, 
Cile  mi  parea  sentir  proprio  dir  Ave. 

xxxix 
Ben  puoi  tu,  crudo,  per  lei  saettarmi  : 
Ben  puoi  di  me  vittoria  avere.  Amore  ; 
Che  pensi  tu,   ch'io   apparecchi  l'armi 
Per   passar  con    la  lancia   a   questa  il  core. 
Che  può  ferirmi  a  sua  posta  e   sanarmi, 
Come  Pelléo  ?   non   già   tu,  traditore, 
Queste  parole   e  molle  altre  dicea  ; 
Ma  finalmente  richiamava  Antéa. 


Dove  se'  tu  ?  perchè  m"  Iiai  qui  lasciato? 
Non  potesti  star  meco  solo  un   giorno  ? 
Cl)e  pensi  tu,  clie  al  campo  io  venga  armato  ? 
Aspetta   tanto   ch'io  chiami   col   corno: 
Tu   ni'  hai    già  preso  per  modo   e   legalo, 
Ch'ornai  piti  in  Francia  al  mio  signor  non  torno, 
Ne  posso   in   Babiilona  anco  star   leco, 
Né  poi   eh'  io  vidi   te,  più  star  con  meco. 


Che   debbo  far?  dove  sarà  il   mio  regno? 
Dove   starà   il  mio   cor   così   soletto  ? 
Orlando,   ch'avea  fatto  alcun    disegno, 
La   manina    trovò  Rinaldo   a   letto, 
E  Ulisse  a  queste  parole  lo  'ngegno. 
Disse  :    Cugino,   aresli   tu   difetto  ? 
Rinaldo   il    volea  far  pur  cornamusa:  ■  >■ 

D'  un  certo  sogno,  e   trovava  sua  scusa. 

XMI 

Ri'ipose   Orlando:   Noi   sarem   que' frali, 
Clie  mangiando  il  migliaccio,   1'  un   si  cosse, 
L'altro   gli   vide   gli   occhi   imbambolati, 
E   domandò   quel   che   la   cagion   fosse  ; 
Colui   rispose  :  Noi   siam   due  restati 
A  mensa,   e   gli   altri   sono  or  per  le  fosse  : 
Cile  trentatrè  già  fummo,  e  tu  lo  sai  : 
Quand'  io  vi  penso,  io  piango  sempreraai. 

XLIII 

Quell'altro,  che  vedea  che  lo  'ngannava, 
Finse  di   pianger  mostrando  dolore, 
E  disse  a  quel  che  di   ciò  domandava  : 
E  anco  io  piango  ,  anzi  mi  scoppia  il  core, 
Che   noi  siam   due   restali  ;   e   sospirava  ; 
lEd  é   già  l'uno  a  l'altro   traditore: 
Così   mi   par  che   facciam   noi,   Rinaldo; 
Che  noi  di' tu,  che  1  migliaccio  era  caldo? 

XLIV 

Ma  questo  è  altro  caldo  veramente. 
Rinaldo  si   volea  pur  ricoprire: 
Per  Dio,  cugin,  eh'  i'^sognavo  al  presente 
Ch'  un   gran   lion  mi    veniva   assalire  ; 
Ond'  io   gridavo  e  chiamavo  altra  gente  ; 
E    con   Frusberla  il   volevo  ferire  : 
Forse  che  in  sogno  parlai  p§r  ventura  : 
Tu  mi  destasti  in  su  questa  paura. 

XLV 

Dond"  io  li  son,  ti  prometto,  obbligato  ; 
Però  che'  i'  ero  tanto  impaurito. 
Che  mi  par  esser  di  bocca  cavato 
A  r  animai  che  m'  aveva  assalito. 
Rispose   Orlando  :  Ahi   cugino  impazzalo  I 
Or  fus^5e   sogno   quel   eh'  i"  ho   udito  : 
Più  su  sta  mona  luna,   fratel  mio;      ,», 
Guarda  se  in  sogno  dicevi  com'  io. 

XLVI 

O   vaga  Antea,  cbe  ti  feci  io  già  mai? 
Dove  m'  hai   tu  lasciato  ?  ove  é  la  fede  ? 
Dove  se' ora,   e   quando  tornerai? 
E   non   arai    tu  mai   di  me  mercede, 
Che   t"  ho  pur  dato   il  cuor,  come  tu  sai, 
Che  son   tuo  àervo  pur,   come  Amor  vede  ; 
Che   tante   volle  di   me   domandasti  : 
■>Se'  tu   colui,   che   tu  m'innamorasti  ?(.'^j 

XLVII 

■  Tu  se'  colei   eh'  ogni  altra  bella  avanza  ; 
Tu  se' dì  nobiltà  ricco  tesoro: 
Tu   se'  colei   che   mi    dai   sol  baldanza  ; 
Tu  se' la  luce  de  lo  eterno  coro: 
Tu  se'  colei  che  m   hai   dato  speranza  : 
Tu  se' colei  per  eh'  io  sol  vivo  e  moro: 
Tu  se'  fontana  d'  ogni  leggiadria: 
Tu  se  '1  mio  cor,  tu  se'  1'  anima  mia. 


MORGAN  T  K     M  A  G  G  I  O  K  E 


XI.  VI  II 

Né  mira,  rnjin  mio,  pnr   rhr   tu  JOgnì, 
Non   rrnlcr  da  me   In   voler   relarli  : 
IV'ii.xa  vì\  ini   allrt)   Iruvar  ti  l»isoa;ni  : 
l>iin(|iii'   In  vi«Mii   in  Persia  a  innamorarti 
U' nna   Pa'^ana  1  or  fa  clic   li   vrrfrogni  : 
cui',   ([neslo   è  poco  mcn   tlie  sbattezzarti: 
Se'  In   sì  ile   la  mente   latto   cicco  ? 
Guarda  che  Cristo  non  s'  adiri   teco. 


Ove  è,  Rinaldo,  la   tua   gagliardia  ? 

Ove,   Hinaldo,  il   tuo  sommo  potere? 

Ov'è,   Hinaldo,  il    tno   senno  di  pria? 

Ov"  è,  Rinaldo,  il   tno   antivetlere? 

Ov'è,   Rinaldo,  la   Ina  fantasia? 

Ov'è,  Rinaldo,  l'arme   e  "1   tno  destriere? 

Ov'è,  Rinaldo,  la    Ina   gloria  e  fama? 

Ov'  è,  Rinaldo,  il  Ino  core  ?  a  la  dama. 

L 

Parli  che  '1  tempo  sia  conforme  a  qnesto? 

Parti  clie'l   tempo  sia  da   innamorarsi? 

Parti  che  "1    tempo  sia  qni   Inngo  o  presto? 

Parti  che  "I   tempo  sia  dover  piò  starsi  ? 

Parti  che  I    tempo  sia   lranf|iiillo  o  infesto? 

Parti  che  "1    tempo  sia   da  motteggiarsi  ? 

Parli  che  1   tempo  sia  da   dama   o  lancia  ? 

Parli  che  '1   tempo  sia  d'andarne  in  Francia? 

i-i 
A  questo  modo  il  regno  in  pace  aremo  ? 
A  questo  modo  acquisterai   corona  ? 
A  questo  modo  Antea  giù  abbatteremo  ? 
A  qnesto  modo  andrem  poi  in  Eabillona  ? 
A  questo  modo  la  fede   alzeremo  ? 
A  questo  modo  or  di  te  si  ragiona  ? 
A  questo  modo  se' fatto  discreto? 
Misero  a  me,  eh'  io  non  sarò  mai  lieto. 

LII 

Lascia  questo  pensier  sì  stolto  e  vano: 
Comincia  a  rassettar  la  tua  armadura; 
Che  questo  nostro  Cristo  e  partigiano 
Non  so  come  comporta  tua   natura  : 
Vedi  ch'addosso  ti   viene  il  Soldano; 
E   se  tu   abbatti   Antea  per  tua  ventura, 
Che  questo  regno  e   tutte  sue  contrade 
Sicuro  abbiam  sanza  operar  più  spade. 

LUI 
Quando  Rinaldo  si  vide  scoperto, 
E  non  potè  celar  quel  eh'  è  palese, 
Rispose  sospirando  :  Io  veggo  certo, 
Che  queste  al  nostro  Dio  son  gravi  offese, 
E  molla  punizion  come  dimerlo: 
Ma  se  quel  Giove  Dio  non  si   difese 
Di   questo  ^|nor,  né  "1  bellicoso  Marte, 
Che  vai   qui   la  mia  forza,  ingegno  o  arte? 

LIV 

Io  voglio  al  campo  andar,  ch'io  l'ho  promesso, 
E   porterò  la   lancia  e '1  brando  cinto; 
Ma  come  potrei  io  ferir  me  stesso, 
O  vincer  mai  colei  che  m'ha   già  vinto  ? 
Io  ho  la  mente  cieca,  io  tei  confesso  ; 
E  anche  il  mio  signor  ^eco  è  dipinto: 
E  guida   a  questa   volta  il  cieco  V  orbo  : 
Dun(jue   lu  bussi   a  formica   di   sorbo. 


Io  non  posso  voler,  perch'io  non  voglio, 
Lasciar  costei:  dunqui-  io  non  voglio  o  posso: 
Io  non  son  più  il  cugin   tiu),  roni'io  ^oglit». 
Però  che  (jnesto   è  mal   che  sta   ne   Tosso: 
E   s'  io   sap^•s^i    pittar  questo  scoglio, 
Sarebbe   Salamon   stato   un   nom   grosso, 
Aristotile   e   Socrate   e   Pl.ilone  : 
Dunque,  fratel,   non   ne  faccialo   rjui^tione  ; 

i.vi 
Ch'  Io  non   vo'  dispular  d'  astrologia 
(^on  quel  che  non  sa  ancor  <  he  co«>a  è  stella: 
Io  non    vo'  dispular  di   cerusia 
Con  chi  sempre  ara   o  ntacina   o  martella: 
Io   non  vo'  disputar  quel  eli"  amor  sia 
Con   un   che  sol  conosce   Alda   la   bella  : 
Ma  pricgo  Amor  «  he  qualche  ingegno  trovi. 
Acciò  che  tu  mi  creda,  e  che   tu  1  provi. 

I.VII 

Rimase  Orlando  tutto  spennacchialo, 
Quando  e'senll  quel  che'l  cugino  ha  detto, 
Perchè  conobbe  ch"  egli   era   ostinato  : 
A   Ulivier  n"  andava  e  Ricciardetto, 
E   disse  :  Il  nostro  Rinaldo  è   già  armato, 
Ch'aspetta  a  la  battaglia   Antea  nel  letto: 
E  raccontò  ciò  ch'egli  avea  sentito; 
Donde  ciascun  di  lor  n'  è  sbigottito. 

I-VIII 

Ma  l/iKier  con  Orlando  dicea: 
Io  gli  ho  a  cantar  poi  il  vespro,  s'io  mi  cruccio: 
Deh   taci,  Orlando   tosto   rispondea. 
Che   li  direbbe:  Nettati  il  cappuccio: 
A  me  eh'  ignuno  error  di  ciò  sapea, 
M'  ha  rimandato  in  drielo    come  un  cuccio. 
Chi  vi  cercassi   trito  a  falde  a  falde. 
Né  r  un  né  1'  altro  è  farina  da  cialde. 

LIX 

Vo'  che  tn  corra,  come  fé'  a  furore 
Quella  badessa,  e  lievi  il  romor  grande, 
Che  volle  tor  la  cuffia,   e  per  errore 
Si  misse  de  1'  abate  le  mutande  : 
Perché  la  monacella  peccatore 
Disse:   Madonna,  il  capo  vi   si  spande: 
La  cuffia  prima  un  poco  v'acconciale: 
Dond' ella  si  tornò   al  suo  santo  abate. 

LX 

Qui  si  bisogna  provvedere  a  noi, 
E  che  noi  andiam  domani  al  campo  armati: 
Io  sarò  il  primo,  e  poi  sarete  voi. 
Che  con  Antea  ci  saremo  sfidali  : 
Io  so  ch'io  r  uccidrò  ;  sia  che  vuol  poi: 
Se  noi  sarem  dal  Soldano  assaltati, 
Difendereraci  :  e  Dio  ci  aiuteràe  : 
Né  più  la  dama  il  mio  cugino  aràe. 

LXI 

Ma  forse  altri  pensier  potrebbe  avere, 
Se  la  fortuna  o  il  peccato  volessi 
Ch'ella  m'abbatta  in   terra  del  destriere, 
Bench'  io  mi  credo  che  se  ne  ridessi. 
Ma  Cristo  mi  darà  forza  e  potere, 
E  con  sua  man  nii   sosterrà  lui  stessi  : 
E  lascerem  Rinaldo  a  riposarsi 
Nel   letto,  insin  che  potrebbe  destare. 


22  7 


M  O  1\  (  i  A  N  T  K     AI  A  G  G 1 0  R  K 


Ulivier  non  rispose  nulla  a  questo] 
r,  du'ciinila   a  cavallo  ordinorno  : 
1/ altra   mattina  o}>;nnn   s'armava  presto: 
Verso   ile   V  oste  del  Soldan   n'  andorno  ; 
Così  Rinaldo  sanza  esser  ricliiesto  ; 
K  disse  al   Conte:    Sonerai   tu  il  corno; 
(",hè  sai   che   poco  il   sonarlo  è  mia   arte, 
V.  chiama  al  campo  Anlea  da  la  mia  parte. 

I.XIU 

Ah,  disse  Orlando,  tu  non   di' davvero  : 
Io  lo  farò  come  persona  sciocca, 
Che   di   piacerli  ho  troppo  desidero  : 
E  l'alifanle  si  poneva  a   bocca: 
E  sonò   tanto  forte  e   tanto  altero, 
Che   come  il  suon  del  corno  fuori  scocca, 
Subito  venne  a   gli  orecchi  d'  Antea, 
Che  fra  sé  stessa  gran  dolor  n'  avea. 

LXIV 

Dicendo:   Io  ho  qui  perduta  ogni  fama: 
Parrà  che  per  viltà  nel  padiglione 
Mi  slessi   addormentala:  e  Tarme  chiama, 
E  finalmente  saltò  in  su  l'arcione. 
Quando  Rinaldo  scorgeva  la  dama, 
Par  che  sia   tratto    il  cappello  al  falcone  ; 
E  tutto  si  rassetta  in  su  la  sella; 
E  in   qua  e  in  là  con  Baiardo  saltella. 

LXV 

Giunta   costei,  con   un  gentil  saluto 
Lo  salutò,   che  in  mezzo  il  cor  gli  passa  ; 
Poi  fece  con  Orlando  il  suo  dovuto  : 
Orlando  per  dolor  giù  gli  occhi  abbassa. 
Disse  la   dama:   E' vi  sarà  paruto 
Ch'  io  sia  molto  per  certo  pigra  o  lassa. 
Che  sto  nel  letto,  e  voi  siete   a  aspettarmi: 
Veggo   che  1'  arte    è  pur  vostra  de  1'  armi. 

LXVI 

Prendi   del  campo  tu,  Rinaldo  mio. 
Che   so  che  tu  m'aspetti  a  la  battaglia; 
E  ciò  eh'  io  ti  promissi,  pel  mio  Dio 
Osserverotli  sanza  mancar  maglia. 
Dicea  Rinaldo  :  A  combatter  vengh  io  : 
Ma   vorrei  far  con  arme  che  non   taglia; 
Volse  il  cavallo,  e  così  la  fanciulla. 
Disse  yiivieri  :  E'  non  ne  sarà  nulla. 

LXVII 

E  parvegli  eh'  Antea  se  ne  ridesse, 
Quand'  ella  volse  il  cavallo  arabesco. 
Vòlto  Rinaldo,  1'  aste  in  resta  messe, 
E  con   Baiardo  fé   del  barberesco  : 
Ma  come  e  par  eh'  a  la  dama  s' appresse, 
Un  bello  scudo  eh'  aveva  moresco 
Subito  drieto  a  le  spalle  giltava  ; 
E  gitta  via  la  lancia  che  portava. 

LXVIII 

Veggendo  questo  Anlea  eh'  era  gentile, 
Subito  anch' ella  lo  scudo  volgea. 
Per  non  parer  né  villana  né  vile. 
Orlando  troppo  di  ciò  si   dolca, 
E  dice  ;  L'  esca  riscalda  il  fucile  : 
Maladelta  sia  tu  per  certo,  Antea  : 
Or  vedi,  Ricciardetto,  ove  noi  siamo  : 
Qui  si  convien  che   1'  arme  adoperiamo. 


Che   (|uando   vidi  Antea  sì  larglii  patti 
Far,  se  Itinaido  la   vinceva  in  giostra  ; 
Io  dissi  :   Or   sono  acconci   i   nostri  fatti  : 
A  salvamento  ornai  la   terra   è  nostra  ; 
Ora   ho  temenza  alfin   non  siam   disfatti, 
Poi  che   tanta   pazzia  Rinaldo  nu)stra  : 
Parmi   eh'  uscito  sia  de   lo   intelletto  : 
E   così  a  me,  diceva  Ricciardetto. 

i.xx 
Accostasi  a  Rinaldo   Orlando  allora, 
E  disse  :  Dimmi,  dove  hai   tu  apparata 
(Giostrar  così,  ch'io  noi  sapevo  ancora? 
E  mollo  caro  ho   tu  m'abbi  insegnato: 
Veggo  che  '1   foco  drento  ben  lavora, 
E  'n  questo  di  riman   vituperato. 
Disse  la  dama  :  Così  vuole  Amore  : 
Prendi   del  campo  tu,   gentil  signore. 

r.xxi 
Allor  comincia  Ulivieri  a  pregare  : 
Per  grazia,  car'  cognato,   ti  domando 
Che   tu  mi  lasci  con  questa  provare. 
Io  son   contento,  rispondeva   Orlando  : 
Non   che   pregarmi,   tu  puoi   comandare. 
Ulivier  venne  il  suo  deslrier  voltando, 
E  quanto   gli  parca   del  campo  prese  : 
Cosi  la  donna,  e  volsesi  al  Marchese. 

LXXII 

Piiscontrò  Ulivier  la  damigella, 
E  ruppe  la  sua  lancia,  e  non   la  mosse. 
Né  piegò  pure  un  dito  in  su  la  sella  ; 
Ma  in  su  lo  scudo  in  modo  lui  percosse, 
Che  cadde  per  virtù  de  la  donzella, 
E  bisognóe  che  prigion  suo  fosse  : 
E   Ricciardetto   gli  fé'  compagnia, 
J  Acciò  che  gì'  increscessi  men  la  via. 

LXXIU 

E  "nverso  il  padiglion  forno  avviali. 
Rinaldo  si   ridea   del  suo  fratello: 
Orlando  gli   dicea:   Pe' tuoi  peccati 
Credi   tu  abbi  perduto  il  cervello  ; 
Ma   qne'  che   son   di   sopra  coronali, 
Ben   ti  serbano  a   tempo  il   tuo  flagello. 
Rinaldo,  eh' avea  il  cor  dato  in  diposilo, 
Non  rispondeva  ad   Orlando  a  proposito. 

LXXIV 

Per  la  qual  cosa  Orlando  è  insuperbito, 
E   disse  :   lo   giuro  pel  nostro  Gesù, 
Che  se  1  peccato  tuo  non  é  punito 
In  qualche  modo,  io  piglierò  virtù 
Di  levarti  da'  giuoco  e  da  partito. 
Che  con   Anlea  non  giostrerai  più  tu  ; 
Ch'  io  gli  darò  la  morte  in   tua  presenzia 
Per  darti  parte  di  tua  penìtenzia. 

LXXV 

E  disse:  Antea,  se  vuoi,  piglia  del"  campo. 
Che  fìa  cagion   del   tuo  morir  Rinaldo  ; 
Ch'  io  ti  farò  sentir,  s' io  non  inciampo. 
D'altro  per  certo   che  d'amor  pur  caldo. T 
Disse  la  dama  :  Nou  e'  è  ignuno  scamjvo  : 
Se  iussi,   Orlando,  più  che  muro  saldo,  7; 
Io   ti  farò  cader  per  tuo  dispetto  : 
Così  ti   slido,  e  così    ti  prometto. 


M  O  K  G  A  N  I'  K      M  A  G  (V  I  O  l\  K 


Orlando  con   grami'  ira  il   tlrslrltr   v()l>c, 
K    va   sliiiiraiiilo,    che   j>arcva   un   toro  ; 
r.«>sì   del   rampo   la  ianriidla  tolsiN 
Poi   >i   voltò,   elle  non  f«''  i};iimi   dimoro  ; 
Sopra   io  }.(inlo   del    linou   Con  le  colse. 
Credendo  dari;li   il   sui»  sezzo  marloro  : 
Ruppe   1.!   lancia,   e  non   si   mosse   il   muro, 
Come   avea  dello  ;   tanto  è   forte  e  duro. 

I.XXVll 

Maravi{i;liossi   di  questo   la   dama, 
K   disse  :   Io  ero  in   mi  pensiero  strano 
T)' ahhatter  un   tal   uom  cii' ita   tanta  fama. 
Orlando  auro  \ól  lancia  ruppe   in   vano. 
Perché   lo  scudo  è   incantato  e   la  lama: 
Dunque   le  spade  pigliavano  in  mano, 
K   cominciorno  la    battaj^lia    insieme 
Per  modo,  che  d'  Antea  Rinaldo   teme. 

LXXVIU 

Are' voluto,   Ijmto  è  innamorato, 
Del  suo  cujjin   veder  la   terra  rossa  : 
K  come  Orlando  il   colpo  aveva  dato, 
(ili   rimbombava  nel   cuor  la  percossa, 
K  par  che  "I  pelto   j!;li   resti   intronalo. 
Come  avviene  a   V  infermo  per   la   tossa  ; 
E  opni   volta  con  Cristo  si  cruccia, 
E  dice  r  orazion   de  la  bertuccia4 

I.XXIX 

Alcuna  volta  che  Anlea  superava 
Un  j)oco  Orlando,   egli  arebbe  voluto 
Cli'  ella  il  gittassi  in   terra,  e  sospirava 
Con  le  sue  proprie  man  porgergli   aiuto: 
Guarda  costui  quanto  Amor  lo   sgannava  ! 
Ch'  era   di  poco  di   Francia   venuto 
Con  tanta  impresa  a  trarlo   di  prigione, 
Ed  or  chiedea  la  sua  distruzione. 

i.xxx 
Or  basti  questo  esemplo  a  chi  m' intende. 
Orlando   con  Anlea  rnirabii  j»rnova 
Facea  col  brando,  e  costei   si  difende, 
Però   che  V  arme  sua  fatata   truova, 
E  spesso  a  lui  simir  derrate  rende  ; 
Ma  sopra  1'  arme  sua  poco  ancor  giova, 
Però  eh'  Orlando  tale  avea  armadura. 
Che  regge  a  tutte  botte,  in  modo  è  dura. 

LXXXI 

Durò  tutto  quel  giorno  la  battaglia, 
Sanza  avanzar  V  un  V  altro   di   niente. 
Da  poi  che  1'  arme  non   si  rompe  o   taglia. 
Era  già  il  Sol  caduto  in  occidente  ; 
E  non  restando  la  fiera  puntaglia. 
Orlando  disse  a  la   dama  piacente  : 
Credo  che  teuipo  da  ritrarsi  sia, 
E  lacendo  altro,  sare'  villania. 

LXXXII 

Non  ce  vergogna,  che  non  c'è  vantaggio; 
Per  istasera  la  guerra  è  finita. 
Disse  la  donna:  Io  ho  per  grande  oltragiiio, 
Ch'io  non   t' ho  fatto  qui  lasciar  la   vita: 
Ora  a  tua  posta  vanne  a  tuo  viaggio. 
E   COSI  fecion  del   rampo  parlila, 
E   ritornossi   Orlando  al   suo  stazzone, 
E  la  fanciulla  al  padre   al  padiglione. 


LXXXIII 

E  fr.i   tre  dì  |>roitiisson   ritornare 
A    la   battaglia,  e   far  quel   eh'  «';  usanza. 
Or   altra  storia   ci  ronvien   trattare. 
Cercalo   il   moiidr)  avea   Cian   di   Maganz.i, 
Coni'  e'  potessi  Rinaldo   trovare  : 
Ma   dove   fossi   non   avea  certanza  : 
Al    caiiq)o  capitò   dove   è  il   Snidano, 
E   dettesi   a  conosier  ch'era   (Ja.io. 

I.XXXIV 

E   disse  che   di  corte   era   sbandito, 
E   dava   tulle  a   Rinaldo   le  colpe  ; 
E   che  pel  mondo   alcun    tempo  era   gito 
l*er  fargli   al   fin    lasciar    l'ossa   e   le   p4)lpe. 
Avea    il   Soldan    di    Gan  mollo  sentito 
Coni'  egli  è  malizioso  più   che   volj)e, 
E  più  che   Giuda    tristo  e   traditore  : 
E  quanto  più  polca,  gli  fece  onore. 

i.xxxv 
E  raccontò  di  Persia  com'era  ilo 
Il  fatto,   e  come  Orlando   1'  avea  presa, 
E  Chiariclla  il  padre  avea   tradito, 
E  per  questo  mossa  ha   tale   impresa; 
Però  che  '1  regno   a   Ini   è  stabilito, 
Ma  noi  può  racquistar  sanza   contesa  ; 
Ma   tanto  tempo  è  disposto  far  guerra, 
Che  torrà  loro  e  la  vita  e  la   terra. 

LXXXVI 

E  disse  come  al   campo  era   venuto 
Rinaldo  e   Ulivieri   e  '1  conte   Orlandc», 
E   come  Ricciardetto  era   caduto, 
Ed   Ulivier  sanza   operare  il   brando  ; 
E   la  sua  figlia   l'aveva   abbattuto; 
E  com'egli  ha  i  prigioni   a  suo  comando: 
Ebbe  di  questo  Gan  molta  letizia, 
E  coitiinciò  a  pensar  tosto  a  malizia. 

LXXXVII 

E  dopo  molto  gran  ragionamento 
Dicea  :   Soldano,  intendi   il  mio  consiglio: 
Combatter  con   Orlando  è  fummo  al  vento, 
E'  darà  alfine  a'  tuoi  prigion'  di  piglio  : 
Io  cercherei   d'avergli   a  salvamento, 
Acciò  che  non   ti  fugghin   de  1'  artiglio, 
E  non  farei  in  su' campi  più  dimoro; 
Ma  in  Babillona  me  n'  andrei  con  loro. 

Lxxxvin 
So  che  Rinaldo  tanto  ama  il  fratello, 
E   così   Orlando  il  cognato   Ulivieri, 
Che  ciò  che   tu  vorrai,   l'arai   da   quello. 
Pur  che   tu  renda  lor  questi   guerrieri  : 
Io  darei  presto  al  vento  il  mio  drappello, 
Che  non  riusciranno  qui  i  pensieri  : 
E   tanto  seppe  il  Soldan  confortare. 
Che  s' accordava  il  suo  campo  levare. 

LXXXIX 

Rinaldo  con  Orlando  era  tornato 
In  Persia,   e  fatta  gran  disputazione  r 
Orlando  s'era  con  lui  riscaldalo: 
Io  credo  che  tu  slavi  in  orazione, 
Ch'  io  fossi  da  colei  preso  e  legalo  : 
E  quando  bene  a  la  Ina  intenzione 
Non  riusciva  il   disegno  o   V  archimia^ 
Dicevi  il  paternostro  de  la  scimia:    - 


M  O  R  G  A  N  T  E      IM  A  (i  (;  I  O  1\  i: 


Vj   Torse  che  di  fiiu'sto  era  int^ovino. 
Così   la   sera   a  ]»o>ar  se   n'  andoriio, 
Riiiibrottanflosi   insicmo  col  ciij;im>. 
Jiìiialdu  si  levò  come   fu  giorno  : 
A'ide  levalo  il  campo  Saracino 
Da   un  balcon  dontl' e' vedea  dintorno: 
Maravi|>;liossi,  e   gran   dolor  n'  avea  ; 
Cltè  riveder  mai  più  non  crede  Anlea. 

xci 
Non  si  ricorda  ^\à  di  Ricciardetto, 
Non  si   ricorda  die   Ulivieri   è  preso, 
Ch'ep,li   soleva   amar  con  tanto  alTelto, 
Tanto  il  foco  di   amor  drenlo  era  acceso: 
Al   conte   Orlando  presto   andava   al   letto, 
E  disse  :  Hai   tu  del  nuovo  caso  inteso  ? 
Dal  mio  balcon   testé  guardando  il  piano. 
Veggo  che  il  campo    ha  levalo  il  Soldano. 

XCII 

Ab,  disse  Orlando,  come  esser  può  questo? 
Come  può  farlo  altro  che  solo  Dio, 
Che  sia  di  qui  partilo  così  presto? 
O  Ulivieri,  o  Ricciardetto  mio. 
Forse  che  avvolto  avete  ora  il  capresto  : 
Or  se'  conlento,  ciigin  pazzo  e  rio  : 
Or  si   vendicherà  il  Soldan   de' torli  : 
Io  ne  farò  vendetta,  se  gli  ha  morti. 

xeni 
Qui  si  bisogna  subilo  riparo, 
E   tempo  non  è  più  d  essere   amante: 
E  finalmente  d'  accordo  ordinaro, 
Che  Chiariella  sposassi  Balante, 
■    E  1  regno  a  questi   a   governo  lasciare  : 
E  Luciana  col   suo  Balugante 
A  Saragozza  a  Marsilio  tornassino, 
E  per  lor  parte  assai  lo  ringraziassino. 

xciv 
E  ben  conobbe  Luciana,  e  vede 
Ch'ai  suo  Rinaldo  era  uScila  del  core  : 
Contenta  si  parti  come  ognun  crede, 
E  disse  fra  sé  slessa  :   Ingrato  Amore, 
E   questo  il  merlo  di  mia  tanta  fede  ? 
Così  va  chi  si  fida  in  amadore  : 
E  ritornossi  assai  dogliosa  al  padre 
Con  Balugante  e  con  le  loro  squadre. 

xcv 
Ordinato  la  terra,  si  partirò 
Rinaldo,  Orlando   e  U  suo  caro  scudiere, 
E  per  diverse  vie  cercando  giro. 
Dove  sien  del  Soldan  le  sue  bandiere: 
Una  mattina  in  un  bosco   apparirò, 
Dove  s'  andava  per  istran  sentiere 
Per  ispelonche  e  per  burroni  e  balze, 
Dove  vanno  le  capre  appena  scalze. 

xcvi 
E  come  fumo  in  mezzo  del  deserto, 
Cinque  giganti  trovorno  assassini, 
Che  tutto  quel  paese  avìen  diserto, 
Tanlo  che  presso  non   v' è  più  vicini: 
In  una  grolla  in  un  luogo  coperto 
Si  riducevan  come  malandrini, 
E  una  damigella  avien  con   loro 
Tutta  angosciosa,  e  con  assai  martore. 


xr.vii 
Al   re  Ooslanzo   1"  avevon   rubata, 
Ch'  era  signor  de   la  Bellamarina  : 
In  (luesla   grolla  T  avevon   legata, 
E  molto   la  sua   vita  era   mes<-lìina  : 
K   come   giunse   la  nostra   brigata, 
L' un   de' giganti   a  Rinaldo  cammina, 
I'^   in   ogni   modo  Baiardo   volea, 
E  minacciaval,  se  non  ne  scendea  ; 

XCVIll 

E   dice  :   Tu  potrai   poi   starti   meco, 
E  mcnerotti  per  queste   contrade: 
Aiuterami   arrecar  ciò  eh'  io   reco, 
Che  ogni   giorno  rubiam   queste  strade. 
Disse  Rinaldo  :   Dunque  starò  teco. 
Se  drieto  ti   verrò  per  le  masnade  ? 
Tu   mi  par  poco  ])ralico,   gigante  ; 
Cir  io  non  son  uom  da  star  teco  per   fante. 

xcix 
E   detto  questo,  Baiardo  scostava  ; 
Poi  con  gli  sproni   in   su' fianchi  ferillo 
In  modo,  che   tre  lanci   egli  spiccava, 
Che  gozzivaio  non  parca   né  grillo: 
La  lancia   abbassa,  e  1   gigante   trovava  : 
In  mezzo  il  petto  col  ferro  ferillo, 
E  passò  il   cuore  al  gigante  gagliardo. 
Ed  anco  d'  urto  gli   die  con  Baiardo. 

e 
Un   di  quegli   altri  ad  Orlando  s'  accosta, 
E  'n   su  r  elmetto   gli   die  si   gran  picchio. 
Che  se  non  fussi   che  1'  arme  fé'  sosta, 
E'  gli  levava  del   capo  uno  spicchio. 
Non   si  potè  riavere  a  sua  posta 
Orlando,  che  pel  duol  si  fece  un  nicchio, 
E  tramortito  par  che   giù  cascasse; 
Ma  il  fer  gigante  di  sella  lo   trasse, 

CI 

E  portello  di  peso   un  mezzo  mìglio 
Per  gittarlo  in  un  luogo  fuor  di  strada. 
Orlando  ritornò  nel   suo  consiglio  : 
Videsi  preso  ;  e  pigliava  la  spada, 
E  ficcolla  al  gigante  in  mezzo  al  ciglio, 
Tanlo  che  morie  cenvien  che   giù  vada  ; 
Che  per  l'orecchio  riuscì  dal  lato, 
Sì  che  pel  colpo  il  gigante  è  cascale. 

cu 
Terigi  sempre  1'  aveva  seguite. 
Or  ritorniamo   a  Rinaldo,   che  resta 
Ne  la  battaglia   da  gli   altri  assalilo. 
Che  forse  al  fin  gli  rompevan  la   lesta, 
Se  non  fussi  "il  cavai  eh' è  tanto  ardito. 
Che  morde  e  trae,  e  facea  gran   tempesta; 
Tanto  che  gnun  non  si  vuole  accostare; 
Donde  un  gigante  cominciò  a  parlare  : 

CUI 
Chi  tu  ti  sia,  cristiane  o  Saracino, 
Tu  mi  par  uom  da  far  poco  guadagno  : 
Per  mio  consiglio  piglia  il   tuo  cammino: 
Che  questo  tuo  destrieri  è  buon  compagno. 
Rinaldo  s'  avviava:   e  Vegliantino 
Cercato  ha  tanlo  del  suo  signor  magno. 
Che  lo  trovava,  e  su  rimonta  Orlando, 
E  molto  di  Rinaldo  andò  cercando. 


MOI\(V/VNTK     MA  (.e.  MMX  K 


1^   RìnaMo   <li   Ini   rerrava    aurora  : 
Non   si    Irovorno,  die   smarriti  sono: 
De   la   fureria  rerrano   iisrir  ftiora. 
Drlando  senlc  |M*r   la   selva   un   suono: 
Ecco   apparir   quella  fanciulla   allora, 
Cile   s' in^^inorciii.!    r   ilomaniia   perdono, 
E   disse  c-c»nie   ella   fnssi   «rampata 
Menlre  ch'egli  era  la  zoiVa  appircala, 

cv 
E   rlie   eli   dessi   ed   aiuto  e  conforto. 
Orlando  di   Rinaldo   sno   domanda. 
Disse  la   cJama  :   Io   so   die  non    è  morto; 
Ma   dove   e'  gissi,  non   so   da  qual   liand.i  : 
Andiam   cercando  per  Dio  qnaldie  porto. 
Allora   Orlando   a  Dio   si   raccomanda  : 
E   cavalcorno   il    giorno   e  poi   la   notte 
Seuipre  per  balzi  e  per  fossati  e  grotte. 

evi 
Rinaldo   nsci,to  al  giorno    d'  nn  burrone, 
Comincia   del   dimestico   a   trovare  : 
Triiova   nn  paslor  che  in  su  'n  un  capperone 
r.erle   vivande  sue   volea  mangiare, 
E  fece   insiem   con   lui   colezione  : 
Mangiato,   cominciossi    addormentare. 
Perchè   la   notte   non   avea   dormito, 
E   dal   pastor  si   trovò  poi    tradito. 

e  VII 

Questo  pastor  sopra  Baiardo  arranca, 
Come   \  ide   Rinaldo   addormentato  : 
Vede   Rinaldo  che  "1   deslrier  gli  manca. 
Che  si   desici  perch""  egli  avea  sognato, 
Cir  un  ^ran   lion  1"  avea  preso  per  V  anca  ; 
E   disse  ;  Or  sono  io  ben  male  arrivato: 
E  '1    me'  che  può  soletto  ne  va  a  piede, 
Perchè  Baiardo  e  '1  paslor  non  rivede. 

ovili 
Questo  pastor  n'andò  a  una  città, 
Dove   il   Soldan    teneva  il   suo    tesoro  : 
Il   mastro   giuslizier,   che   quivi   sta, 
Vide  il  cavallo  a  quell'uom  grosso   e  soro, 
E  quel  che  ne  volea  domandato   ha  : 
Costui   chiedea  trecento   dobhle   doro; 
Onde  e' rispose:  Io  vo' veder  provallo: 
E  quel  pastor  di  spron  dette  al  cavallo. 

cts 
Baiardo  conosceva  a  chi  egli  è  sotto  : 
Subitamente  prese  in   aria   un   salto  : 
Onde   il  paslor  che   a  1*  arie  non   è  dolio, 
Si  ritrovò  di  fallo  in  su  lo  smalto, 
E  del  petto  due  costole  s'ha  rollo. 
Il   giustizier  che  1  vide  levar  allo. 
Disse   al  paslor:  Questo  è  pel  tuo  peccato; 
Ch'io  so  che  questo  cavallo  hai  imbolalo: 

ex 
_Eoi  gli  fece  i   danari  ann^verarf^ 
Or  ritorniamo  a  Rinaldo,  eh"  andava 
Sanza  veder  dov'  egli   abbi  arrivare, 
E  Ricciardetto  e   Ulivier  chiamava: 
A  questo  modo   vi  vengo   aiutare  1 
Quando   d'  Orlando  si  rammaricava  : 
Dove   lascialo   t"  ho,  cugin  mio  buono. 
Nel  bosco,  ed  io  dove  arrivalo  sono? 


O    Carlo   ^Maglio,  ben   «arai  ronlrnlo  : 
O    Oanrilon,   heiu-   arai    all«-gre/^a  : 
<•    Chiaramontr,   il    tuo   rigoulio   «•  spelilo: 
O   Moutallian,    tu   1ornrr:ii   in    bassezza  : 
(>  loion  r.nic  ciardit,  dove  è  il  tuo  .irdiniento? 
O    donn.i    iiii.i,   dov*  i-   tua   gentilezza  ? 
O    raro    Asltdfo   mio,   come  farai  ? 
Omè  Rinaldo,  che  via   piglierai  ? 

CXII 

E   crt<-ì   lamentando  capitile 
A    Baliillona   per  molte   contrade: 
EssiMido  presso,  un   P.igan   risconlrc'ie; 
E   domandollo   di   quella   citladr: 
Onde   il    Pagan   ridendo   lo  befTiie, 
Quando   lo   vide   cosi   in   poverlade  : 
Tu  bai   gli  spron',  dicea,  dov'èl  ronzino? 
Tu  "1  debbi   aver  giucalo  pel  cammino. 

exiii 
Donde   Rinaldo  s"  adirò  con   quello; 
Disse:   Per  Dio,   tu   pagherai   lo    scollo: 
Prese   la   briglia   e   r<diii   pel   mantello, 
E    disse:    Io   vol'alfana   che   tu   hai   sollo  ; 
E   serba    tu   gli   spron",   ribaldo  e  fri  lo  : 
Poi   trasse  fuor  Frusberta   e  non  fé'  mollo  ; 
E   ditlegli    un   rovescio   a   la   francesca, 
Che  lo  tagliò  pel  mezzo  a  la  turchesca. 

cxiv 
Morlo  costui,  innanzi  gli  venia 
l'n   allro   che  parea   buona  persona. 
Disse   Rinaldo  :    Dimmi    in   cortesia, 
Questa  città  com' ella   si  ragiona? 
Colui   ri'pose   sanza   villania  : 
Sappi   che  questa  è  la  gran  Babillona  ; 
E    Rabillona  si  chiama  maggiore; 
E  1  Soldan  de  1'  Amecche  n'  è  signore. 

cxv 
Ed   ecci   lina   figliuola   del   Soldano, 
Che  molto   afflitta  mena   la   sua   vita  ; 
Ed   èssi    innamorala    d' un    Cristiano, 
E   duolsi   che  noi  vide   a   la  partita; 
Sento  eh"  egli  è  non  so  che  Monlalbano  ; 
Tant' è   che  per  lui   par    tutta   smarrita; 
E   tutta   solitaria   è  fatta   questa. 
Che  solca  la  città  tener  già  in  festa. 

cxvi 
Or  io  t'ho   dello  più  che  non   domandi: 
S"  allro   tu   vuoi    da  me,   chiedi    tu  stesso, 
Ch'  io  "1  farò  volentier,  pur  che  comandi. 
Che  certo  un  «oni   gentil  mi  par' da  presso. 
Disse   Rinaldo  :  Troppo  me   ne  mandi 
Contento,   se  1  tuo  nome  mi  di*  adesso. 
Dicea   il   Pagan  :   Sia  fatto   e   volentieri 
Ciò  che   tu  vuoi  ;  chiamato  son  Gualtieri  ; 

cx^^I 
E  se  ti  piace,  io  vo'  teco  venire 
Dove  tu  vai,  ch*  io  son   uom  poverello  ; 
ISon   ho   faccenda   o  roba   da  partire; 
E   d'esserti  fedel  giuro  e  prometto. 
Quando  Rinaldo  cosi  ode  dire. 
Disse:   Gualtier  per  buon  frale!  t"  accetto  ; 
Come  ne   l'altro   dir   vi   sarà  porlo. 
Cristo  vi   guardi,  e  dia  pace  e  conforto. 


INI  O  R  (  ;  A  N  T  E     M  A  ( ,  Cx  I O  I\  K 


CANTO    XVII 


li  II  r- 


ARGOMENTO 


►}^^®<l^ 


E< 


I  eco  Rinaldo  a  Bahìllona,  ed  ecco 
Gano  attorno   al  Saldano^   acciò  disperso 
/lesti  Rinaldo   da   quel  f^eglio  bcccOy 
Che  SII  in  montagna  la  suona  a  trai'Crso. 
Gano  modella  poi  con  altro  stecco, 
E   contro  Montalban   V  ira  ha  converso  ; 
/Iniea  V  assedia,  allor  ch^altrove  Orlando 
La  figlia  al  re  Falcon  sta  liberando. 


-^^®i-^ 


V. 


ergine  innanzi  al  parto  e  ora  e  sempre, 
Vergine  pura,  Vergine  beata. 
Vergine  che"!  tuo  figlio  in  ciel  contempre, 
Vergine   degna,  Vergine  sacrata. 
Vergine  eh'  ogni   cosa   guidi   e  ten\pre, 
Vergine  con   Gesù  nostra  avvocata, 
Vergine  piena  di   grazia  e   di   gloria, 
Vergine  eterna,   aiuta  la  mia  istoria. 

II 
Sappi,  eh' io' son  cohii  per  cui  sospira 
Ne  la  città  la  figlia  del  Soldano  ; 
Ma  la  fortuna  che   sue  rote  gira, 
M'  ha  qui  condotto  con  gli  sproni  in  mano, 
E  di  me  fatto  il  berzaglio  e  la  mira: 
Or  pur  torraì  quest'  alfana,  Pagano, 
Che  1  mio  cavallo   ho  perduto   Baiardo, 
E '1  mio  cugin  che  mai  fu  più  il  gagliardo. 

Ili 
Ne  la  città  n'andrai  subilo  a  quella: 
Di'  che  Rinaldo  in   sul  campo  1'  aspetta 
A  la   battaglia,  armato  non   in   sella, 
Che  vuol  de'  suoi  prigion'  far  la  vendetta  : 
Vedrai   die  gli  parrà  buona  novella. 
Guallier  sopra  1'  alfana  si  rassetta, 
E  presto  in  Babillona  andava  a  Anlea, 
E  quel  eh'  ha  detto  Rinaldo,   dicea. 

IV 

Diceva  Antea  :  Può  farlo  la  fortuna, 
Che  sia  Rinaldo,   e  sia   così  soletto 
Sanza  cavallo  o  compagnia   nessuna  ! 
E  corse  a  Ulivieri   e  Ricciardetto, 
E   disse  :   Or  non  temete  cosa  alcuna  ; 
Perchè  sapea  che  vivon   con  sospetto  ; 
E  quanto  più  potea  gli   confortava; 
Che  per  amor  di  Rinaldo   gli  amava. 


E  Ricciardetto  avea   trattato  in  modo, 
Che  mai   nessun   disagio  comportóe  ^ 
Tanto  la  strigne   1'  amoroso  nodo; 
Poi  fatto  questo  al  Soldan  se  n'  andóe  : 
"Voi  non  sapete,  disse,  quel   eh'  io  odo  : 
Però  quel   eli'  ho  sentilo,   vi   diróe  : 
Rinaldo  fuor  m'  aspetta   de  le  mura, 
A  pie,  soletto,  sol   con  1'  armadura. 

VI 

Il  Soldan  disse  :  Molto  strano  è  il  caso, 
Ch'un  cavalier  di  tanta  nominanza 
Così  sanza  cavai  sia  sol  rimaso  ; 
E  disse:  Glie  di'  tu,  Gan  di  Maganza, 
Che  se'  d'  ogni  scienzia  e   virtù  vaso  ? 
Sai  che  Rinaldo  ha  pur  molta  possanza; 
Né  la  fortuna  ritentar  vorrei  : 
Per  tanto  il  tuo  consiglio  caro  arei. 

VII 

Forse  che  Gano  ebbe  a  pensare  questo, 
Ch'  avea  di   tradinienti  pieno  il  seno  ; 
E   la  risposta  apparecchiata  ha  presto. 
Disse  :  Soldan,  s'  a  mio  modo  fareno, 
Non  metterem  così  in   un   tratto  il  resto, 
Ma  minor  posta  ch'Antea  mellereno  : 
Se  Rinaldo   ama  la  donna  famosa. 
Credi  per  lei  che  farebbe  ogni  cosa. 

vili 
E'  e'  è  quel  Veglio  antico  maladetto, 
Che  sta  ne   la  montagna  d' Aspracorle, 
E  tutto  il  regno  tuo  tiene  in  sospetto  : 
La  tua  fanciulla  con  parole  accorte 
Conchiugga  con  Rinaldo  questo  effetto  : 
Che  se  a  quel  Veglio  dar  crede  la  morte. 
Che  riarà  i   prigioni,   e  tutti  i  patti 
Gli  osserverai   che  in  Persia  furon  fatti. 

IX 

Era  il  Soldan  uom  molto  scozzonato, 
E  ntese  ben  che  lo  manda  a  la  mazza  ; 
E  fra  sé  disse  :   Che  uomo  scellerato  ! 
Ecco  ben   tradilor  di  fine  razza  ! 
Rispose  :  Io  lòdo  quel  eh'  hai  consigliato  : 
Ogni  altra  cosa  sare'  forse  pazza  : 
E  la  sua  figlia  confortò  ch'andassi 
Al  suo  Rinaldo,  e  questo  domandassi. 

X 

Ella  rispose  al  Soldan  eh'  era  presta, 
E  quanto  più  potè  si  facea  bella  ; 
Missesi  indosso   una  leggiadra  v'esla, 
Ove  fiammeggia   d'oro   alcuna  stella 
Nel   campo   azzurro,  molto  ben  conlesta 
Di  seta  ricca;   e  poi   montava  in  sella 
Con  due  sergenti;   e  non  volle  armadura; 
Ed  a  Rinaldo  andò  fuor  de  le  mura. 


M  O  I\  (r  A  N  T  !«:      M  A  ( .  (  1 1  0  U  E 


QuAinio  Itinalilo  Aiilfa  vedo   venire. 
Seni»*   nel   «iior   «li   subito    un    riprezzo 
D   amor,   clic   Jiliel  facea  per  forza  aprire  : 
IL  reo  il   Sol,   «iisse,   fra   le  stelle   in   mezzo. 
Giunse   la  <lonuj   rlie   1   farea  morire  ; 
Aide  (he   s'  era   a  seder  posto  al  rezzo 
A    pie   d'  un   moro   ^el.<o   in  su  la  strada, 
In  su   1   pomo   appo{:{:iato  de   la  spada. 

-MI 

E   disse  :   Mille  salute   a  Rinaldo  : 
Qtial   fato  inujiu.olo   o  qual   fortuna   vuole, 
CI»   a   pie  soletto  cammini  pel   caldo  ? 
Quando  Rinaldo  senti  le  parole, 
Non  potea  il  cor  nel  petto  starali  saldo, 
E   disse:   Ben   ne  venga   il   mio   bel   Sole; 
Qual   grazia  qui   ti  manda  a   conforìaruìi  ? 
Md  dimmi,   dove  bai   tu  lasciato  V  armi  ? 

XII] 

Rispose   la  fanciulla  :  Ali   poro   e  soro, 
A  quel   che  ci  l)isoa;na  oa:ni   arme  è  buona; 
(Il    io   doverci   per   uscir  di  marloro, 
Far  come   Tisbe  mia   di  Labiliona, 
Poi   che  noi   siamo   a  pie  del   {^elso  moro, 
De   la  cui   fede   ancor  la  fama   snona  : 
E  forse   del  mio   amor  costante   e  dejino 
In   qualche  modo  il  ciel  farebbe  sec;no. 

XIV 

10  son   venuta,  perchè  il  padre  mio 
Vuol  eh"  io  ti  dica  quel  che  intenderai, 
Ch  un  nostro  gran  nemico  antico  e  rio, 
Se   tu  r  uccidi,   i   tuoi  prigioni   arai, 

E  ciò  che  in  Persia   già   li  promissi   io  : 
Non   so  se  ricordar  sentilo  1'  hai  ; 
Ma  molto  snona  la  sua  possa  magna  ; 
Il  Veglio  appellalo  è  de  la  montagna. 

,\v 
E  stalli  d' ogni  cosa  a  la  mia  fede, 
Se   tu  farai,  Rinaldo,  quel  eh'  io   dico  : 
Ma  dimmi  come  sia  rimaso  a  piede  ; 
E  ch'io  non  veggo  Orlando  qui  il  tuo  amico: 
Piglia  questo  cavai,  che  per  mia  fede, 
Se   non   l'  accetti,   sarai  mio  nimico. 
Disse  Rinaldo  :  In  un   deserto  lolto 
Rimase  Orlando,  e  1  deslrier  mi  lu  lollo. 

XVI 

11  me'  ch*  i  posso  mi  son  ,qui  condotto  : 
Ti  amor  ch'io  porto  a  Anlea  me  lo  fa  fare: 
E  son  venuto  a  pie  più  che   di   trotto. 

Né  voglio  altro  cavai  mai  cavalcare, 
Infin  che  1  mio  Baiardo  non  m'è  sotto: 
Or  perchè  sempre  mi   puoi   comandare, 
Colui   che   di'  di  montagna  o  di  bosco, 
Fammi  a  saper  ;  ch'io  per  me  noi  conosco. 

XVII 

E  s'  egli  avessi  la  testa  di  ferro. 
Per  lo  tuo  amor  due  pezzi  ne  fartie  : 
Cosi  ti   giuro,  e  so  che  mai  non  erro  : 
E  d' ogni  cosa  in   le  mi  fideróe 
Di  ciò  che  fo  ne' patti,   s'io  l'atterro. 
Rispose  Anlea  :   Con  leco  mandertie 
l'n   de'  miei  mamalucchi   che  là  vegni, 
E  questo  can  malfusso  te  lo  nsegni. 


XVIII 

Io  mi  ritorno  drento   a  la  città, 
Che   tempo  non   e  or  da  far  soggiorno  : 
A'  tuoi   prigioni    niente   mancherà. 
Ch'io  gli  ho  sempre  onorali  notte  e  giorno: 
E   libero  ciascun  di   lor  sarà, 
Rinaldo,  in  ciascun   nu»do  al    tuo  ritorno: 
Macon  fia   leco  :   e  poi    voltò   il   cavallo. 
Che  "n  volto  più  non  solleria   guardallo. 

XIX 

E  ritornossi  sospirando  drento, 
E  ridi<eva   al   Soldano  «icni   cosa; 
Non   domandar  <:ome   Gan   fu  «■onlento. 
De   l'allegrezza  non   trovava  posa  : 
E  perdi' e"  fossi  doppio   il    tradimento, 
Disse  cosi  :  Se   lu   vuoi   nJr  la  rosa 
A   tempo;   o  sanza  pngnerti   la  mano, 
Un   altro  bel  ])artito  c'è,  Soldano. 

XX 

Rinaldo  non   ara  col   Veglio   srampo. 
Or  mi   parrebbe   la   tua   figlia  andassi 
A   Montalbano   intanto  a  porre  il  campo  : 
E   baslere  trentamila   menassi 
Prima  che  sia  raffreddo  questo  vampo  : 
Orlando   non   v' è  or  che  rimediassi, 
Ma   sol   Guicciardo,  Alardo  e  Malaiiigi  : 
E  preso  Montalban,  preso  è  Parigi. 

XXI 

Questo   Ulivieri   e  questo  Ricciardetto 
De' miglior  paladin' son   ch'abbi   Carlo: 
Carlo   in   Parigi  è  rimaso  soletto, 
E  per  paura  attenderà  a   guardarlo  ; 
Qui   è  il  partito   vinto,   e  1   giuoco   nello, 
Pur  che  lu   sappi,  signor  mio,  pigliarlo. 
Donde   al   Soldan   troppo  la  'mpresa   piate  ; 
E  ciò  ch'ha  dello  Gan  gli  fu  capace. 

XXII 

E   la  figliuola  scongiurava  e  priega. 
Che  ora   è  tempo  acquistar  qualche  fama  ; 
Ma  la  fanciulla   al   principio   ciò  niega. 
Come  colei   che   Rinaldo  molto  ama: 
E  molto  saviamente   al  padre   allega. 
Che  sempre  più  1' onor  che  1' ulil  brama, 
E  che  Rinaldo  voleva  aspettare, 
E  ciò  che  aveva  promesso  osservare. 

xxin 
Il  padre  rispondea  :  Prima  che   torni 
Dal  V'eglio,  o  eh*  e'  gli  dia  sì  tosto  morte, 
Saranno   trapassali  molti  giorni  : 
Tu   sarai   a  Montalban  prima   a   le  porte 
»  o'  tuoi   stendardi   e   i   tuoi   baroni   adorni  : 
E  oltre  a  questo,  Orlando  or  non  è  in  corte. 
Né  Ricciardetto,   L'iivieri  o  Rinaldo  , 
Però  balliamo  il  ferro  mentre  è  caldo. 

XXI  v 
Quando  Rinaldo  sarà  ritornato, 
Perch  io  m'  avveggo   lu   gli  porti   amore, 
Ciò  che  promesso   gli   hai,  fìa   osservato, 
E  giusta  il  mio  poter  faremgli  onore, 
Tanto  ch'in  Persia   si  sia  ritornato: 
Quivi   si  poserà,  sendo  signore: 
Direni,  che  ne  la  Mecca  tu  sia  andata, 
E  n  pochi   giorni   qui   sarai   tornala. 


-^i  o  i\  (;  A  ìN  t  e    jm  /V  g  (]  I  o  i\  e 


x\v 
(ì.ifio   ili   sul    latto   i-lire^.i   p.trolr, 
(". ir  «T.iii    tutte   (le'ciilj)i    ili'l    iiiaf>tro  : 
Qnaiuiit  Antt-a  ville  <lie  I  SuMan  pur  vuole, 
lìi>IM>se  che  parata  era   a  suo  destro. 
FaiiMOsi   iiìse<;iie,  rontf  far  si  suole, 
lì  roruiiiienti   poi   liiojit»   caiiipeslro  : 
r.iili{;lioiii   e   lral»a(<  l>c   s'  apparecrliia  ; 
E   Uilla  r  arme  si  ritruova   veccUia. 


Non  credo   rlie  mai   tanto  martellassi 
In    Moi)i;iUello   il    firaii    falihro    Vulcano, 
(^^iianto   per   tutta    l>aliill()tia   Tassi: 
E   rlii   portava  l' arco  soriano, 
R.K  concia  le  saette  co'  turcassi  : 
(•Ili  la  sua  scimitarra  piglia  in  mano, 
ìì.   vntil  veder  s'  eli"  è  di   tutta   pruova  : 
Chi  briglie  e  selle,  e   chi  staffe  rinnuova. 

xxvii 
In  pochi  giorni  sun   tutti   assettati  ; 
VL  die  il  Soldan  le  sue  benedizioni 
A  la  (i^liuu'a,   e  sono  accomiatali, 
E  dati   tulli   al  vento  i   lor  pennoni. 
Guardava  Antea  cine'  cavalieri   armati, 
E   tulli   pli  vagheggia  in  su   gli   arcioni, 
E   dice  :   Io  vedrò  pur  Crislianitade, 
Castella  e  ville  e  V  altre  sue  contrade; 

XXVJll 

Le  sne  marine,  i  boschi,  i  monti  e '1  piano, 
E 'I   bel  Castel  che   guarda  Malagigi 
Del  mio  Rinaldo,   dello  Montalbano: 
Vedrò  la  bella  chiesa   san  Dionigi  : 
Vedrò  il  Danese,  Astolfo  e   Carlo  Mano, 
Quand' io  sarò  a  combatter  poi   a   Parigi; 
E  s' io  lorrò  a   Rinaldo  il  suo  castello, 
Polrò  ciò  eh'  io  vorrò  poi  aver  da  quello. 

XXIX 

Combatterò  co' paladini   ancora: 
Rinaldo    tornerà,   così   Orlando  ; 
E  proverommi  con   lor  forse  allora  : 
La  faina  insino   al  cìel   n'  andrà  volando  : 
Così   di  queste  cose  s' innamora, 
Mentre  che  a  ciò  pensava   cavalcando, 
Come   colei  che  sol  bramava  onore, 
E  mollo  generoso  aveva  il  core. 


Gan  per  la  via  con  lei  molto  parlava, 
CfT^a  con  essa  a  fargli   compagnia  ; 
Così  faremo  ;   e  mollo  confortava. 
Dicendo   spesso;   Per  la  lede  mia, 
Del  tradilor  Rinaldo  non  mi   grava  ; 
E'  non   ci   va   due  mesi,  che   in  balìa 
Arete   tutto  il  reame  di  Francia, 
Sanza  operare  mollo  spada  o  lancia. 

XXXI 

Io   ho  parenti   e   amie  i    in   ogni   lato  ; 
E   non   ha    Carlo  sì  fidala   terra, 
Ch'  io   non   saj>pi   orilinar  qualche    trattalo, 
Coin' e'  vedranno   appiccala    la   guerra. 
Di«-eva  Antea  :   Guata   noin  bene  ostinalo  ! 
Chi   dice   tradilor,  certo  non  erra  : 
Cile  je   di  questo    il  mio  giudizio  è  saldo, 
INuu   vidi  a   la   mia   vita   un   tal  ribaldo. 


Così  coslor  ne  vanno  a  Montalbano.^') 
i)v  ritorniamo  un  poco  al   suo  signore. 
Rinaldo,   e   1   manialncco   del   Soldano 
Vanno  a  rjiiel   Veglio  crudo  e  peccatore. 
Dicea   Rinaldo  a   lo  scuilier  pagano  : 
Monta  in  su  quest'  alfaiia  per  mio  amore  : 
Che  iiuin  che  'I   mio  cavai  non   troveruc, 
Altro  destrier  già  inai  cavalcheróe. 

xxxin 
Nim   voleva   il   Pagan  per__revcrenza  ; 
Ma  poi  ])cr  reverenza   anco  I'  accetta. 
Vanno  paiTando    de   la    gran   potenza 
Di  queir  aspra  persona   e   maiadetta. 
Diceva   il   mamalucco  :   Abbi   avvertenza. 
Che  la  sua  branca  addosso  non    ti  Mie  Ita. 
Rinaldo   rispondea  :   Tu  riderai  ; 
Che  maggior  bestia  son   di   lui   assai. 

xxxiv 
Poi  che  furono  entrati  in   nn  gran  boseo. 
In   mezzo  a  quel  trovorno  un  gran  burrone 
Diserto,   oscuro   e   tenebroso  e  fosco  : 
Disse   il  Pagan:   Qui   sta  quel   can  ghiottone 
In   quel  palagio  che   vedi  :  io  il   conosco 
Insin   di  qua,  ch'io  "I   veggo  a  nn   balcone: 
E  mostra  quello  a  Rinaldo  che  stava 
A  la  lineslra,   e  pel  bosco  guardava. 

XXXV 

Com'  e'  vide  apparir  Rinaldo,  forte 

Gridò  da  quel   balcon:  Che  gente  è  questa? 

Che  andate   voi   cercando  qua   la  morte  ? 

Venne   a  la  porta   con  molta  tempesta. 

Disse   Rmaldo  :  A   te  sanza   allre  scorte 

Venuti  siam  per  l'oscura  foresta; 

E  vengo  a  dare  a  le  quel  eh'  hai  tu  dello, 

Per  onta  e  disonor  di  Macomelto. 

» 
xxxvi 

So  che   tu  se' del   graai   Soldan  nimico; 

E  son   venuto  qui  per  vcndicallo 

Di   ciò  che  fatto   gli   hai  pel   tempo  antico; 

Che  contro  lui  commesso  hai  più  d'  un  fallo. 

Rispose  il  Veglio  :  Io  fui   sempre  suo  amico 

Per   ogni   tempii,  e   lutto  il  mondo  sallo  ; 

E  ])ercliè  cavalier  mi  par'  da  bene, 

Vo'  che   tu  intenda  onde  tal  cosa  viene. 

xxxvii 
Questo  Soldan   già  sendo  addormentato, 
Una  manina  in   vision   vedea. 
Che  senilo  sopra  il  suo  cavallo   armato. 
Una  montagna   addosso  gli   cadea  : 
E   ha  per  qiìeslo  sogno  interpretalo 
Ch'  io  sia  quel   desso  :  e  già  ci  mandò  Antea 
A    coiiilialler   con  meco;    e   finalmente 
De  la  battaglia  si  partì  perdente. 

XXXVIH 

Questo  sos|)elto  fa   che  mi  persegua, 
E   cerchi   «|uanto   e' può   tormi   la  vita, 
Sanza  voler  con  meco  accordo  o   triegua  : 
iMa  se  questa  sentenzia  é  stabilita 
In  ciel,  se  innanzi  a  me  non   si   dilegua  ; 
Convien  che  (inalinenle  sia  esaudita  : 
Or  se   ti'  se'  venuto  qua  a  sfidarmi, 
Aspetta   lauto  eh'  io  prenda  mie  anni. 


INI  O  K  G  A  N  T  J:     ini  a  Ci  G  I  O  K  K 


XXXIX 

Diwc   Rinaldo:    In   o<ru'\  modo  vo<;lio, 
die   tu   ti    vesta   tutta   tua  arniadtira  ; 
(.Ile   altrimenti   roniliatter  non  Miglio  : 
\'edrem   rome  al  mio   brandn  sarà  «lura  : 
V.  forse   ti   farò   «^iù  por   l'orpoplio, 
E  più  il    Soldan    non   islarà   in   jiaiira. 
Arnios.<^i   il   ^'e•:lio   allor   di    tutta  liutta 
Di  pelle   di  serpente  dora  e  cotta. 

XL 

E   tolse  jier  ispada  un  mazzafrusto 
Con   tre  palle   di  ])iombo   incatenate, 
•  Ferralo,   nocchieruto  {trave  e   «giusto, 
K  ritornò  a  Rinaldo  immediate, 
ÌL  disse:    Io  ti  farò  mutar   di   gusto. 
Come   tu  assa»;gi   di   (|ueste  picchiate: 
Che  s'  io   t'  accocco   una   palla   di  piombo. 
In  Babillona  s'  udirà  il  rimbombo» 

XLI 

Ma  vo'  che  tu  mi  dica,  se  li  piace. 
Il   nome  tuo,  e  se  tu  se' pagano; 
Poi   che  tu  parli  sì  superbo  e  audace, 
E   vuoi  far  le  vendette   del   Soldano. 
Disse  Rinaldo  :  Ciò  non   mi   dispiace  : 

10  sono  il  gran  signor  di  Montalhano, 

E  per  amor  d'Antea  vengo  a  ammazzarti; 
Che  lo  farò  pria  che  da  me  ti  parli. 

XLU 

E  so  che  per  la  gola.  Veglio,  menti, 
Ch'  a  la  battaglia  vincessi  colei  : 
Non  sette,  come  te,  co' tuoi  parenti: 
Oltre  io  ti  sfido  per  amor  di  lei  ; 
Ed  liogli  fatti  mille  sacramenti. 
Che  sanza  il  capo  tuo  non   tornerei  : 
E  nel  partir  mi  donò  questa  stella 
D'  una  sua  vesta  eh'  avea  molto  bella; 

XLIII 

Ed  io  gli  donerò  per  cambio  a  questo 

11  rapo   tuo,  malvagio  traditore. 
Turbossi  il  Veglio  ne  la  ironie  presto, 
Quand' e' sentì  chi  era  quel  signore: 
E  se  fussi  il  partirsi  stalo  onesto, 

Si   dipartìa  ;  sì  gli  tremava  il  core: 
Ma  per  vergogna  il  mazzafrusto  alzóe, 
E  con  Rinaldo  la  zuiTa  appiccóe. 

XLIV 

Rinaldo  aveva  gli  occhi  a  quelle  palle, 
Ch' un  tratto  che  Tavessin  fatto  colta. 
Gli  facevon  le  gote  altro  che  gialle  ; 
Pur  s' appiccorno  alcune  qualche  volta. 
Che  non  potè  così  nello  schifalle  ; 
Tanto  che  1'  elmo  sonava  a  raccolta  : 
Dunque  convien  chogni  suo  ingegno  adopre, 
E  con  lo  scudo  e  col  brando  si  cuopre. 

XLV 

E  come  e'  vede  la  mazza  caduta. 
Il  me'  che  può  con  la  spada  il  punzecchia; 
Quando  a  le  gambe,  quando  a  la  barbuta: 
Con  r  altro  braccio  lo  scudo  apparecchia 
Per  riparare  :  e  'n  tal  mudo  s'  aiuta, 
Che  lo  schermire  era  l'arte  sua  vecchia; 
Ma  ogni   volta  riparar  non  puossi  ; 
E  spesso  con  V  un  piede  iuginocchiossi. 


Quand' «blum   ronibnttuto  un'ora  o  piùe, 
Rinaldo   un    trailo   l'rusherla   su   alza: 
l'cr  mostrare  a  quel   colpo  sua   virltìe  ; 
l)n   capiit-llacciu  di'  egli   avea   giù  balza 
l*vr   la   percossa;   che  ^i   aspra  fue. 
Che  '1  criidel   Veglio   la  terra  rincalza 
E   cadde   come  il   tordo  sbalordito. 
Tanto  eh'  un  jiezzo  stelle   tramortito  ; 

XLVll 

E  risenlito  disse  :   Cavaliere, 

10  mi   l' arrendo,   e   dommi   tuo  prigione  ; 
Che  mi  potevi   uccidere   a  giacere  : 

Da  ora  innanzi,  famoso  barone. 

Di  mia  persona  fanne  il   tuo  volere. 

Disse  Rinaldo  :  Per  mio  compagnone 

T  accetto,  e   tua  persona  franca  e  degna 

Con  meco  in  conq)agnia   vo'  che  ne  vegna. 

XLVin 
Rispose  il  Veglio  :  Io  son  molto  cootenlo 
Seguitar  cavalier  tanto  giocondo; 
E  vo'  che  sia  tuo  sempre  a  tuo  talento 
Questo  palagio,  e  ciò  eh'  i'  ho  nel  mondo, 
E  s'altro  c'è  che  ti  sia  in  piacimento. 
Rinaldo  disse  :  A  questo  sol  rispondo, 
Che  Ih  ci  dessi  da  far  colezione, 
Ch'  ognun  ci  piglierebbe  oggi  al  Loccone. 

XLIX 

Noi  abbisim  per  un  deserto  camminalo, 
Dove  pan  non  si   Iruova  né  farina  ; 
E  so  che  '1  mio  compagno  anco  è  all'amalo, 
Ch'  era  a  cavai  ;  pensa  chi  a  pie  caromioa: 
Abbiam  sanza  vigilia  digiunato  ; 
Che  ci  partirn  per  tempo  ier  mattina. 
Il  Veglio  apparecchiar  facea  vivande, 
E  fece  loro  onor  subito  e  grande  : 

E  stanno  così  insieme  a  riposarsi. 
Or  ritorniamo  ov  io  lasciai  Anlea, 
Ch'  a  Mont^lban  cominciava  appressarsi, 
Tanto  che  un   giorno  a  le  mura  giugnea, 
E  con  sua  gente  comincia  accamparsi  : 
E  poi  mandò,  come  Gau   gli  direa. 
Un  niessaggier  di  subilo  al   castello 
Al   buon   Guicciardo    e  V  altro  suo  fratello. 

LI 

11  messo  andò  con  la  'mbasciala  in  fretta, 
Z  ù'^se  come  del  Soldan  la  figlia 

Era  venula  con  molla  sua  sella  : 
E  che  non  abbin   di  ciò  maraviglia. 
Però  che  questo  è  fallo  per  vendetta 
Del  lor  fralel  contro  a  la  sua  famiglia  ; 
Che  mandin  giù  le  chiavi  del  castello, 
O   vengan  sopra  il  campo    a  salvar  quello. 

Lll 

Guicciardo  a  quel  messaggio  rispondea  : 
Che  non  sa  che  vendetta  o  che  cagione 
A  quest'  impresa  commossa  abbi  Anlea  ; 
E  che  restava  pien  d  ammirazione  ; 
E   che  le  chiavi   eh'  ella  gli  chiedea. 
Gli  porterebbe   lui  sopra  l'arcione, 
Per  dargliel  con  la  purità   de  la  lancia, 
Che  così  era  il  costume  di  Franti.). 


iG 


M  O  R  G  A  N  T  K      MAGGIO  R  E 


Torna  il  messaggio  e  fere  la  'mliasciala  ; 
De   la  qual  cosa   Anlea  seco  sorrise. 
Giiicciardo  con  Alardo  e  sua  brigala 
L'  altra  mattina   ognun   1'  arme  si  mise  ; 
E   tutta  fu  la   terra  ralTorzala, 
E  con  le  sbarre  le  strade  ricise  ; 
E  vennono  in  sul  campo  armati  io  sella, 
Dove  aspettava  la  gentil  donzella. 

LIV 

La  qnal,  come  coslor  vide  venire, 
Fecesi   incontro  benigna  e  modesta, 
E  dicea  seco:   E" non  posson   disdire. 
Che  non  sien  di  Rinaldo  e  di  sua   gesta, 
Tanto  sopra  il  cavai  mostran   d'ardire: 
L"  aspetto  e '1  modo  lor  lo  manifesta: 
E  di  Rinaldo  suo  pur  si  risente, 
E  salatogli  graziosamente^ 

LV 

E  disse:  Tu  che  innanzi  a  gli  altri  guardo, 
Sanza  che  ì  nome  tuo  più  oltre  dica. 
Se' quel   gentil  baron   detto   Guicciardo, 
Dove  ogni   gentilezza  si  nutrica  : 
()iieir  altro  cavalier  chiamato  è  Alardo, 
Jii   cui   risiirge  ogni  eccellenzia  antica: 
Ma  dimmi,   ove   hai   tu  lasciate  le  chiavi, 
die  in  su  la  lancia  dicesti  arrecavi  ? 

LVI 

Guicciardo  gli  rispose  :   O  damigella, 
Io  non  so  la  cagion  de  la   tua  impresa  : 
Ma  poi  che  cosi  è,  tenuto  in  sella 
Sono  in  sul  campo  per  la  mia  difesa  : 
E  certo  tu  mi  par  donna  sì  bella, 
*,lie  di  combatter  con  teco  mi  pesa: 
Se  ignun   de' miei   t'ha    fatto  mancamento, 
Per  la  mia  fé  eh'  io  ne  son  mal  contento. 

Lvir 
E  arei   caro  intender  qual   sia  quello 
Che  t'  abbi  fatto  ingiuria,  ove  o  in  qual  parte. 
Per  darti  poi   le   chiavi    del   castello  ; 
(Ile  tu  mi  par,  quand' io  ti   guaio,  Marte: 
Né  altro  fuor  eli'  un  mio  carnai  fratello, 
E  '1  mio  cugin,  maestro  di   qnest'  arte, 
<  ioè   Orlando   e   Rinaldo  d'  Anione 
A  idi  star  meglio  armato  in  su  1  arcione. 

Lvm 
Rispose  allora  a   Guicciardo  la   dama  : 
Per  gentilezza   e  non  per  nimistale, 
Per  acquistar  con   teco  in  arme  fama. 
Vengo  a   combatter  la   vostra  cillale. 
Disse   Guicciardo  :  Se  questa  si  cliiama. 
Gentil  madonna,  come   voi  parlate  ; 
Forse   eh'  eli'  è   gentilezza  in   Soria  ; 
Ma  in  Francia  nostra  mi  par  villania. 

Pur  se  con  meco  volete  provarvi, 
Contento  son  ;  ma  farciain  questo  patto. 
Che  a   Babillona  dobbiate   tornarvi 
Con   tutta  vostra  gente  s'io  v'abbatto  ; 
Se  mi   vincete,  il  Castel  vo'  donarvi. 
Rispose  Antea  :   Per  Macon  ciò  sia  fatto: 
Piglia  del  rampo,   gentil   mio   Guicciardo, 
Ch'io  proverò  come  sarai  gagliardo. 


Preso   del   campo  le   lance  abbassaro, 
E  vengonsi   a  lerir  con   gran  fierezza  : 
E  poi  «Ite  insieme  i   destrier  s'  aceostaro, 
Il   buon   Guicciardo  la   sua   lancia  spezza, 
E  molti   tronchi   per   1'  aria  n'  andaro  : 
Ma  la  fanciulla   il   colpo  poco   apprezza, 
E  per  tal  mudo   Guicciardo  ha  ferito, 
Che  di  cadere  al  fin  prese  parlilo. 

r.xi 
Disse  la  dama  :  Tu  se'  mio  prigione  : 
Io  vo' provarmi   con  quell'altro  ancora: 
E  mandò   via   Guicciardo  al  padiglione, 
E  nverso  Alardo  s"  accostava   allora, 
E  disse  :  Piglia  del  campo,  barone. 
Poi  che   Guicciardo  de  la  sella  è  fuora. 
Alardo  presto   allor  del  campo  tolse, 
E  r  uno  incontro  a  l'  altro  il  destrier  volse. 

LXIl 

Vanno  più  presto  eh'  uccello  o  saetta 
DI  buon   balestro  o   arco  disserrata, 
E  pensa  ognun  la  lancia  in  resta  metta, 
Quando  fu  tempo   d'  averla  abbassata  : 
E  come  insieme  furono  a   la  stretta, 
Tremò  la  terra,  e   parve  impaurata. 
Tanto  Antea  grida  e  1  suo  cavai   conforta. 
Che  1  suo  signor  come  un  drago  ne  porta. 

LXIII 

Alardo   ne  lo  scudo  appiccò  il  ferro, 
E  fece  con  la  lancia  il  suo  dovuto  ; 
Ma  poco  valse  il  colpo,  s' io  non  erro, 
Che  noi  passò,  benché  sia  molto  acuto  ; 
Perché  non  era  una  foglia   di  cerro, 
E  finalmente  restava   abbattuto  : 
Ch'  al  colpo  de  la  donna  non   s'  allenne  ; 
Tanto  ch"  a  lui  com'a  quell"  altro  avvenne. 

LXIV 

E  fiinne  al  padiglion  preso  menalo. 
Quivi   allor   Ganellon  con  lei  s'  accosta  : 
Disse  la  dama  a   Gan  :   Ch'hai   tu  pensato 
Far   di   costor  ?  rispondimi   a   tua  posta. 
()uel   traditor  che  slava  apparecchialo, 
Non   ebbe   troppo  a  pensar  la  risposta, 
E   disse  :   Dama,   a  voler  giocar  netto. 
Io   gli  farei   impiccar;  questo  è  in   effetto. 

i.xv 
Rispose  la  figliuola  del  Soldano: 
Non  dubitate,  cavalier',   d'Antea  : 
Colui  per  cui   tenete  Montalbario, 
Giostrò  con  meco  ;  e  so  che  mi  potea 
Uccider  con"  la  lancia   eh' avea  in  mano; 
Ma  noi  sofferse  il  ben  che  mi  volea  : 
E  per  suo  amor  vo"  render  guidardoue, 
E  non  sarà  contento  Ganellone. 


Io  giostrai  in  Persia  col  vostro  Ulivicri, 
E  vlnsilo,   e  così  poi   Ricciardetto  ; 
Quantunque  io   noi    facessi  volentieri  : 
E  molto  duol   ne  sento,   vi  prometto  ; 
Però  eh'  io  gli  ho   lasciati  prigionieri 
Al  padre  mio,  e  sloniie  con  sospetto: 
Rinaldo  è  ilo  acquistar  per  suo  meglio 
De  la  montagna  quell'  antico  Veglio. 


IM  O  U  (;  A  N  T  l<      IM  A  C,  (i  I  O  I\  K 


I.XMI 

E  romp  qiipslo  .ir(|(iis(ato  5arà, 
Oli  renilrrà  i  ]tri};ioiii   il  padrr  mio  ; 
l'I  so   rlic  presto   ne   verraiiDO   in  <]ua  ; 
De  la  qnal   rosa   i'  ho   trop|)o   disio  ; 
N<>   infili   vhc  sia    (ornalo  il   ror  ini  sta 
r,ont(*nto   drcnt*»   al  petto,  pel   mio  Dio  : 
Or  questo   tradllor   <".in   rine|!alo  i  v«.«*«) 
Si   pentirà  di  quel   eli'  lia  consigliato. 

I.XVIII 

E   fere};li   iniliollire   il    cioliberello 
Da   quattro  inanialurrlii   co   Itasloni  : 
Ne  inai  campana  sonò  si   a  martello, 
Quanto  e"  sonavan   le  ])ercussioni  ; 
Guicciardo   ne   godea,   cosi   il   iratello. 
l'oi   die   l)attuto  fu,   qne' ronij)a<;noni 
Lo   rizzon  su  con   i.^^clierno  e   con  hefle, 
Dicendo   lutti  :   Nasseri   bizzefre. 


Non   Milendeva   Gan   questo   linpuajigio, 
Se  non  che   la  fanciulla   gliel   chiarì; 

I  niainalucchi   voglion  per  vantaggio 
Per  ogni  bastonata   un  nasserì 

Da  ogni  peccator  che   fanno  oltraggio  : 
Or  vedi,   Ganellon,  la  cosa  è  qui  f, 

II  tradimento  a  molli  piace  assai, 

Ma  il  traditore  a  gnnn   non  piacque  mai. 

Così  in  parie  portò   la  pcuitcnzia 
Il   tradilor  di   Gan   de   .-noi  peccali: 
Che  j)er  occidla  e  divina  sentenzia 
Sono  assai   volte  i  nostri  error  purgali  ; 
Ma  voglionsi   portar  con  pazienzia  ; 
Non   come   Giuda  andar   tra'  disperali  : 
Dunque  e'  si   vede  al  lin   la  sua  vendetta 
Per  qualche   via  chi  luogo  e  tempo  aspetta. 

txxi 
Guicciardo  ringraziò  quanto  più  puole 
La   damigella    di  quel   eh   avea  fallo: 
Ma   per  dolore  il  petto  si   percuote, 
Ch'  Ulivier  di  prigion   non   era   tratto, 
E  Ricciardetto:   e  bagnava  le  gote, 
Temendo  che  il  Soldan  non  rompa  il  patto: 
Ma  quanto  può,  dà  lor  costei  conforto, 
Che   a  niun   di   lor  non   gli  sia  fallo  torto. 


Allor  pregorno  Guicciardo  e  '1  fratello  : 
Piacciali,  Antea,  venire  in   cortesia 
A  star  del   Ino  Rinaldo  nei   castello, 
Tanto   che   torni   in   qua   di   Paganìa  : 
Non  li  bisogna  ornai  combatter  quello; 
Ogni   cosa  li   diamo  in   tua  balia  : 
De  la  qual  cosa  fu  costei  contenta; 
E   Ganellon  ne  la  prigione  slenta. 

txxni 
Lasciamo  Anlea  che  stava  a  suo  piacere 
A  Montalbano,  e   1  suo  Rinaldo  aspella  : 
E  mollo  onor,  secondo  il  lor  potere, 
Fanno  i  Cristiani  a  questa  donna  eletta. 
Orlando  va  con  mollo  dispiacere 
Con  quella  sventurata  poverella. 
Come  dicemmo,  clie  s'  era  fuggila 
Da  que'  giganti  per  campar  la  vita. 


ixxiv 
Ove   se' tu,   dicendo,  fratcl   mio? 
Ove   lasciato  xnMiai    così   meschino? 
Ove    vai   lu  ?  perchè   non   son    le<'o  io  ? 
Ove   mi    guidi,  mio   buon    Vegliantiiio  : 
Ove   capilerem  ?  questo  sa   liio  ; 
Ove,   o   in    qual   parie   fia    nostro  ramniino  ;' 
Ove    guido    costei    per   <|uesti    boschi  i' 
Ove  Iroviam   qualcun   <'he   la   conoscili  i' 

I.XXV 

Io    maiadico    la   fortuna   ria  ; 
lo  maiadico   Persia   e   T  /\mostanle: 
I(»   maiadico    la    <iisgi-azia    mia  : 
Io  maiadico   la   gente   alricanle  : 
Io   maiadico    il    Soldan    di    Sona  ; 
lo  maiadico    Antea   <'he    volle   amante 
Io   maiadico    Amor   che   n'  è   «'agioiu'  ; 
Io  maiadico  il  nostro  Ganellone. 

LXXVI 

Sentendo  la  fanciulla   lamentare 
Orlando,   gran  pietà  gli    venia  al  core, 
Dicendo  :  Lasso,   non    li   disperare  ; 
Raccomandali  a  Dio  giusto  Signore, 
Che   non  ci   voglia  così  abbandonare. 
Orlando   disse  :   Dama,  per  mio  amore 
Cavalca  innanzi   un  po' col  mio  scudiere,," 
Ch'io  vo'  solttlo  alquanto  rimanere. 

I.XXVII 

Terigi   e   la   fanciulla   s' avvide. 
Orlando  allor  di   Vegliantino  scese, 
E   in   terra  ne  la   via  s'  ingiiu)cchióe  : 
Le  braccia  al  cielo  umilmente  distese, 
E  1  suo  Gesiie,  come  solea,  adoróe, 
E   la  sua  madre,  che  in   qualche  paese 
Lo  conducessi  fuor  di   quel   burrone  : 
E  in  questo  modo  fu  la  sua  orazione  : 

LXXVIII 

O  sommo  Padre  giusto,  onnipolenle, 
O  Vergine  in   cui   sol   sempre  sperai, 
O  Redentor  de   la  cristiana   gente  ; 
Io  non  mi   leverò  di   terra  mai. 
Se  prima  non  rallumini   la  mente 
Là  dove  il  mio  cugin   condotto  l' hai, 
O   s'  egli   è   vivo  o  morto  o   incarceralo, 
O  sano  o  infermo,  o  dov'è' sia  arrivato. 

LXXIX 

Io  te  ne  priego  per  quella  viriate 
Che   donasti   a   l'angel  Gabriello, 
Venendo  annunziar  nostra  salute. 
Che  lu  mi  guidi  dove  è  il  mio  fratello.; 
E  perch'io  vo  per  vie  non  conosciute, 
Come   a  Tobia  mi  manda  Raffaello 
Che  m'accompagni   insio  che  me  lo  nsegni. 
Se  i  prieghi  miei  di  grazia  in  te  son  degni. 

LXXX 

Per  l'amor  che  portasti  al  nostro  Adamo, 
Pel  sacrificio  che  Abram   già  li  fé'. 
Per  ogni   profezia  che   noi   leggiamo, 
Pel  tuo  Davidde  e  pel   tuo  Moisè, 
Per  quella  croce   onde  salvali   siamo, 
Pel  tuo  Jacobbe   antico  e  per  Noè, 
Pel   lamento   che  fece   Geremia, 
Per  Giovacchin,  JosefFo   e  Zaccherla; 


Al  0  R  r,  A  N  T  i:      MAGGIORE 


li /IH 


LXX.XI 

Pe'mìratolì   già  che  tu  facp";!!  ; 
Concedi   tanta   prazia   a'  tuoi   ffileli, 
(^lie  dove   è  il  mio  ciiein  mi  mnnifestì  : 
lo   te  ne  priec;o  pc'  santi  Vanjjeli. 
In   questo  par  eli'  ima   voce  si   desti 
Molto  soave  che  parca  da'  cirli, 
Dicendo  :   Al   tuo  cammin    va   ritto   e  saldo, 
Che  sano   e  salvo  troverai   Rinaldo. 

LXXXII 

E   troverai  il  cavai  eh'  epli  ha  smarrito, 
E   ch'egli  ara  acquistalo   nn   gran   gigante: 
Poi  fu  subito  nn   lampo  disparito, 
Che  prima  a  gli  occhi  gli  apparve  davante. 
Criindo  sopra   il  cavai  fu  salito, 
E  ringrai^iava  le  poten^ie   sante  ; 
E  la  fanciulla  e   Terigi   trova /a, 
Che  poco  a  lui  dinanzi  cavalcava. 

Lxxxni 
Usciron  de  la  selva,  e  capilorno 
A   ima  gran  città  che  il  re  Falcone 
Signoreggiava;  ed  a  l'oste  smontorno: 
Appareechiavan   certa  colezione, 
E  due  donzelli  in  questo  vi  passorno  : 
Questa  fanciulla  a  sua  consolazione 
A  r  uscio  corse  per  voler  vedegli  ; 
E  r  un  di  lor  la  prese  pe' capegli. 

LXXXIV 

Era   del  re  Falcon   costui   nipote, 
E   Calandro  per  nome   si  diceva  ; 
Le  chiome  sparse  e  le  pulite  gote 
Vide,  e  con  seco  menar  la   voleva. 
La  fanciulla   gridava   quanto  puote  ; 
Terigi  presto  a   le   grida  correva. 
Ed  accostossi  per  torla  al  Pagano  : 
Ma  fugli  dato  nn  colpo  assai  villano, 

LXXXV 

Tanto"  che  cadde   sbalordito  in  terra. 
Orlando   intanto,  e  l'oste   era  là  corso, 
E   Durlindana  con   grand'  ira  afferra. 
Che  mai   non  furiò  sì  tigre  o  orso  : 
Un  manrovescio  a   Calandro   disserra, 
Che  lo  tagliò  nel  mezzo  come  un  torso  : 
E  Macometto  nel  cader  giù  chiama; 
Così  per  forza  lasciò  andar  la  dama. 

Lxxxvr 
Eran  con   lui  parecchie  schiere  armale  : 
Corrono  addosso  subilo  ad  Orlando  ; 
Ma  poi  eh'  assaggion   de  le  sue  derrate, 
Ognuno   a   drieto  si   viene   allaRgando. 
Fur  le  novelle   al  re  Falcon  portate: 
Vennene  a   l'oste;   e  venia  domandando: 
Che   cosa  è  questa?  chi  Calandro  ha  morto? 
Fugli  risposto  :  E'  non  gli   è  fatto   torto. 

Lxxxvn 
Orlando   al  re  parlò  discretamente: 
Sappi   ch'io   l'uccisi  io,  santa  corona: 
Una  fanciulla  di  nobile  gente, 
Ch'  i'  ho  con  meco  onesta  e  cara  e  buona, 
Voiea   con   seco  menar  quel  dolente, 
E  fargli  villania   di  sua  persona  ; 
E  strascinava  quella   a  suo   dispetto  : 
Or   tu  se'  savio  :  il  caso  in   te  rimetto. 


r.xxxviii 
So   che  sicura    vuoi  che   sia  la   strada, 
E  n«m  si   sforzi   ignun  per  nessun   modo; 
Ma   die  sicuro  dì   e  notte  vada. 
Rispose  il  re  Falcon  :  Troppo   ne   godo  : 
Rimetti,  cavalier,   drento   la   spada  : 
Di   (|uel    ch'hai  fatto,  io  ti  ringrazio  e  lodo: 
Giustizia  sempre   amai   sopra   ogni   cosa  : 
Questa  è  nipote  mia,  figliuola  e  sposa. 

LXNXIX 

Vo'  che  tu  venga   ne   la   mia  città 
Per   ristorarti  ancor  di  quest'oltraggio. 
Guarda  se  questo  era   uom   pl^n   di   bontà. 
Guarda  s'egli   era   nn  re  discreto  e  saggio! 
Rispose   Orlando:   Ognun   di   noi   verrà: 
Ma  perchè  cavalier  siam   di  passaggio, 
Un'  altra   gentilezza  ancor  farai. 
Che  1  oste  in  cortesia  ci  accorderai. 


Rispose  il  re  Falcon  :   Ben  volenliari  : 
E  subito  chiamò  lo  spenditore, 
E  fece  contentar  del  suo  1'  ostieri  : 
Poi  rimontò  ciascuno  a  corridore. 
Orlando,  la  fanciulla  e  lo  scudieri. 
Il  re  Falcone  a  tutti  fece  onore  : 
E  mentre  che"!  convito   era  più  bello, 
Subito  venne  un  messaggiero  a  quello. 

xci 
Era  un  Pagan  che  pare  im  eorbaccliione, 
Molto   villan,   superbo,  strano  e  nero. 
Coperto   d'  una  pelle  di  dragone  : 
E   giunto  con  un  modo  crudo  e  fiero. 
Diceva   al  re  :  Distruggali  Macone, 
E   Giuppiler  che  regge  il  grande  impero  : 
Tu  dei  saper   che  '1   tempo  è  pur  venuto, 
Ch'  al  mio  signor    tu  mandi  il  suo  tributo. 

xcn 
Turbossi   tutto  il  re  Falcone,  e  disse: 
O  mia  figliuola,  lasso,  sventurata. 
Quanto   era  meglio   assai   che   tu  morisse, 
Anzi  eh'  al  mondo  mai  non  fussi   nata  ! 
Orlando  lo  pregò  che   gli   chiarisse 
Quel  che  importar  volea  quella  imbasciata. 
Rispose  il  re  Falcon  :   Tu  lo  saprai, 
E  meco  insieme  so  che  piangerai. 

xeni 
Un'isola  è  nel  mar  là  de  la  rena: 
Otto   giganti  son  tutti  fratelli; 
Ognun  molt'  arroganza  e  rabbia  mena. 
Come   ha  fatto  costui   eh'  è  un  di  quelli: 
Hannoci   dato  per  eterna  pena. 
Ch'ogni   anno  di  noi  tristi  e  meschinelH 
Una  fanciulla  lor  tributo  sia  ; 
Tocca  qnesl'  anno  a  la  figliuola  mia. 

xciv 
E   non  potè  più  oltre  dir  parola  : 
Colui  la  'mbasciata  sua  replica  : 
Il  re  Falcone  abbraccia  la  figliuola. 
Orlando  disse  :  Vuoi   tu  eh'  io  gli  dica 
Quel  che  mi  par  per  la  mia  parte  sola? 
Che  di  tener  le  lacrime  ho  fatica. 
Tanto  m' incresce  4i  1^'  ^   di  voi? 
Ond'  e'  rispose  :   Di'  ciò  che  tu  vuoi. 


M  O  I\  G  ANTE      M  A  i\  (>  I  O  R  i: 


Orlando   ilissr   al   .iiiperlx)   pig.infr  : 
Nnn   so   fnu'i   die  'I    signor   Ino   si  iloin.inda; 
Ma    tu   mi   pari   noni   <-rii<lclc   arru^ianlt'  : 
La    tua    iinltasriata   minaccia   e   onniamia  ; 
(ilic    liaslt-relilx*   al   Soldan   del    ]-e^anl«*  : 
Diniini  il  tuo  nome,  e  di  (pici  «de  ti  manda, 
Voi    ti   dirò  «|nel   rhe  sarà  dovuto, 
Come    tu   alibi  a   acquistare   il    triliuto. 

xcvi 
Disse    il   Pagan:   Se  pur  saper  t'  aggrada 
Il   nimie  mio,   chiamato   son  Domliruno, 
K   Salincorno   il   sir  «le   la   contrada. 
Rispose   Orlando  :   Lecito   a  ciascuno 
E   ciò  che  si   guadagna   con   la   spada  ; 
Questo   confessi    tu  ?   dond'  io   son   uno,    CA^^.^. 
Che  vo'  ({uesta   fanciulla   guadagnarmi 
Con   leco   con    la  spada   o   con   altr'  armi. 

XCVIl 

Disse  Donibrun:  Per  Dio  conlento  sono  : 
Andiam,  che  noi  farem  bella   la  piazza  *, 
E   se   tu   vinci,   va,   eh'  io   tei   pentono. 
Orlando   aveva   indosso   la  corazza, 
E   disse   al  re   Falcone  :  E'  sarà  buono 
Cirio   ti   gaslighi   così   fatta   razza: 
Levossi  ritto,  e  niissesi  1'  elmetto, 
E  disse  :   Andiam,  Pagan,  ove  tu  hai  de  Ito. 

XCVIII 

Corsone   in  piazza  ognun  subitamente, 
E   tutto  fu  conturbato  il  convito  : 
Salì  Dombrun  sopra  fin  suo  gran  corrente, 
Orlando  è  sopra  Veglianlin  salilo  : 
Or  qui  si  ragunò  di  molta  gente, 
E  la  donzella  col   viso  pulito 
Era  a  veder  la  sua  redenzione  ; 
E  per  Orlando  faceva  orazione. 

XCIX 

Pure  orazìon  s'intende  a   la  moresca; 
Pregava  Macon  suo  che  1'  aiutasse, 
E   che   di   sua  virginità   gì'  incresca. 
Che  "1  fer  gigante  non  la  violasse 
Ne  la  sna  pura  età  fiorita  e  fresca. 
In  questo  i   due  baron"  le  lance  basse 
Av'ieno  ;   e   tutta  la  piazza   tremava, 
Però   che  Veglianlin  folgor  menava. 

e 
Il  popol  maraviglia  avea  di  quello  : 
Orlando   truova  Dombruno  a  la  peccia  ; 
Ma  pur  lo  scudo  reggeva  al  martello. 
Ruppe  la  lancia  che  parea  di  feccia, 
E  tutto  si  scontorse  il  Pagan  fello  : 
E  la  sua  aste   appiccava  a  la  treccia  ; 
Ma  per  quel   colpo    ne  fé'  tronchi  e  pezzi  : 
Dunque  lo  scudo  ad   Orlando  fé'  vezzi. 

CI 

Prese  Dombruno  una  sua  scimitarra. 
La  qual  già  disse  alcun  eh'  era  incantata. 
Benché  '1  nostro  autor  questa  non  narra  ; 
Crédo  più   tosto  forte  temperata; 
E  par  che  'nverso  il  ciel  bestemmi  e  garra: 
Dette  ad  Orlando  ima  gran  tentennata, 
Gridando  :  Se   tu  puoi,    da   questa   guarii  ; 
E  de  lo  scudo  gli  fece  due  parti  ; 


Percitè  con   esso  si    volle  coprire  : 
Orlando   de    l' un   pezzo   «h' avea    in   mano, 
l)<'lte   a  Donihrun,   tal    che   gii»-!    fé' sentire, 
Perchè   mi    cill'i»   giugneva   al    Pagano, 
l'^   Ifccgli   tre   denti   foora   uscire, 
ì\.    tramortito   rovinò   in   sul   piano: 
Onde  ciascun  maravigliato   fue, 
Che   così   presto   il   torrion   va   giue  ; 

nii 
Dicendo:  E'basterebbe   al   conte  Orlando: 
Quel   colpo   ari'hbe   atterrato  «ma   rocca. 
Il    Saracin   pur   venne  respirando, 
E   ritto  si  mettea   la   mano   in    bocca, 
E   le   sue   zanne   non   venia   trovatiilo, 
E '1  sangue  giù  pel  petto  gli   trabocca: 
Donde   si    duol   sanza   comparazione, 
E   sol   si   studia   bestemmiar  Macone. 

civ 
Poi  disse  al  conte  Orlando:  Assai  mi  duole 
Pe' denti   e   de    l'onor  eh' i' ho  perduto;     , 
Pur  sempre  la  sua  fé' servar  si   vinile: 
Comanda   ciò   che    vuoi,   di'  egli    è   dovuto. 
Rispose   Orlando:    E' bastan   due  parole: 
Ch'ai  re  Falcon  mai  più  chiegga  il  tributo: 
Ed  ogni  volta  che  tu  mangerai. 
De  la  promessa  li  ricorderai. 

cv 
E   vo'  che   tu   ti  facci  medicare 
Prima   che   tu   ritorni   a   Salincorno  ; 
E   stalli   qualche   dì   qui   a   riposare  : 
Così  Dombrun  si  posava  alcun   giorno  : 
Aglina  volta  die  volea  mangiare, 
Dicieno   i    servi,   che  stavan   dintorno  : 
Che  farebb' ei  co' denti  che  gli  manca? 
Di  Gramolazzo  mangerebbe  I'  anca. 

evi 
Poi   nel  partir  lasciò  la  fede  pegno, 
Ch'  al  re  Falcon  mai  più,  come  soleva, 
Darebbe   oppression  :  eh'  aveva  il  segno, 
Come  con   1'  arme  perduto  lui   aveva 
Il  gran  tributo;   e  tornossi  al   suo  regno: 
Il  re  Falcon   contento  rimaneva, 
E  ringraziar   non  si  saziava  Orlando, 
Dicendo  eh'  ogni   cosa  è  al  suo  comando. 

cvii 
Giunto  Dombrun  dove  la  rena  aggira 
Al  vento,   e  come  il  mar  tempesta  mena, 
Raccontò  tutto,   e  molto  ne  sospira, 
A  Salincorno   che  n'  ebbe  gran  pena  : 
E  fatto  è  scilinguato,  e  con  niolt'ira 
Diceva  :  A  desinar  sempre  ed  a  cena 
Ricorderommi  di  quel  ch'ho  perduto: 
Andrai  tu   Salincorno,  pei  tributo. 

ovili 
Rispose   Salincorno  :  Io  v'  andrò   cerio 
A  dispello  del  cielo  e  di  Macone  : 
Chi  è  quel  cavalier  che   t'  ha  diserto  ? 
Non   debbe   esser   di   corte   di  Falcone. 
Disse  Dombruno  :   E'  non   va  pel   deserto 
Di  Barberìa  sì  possente  lione. 
Né   leonfanti,  o  p«r  Libia  serpenti, 
Che  non    traessi    a  lor  come  a  me  i  denti. 


/ 


M  O  R  G  A  N  T  i:     MAGGIO  W  E 


Non  so  l>en  cliì  si   sia  quel  «avalicre  ; 
Ma  so  eli'  e'  sare'  liuono  erliolaio  : 
C.liè  sa  cavare  i  denti,  al  mio  parere  : 
Questo  è  il  tributo  eh'  io  t'  arreco  e  '1  maio; 
E  se   tu   vuofjli  andar,   li   fo  a  sapere 
Che  ne   trarrà  a   te  anco  più  d'  un  paio  : 

10  gli  promissi,  se  l' osserverai, 
Che  mai  tributo  al  re  tu  chiederai. 

ex 
E  per  me   tanto  non   vi  vo'  venire. 
Acciò  die   traditor  non  mi   chiamassi. 
Pur  Salincorno   tanto  seppe   dire, 
Cli'  al  fin   Dombrun   dispose  che   tornassi  : 
E  cinquecento   d'  arme  le'  guernire 
Di   ci«)  elle   gli  parca  che  biso<:;nassi  : 
In  pochi   dì  ne   venne  al   re  Falcone, 
Coni'  uom  bestiai  sanz'  altra  discrezione. 

CX( 

Sanza  osservare  o  legge  o  fede  o  patto, 
Con  questa  gente  intorno  s'  accampóe, 
E  manda  un  suo  messaggio  drento  ratto. 

11  messo  al  re  dinanzi  se  n'  andiie, 
E  dice  brevemente  appunto  il  latto, 
SI   come  il  suo  signor  gli   comandiJe, 
Clie  mandi  presto  al  campo  a   sua   difesa 
Colui  eh'  al  suo  fra  tei  le'  tanta  offesa. 

CXII 

E  sta  sopra  un'alfana,  e  suona  «n   conio, 
E  minacciava  il   cielo  e   la  natura. 
Orlando  come  inteso  ha  Salincorno, 
Fece  a  Terigi   darsi  1'  armadura  : 
E  la  figliuola   del   re   gli   é  d'  intorno. 
Dicendo  :  Dio  ti   dia,  baron,  ventura, 
E   in  ogni  modo  vincitor  ti  faccia, 
Poi  che  fortuna  ancor  pur  mi  minaccia. 

CXIII 

Diceva   Orlando:  Non   temer,  donzella, 
Che  in   ogni  modo  rimarrem  vincenti  : 
Ch'  a   Salincorno   trarrò  la  mascella, 
S'  al  suo  fratello  ho   tratto  solo  i   denti  ; 
E  con  Terigi  suo  montalo  è  in  sella: 
Ma  la  fanciulla  e  certi  suoi  sergenti. 
Volle  con  lui  sino  in  sul  campo  andare, 
Che  sanza  lui  non  si  fidava  slare. 

cxiv 
Disse  il  gigante  :  Se'  tu  quel  Pagano, 
Ch'ai  mio  Dombruno  hai  fatto  villania? 
E  questa  la  tua  femmina,  ruffiano  ? 
Rispose  Orlando  :   Per  la   testa  mia. 
Che  gentilezza  è  teco  esser  villano  : 
Così  di   te,  come  de  1'  altro  fia  : 
Quel  ch'io  gli  ho  fatto  mi  pare  una  zacchera, 
Tanto  è  che  preso  non  fia  più  a  mazzacchera. 

cxv 
Questa  fanciulla  ha  cento  servi  e'I  padre, 
Che  te  per  servo  non  vorrcbbon,  credi  : 
E  le  sue  membra  che  sou  sì  leggiadre, 
Volevi  per   tributo  eh'  ancor  chiedi  : 
E  se'  venuto  qua  con  queste  squadre  : 
E  di'  eh'  io  son  ruffian  :  néltati   i  piedi  : 
Che  per  voler  bagasce  e  concubine. 
Ara  il  peccalo  luo  sue  discipline. 


cxv  I 
Disse  il  gigante:  E"  non  son  sr-nipre   eguali, 
(ionie    tu   s;ii,   le    forze   di    ciascuno: 
I   denti   miei  saranno   di   cingiii.iìi, 
Non   li  parranno  forse   di   I)(»mhruiio  ; 
Olio   giganti  siam   fralei   carnali  : 
Signor' là   de   la   valle  di    Malprimo 
Cinque  ne  sono  ;  e   noi   tre  siamo  insieme 
Dove   la  rena   come  il    gran  ntar  freme. 

cxvrt 
Rispose  Orlando  :    I  cinque  pel   bollire 
Sono   scemati,   e  (piesto  abbi  per  certo  : 
(>on   f|uesla  spada   un   ne  feci   morire, 
E   l'altro  nn  mio  cngin   eh  "è  molto  sperto; 
Una  fanciulla   osoron    già  rapire 
Al  re   Costanzo,  e   slavan  nel   deserto  ; 
Quale  ho  con  meco  molto  ornala  e   bella, 
E  voglio  al  padre  suo  rimenar  quella. 

CXVIII 

E  s'  io  ritorno  mai  per  quel  paese, 
Ch'  io  truovi  ancor  que'  Ire  ne  la  foresta  ; 
Io  non  sarò  come  fui   già  cortese, 
Ch'  a   tulli   e   tre  dipartirò  la  lesta. 
Or  Salincorno  lant' ira  l'accese, 
Clie  cominciava  a  menar  gran  tempesta, 
Quand' e' sentì  ricordar  tanti   torli, 
E  come  due  de'  suoi  fralei  son  morti. 


Traditor,  rinnegato,  micidiale. 
Piglia  del  campo,  con  un  grido  dis«e. 
Orlando  a  Veglianlin  fé' metter  ale. 
Poi  si   voltava,  e  1'  aste  in  basso  misse, 
Ch'  era  un  abete  saldo  e  naturale, 
Qual  tolse  a  la  città,  prima  partisse  ; 
E   giunse  con  la  lancia  dura  e   grave 
Nel  petto  a  quel  che  gli  parve  una   trave. 

cxx 

E  disse   allor:  Che  dìavol  fia,  Maco/ie  ! 
Questo  mi  pare  un  albero  di  fusta. 
La  lancia  resse  a  la  percussione, 
Perch'  era  dura  e   grossa  e  molto   giusta  ; 
Ma  regger  non  potè  quel  compagnone, 
Né  la  sua  alfana,  benché  sia  robusta  : 
Dunque  fu  il   colpo  di   tanta  boutade. 
Che  Salincorno  e  1' alfana  giù  cade. 

ex  XI 
La  figliuola  del  re  che  vide  questo, 
Fra  sé  disse  :  Un  miracolo  ho  veduto  : 
E  '1   gran   gigante  feroce  e  rubesto 
Disse  ad  Orlando:  Tu  m'hai  abbattuto, 
(E  saltò  de  la  sella  in  terra  presto) 
Vedi  che  staffa  non  ebbi  perduto: 
E  stalo  sol   difetto  de  l' alfana, 
E  la  tua  lancia  fu  molto  villana. 

CXXII 

Rispose  Orlando:  Stu  non  se' ben  chiaro. 
Io   li  potrei  co!   brando   chiarir   tosto  : 
A  ogni  cosa   troverem  riparo. 
Disse  il  Pagan.  Per  Dio,  s'io  mi   t'accosto, 
Io  ti  farò  eostar  quel  colpo  caro. 
Diceva   Orlando  :   E  pagherai   tu   il   tosto  ; 
E  Durlini^ina  sua  fuori   ha   tirala, 
E  Salincorno  ha  la  mazza  ferrala. 


V 


M  o  n  e.  A  N  r  k    m  a  g  e.  i  o  u  k 


cxxiti 
Qui  5Ì  rominria  a  srnlir  vp<pro  e  nona 
Qui    Ir   liolriiti    notr   runniirioniu  : 
Qui   innanzi    niattiitin    già   trr/a   suona: 
Qui   non    si   posan    le   mosche   (iintorno  : 
Qui   sanza   balrnar   l'aria   rintruona  : 
Qui   purga    i    suui   prcrati    Salincornu: 
Qui   si    vctlrà    rlii   saprà   .li   xlirnnaglia  : 
Qui   nio>lra   Durliinlaua   s'  ella    taglia. 

l  \.\iv 
Il   Sararin   talvolta   alza    la   mazza, 
E   liirr  :    A.^petta   ch'io   ti   furbo   il   nifo. 
Il   palailin   risponiiea  :  Bestia   pazza, 
(Jie   dirai    tu,    se   col   Itrando   lo   schifo  ì 
K  ritrovava   a   costui    la   corazza. 
Tanto   che   spesso   scontorceva   il   grifo  ; 
Ma   non   poteva   colpirlo   a    1   elmetto, 
Però  che   allato   gli   pare   uu   Ca>chetlo. 

e  XXV 

E   Salincorno  .per  la   sua   grandezza 
Alcuna   volta    la   mazza   fallava  : 
Un   tratto  mena   con   tanta  fierezza, 
Che   giunto   a   voto  in   terra   rovinava. 
Orlando   volle   mostrar   gentilezza  : 
Lieva   su,   disse  :   il    Pagan  si    levava, 
E   disse  :    Dimmi,   cavalier   da    guerra, 
Perchè  cagion  non  mi   feristi   in   terra  ? 


Tu  debb' esser  per  certo  un  uora   gentile 
Di  nobil  sangue,  tu  non  puoi  negarlo: 
Tu  non   volesti   darmi   come   vile: 
Se   lecito,   barone,   è  quel   eh'  io  parlo, 
Dimmi   il   tuo   nome.   Orlando,  come   umile, 
Rispose  :   Io   son    nipote   del   re   Carlo, 
Orlando  di   Milon  figliuul   d   Angrante, 
Nimico  d' Apollino  e  Trivigante. 

cxxvii 
Sentendo  Salincorno   dire   Orlando, 
Cominciò   il   cuore   a    tremargli   e   la  mano, 
E  disse  :   Onde  venuto,   o  come  o  quando 
Se*,  paladino,   in  questo  luogo  strano  ? 
Non   vo'  con  teco  operar  mazza  o  brando, 
Ch"  lo  so   che  '1  mio  poter  sarebbe  vano  : 
Da  ora  innanzi  sia  come   tu  vuoi  ; 
Che  la  battaglia  è  finita   tra  noi. 

CXXVIII 

Odo   che  1  fior  se' di   tutti  i   Cristiani, 
E  che  tu  se"  fatato  per  antico  : 
Io   vo  più   tosto   trovarmi   a  le  mani 
Col    tuo   cugin   ch"  è  molto  mio   nimico, 
E   \endicarmì   d"  assai   casi   strani  : 
Io   vo"  che  mi   prometta   come   amico, 
Quando   col   tuo   Rinaldo   tu  sarai. 
Per  qualche  modo  me  n  avviserai  ; 

cxxix 
Ch"  io  son   disposto  rompergli    la  fronte, 
Però  che  mio  nimico   è   in   sempiterno  : 
E   s"  egli   è  de   la   schiatta   di    Chiarmontc, 
Ed   io  del    sangue   son    di   Salinferno  ; 
E   non   intendo   sofferir   tanl  onte  : 
Colui   che  '1   nome  suo  risuona   eterno, 
Mainbrin   dell  Ulivante,   anco   ej>e  nato 
Del   sansue  mio   da  ciascuno  onoralo. 


Disse  Orlando  :   lo  non   so  dove  si  sia 
Rinaldo   ancor  ;   ma   s'  io   lo   Irovrróe, 
Subito   un   messo   a   le   mandalo  fia, 
E   n   questo  modo   andar   ti   lasrer^ie, 
Ch    al   re   Falcon    non    dia   piii   ricardia  ; 
Benché  malvolrntier   ti  liberóe  : 
Ma  so  eh»   tu   darai  ne  1'  altra  relè, 
Se  con  Rinaldo  mio  vi  proverete. 

cxxxi 
Il   Saracin  promise   licenziare 
Del    tributa   quel   re   liberamente, 
E   fece   il   campo   suo  presto   levare. 
Orlando  al  re  Falcon  subitamente 
Ne   la  città   tornava  a  raccontare 
Coni"  egli   è   salvo,   e   libera   sua   gente  : 
E   dopo   alquanti   di   prese   commiato, 
E    lasciò   quello   al   tutto   sconsolalo. 

cxxxii 
E  cavalcando  va  per  molte  strade 
Sanza  posarsi   mai   sera   e  mattina, 
E    domandando   va   per  le   contrade, 
Dove   sta    il   re   de   la   Bellamarina  ; 
Tanto   che   giunse   un   giorno   a  la  ciltade, 
E    quella   damigella  peregrina 
Rappresentava   al   suo   doglioso  padre, 
Che   1  ha  gran  tempo  pianta,  e  la  sua  madre. 

cxxxiii 
Era   vestila   a  nero  Ja  città, 
E  "i  re  con   lutti  i  suoi  con  mollo  affanno; 
Ne  sopra   i   campanil   gridando   va 
Ne'  suoi  paesi  piti  il    talacimanno  : 
Per  le  moschee  molti   uffici  si  fa 
Al  modo   lor,  che  di  costei  non  sanno 
Dove  perduta  sia   già  slata   tanto  ; 
Sì  che  per  morta  n'avean  fatto  il  pianto. 

CXXXIV 

La   novella   n'andò   con   gran  furore 
Al   re   Costanzo,    come  la   sua   figlia 
Era   venuta,  ond"  e"   gli   crebbe   il   core, 
E   corse   incontro   con   la   sua  famiglia: 
E   tutta  la  città   trasse  a  romore. 
Come   avvien   sempre   d"  ogni   maraviglia  : 
Ognun  voleva  il  primo  abbracciar  questa; 
Pensa  se  '1  padre  suo   gli  fece  festa. 

cxxxv 
Ella  gli  disse:   Questo  è  il  conte  Orlando; 
E  dove  e  come  e'  1"  aveva   trovata, 
E   da"  giganti    tolta;    e   disse  quando 
E   in    che  modo   e"  T  avevon   rubata; 
E    tutta   la  sua   vita   vien   contando; 
E   come  pel   cammin   1'  abbi   onorata 
Orlando  sempre  insin   che  1'  ha  condotta, 
li  re   Costanzo  cosi  disse  allotta  : 

cxxxvi 
Questo   è  colui  che   ti  scampò  da  morte  ? 
Queslo  è  colui  che   t  ha  dunque  prosciolta? 
Questo   è   colui   ch*  è  tanto   ardito   e  forte  ? 
Questo   è  colui   ch'a  gli  altri  fama  ha   tolta? 
Questo   è  colui   eh'  allegra   or  la  mia  corte? 
Quello   é  Colui   per  cui    non   se  sepolta  ? 
Questo   è  colui   eh'  uccise   il   fier  gigante  ? 
Questo  è  colui  ch  e  il  gran  ii|:nor  dAngrante? 


/ 


M  O  K  0  A  N  T  E     ]M  A  G  G  1  O  K  E 


CXXXVII 

Non  (Mvalca  cavai  nti{;lior  barone, 
Nt-  iiii;;lior  ravalier  porla  elmo  in   lesta  : 
IVoii  cinsi'  spada  mai  siinii   campione  : 
Me  ini;ili()r  paladin   pon    lancia   in  resta  : 
Non   noni    lanlo   {icnlil   si   calza   sprone  : 
K(l   ahltracciava   Orlamio  con   gran  festa: 
E  la   reina  e  Ini   Io  rinj^raziorno, 
E    Inllo   il  poj)ol   suo  die  gli  è  dinlorno. 

CX.XXVIII 

Or  lasciam  qnrsli  star  cosi  contenti: 
Kitorniaino  al   Soldan    di  Babillona, 
Che  non  pareva   già  clie  si  rammenti 
Di  qncl  di'  a  Anlea  promise  sna   corona 


De' due  prigion' ;  ma  pensava  altrimenti 
Di   tor  subito   a  questi   la  persona 
Prima    die  sia  Rinaldo  a   lui   tornato 
Dal   Veglio,  dov'è' sa  clic  l' lia  mandato. 

cxxxix 
Mandò  pel    giuslizier  quel   traditore, 
E   scrisse   un  brieve  per   la  gran   letizia 
Al  re  Costanzo,  per  mostrargli  amore, 
(iiie   venisse   a   veder   questa   giustizia  ; 
Dicendo  :   Sappi  famos»)   signore, 
CU  io  gli   ho  a  punir  di  più  d   una  malizia, 
Com' io  dirò  ne   l'altro  cantar  bello. 
Guardivi  sempre  V  agnol  RalTaello. 


CArSTO    XVI II 


AP%GOMENTO 


•N4(i)<H^ 


R, 


'inaldo  assente^  condanna  il  Saldano 
.'Illa  forca    Ulii'icri  e  Ricciardetto  ; 
S  (irrosta  Orlando,  e  non  s^ arrosta  insano, 
Pcrchìi   in   aria   non  facciano   un  balletto. 
Minnldo    arrida,    ed  il  P'e^lio  montano 
Al  Soldan   che   basisce   ammacca   il  petto. 
Morgantc  f  accompagna   con  Margutte^ 
Gran  professor  di  cose  inique  e  brutte. 


xTXagnifica,  Signor,  l'anima   mia; 
E  lo  spirito  mio   di   tua  salute  : 
E   tu,  per  cui  fu   detto  Ave  Maria, 
Esaltata   con   grazia  e  con   virtute, 
O   gloriosa  Madre  o   Virgo  pia, 
Con  l'altre  grazie  che  m'hai  concedute, 
Aiuta  ancor  con   tue   virtù   divine 
La  nostra  storia  infin   eh'  io  giunga  al  line. 

n 
Io  dissi  che  1  Soldan  mandato  avea 
Al  re   Costanzo,  e  scritto  che   venisse 
A   veder  la  giustizia  che  facea: 
Ma  come  il  messo  par  che  comparisse. 
Subito   il  re   la  lettera  leggea, 
E  'illese  quel  che   1   traditore   scrisse  : 
La  lettera  ad   Orlando  pose   in  mano, 
Dicendo:    Questo  ha  scritto  il  tuo  Soldano. 


Quando  ebbe  lutto  inleso  il  conle  Orlando, 
Si   volse   al  re    Costanzo  sbigottito, 
E  disse  :   A  Dio   e  a  te  mi   raccomando  : 
Vedi  come  il  Soldan  m'ha  qui   tradito: 
Aiuto  in  questo  caso   ti   domando. 
Rispose   il  re  :   Tu  non   arai   servilo 
A  questa   volta  ingrato.   Orlando  mio. 
Oh'  io   ti  darò  soccorso  pel  mio  Dio. 

IV 

Io  farò  centomila  in  nn   momento 
Cavalier' de  la   tavola  ritonda  : 
E  se  più  ne  volessi,  anche  altri  cento  : 
Cente  e   tesoro  il  mio  reame   abbonda. 
Non   dubitar,  tu  sarai   ben  contento, 
E   vo'  che  quel   ribaldo  si  sconfonda  : 
E  mandò   bandi  e  messaggieri  e  scorte, 
Ch' ognun  venissi  presto  armato  a  corte. 

V 

In  poclii   giorni  furono  a  cavallo, 
E  ordinali   stendardi  e   bandiere  : 
11  suo  bel   gonfalone  è  nero  e   giallo  ; 
Mai  non  si   vider  meglio  in   punto  schiere  : 
E  scrisse  al    gran  Soldan   che   sanza  fallo. 
Fra  pochi   giorni   il  verrebbe   a  vedere  : 
Che  l'aspettassi,  e  i  prigion'soprattenga, 
Tanto  che  lui,  che   già  s'  è  mosso,  venga. 

VI 

Orlando  aveva  le  squadre  ordinate 
Con  le  sue  mani,  e  pieno  é  d'  allegrezza, 
E'  riguardava  quelle   genti   armate, 
Che   gli   parevan  di   somma  prodezza. 
Quella  fanciulla  con  parole  ornate 
Mostrava  di   ciò  aver  molta  dolcezza, 
Ch'Orlando  ristorato  sia  da   quella, 
E  vuol  con   esso   andar  la  damigella. 


M  O  r\  G  A  N  T  E     MAGGIORE 


Il  re  Gostanza   auro  v'  arulò  in  persona  : 
E   v.iiiiio   giorno   e   notte   ctvalraniit», 
T.into   rlie   mui   fonilolli   a   Baliillixia  : 
(^hiivi    di    fuor   si    vennono   DriMn)|i;iniio, 
K   iìncendo   anii<-i/i;i    intera    e    Itnoiia, 
Il   re   Go.>l.inzo   insieme   ron    ()rlan«l«» 
Vanno   al    Soldan    con    nmlli    r.i|iorali 
Uomini    degni,   e    lutti   i   principali. 

vili 
Quando  il  Soldan  costor  vede  venire, 
E   vede   tanta   genie   a   la   pianura, 
Senti   5torinenti,    sentiva   anitrire  ; 
Comincia    a   sospettar   con    gran   paura, 
E   come   savio   nel   suo   core   a   dire  : 
Questa   è   troppa  gran   gente  a  le  mie   mura: 
Pur   si   mostrava    allegro,   ch'era    saggio, 
E  manda   a   Salincorno   un  suo  messaggio, 

i.\ 
Quel   cir  avea   con    Orlando   comliallnlo, 
E   elle   volca  tombatler  con   Rinaldo, 
Glie   venga  presto   in   là   ben  provveduto; 
E   Salincorno  mai   non   si   fu   saldo. 
Che    diecimila   ordinava   in   suo  aiuto  ; 
Ed   eran,  perch'  e   son   di   luogo  caldo, 
Uomini   neri,  e  di   statura  ginsli  ; 
E  portan  per   ispade  mazzafrnsli. 

X 

Rappresenlossi  con  qnesti   al   Soldano. 
Or  ritorniamo  a   Rinaldo   eh'  avea 
Già  vinto  il  Veiilio.  Un  giorno  quel  Pagano: 
Cir  avea   con   lui   mandalo  prima   Anlea, 
Aide   venir  gran   gente  per  un  piano  ; 
E   con  Rinaldo   è  col   Veglio  dicea  ; 
Che  gente   è  questa  che  di  qua  ne  viene  ? 
Non  si  conosce  a'  contrassegni  bene. 

XI 

Rinaldo  come  e"  furono  appressati, 
S'  accosta,  e  domandava  uno  scudiere  : 
Chi  son  costoro  ?  ove  siete  avviali  ? 
Costui   rispose:   F.   il  mastro   giustiziere 
Gir  a  due  Cristian,  che  sono  imprigionati 
In    Babillona,   va   a  fare   il   dovere  : 
Son  paladini   e  l'  un   di   lor  marchese, 
Ch"  una   lìgliuola   del  Soldan   già  prese. 

XI 1 

In  questo  che  Rinaldo  domandava, 
Giugneva   il   giustizier  sopra  Baiardo  : 
Quando   Rinaldo  il  cavai   suo   guardava, 
E   diventò   come  un   lion   gagliardo, 
E  1   giustizier  per   la  briglia  pigliava. 
Disse  il    Pagan  :    Se   non   ch    io   ti   riguardo. 
Che  qualche  bestia  ne  1  aspetto  parmi, 
T' insegnerei  per  la  briglia  pigliarmi. 

vili 
Rinaldo  trasse  Frusberla  per  dargli  ; 
Poi  dubitava  a  Baiardo  non  dare  : 
In  questo  il  Veglio  che  vide  appiccargli, 
Subito  corre  Rinaldo  aiutare: 
Cominciò  con  la   mazza  a  tramezzargli. 
11  giustizier  non  si  potè  parare: 
Che  con  un  colpo  la   testa   gli   spezza, 
E  casco  giù  come  una  pera  mezza. 


Allor   Rinaldo   in   »u   Baiardo   salta  ; 
E   come   fu   so|»ra   il   cavai   ^aiito, 
Presto    levava    Erusberla    su   alla  ; 
E   un    Pagano   in   sul   rapo   ha   ferito, 
Cile    del   suo  .••angue    la    trrra   si   ^malta, 
£  morto  a   pie   del   cavallo   e   gin   ito  : 
Il    Wglio   prrstl»  sali   in   sul   destriere 
Di   quel    Pagan,   come   il    vide  «  adere. 

XV 

E    Ira  la  turba  si  mette  pagana. 
Tanto   che  molto   Rinaldo   il   <  inniiienda  : 
Quanti   ne   giugne    la    sua   ma//a   str.iiia, 
Tanti   convito   che  morti    giù   ne  scenda. 
Il   mainalucco,  ch'aveva   T  alfana. 
Non   si   stava   anco  ;   che   v"  era    faccenda  : 
E    tutta  quella   gente   si   sbaraglia, 
(.he  più  che  gente  era  o  ciurma  u  canaglia. 

XM 

11   Veglio  pur  con   la  mazza  di  ferro 
Ritocca  e  suona  e  martella  e  forbotta, 
Ch'  era  più  dora   che  (juercia   o   che   ceffo; 
Alcuna   volta  n'  uccide   una   frotta  : 
Rinaldo  si  scagliava  come  un   verro 
Dove   e'  vedeva   la   gente  ridotta  ; 
E  rompe  e  urta  e  taglia  e  straccia  e  spezza 
Ciò  che  trovava  per  la  sua  fierezza. 

XVII 

Chi  fuggi  prima,  se  n'  andò  col  meglio  : 
Ch'  a   tulli   il   segno  faceva   Frusberla  : 
E  ogni   volta  ron  la  mazza  il   Veglio 
Diceva   a  molti   che   dava  1  ofTerla  : 
A   questo  modo   chi   dormissi    sveglio; 
£  rilevava  la  mazza   su  a   l'erta  : 
E   tutti  in  volta  rbtta  si  fuggieno  ; 
Anzi  sparivan  come  fa  il  baleno. 

XVllI 

Poi  cominciò  Rinaldo  al  Veglio  a  dire  : 

10  vo' eh' a   Babillona  presto    andiamo, 
Perchè   il   Soldan   farà  color  morire. 
Rispose  il  Veglio  :  Tuo  servo  ini  chiamo  ; 
Però  comanda,   eh'  io   voglio   ubbidire, 

E  vo' cVie  sempre  insieme  noi   viviamo; 
Dove  tu  andrai,  io  sarò  sempre  teco  ; 
E   basti  solo   un  cenno,  o  vienue  meco. 

XIX 

Missonsi  tutti  a  Ire  presto  in  cammino 

11  Veglio  con  Rinaldo  e '1  mamalncco. 
Rinaldo  come   al  campo  fu  vicino, 
Dicea  :  Se  del   veder  non  son  ristucco, 
lo  veggo  tanto  popol  Saracino, 

Che  non  fu  più  al   tempo  di  Nabucco  : 
D  insegne  e  padiglion  coperto  è  il  piano  : 
Non  so  se  amici   si  son  del  Soldano. 

XX 

Ma  1  campo  eh'  assediò  Troia  la  grande, 
Non  ebbe  la  metà  di  questa  gente, 
Tante  trabacche  e  padiglion  si  spande  ; 
Forse  il   Soldan  vorrà  fare  al  presente 
A  que"  prigion   gustar  triste   vivande  ; 
Ma  pel  mio  Dio  eh'  io  lo  farò  dolente  : 
Questa  con  seco  diceva  Rinaldo, 
E   venia   lutto  furioso  e  caldo. 


MOUGANTE      MvVGCxlOUE 


Orlainlo  disse  un   giorno   a  Spiiiellone  : 
l.>   v»>' die   noi   vef>}>;iani(>  i   priiiioii   nostri; 
Cli'era  rol  re  Costanzo   un   j^ran    barone: 
Andiamo  e  preplierein   clie  ce   pli   mostri, 
S.in/a    cavar-;li    fiu)r  «le   Ja   prigione. 
Disse   il  l'aiAan  :  Sempre   accomandi   vostri 
«Sarò   parato;   e   se   non   c'è   d'avanzo, 
Sarelilie    da  menarvi    il  re   Costanzo; 

XXII 

Cile  yo  die   <^Vì  fia   caro  di   vedere 
Due  paladin   di    tanto   pregio   e   lama. 
Orlando   disse:   Troppo  m' è  in   piacere; 
E  Spineilone  il   re  Costanzo  chiama: 
Ne   la  città  ne  vanno   a   non   tenere 
Più  che  biso2;ni  Innga  questa   trama  : 
E   la  licenza   lor   dette  il   Soldano  ; 
E  pon   le  chiavi   al  re  Costanzo   in   mano. 

XXlll 

A  la  prigion  se  n'  andorno  costoro, 
('ome  Ulivier  sentiva  aprir  la  porla, 
A  Ricciardetto  disse:   Ecco  coloro 
Che  vengono  a  recarci  altro  che  torta, 
Questo  sarà  per  V  ultimo  marloro  : 
E  molto  ognun  di  lor  se  ne  sconforta. 
Orlando,  quando  Ulivier  suo  vedea 
E  Ricciardetto,  parlar  non  polea. 

xxiv 
Il  re  Costanzo  disse  :   Or  m'intendete  : 
Se   voi   volete  adorar  Macometto, 
De  la  prigione  scampati   sarete  ; 
Se  non  che  domattina  io  vi  prometto 
Ch'ai   vento  insieme   de' calci   darete. 
Rispose  a  le  parole  Ricciardetto  : 
Se   ci   darà  pur  morte  il  Soldan  vostro, 
Conlenti  siam  morir  pel  Signor  nostro. 

XXV 

E  se  ci  fossi  il  mio  caro  fratello 
Rinaldo,  non   saremmo  a  questo  porto, 
O '1  conte   Orlando    eh' è  cugino   a  quello: 
Ma  spero,  poi  eh'  ognun   di   noi  fia  morto, 
Contro  a  questo   crudel  signore  e  fello 
Vendicheranno  ancor  sì  fatto  torlo, 
E  piangeranne  Babillona   tutta  : 
Che  so  per  le  lor  man  sarà  distrulla. 

XXVI 

Ma  ben  mi  duol  ch'innanzi  al  mio  morire 
Non  vegga  il  mio  fratello  e  '1   cugin  mio  ; 
E   tuUavolta  me  gli  par  sentire. 
Come  forse  spiralo  dal  mio  Dio. 
Orlando  non  potè  più  sofFerire, 
Che   d'  abbracciargli  avea   troppo   disio  ; 
E  mentre  che  ciò  dice  Rlcciardello, 
Alzava  la  visiera  de  1'  elmetto, 

XXVII 

E  disse:  Tu  di'  il   ver  ch'egli  è  <}ui  presfo 
Orlando,  che  non   l'ha  mai  abbandonato. 
Ulivier  guarda,   e  dice  :   Egli   è  pur  desso  : 
E  Ricciardello  V  ha  raffiguralo  : 
Subito  il  braccio  al  collo   gli   ebbe    messo. 
Ed  Ulivieri   abbraccia  il  car  cognato. 
Per  tenerezza  gran  pianto  facevano, 
E   Spineilone  e  1  re  con  lor  piangevano. 


xxvin 
Poi   molle  cose   insieme  ragionare)  : 
Orlando  disse,   ignun   non   dubita&si, 
(~.h'  a  «Igni   cosa  ordinato   ha   riparo  ; 
Ch'  ognun   di   buona    voglia  si    posassi  : 
E   così   insieme    al    vSoldan   riportato 
Le  <:hiavi,   che  sospetto   non  ]>igliassi  : 
E  ringraziorno   la   sua  signoria       ^ 
De  la  sua  gentilezza  e   cortesia. 

XXIX 

Orlando  non   avea  mai   1'  elmo   tratto  ; 
Onde   il  Soldano   un   giorno   gli  ebbe   dello: 
Deh  dimmi,  cavalier,   che  stai   di  piallo. 
Per  che  cagion   lu   tien  sempre  1' elmetto? 
Ch'io   non  posso   comprender  questo  fallo: 
Tu  mi  faresti  pigliarne  sospetto: 
Io   vo'  che   tu  mei   dica   a  ogni  modo  ; 
Se  non  eh'  io  crederò  che  ci   sia  frodo. 


Diceva   Orlando:   Certa  nimicizia 
Fa  che  quest'elmo  tengo  così  in  testa. 
Acciò  che  non  pigliassi   ignun  malizia 
Di  farmi   a  tradimento   un   dì  la  festa. 
Disse  il  Soldano  :  Qui   è  sotlo   tristizia  : 
Non   si   riscontra  ben   la  cosa  a  sesta  : 
Sempre  color  che  sconosciuti  vanno, 
O  per  paura  o  per  malizia  il  fanno. 

XXXI 

Io  ho  disposto  in   viso  di  vederli. 
Se  iV>n   che  mal   le  ne  potrebbe  inctìrre. 
Diceva   Orlando  :  In  ciò  non  vo'  piacerti  : 
D'  ogni   altra  cosa  puoi  di  me  disporre. 
Disse  il  Soldano:  E'  convien  eh'  io  m'  accerti; 
E  vollegli  la  mano  al  viso  porre. 
Orlando   gli  menava  una   gotata,  , 

Che  in  sul  viso  la  man  riraan  segnata. 

XXXII 

Quivi  il  Soldan  con   gran  furor  si  rizza, 
E   grida   a'mamalucchi  :   Su,  poltroni. 
Orlando  fuor  la  spada  non   isguizza, 
Che  conosciuta  non  sia   da'  baroni  : 
Rivoltossi  a  costor  con  molla  stizza, 
E   da  lor  si  difende  co' punzoni; 
E  pesche  sanza  nocciolo  appiccava. 
Che  si  ritrasse  ognun  che  n'  assaggiava. 

xxxiu 
E   S])inellon,  come  ledei   compagno, 
Subito  pose  la  spada  a    la  mano, 
E  fé'  di  sangue   con   essa  un   rigagno, 
Che  nessun   colpo  non  menava  invano  ; 
Ma  poi  che  vide  e'  non  v'  era   guadagno, 
Si  fuggì  in  una  camera  il  Soldano, 
E  per  paura  si  serrava  drento: 
Orlando  si  ritrasse  a  salvamento. 

XXXIV 

E  Spineilone,  e '1  re  Costanzo  è  inloriio 
Con   lui  ristretti  ;  e  son   di  fuori   usciti 
Di  Babillona  ;  e  nel   campo  lornorno  : 
I  baron  del   Soldano  sbigottiti, 
Chi  qua  chi   là   lutti  si  scompigliorno. 
Maravigliali   di   que'  tanto   ardili  : 
E  fu   per  la  città  molto  romore. 
Che  così  fussi  fatto   al    lor  signore. 


MOKC.  A  \  TV.       M  AC.  (\  I  O  l\  K 


xxxv 
Quando  il   SoMan   ras^iriiralo   fnc, 
Fere   venir   lulta   la   baronìa, 
E  ne   Ij  »edia  si   levava   sue. 
Né  mai    si    fé'  sì   bella   tlirerìa  ; 
K   ruiiiiiiriò  ruii   le  parole  5ue  : 
Mai   più  fu   tocca   la  persona  nira  : 
Ma   a  ogni   cosa   appareccliialo  son«i  ; 
E  come  piace  a   voi,  cosi  perdonro. 

XXXVI 

Il   re   Costanzo   ha  tanti   cavalieri 
Cile  cuopron,  voi  vedete,  il  piano  e  I  monte: 
Non  so   qnai  si   sien   drento   i   suo  pensieri  ; 
Ma  per  fnsrgir  sospetto   e  niappior"  onte, 
Mostralo   ho  di   vederlo   volentieri  : 
Or  con  colui   che  mi  battè  la   fronte. 
Credo   che   buon   sarà  forse  far   triepna, 
Acciò  che  maggior  mal   di   ciò    n«)n  segua  : 

XXXVII 

K  dare  a  la   giustizia  esecuzione 
Intanto   di   qOe"  due  eh   io   tengo  presi. 
Acciò  che  il  re  Gostan/  <  e  Spinellone 
Kilornin  con  lor  gente  mì   lor  paesi  : 
Morti  questi   baron  eh   ^  <biam  prigione. 
Noi   sarem  poi   da   tanti      leno  offesi: 
Che  s'io  mi  fo  nimico   .i   re   Costanzo, 
Per  al  presente  non  ci   veggo  avanzo. 

XXXVIII 

In  questo  mezzo  Antea  potre' pigliare 
Quel   Montalban  che  Gauo    ha  consiglialo  : 
Rinaldo   so  che  non   dee  mai    tornare  : 
Credo  che  1  Veglio  I  abbia  ora  ammazzato: 
A  luogo  e   tempo  si  potrà  nioslrare 
Al  re   Costanzo   che  m'abbi   ingiuriato: 
Ch'  io  non  vo  far  vendetta  con  mio  danno, 
Ma   aspettar  tempo  come  i  savi   fanno. 

XXX IX 

Salincorno  riprese  le  parole: 
E"  non  ha  tempo  mai   chi   tempo  aspetta  : 
Per  nessun  modo  triegua  non  si  vuole  : 

10  vo"  con  queste  man  farne  vendetta. 
Prima  che  molli   dì  ritorni  il   Sole: 
De  la  giustizia  che   in  punto  si  metta, 
Questo  mi  piace  ;  e  facciasi  pur  presto  : 
E   tutti  in  fine  s"  accordano  a  questo. 

Al   re  Costanzo  va   tosto  una  spia, 

11  dice  ciò  ch'ordina   il  Soldano  : 
E  re  Costanzo  ad  Orlando  il  dicia  : 
Orlando  disse:  In  punto  ci  mettiano, 
Ch*  ai  prigion  fatto  non  sia  villanìa: 
E  tutti   si  schierorno   a  mano  a  mano. 
In  questo   tempo  il   Soldano  ordinava 
Ciò  che  bisogna,  e  I  giuslizier  chiamava. 

XLI 

E  misse  bandi  per  le  sue  città, 
Ch'  ognun  eh'  avesse   arniadura  o  cavallo. 
Venga  a  veder  la  giu>lizia  che  ia, 
Che  si   farà  in   tal  giorno  sanza  fallo. 
Un   giovane  ch"  avea  molla  bontà, 
Sentendo  questo,   venne  a   visitallo. 
Chiamato  Mariotlo,  un  gran  signore, 
Cii   era  figliuol  del  loro  iniperadore  : 


Trentamila  menò  cjuel   Mariotlo, 
(>n<1e   al  Soldan   fu  questo  molto   (^ro, 
Armali   stran.)nicnle  di   cuoio  colto  :        •> 
Ben   centomila   a  cavai   ragimaro 
In   punto   a    modo    lor   di    tulio   botto, 
E   di   mandar   la   giustizia   ordinaro  : 
Il   giuslizier  con   molla   gente  andóe 
\    la    prigione,   r   i   due    baron    legóe. 

XI  III 

Pili   gli   legò  a  cavallo  in   su  la   sf-lla 
Pur  sopra   i   lor  destrier  con  le   lor  .trini  , 
Perchè  il    Soldano  in    tal   modo  favella: 
Che   tu   gli  meni  amendue  armati,  panni. 
Il   giuslizier,   eh'  al   suo   dir  non   appelL, 
Ki>pose  :  Cosi   avea  pensalo   farmi. 
Questo  non  era  il    giustiziere  usalo, 
Che  1  Veglio,  com'  io  dissi,  V  ha  ammazzalo. 

XI.IV 

Di   nuovo  un'altra  spia  ne   va   vtjlandu, 
Che  la   giustizia  uscirà  presto   fore  : 
E  Spinellone   insieme   con   Orlando 
Rassellan  le   lor   genti   a   gran   furore. 
Il   re   Costanzo  al  conte   vieu  parlando: 
E  ci  sarà  fatica,   car  signore, 
Racquislar  questi   con   ispada  o    landa. 
Tanto  in   sul  crollo  son   de  la  bilancia. 


Era  a   sentir  molta  compassione 
I  due   baron  come  ciascun   si   lagna  : 
O  conte   Orlando,  o  Rinaldo  d  Amone, 
Dovè  la   tua  possanza  tanto  magna? 
Non  appettar  più,  vien   col   gonfalone  ; 
Però  che  noi   darera   tosto  a   la  ragna  : 
Queste  parole  van  dicendo  forte, 
C]hè  gran  paura   avevan   de  la  morte. 

XLVI 

Cià  eran   gli  stendardi  apparecchiati, 
E  Mariotlo  è  innanzi  a   la   giustizia  : 
Già  fuor  de  la  città  son   capitali: 
Evvi   il   Soldan  eh' avea  molla   letizia: 
E  sempre  per  la   via  gli  ha  svergognati  ; 
Ribaldi,   tradilor,  pien  di   malizia  : 
3Ia  Ricciardetto  a  ogni   sua  parola 
Diceva  :  Tu  ne  menti  per  la  gola, 

XLVll 

Che  la  se"  tu  ribaldo  e  traditore  : 
Ma  ne  verrà  Rinaldo  in  qualche  modo, 
E  caveratti  con   sue  mani  il  core: 
Che  promettesti,  e  rimanesti  in   sodo, 
Renderci  a  lui,  crudele  e  peccatore. 
Dicea  il  Soldano  :   Tu  arai  presto  un  nodo. 
Che   ti  richiuderà  colesta  strozza  ; 
Ma  prima  ti  sarà  la  lingua  mozza. 

XLVI  II 

Orlando  e '1  re  Costanzo  hanno  veduto 
E   Spinellon,  che  la  giustizia  viene, 
E  che  1  Soldan  con  essa  è  fuor  venuto: 
Ognun  la  lancia  in  su  la  coscia  tiene  : 
Fannosi  incontro;   e  Spinellon  saputo 
Verso  quel  Mariotlo:  E"  non  è  bene, 
Dicea,  c4ie  questa  giustìzia  si  faccia. 
Acciò  eh"  al   nostro  Dio  non  si    dispiaccia; 


MOKO  ANTi:     M/V(V(;  I0[\  V 


l'errile  il  Soldan,  secondo  intoiidcr  posso, 
Promisse  pure  a  Itinaldo  appellarlo: 
il   or  rlie  così  a  furia   si   sia   mosso, 
Troppo   mi  par  che  sia   da   hiasiniarlo  : 
li   olir' a  questo  e' vi    verrà   qua   aildosso. 
Come  questo  saprà,  sul)il<»   Carlo  ; 
E  ne  verrà  Rinaldo  e   1   siu)  fratello  ; 
E   gran  vendetta  far  vorrà  di  quello. 

L 

Ma  pur  se   non   venissi   niai  persona, 
Parli  che  questo  al  Soldan  si  convenga? 
Dov'  è  la  fede  de  la  sua   corona, 
Che  par  cue  sotto   sé  qua  il  mondo   tenga? 
Bitorna,  Mariolto,  in  Bahillona, 
Acciò  clie  scandoi  di   ciò  non   avvenga  ; 
Diceva   Spinellone  iratamenle. 
Che  '1  re  Goslanzo  non  vuol  per  niente. 

LI 

Rispose  Mariolto  :  Tu  se'  erralo  : 
Se  ci  fossi  presente  Carlo  Mano, 
Orlando  e  '1  suo  cugin  eh'  hai  nominato, 
O  se   ci  fossi   il  grande  Ellor   troiano, 
O  con  la  scure  il  possente  Burraio  ; 
Non  s'opporrebbe  di  questo  al  Soldano  : 
E  se  tu  se'  in  cotesla  opinione, 
Io  ti  disfido,  e  guarii  Spinellone. 

tu 
Ispinellon  non   islelte   a  <lir  più, 
A  drielo  col  cavai  presto  si  scosta  ; 
Poi  si  rivolge,  e  1'  asta  abbassa  in   giù, 
Si   che  del  petto  passava  ogni  costa 
A  Mariolto,  si  gran  colpo  fu. 
La   turba  eh'  era  dal  lato  si  scosta  ; 
E   Spinellon  cacciava  mano  al  brando  : 
AUor  si  mosse  il  re  presto  ed  Orlando. 

LUI 

Orlando  Veglianlin  per  modo  serra, 
Che  '1  primo   Saracin    die   vien   davanle. 
Con  r  urlo  e  con  la  lancia  abbatte  in  terra; 
Poi  misse  mano  a  la  spada  pesante, 
E  colpo  che  menassi  mai  non   erra  : 
Convien  che  chi  1'  aspetta,  alzi  le  piante  : 
E  '1  re  Costanzo  è  ne  la  zuffa  entrato, 
E  tutto  il  campo  già  s'è  sbaragliato. 

LIV 

Quando  il  Soldano  il  romore  ha   sentito. 
Subito  disse  :   Quél  eh'  io  mi  pensai. 
Sarà  pur  vero   al  fni   eh   io  son   tradito 
Dal  re  Costanzo,  com' io  dubitai; 
Vede  già  il  popol  tutto  sbigottito  : 
Di  questo  caso  dubitava  assai: 
Pur  si  fé' innanzi,  e  con  la  spada  in  mano 
Ya  confortando  ogni  suo  capitano, 

LV 

Orlando  or  qua  or  là  si  scaglia  e  getta; 
E  dove  e'  vede  la  gente  calcala, 
Subilo  si  metteva  in  quella  stretta, 
F    con  la  spada  1'  aveva   allargata  : 
E  tristo  a  quel  che  Durlindana  aspetta, 
Che  gli  facea  sentir  s'  ella  è  affilata  : 
Quanti  ne   giugne  riscontra  o  rintoppa, 
>*  Faceva  a  lutti  la  barba  di  stoppa. 


Or  dicinni   di   Rinaldo  eh"  è   già   presso 
Al   campo,  e   vede   quel   rabliarulTato 
Per   la   battaglia   e   dice  fra   sé  stesso: 
O  Rieeiardetto  mio,    tu  se"  spacciato  : 
Ove,  Soldan,  quel  che   tu  mhai  promesso? 
Poi  disse  al  Veglio  :  Io  son  stalo  ingannate»: 

10  veggo  segno  a<-<ai    tristo   di   (jueslo  ; 
Però  quanto  possiam  corriam  là  presto. 

i.vir 
Fnrno  in   un    hallo   ne   la  zuffa  questi. 
Rinaldo   ntm   sapea   ({nel   eh'  abbia   a   farsi  : 
Un  Saracin  pregò  die  manifesti 
Per  che  cagione  il   campo  abbia   azzuffarsi: 
Colui  rispose:   Il   Soldan  ci   ha  ridiiesli 
Per  due   baron   che   doven   giustiziarsi  ; 

11  re   Costanzo  non   vuol   che   gli   uccida  : 
Per  questo  il  campo  sol  combatte  e  grida. 

LVIII 

Intanto  Spinellon  eh'  era  caduto 
D'im  colpo  che  gli  avea  dato  "1  gigante. 
Vede   Rinaldo  cir  é  sopravvenuto, 
E  che  del  caso  pareva  ignorante  : 
Disse:   Baron,  come  tu  hai   sapulo. 
Vedi   che  va  sozzopra   qua  Levante 
Per  due  Cristian  che  il  gran  Soldano  a  torto 
Volea  eh'  ognun  di  lor  fossi   oggi  morto. 

LIX 

Il  mio  signor  Costanzo  re  non  vuole, 
E  siam  qui   tulli   a  lor  difensione, 
Perché  di  que"  baron   troppo  ci   duole. 
Che  r  un  fratel   di   Rinaldo   é  d"  Anione  : 
E  perch'  io  non   ti  tenga  più  a  parole, 
Ne  la  battaglia  é  il  figliuol   di  Milone, 
E  fa   gran  cose  per  campar  costoro; 
Ed   io   combatto   qui  pedon  per  loro. 

i,x 
Né  posso  ancor  rimontare  a   cavallo, 
Dond"  io  fu'  tratto  da  un   Salincorno  : 
Tulli  color  del   conlrasiegno   giallo 
Pel  mio  signor  combatton   questo  giorno. 
Disse  Rinaldo:  Io  vorrei  sanza  fallo 
Sapere  il  nome  tuo,  barone  adorno. 
Disse  il  Pagano  :   Spinellon  mi   chiamo  ; 
E  molto  Orlando  e  Rinaldo  suo  amo. 

LXl 

AUor   gridò  Rinaldo  :  O   Saracino, 
Io  son   Rinaldo  ;   e  son  qui  capitato 
Per  ritrovare  Orlando  mio   cugino: 
Monta  a  cavallo;   e '1  Pagano  è  montato; 
Menami  ove  combatte  il  paladino  ; 
E   Spinellon  fu   tutto  consolato, 
E  disse  :  Vincilor  saremo  ornai  : 
Andianne  dove  Orlando  tuo  lasciai. 

I.X1I 

E  tanto  per  lo  campo  insieme  vanno, 
Cile  lo  condusse  ove  comballe  Orlando, 
Ch'  era  pien  tutto  di  sangue  e  d'  affanno  : 
Dice  Rinaldo  :  Posa  un  poco  il  brando  : 
Dimmi,  i  prigion,  cugin  mio,  come  stanno? 
Allor  Orlando  il  vien  raffigurando  ; 
Abbracciò  questo,  e  pianse  di   letizia; 
E  del  Soldan  contóe  la  sua  tristizia. 


M  0  K  r.  A  N  T  K     M  A  (;  (.  I  ()  W  K 


••<;(; 


I  XIII 

Pili   disse  :  T»Miipo    non    è   farsi   f('*la  : 
Qui   si   r«)nvifne   i   priiiioni    aiiilarr. 
Niin   va    lioii   pei    laine  per   fttresta, 
Ctiine    Kiiialilii   lominriò   a   niu^i'iliiarc, 
A   i|tieslo    e   quello    spe/./amhi   la    lesta, 
Le    slrolte   srliiere   farrnilo   .•illar;;are  : 
Qui    il    Veglio   e    Spinclloiie   e  I    Conte  sono, 
È   paioli    lutti   a   (iiiatlro   in>icnie   un    tuono. 

ixcv 
Nò  prima   detlon    tra    le   schiere   drenlo, 
Clie   si    vetleva   .«.harai;liar    la   pmle, 
Ch'egli    eran   qu.iUru   lupi    iu    un    armenlo  : 
E   pur  s*  alcun    non  liifi^e,  se   ne  pente; 
CI»   Ofjni   cosa   aliballevan    come    un   vento  ; 
E  "nverso   il   sonTalou   suhilaniente 
Dovè   il    Soltlan  con  gran  furor  irandorno; 
Or   qui    le   spade   ben   s'  insanjiuinorno. 

i.w 
Era   il   Soidan   sopra    un   cavai   morello, 
Co'  mauìalucclii   suoi   quivi   rislrelto  : 
Giuuson   costoro   insieme  a   un   drappello 
Gridando:    Muoia   il    Soidan   nialatletto. 
Ma   come  il   Veglio   ha   conosciulo  quello, 
Prese   una   lancia   e   posesela   al   |>etto, 
E  disse:  Io  vo' veder  se  la  tua  morte 
Sì  serba  a  me  per  destino  o  per  sorte. 

LXVl 

Quando  il  Soidan  vide  abbassar  la  lancia, 
Subito  aneli    egli   il  suo  cavai   moveva, 
Perdi   e"  vedeva   che   ctistui    non   ciancia, 
E  ne  lo  scudo   del   A'e^lio  piujineva  : 
Pensò  passargli   la  falda    e   la   pancia  : 
L'  aste  si  ruppe,  come   il  ciel   voleva, 
E  in  molli  pezzi  per  V  aria  trovossi  ; 
Che  quel  eh' è  destinato   tor  non  pnossi. 

f.WII 

Ebbe  pur   luogo   alfin   la   visione, 
Ch'  una  montagna    gli   cadeva   addo-<':o  : 
Che  come  il   Veglio  a   lo  scudo   gli  pone. 
Subito   lo  passò,   eh'  era   pur   grosso, 
E   la   corazza   e   lo  sbergo    e   1    giubbone 
Ch'  è   di   catarzo,     e  poi    la  carne   e   1   osso  ; 
E  con  la  furia  del  cavai   l*urlóe 
Tanto,  ch'addosso  al  Soidan  roviuóe. 

LXVIII 

Ma    1  cavai   si  rizzò  del   Veglio  tosto  : 
Quel  del  Soidan  col   suo  signore  è  in  terra, 
E  morto  V  uuo   e  1'  altro   a   giacer  posto  : 
Cosi   il   giudizio   del    Ciel    mai   non   erra  ; 
Era   così  provveduto   e   disposto  : 
Or   qui    fu   quasi   finita   la  guerra  : 
Morto   il   Soldano,    ognun    verso   le  porte 
Correva  sbisottilo   dì   tal  morte. 


Rinaldo,  che  il  Soidan  vide  cadere, 
Diceva  al  Veglio  :  Per  la  fede  mia. 
Che  non  era   di  matto  il  suo  temere  : 
Vedi  che  luogo  ha  pur  la  profezia  1 
Or  oltre   in   rotta   si   fuggon    le  schiere  ; 
Dunque   niostriam    la  nostra   gagliardia  : 
E    vanno   trascorrendo   ove   e   vedieno 
1    Saracin  che  indrieto  si  fuggieno. 


Itinaldo    il    giuslizier   trasse  per  niorl<i 
Di    ^ella    con    un   ndpo   con   Fru.sberia  ; 
Ond    egli    di;>.se  :   Tu   ni    hai    fatUi    lui  lo  : 
A   quello  modo   il    mio   ben    (ar    non   merla, 
(di'  ho   dato    aiolo   a'  prigioni   e   conforto. 
Disse   Itinaldo  :    Dove   e   >ien    m'  accerta. 
1'^   in   questo   modo   «-auiperai    la    vita  ; 
Se   no,    tu  non  farai    da   me   partila. 

LXXI 

Il   giustiziere  allor  Rinaldo  mena 
Dove    i    prìgion    si    stavan   «la    1"  un    canto 
Afflitti,   dolorosi  «on    gran  pena. 
Ed   arean  fallo   quel    giorno   gran   pianto  : 
Tanto   che   più    gli    riconosce    appena. 
Che  paghereste   voi,   ditemi   il   «guanto, 
Direa    Hiualdo   a    lor,   chi    vi   scampassi  ? 
Ed    Ulivier,   come   e   suol,  cheto   slassi. 

)  XMl 

Ma   Ricciardetto   ri-pose  :    Niente  : 
Noi   non   abbiam   danar   né  cosa   alcuna  : 
Siam   qui    conduUì    si   mi.-eraiiienle 
Sanza   speranza,   come    vuol    fortuna  ; 
Ma   se   qui    fussi    Rinaldo   al   presente. 
Non    temeremmo   di   cosa   nessuna  : 
O   se   ci   fussi   il   conte    Orlando   appresso. 
Che  di  camparci  pur  ci   avea  promesso, 

rxxiii 
Disse   Rinaldo  :    Siete   voi   Cristiani  ? 
Rispose   Ricciardetto  :    Si,   messere, 
E   paladiu    già   fummo   alti    e   sovrani. 
Rinaldo   pili   nim    si   pot<^    tenere  : 
A    la    visiera    si   pose   le   mani. 
Acciò   che   in    viso  il  polessin    vedere  ; 
D    ontle  ciascun    lo   riconobbe  presto  ; 
Ma    volendo,   abbracciar  non  posson  questo. 

i.y.xiv 
Allor  Rinaldo   gli  scioglie  ed   abbraccia, 
E  ilice  :   Non   sapete   voi   eh'  Orlando 
E  qui  nel  campo,  e  questa   gente  scaccia, 
Per  venir   voi    da   morte  liberando  ? 
Per  mio   consiglio  mi  par   che   si   faccia, 
Acciò   che   vi    vegnate  riposando, 
Coi    gitistizier  qui    ve   n'andrete  vostro 
Al  padiglion  del   re   Gostanzo  nostro. 

LXXV 

E   tutti  a    tre   n"  andorno  al  padiglione  ; 
Ma  in  questo  tempo  quel  gìgaole  forte 
Uccise  il  re  Gostanzo  in  su  1'  arcione, 
Che   molto  pianse    Orlando   f^al  morte. 
Poi   abbaile   d'un   colpo    Spinellone  : 
Qui    sopravvenne    Orlando   a   caso   e   sorte; 
E   tanto   fé',   che   si    lece   cristiano  ; 
E  battezzollo  con  sua  propria  mano. 

LXXVI 

E  fu  cosa  mìrabil  quel  che  disse 
Ispinellone  in  questo  suo  morire; 
Credo  che  '1  ciel    per  grazia  se   gli   aprisse, 
Dove    r  anima  presto   dovea   gire  : 
Perch' e' teneva  in   su  le  luci  Gsse, 
Che   gli  pareva   gli   Angioli    sentire  ; 
E   disse  con   Orlando:    Orlando,   cerio 
Io   veggo   il  paradiso   tulio   aperto. 


INI  O  i\  (/  A  N  r  i:      M  A  (i  ( r  I  O  ]\  K 


LXXVII 

Non   vrdi   tu   là  su  (jiiel   vhc  vt'{;<;' io  ? 
Clii   è  colui  rir  o<>;muu)  onora  e   teme, 
In   sodia   coronalo   e   giusto  e  pio, 
Tra  mille   lumi   e  mille   diatleme  ? 
Rispose   Orlando  :  È   Gesù  nostro  Iddio 
Che  pasce   lutti   di   ii;audio   e  di  speme, 
Colui  ch'adora  opù   fedel   cristiano: 
Allor  gli  fé' reverenzia  il  Pagano. 

r.xxvui 
Chi   è   colei   che  siede  a  lato  a  quello, 
Che  sopra   tulle  par  donna  serena, 
V.  presso  a    lei   un   Angel   così   bello  ? 
E    la  sua  madre   Vergin  Nazzarena; 
1'.  l'Angel  che  gli  è  presso,  è  Gabriello, 
Colui   che   gli   disse  y^i'r.  ijratìn  piena. 
Allor  le  braccia  il  Saracino  stende, 
Ed   umilmente   grazia  a  quella  rende. 

I-XXIX 

E  poi   diceva:   Io  veggo  intorno  a  quella 
Dodici  in  sedia  tulli  coronati. 
Rispose   Orlando  :   Questa  brigateli» 
Son    gli  Apostoli  suoi   glorificali. 
Quell'altro  con  la  croce  in  man  si  bella, 
Che  par  che  mollo  fisso  Gesù   guati, 
E  non  si  sazia  di   veder  sua   vista  ? 
Rispose  Orlando:   E  il  suo  cngin  Ballista, 

LXXX 

Quelle  tre  donne  accosto  si  al  Signore  ? 
Rispose   Orlando  :   Son   le  tre  Marie 
Ch'  al  suo  sepulcio  andar  con  tanto  amore. 
Poi  elle  fu  crucifisso  il   terzo  die. 
Chi  è  colui  che  guarda  il  suo  Fattore, 
Quasi   dicessi  :  Io   li   disubbidie  ? 
Rispose  Orlando:   Sarà  il  noslro  Adamo 
Pel   cui  peccato  dannati  savamo. 

LXXXI 

Chi  è  quel  vecchierel  con  tanta  fede, 
Che  non  si  sazia  di  cantare  osanna, 
E  par  che  di  Maria  si   goda  al  piede  ? 
n  Colui   che  fu  con  lei  ne  la   capanna. 
Quell'altro  vecchio  ch'appresso  si   vede 
Con  la  sua  sposa  ?  E  Giovacchino  ed  Anna, 
Rispose   Orlando,   il  padre  di  Maria, 
E   la   sua  madre   gloriosa  e  pia. 

LXXXIl 

Color  che  paion   si   giusti   e  discreti. 
Co'  libri  in  man,  sai   tu  quel  che   si  sia  ? 
Rispose   Orlando  :   Saranno  i  profeti 
Che  predisson  l'  annunzio   di  Maria  : 
Quivi   è  Davidde  e   gli   altri  sempre  lieti, 
E  Moisè  legista  e   Geremia. 
L'altre  corone  ch'io   vi   veggo   tante? 
Rispose  Orlando:   Gli  altri  santi  e  sante, 

LxxJ^^U 
E  marlir  patriarciii   e  confessori. 
Tante  altre  cose  ch'io  vi  veggo  belle? 
Rispose   Orlando  :   Celesti  splendori, 
Come  i  pianeti  e  sole   e  luna   e  stelle. 
Que'  dolci   gaudi   e  qne'  soavi  odori, 
Tante  dolci   armonie,   tante  fianjmclle  ? 
Rispose   Orlando  :  E    il   gaudio  sempiterno, 
E   l  sommo  ben   di  quel  Signore  eterno. 


i.xxxiv 
Color   che    cantan   che   paioli    dì   loco, 
Con  1'  alie  intorno   a   la   sedia   vicini  ? 
liispose   Orlando:   Qui   li   ferma   un  poco: 
Sono  altre  spezie  di   sjiirti   divini  ; 
Ed   ha   ciascuno  ordinato  il   suo   luco  : 
Que' primi,   (cherubini   e   Serafini, 
1'^   gli  altri   Troni   che   si  presso  stanno; 
Si  che  Ire  gerarchie  que'  cori  fanno. 

i.xxxv 
Gli  altri  che  seguon  questo  primo  coro 
De' Serafin,   Cherubini   e  de' Troni, 
Virlute  e   Potestà  son   con   costoro; 
Ma   innanzi   a  questi   le  Dominazioni: 
Poi   Principati,  e   gli   Arcangel   con   loro 
Ed  Angel  par  che  d'  un  canto  risuoni. 
Disse   il  Pagan  :  Come   tu  m'  hai   diviso 
Coslor,  così  gli  veggo  in  paradiso. 

r.xxxvi 
Ah,  disse   Orlando,  e'  non  passerà  mollo, 
Che  tu  gli  potrai  me'  vedere  in  cielo  : 
Dirizza   i   tuoi  pensier  la   mente   e  '1  volt» 
A  quel  Signor  con  puro  amore  e  zelo, 
E  ncrescali  di  me  che  resto  involto 
In  questo  cieco  mondo  al  caldo  e  al  gielo: 
E   poi   gli  die  la  sua  benedizione: 
E   r  anima   spirò  di  Spinellone. 

LXXXVII 

Rimase   Orlando    lutto  consolato 
Del  dolce  fin  che  Spinellone  ha  fatto, 
E   lutto  con   lo   spirito   elevato; 
Tanto  che  Paol  pareva  al  ciel  ratto, 
Chiamando  morto  chi  in   vita  è   restalo. 
Intanto  Sajincorno  è  quivi   tratto, 
E  scaccia  ognun  che  innanzi  se  gli  affronta: 
Orlando  in  sul  cavai  presto  rimonta, 

LXXXVIII 

E   grida  :  A  drieto  tornate,  canaglia  : 
E  altro  che  un   Pagan   quel   che  vi  caccia? 
E  rispondieno:  Egli   è  ne  la  battaglia 
Questo  gigante,  che   Giove  minaccia  : 
E'  ci   divora,  non  ferisce  o   taglia, 
Tanto  eh'  ognuno  ha  rivolta  la  faccia. 
Orlando  pur   gli   sgrida  e  svergognava  ; 
E   in   questo  quivi  Rinaldo  arrivava. 

LXXXIX 

E  Salincorno  avea  già  domandato: 
Dov'  è  Rinaldo  ?  Io  vorrei  pur  trovarlo. 
Orlando,  come  lo  vide  appressalo, 
Diceva:   O   Salincorno,  or  puoi  provarlo: 
Ecco  colui  ch''hai  tanto  minaccialo  : 
Questo  è  Rinaldo  tuo  col  quale  io   parlo  : 
E   volsesi  a  Rinaldo,  e  disse  seco  : 
Questo  gigante  vuol  provarsi   leco. 

xc 
Quando  il   gigante  vedeva  Rinaldo  ; 
Parvegli   un  uom  ne  V  aspetto  gagliardo, 
E   tulio  stupefatto  stava  saldo  : 
Guarda  il   Cristiano,   e   guardava  Baiardo  ; 
E  raflreddossi,   che  parca  si   caldo  : 
Disse:   lìaron,  s'ogni   tuo  elfello  guardo. 
Non   vidi  mai   il   più  bel   combattitore  ; 
Ma   tu  se' il   capo   d'ogni   traditore. 


M  O  n  G AN  T  E     MA  G  G l O  W K 


Tu   «irriderli   pia   (Jt'mifi   cunsorli 
{)nr\   (.liianVl    «  lic    fti    tanto    nomato  : 
Di-"  miri    fralrlli   «hie    n' avrtr   nuirti, 
E    liriinainoiilr    <ai    dir   1'  hai   ammazzalo 
Con   niillr   tradimenti   e  mille    torli  ; 
E    Manihrin   rh'  era    ilei   mio   janijne   nato, 
E   Gu»t2ntìn  con   inganno  iicridfsli, 
E   nirrilJtu  liai    già  mille  capresti. 

XCII 

Noi    siam   rimasi   sei   fralei   carnali  ; 
Ma   piinirotti   io   <ol,    tradilor  fello. 
Hinaliio   stava    tuttavia   in   su   Tali, 
Come   il   lerzuol,  per   diltallersi   a   quello  ; 
E  disse  :   Badalon,  se    tanto   vali, 
Come   ti   fé'  cader  qui   il   mio  fratello  ? 
Dunque    tu   chiami    traditor   Rinaldo, 
Che  >ai  che   tu  se"  il  fior  d"  ogni  riboldo  ? 

xeni 
Disse  il  2Ì^anIe  :   Orlando,  io  mi   ti   scuso, 
Non   p'uò   ciò   comportar   nostra   natura: 
Costui   mi  par  co   giganti   poro   uso  : 
Che  s"  io   comincio   per   la   sua   sciagura, 
Gli    forbirò  col  mazzafrusto   il   muso. 
Rinaltio,   che   smarrita   lia   la   paura, 
Gli   volle   dar   <  ol    guanto   nel   mostaccio, 
Se   nou    che   (.)rlando  gli  pigliava  il  braccio. 

xciv 
E  disse  :  Fate  battaglia  reale. 
Rispose   Salincorno  :   I"  ho   combattuto 
Tutto   di   d'oggi,   e  fatto    tanto   male, 
E  Spkiellone  e   Gostanzo  abbattuto,   . 
Che  far   con   esso  or  battaglia   campale, 
O   in   altro  modo   non  sare    dovuto  : 
Ma    domattina  in   sul   campo   saremo. 
E    so   che   1    lume   e  i   dadi  pagheremo. 

xrv 
Rinaldo  fu  contento,   e  Salincorno 
In   Babillona  si    tornava   drenlo  ; 
E   così   i   nostri   al   padiglion    tornorno. 
Diceva   il    Veelio  :   Iguuu  mio   guernimcntu 
Non  mi    trarrò,   Rinaldo,   insino   al   giorno  : 
Così    ti  priego   che   tu   sia   contento. 
Rispose  Orlando:  Il  tuo  consiglio  parmi 
Di  savio,   e  non  si  voglion  c^var  1'  armi. 

sevi 
Il  ^eglio,  come  pratico,  in  aguato 
Con   una  schiera  quella  notte  sta. 
Or  Salincorno,   come   addormentato 
Crede   sia   il   campo,    usci   de    la   città  : 
^  eiso   Rinaldo  u"  andava  affilato. 
Che   di    tradirlo  pensalo   seco   ha  : 
Ma  ne  V  uscir  ne  la  schiera  scontrossi 
Del  savio  Veglio,  e  la  zuffa  appiccossi. 

XCVII 

E  cominciossi  la   gente  a  ferire. 
Questo  romor  ne  va  pel  campo  presto  , 
Ma  pur  Rinaldo   si  stava   a   dormire: 
Baiardo  che  la  notte  stava  desto, 
'.omincia  presso  a  Rinaldo  anitrire: 
Non  si  sentendo,  spezzava  il  capreslo, 
E  corse   sanza   sella   cosi   ignudo, 
E  dettegli  del  pie   drente  a  lo  scudo- 


XCVIII 

Rinaldo   allor   si   fu   pur  rì>rnlilo  ; 
E    Ric<  iardetto   e    IMivier   de-l«ie  : 
Ognun    s'armava   tutto   sbalordito: 
Orlando  in   sul   cavai   presto  mont«>e, 
Dove   combatte   il    Veglio   ne  fu   ito, 
E   tutto   il   campo   iu   là  pre^^o   n' andtir  : 
A   Salincorno   par  la    cosa   guasta, 
E  pentcsi   aver  messo   mano  in  pasta. 

XCIX 

Pur  Con   Rinaldo    domandò   batlagfia  : 
Rinaldo    disse,    del    canqio   pigliasse  ; 
E  par  con    gran   furor  I   un  l'altro  assalita 
Subito  fumo   le   lor   lance   basse. 
Era   a   veder  la   pagana    canaglia, 
Che  SI   pensorno    il   mondo  rovinasse. 
Quando   Rinaldo   s'accolta   al    gigante; 
Perch'e   tremava  la   terra   e   le  piante. 

e 
E   Salincorno  la  lancia  spezzava  ; 
Cosi   Rinaldo  ;   e   i    hjr   destricr  passorm»  ; 
E   quasi   il   colpo   di   lor  s*  agguagliava  ; 
Si   che   di   nuovo   due   lance   pigliorno, 
E   l'uno   inverso   l'altro   ritornava: 
Trovò  Rinaldo   al   cimier  Salincorno, 
E  con  quel  colpo  dilacciò   T  elmetto, 
E  1  suo  p^nacchio  gli   spiccò  di  netto. 

CI 

Rinaldo  ne  Io  scudo  pose  a  lui 
Un  colpo  eh'  egli  arebbe  traboccato, 
Se  fussin    tulli   insieme   i   frate"  sui  ; 
E 'n  su  la   groppa  a  l'alfana  è  cascalo. 
Gridava   Salincorno  :  Mai   non  fui 
A   questo   modo  piò   vituperato  ; 
O   Macometlo   becco,   can,   ribaldo, 
Tu   hai  pagata  la  balia  a  Rinaldo. 

cu 
Credo  che   tu   l' intenda  co'Cristiani  : 
E   1   me"  che  può  sopra   T  arcion  si  rizza; 
E  prese   il  mazzafrusto  con   due  roani: 
Verso   Rinaldo    va   con  molta   stizza 
Gridando  :  Tu  n'andrai   con   gli   altri  cani, 
Se  questa  mazza  di  man  non  mi  schizza  : 
Che  se   tu  scampi  da  me  questa  notte. 
Non   tornerò  mai  più  ne  le  mie  grolle. 

CU! 
E   d"  una  punta  gli  delle  nel  fianco. 
Che  gli  fé"  rimbalzar  1'  elmetto  in  testa  ; 
E   benché  fossi    il  paladin   sì  franco. 
Per  la  percossa   ebbe   tanta   molesta, 
Che  poco  raen  che  non  si   venne  manco, 
E    non   volea   la   seconda   richiesta: 
E   Frusberta   di  man    gli   era  caduta; 
Se  non  che  la  catena  1  ha   tenuta: 


E  1  elmetto  pel   colpo   gli  era  uscito  ; 
Il    Saracin   se   gli   scagliava  intanto 
Addosso,  che  pensò  che  sia  fornito. 
Orlando,  eh' a  vedere  era  da  canto, 
Gridò:   Pagan,  se' lu   del  senno   uscito? 
Orchenonha  piul'elmoo  Ibrandool  guanto, 
Gli   credi   addosso  andar  co' mazzafrusti, 
Ci-nie  un   gaglioffo  vii  che  sempre  fusti  ? 


INI  O  K  (i  A  N  T  K     M  \  (V  G  \  O  l\  E 


E   volle   dargli   un  colpo  con  la   <;pada. 
Quando  il    gif!;anle    Orlando   irato   vide, 
Diceva:  E' non   è  buon   che   innanzi   vada: 
Che  questa   spada    il   lìorliro  divide. 
Qoando  Rinaldo  a  queste  cose   bada, 
Per   la   verf:;oi;na  il   cuor  se   f!;li   conquide  ; 
E   ripistliato   alquanto   di    vigore, 
Verso   il   Pagano   andò  con  gran   furore, 

evi 
Rizzossi  in  sn  le  staire,  e   1  brando  strinse, 
E  Salincorno   trovò  in   sul   cappello: 
E  fu    tanta   la  rabbia   che  lo  vin5e, 
Che   lo   tagliò  come   latte  il   coltello: 
Non  domandar  quanto  sdegno   il   sospinse: 
E  spezza  il   teschio   duro,   e   poi  il  cervello, 
E '1  collo  e '1  j)ello,  e  fecene  due  parti, 
Cile  così  appunto  non   tagliano  i  sarti. 

cvii 
Cadde  il  gigante  de  V  alfana  in   terra  : 
Fece  un  fracasso  come  quando   taglia 
Il  montanaro,  e  qualche   laggio  atterra. 
I  Saracin   che  son  ne  la   battaglia, 
Clii   qua  chi   là  per  le  fosse  al   buio  erra  : 
Ognuno  inverso  le  porte  si  scaglia, 
Veggendo  Salincorno   giù  cadere; 
Che  lo  senti  chi  noi  polca  vedere. 

ovili 
Conibatfevan'  a  lumi   di  lanterne 
Coslor  la  notte,   e  fiaccole  di  pino  ; 
Sì  che  molli  restar  per   le  caverne 
Chi   morto  e  chi  ferito  e  chi  meschino: 
Nostri   Cristian   quanti  potit'n   vederne, 
Tanti   uccidien   del  popol   Saracino  : 
Buon  per  colui   che  fu  prima   a  le   porte, 
Che   lutti  que'  da  sezzo  ebbon  la  morie. 

cix 
Ne  la  città  chi  può  si  fuggì  drenlo, 
E  iuron  presto  le  porte  serrate; 
E  cominciorno   a  far  provvedimento. 
Come  le  mura  lor  fussin   guardale  ; 
Che  d'uscir  fuor  non  avean  piìi  ardimento. 
Lasciam   costoro   e  T  altre   genti   armate: 
E  ci   convien  tornare  un  poco  a   Carlo, 
Che  non  si  vuol  però  dimenticarlo. 

ex 
Carlo  in  Parigi   ne  la  sua  tornala 
Meridiana  volse  rimandare 
A  Carador  che  l'ha  tanto  aspettala: 
E  lei  più  in  Francia  non   volea  già  stare, 
Da  poi  eh' Olivier  suo  T  avea  lasciata: 
Morgante  volle  questa  accompagnare^ 
E  finalmenle  dopo  alcun  dimoro 
Rappresentolla  al  gran  re  Caradoro. 

CXI 

E  pochi  giorni  con  lei   dimoróe. 
Perdi' e' voleva  andar  verso  Sona, 
Dov'era  Orlando;  e   licenzia  piglióe, 
E  sol  soletto  si  misse  per  via  : 
Meridiana  al  partir  lo  pregóe. 
Che   r  avvisassi   d'  Ulivier  che  sia  ; 
E  ritornassi  qualche  volta   a  quella 
Che  rimanea  scontenta  e   mesthmella. 


Giunto  Morgante  un  dì  in  sn  'n  crocicchi«i, 
l'>cito  d'una   valle   e  d'un   gran  bosco, 
Vide   venir  di    lungi  per   i»|Mcchio 
Un   uoin   che   in   volto  parta    tulio  fosco: 
Delle  «lei   capo  del    battaglio   un  picchio 
In   terra,  e  disse  :   Costui  non   conosco  ; 
E  po>esi    a  sedere   in   su  'n  sasso, 
Tanto  che  questo  capil«>e  al  passo. 

CXlll 

Morgante  guata  le  sue  membra   tulle 
Più  e  pili   volte   dal   capo   a   le  piante, 
(/he   gli   pareano  strane,   orride   e  bruite  : 
Diiuuii   il   tuo   nome,  «licea,   viandante  ? 
(]olui   risp<)se  :   Il   mio   nome  è  Margulte  ; 
Ed   ebbi    voglia   anch'  io  d'  esser   gigante  : 
Poi   mi  penti',  quando   a  mezzo  fu' giunto  : 
Vedi   die  selle  braccia  sono  appunto. 

cxiv 
Disse  Morgante:  Tn  sia  il   ben  venuto: 
Ecco  eh'  io  arò  pur   un  fiaschetto  allato, 
(die    da    due   giorni    in    qua   non    ho   beuto  : 
E  se  <;on   meco   sarai   accompagnato, 
Io   ti    farò  a  cammin   quel   eh'  è   dovuto  : 
Dimmi  più   oltre  io   non  t'ho  domandato, 
Se  se'  cristiano,  o  se  se'  Saracino, 
O  se   tu  credi  in  Cristo,  a  in  Apollino. 

cxv 
Rispose   allor  Margulte:   A  dirtel   tosto, 

10  non  credo  più  al  nero,  eh' a  l'azzurro; 
Ma  nei  cappone,  o  lesso  o  vuogli  arrosto  ; 
E  credo   alcuna   volta  anco  nel   burro, 

Ne   la  cervogia,  e  quand'  io  n'  ho  nel  mosto, 
E  mollo  pili    ne   l'aspro   che   il  mangurro; 
Ma   sopra   tutto  del   buon   vino  ho  fede  ; 
E  credo   che  sia   salvo  chi   gli  crede. 

cxvi 
E  credo  ne  la   torta  e  nel   tortello.: 
L'  uno  è  la  madre,  e  l'altro  è  il  suo  figliuolo. 

11  vero  paternostro   è  il  fegatello, 

E  possono  esser   tre,  due,  ed  un  solo  ; 
E  diriva  dal  fegato  almen  quello  : 
E  perch'  io   vorrei   ber   con   un  ghiaccinolo," 
Se  Marometlo  il  mosto  vieta  e   biasima, 
Credo  che   sia  il   sogno  o  la  fanta.-ima. 

ex  VII 

Ed   Apollin  debb'  esser  il  farnetico, 
E  Trivigante  è  forse  la  tregenda. 
La  fede   è  falla   come  fa  il  solletico  : 
Per  discrezion  mi   credo  che   tu   intenda  : 
Or   tu  potresti' dir  ch'io  lussi   eretico. 
Acciò  che   invan  parola  non  ci  spenda: 
Vedrai  che  la  mia  schiatta   non   traligna  : 
E  ch'io  non  son  terren  da  porvi   vigna. 

exvui 
Questa  fede  è  come  1' noni   se  1  arreca  : 
Vuoi   tu  veder  che  fede  sia  la  mia  ? 
Clie  nato  son   d'  una  monaca   greca, 
E   d'un   papasso  in   Bursia   là  in   Turchia: 
E  nel   principio  sonar  la  ribeca 
Mi   dilettai;  perch' avea  fantasia 
Cantar  di  Troia,   d'  Ettore  e   d'  A(  bilie, 
Non  una  volta  già,  ma  mille  e   mille. 


!M  0  l\  (r  A  N  r  K      INI  A  (;  (i  I  O  K  K 


cxtx 
Poi   rhe   m'  iiicrcbbe   sonar   la   «liilarra, 
Io    cinniix'i.ii   portar    l'  arro   e  "l    torrassu. 
'  Un    <lì   rli' io  fé' ne   la   niorcliea  poi   siiaira, 
K   dì"  io   nori>i    il   ntio    verrino  papasso, 
Mi    posi   a    lato   questa   sriniilarra, 
K   coiiiinriai   pel    mondo   andare   a   spasmi»  ; 
E   per   ronipafini    ne   menai    con   mero 
Tuli"  i   perrali    o   di    lnrc(»   o   Ji   greco  ; 

»  \x 
AiMÌ  qnanli   ne  son   gin   ne   lo  interno  ; 
Io   n'ho  icllanla    e   selle,  de' mortali, 
Che   non   mi    lascian   mai    la  .slate  o  I  verno; 
Pensa   quanti   io   n'  Jio   poi   de    veniali  : 
Non    credo   se   durassi   il    mondo   eterno, 
Si   potessi    commetter   tanti    mali, 
Quanti    ho   commessi  io   sulu    a    la  mia  vita; 
Kd   ho  per   alfabeto   ogni    parlila. 

cxxi 
Non   li  rincresca   T  ascollarmi   un   poco: 
Tu   udirai   per   ordine   la   trama  : 
Mentre   oh"  i"  ho   danar,   sio    Jono   a   giuoco, 
Rispondo   come   amico   a    chiunque    chiama, 
E   gjnoco  d'  ogni    tempo  e   in   ogni   loco, 
Tanto   ch'ai    tutto   la  roba   e    la    fama^ 
Io  m'ho   giocati,   e  i   pel  già   de  la  barba: 
Guarda  se  questo  pel  primo   ti   garba. 

cxxii 
Non  domandar  quel  eh  io  so  tar  dun  dadu, 
O  fiamma   o   Iraversin,  testa  o  galluccia, 
O   lo   spuntone  :   e   va   per  parentado  ; 
Che   tutti   siam   il"  un   pelo   e   d'una    buccia: 
E  forse  al  camuffare  inciampo  o  bado, 
O   non   so  far   la   berta  o   la   bertuccia, 
O  in  furba   o   in   calca  o  in  beslrica  mi  lodo: 
lo  so  di  questo  ogni  malizia  e  frodo. 

CXXIII 

La  gola   ne    vien   poi   drieto   a  quest'arte  : 
Qui   SI   conviene  aver  gran   discrezione. 
Saper   tulli   i   secreti   a  quante   carie 
Del   fagian,   de   la  slama   e    del   cappone, 
Di    tutte  le    vivande   a   parte   a  parte, 
Di>ve   si    imo  vi   morbido   il   boccone  : 
E    non    ti    fallirei   di   ciò  parola. 
Come   tener  si    debhe   unta   la   gola. 

txxiv 
S' io    ti   dicessi   in   che  modo  io   pillotto, 
O   tu   vedessi   coni  "io  fo   col    braccio; 
Tu  mi   diresti   cerio   eh'  io  sia    ghiollo  : 
O   quante  parte  aver   vuole   un   migliaccio, 
Che   non   vuol   esser   arso,   ma   ben   cotto. 
Non  mollo   caldo   e   non   anco   di    ghiaccio, 
Anzi   in  quel  mezzo,  e  unto,  ma  non  grasso. 
Parli  che  '1  sappi?  e  non  troppo  alto  o  basso. 

cxxv 
Del   fegàtel  non   ti  dico  niente: 
Vuol  cinque  parti,  fa   eh"  a  la  nian   tenga: 
Vuol  esser  tondo,  nota  sanamente. 
Acciò  che  "1   fuoco  egual  per   lutto   venga  ; 
E   perchè  non   ne   caggia,   tieni   a   menif, 
La   gocciola  che  morbido   il   mantenga: 
Dunque   in    due  parli    dividiani   la   prima, 
Cile   r  una   e   l'altra   si    vuol   farne   slima. 


«:xxvi 
Piccini   .sia   questi»,  ed  è  proverbio  antico; 
E    fa   che    non   sia   povero   di    paiuii  ; 
Però  che   (|uesto   imporla   eli'  io    ti   dico  : 
Non   molto   cotto,    guarda   non    l   inganni  : 
Che  COSI   verdemezzo   come    un    lii-o, 
Par   che   si   strugga,    quando    tu    1    .i/./anni  : 
Fa   che   sia   caldo,    e   pno'sonai   le  nacchere  : 
Poi   spezie   e   melarance   e   altre  zacchere. 

(  \xvii 
Io  ti  darei  qui  cento  colpi  netti  ; 
Ma    le  cose   sollil,   vo'  che   In   creda, 
Consiston   ne   le    torte   e   ne   (or  elicili  : 
E    ti   fare'  paura    una   lampreda. 
In   ({nauti   modi    si   fanno   i    guazzetti  : 
E   j)ur   chi    r  ode   poi   convien   che    ceda  : 
Perchè   la    gola   ha   sedautadue   punti, 
Sanza   moli  altri  poi  ch'io  ve  ii  iio   aggiunti. 

CXXVill 

Uno   che  manchi,  guasta   la  cucina  ; 
Non    vi  potrebbe  il   eie!   poi   rimediare. 
Quanti  segreti    insino   a   iloinaltina 
Ti   potrei   di   quest'  arte   rivelare  1 
Io   lui   ostiere  alcun    tempo   in   Egina, 
E    volli   queste   cose  disputare. 
Or   lasciam  questo,   e  d'  udir  non  l  incrcM  a 
Un'  altra  mia  virtù  cardinalesca. 


Ciò   oli    io    li  dico,  non  va   in.-ino   a  lede  : 
Pensa   quand  io   sarò  condotto   al   me. 
Sappi   eh'  io   aro,   e   non   dico   da   bette, 
Col   cammello  e  con  1'  asino  e  col   bue  : 
E  mille  capannucci  e  mille  guetì'e 
Ho  meritato   già   per   questo,  o   pine  : 
Dove   il  capo   non   va,  metto   la   coda  ; 
E   quel   che  più  mi  piace  è  eh' ognun  1   oda. 

cxxx 
Mettimi  in  ballo,  mettimi  in  convito, 
Ch'io   fo   il   dover   co' piedi   e   con    le   mani: 
lo  son   prosontuoso,   impronto,   ardilo  ; 
Non    guardo   più   i   parenti   che   gli   strani  : 
De   la   vergogna  io   n"  iio  preso   parlilo, 
E    torno   a   chi   mi   caccia  come   i   cani  ; 
E   dico  ciò  eh"  io  fo,  per  ognun  sette  ; 
E  poi   v'aggiungo  mille  uovellelTe. 

cxxxi 
S"  io  ho   tenute   de  l'oche  in  pastura, 
Non   domandar,   eh'  io   non    te   lo   direi  : 
S'io   li   dicessi   mille  a   la    ventura, 
Di  poche   credo   eh'  io   ti   fallirei  : 
S  io   uso  a  muuister  per  isciagura, 
S'  elle  son  cinque,  io  ne   traggo  fuor  sei  : 
Ch'  io   le  fo  in  modo  diventar  galante, 
Che  non  vi  campa  servigial  né  fante. 

cxxxii 
Or  queste  son  tre  virtù  cardinale. 
La  gola,  e  '1  bere,  è  '1  dado  ch'io  t'  ho  delU>: 
Odi   la  quarta  ch"  é  la  principale. 
Acciò  che  ben   si  sgoccioli  il  barletto, 
Non  vi   bisogna  uncin,  né  porre  scale 
Dove  con  mano  aggiungo,  ti  prometto  : 
E   mitere   da  papi    ho    già  portate 
Col   seguo   in   testa,   e   drieto   le   granale. 


H 


M  0  l\  G  A  N  T  E     INI  A  G  G  I  O  l\  E 


(AXXIII 

V.   trapani   e  paU'lli   e   lime  sorde, 
K  succi» i   «r  opni  falla,  e   prinialdt-lli, 
li  scale  o   vuoi   di  legno,   o   vuoi   di  corde, 
K  levane,  e  calrelli  di   fcltrolli, 
Che  fanno,  qiiand' io  voVh' ognuno  assordc, 
l^avoro  di  mia  man,  pulili   e  belli*, 
K  fuoco  che  per  sé  lume  non  rende, 
Ma  con  lo  sputo  a  mia  posla  s'  accende. 

cxxxiv 
Sin  mi   vedessi  in   una  chiesa  solo, 
Jo  son  più   vago  di  spogliar  gli   altari, 
l^he  "l  messo  di   contado  del  paiuolo  : 
Poi   corro   a  la  cassetta  de'  danari, 
Ma  sempre  in  sagrestia  fo  il  primo  volo  ; 
E  se  v'  è  croce  o  calici,  io  gli  ho  cari  : 
E  i  Crucifissi  scuopro   lutliquanti  ; 
Poi   vo  spogliando  le  Nunziate  e  i  Santi. 

cxxxv 
Io  ho  scopato  già  forse  un  pollaio. 
Sfu  mi  vedessi  stendere  un  bucalo. 
Diresti   che  non   è  donna   o  massaio 
Che  •!'  abbi  cosi  presto  rassettato. 
S' io  dovessi  spiccar,  Morganle,  il  maio, 
lo  rubo  sempre   dove  io  sono  usalo  : 
Ch'  io  non   islò  a  guardar  più  tuo  che  mio; 
Perchè  ogni  cosa  al  principio  è  di  Dio. 

cxxxvi 
Ma  Innanzi  eh'  io  rubassi   di   nascoso. 
Io  fui  prima  a  le  strade  malandrino  : 
Are!  spoglialo  im  Santo  il  più  famoso, 
Se  Santi  son  nel  del,  per  un  quattrino: 
Ma  per  islarmi  In  pace  e  'n  più  riposo. 
Non  volli  poi  più  essere  assassino  ; 
Non   che  la  voglia  non   vi  fussi  pronta, 
Ma  perchè  il  furto  spesso  vi  si  sconta. 

CXXXVII 

Le  virtù  teologiche  ci  resta  : 
S' io  so  falsare  un  libro,  Dio   tei   dica  : 
D'  un  iccase  farolli  un  fio  che  a  sesta 
Non  si   farebbe  più  bello  a  fatica  : 
E   tragcone  ogni  carta  ;   e  poi  con  questa 
Raccordo  V  alfabeto  e  la  rubrica  : 
E  scambiereti,  e  non  vedresti   come, 
11  titol,  la  coverta,  il  segno  e  1  nome. 

CXXXVIII 

I  sacramenti  falsi  e  gli  spergiuri 
Mi  sdrucciolan   giù  proprio  per  la  bocca 
Come  i  fichi   sampier  que  ben  maturi, 
O   le  lasagne  o  qualche  cosa  sciocca  ; 
Né  vo'  che   tu  credessi   eh'  io  mi   curi 
Contro  a  questo   o  colui,    zara  a  chi   tocca: 
Ed  ho  commesso  già  scompiglio  e  scaiidolo: 
Che  mai  non  sé  poi  ravviato  il  bandolo. 

cxxxix 
vSempre  le  brighe  compero  a  contanti; 
Beslemmialor,  non  vi  fo  ignnn  divario 
DI   bestemmiar  più  uomini,  che  Santi  ; 
E  lutto  appunto   gli    ho  in  sul  calendario  : 
De   le  bugie  ignun  non  se  ne  vanti, 
Che  ciò  ch'Io   dico,  fia  sèmpre  il  conirario; 
Vorrei  veder  più  fuoco  eh'  acqua  o  lerr.i  : 
E"l  mondo e'I  cielo  in  peste, In  fame  e'n  guerra. 


E  carità,  limosina,  u  digiuno, 
')  orazion   non  creder  eh'  io  ne  fac(  la. 
Per  non  parer  provano  :   chieggo  a  ognuno, 
E  sempre  dico  cosa  che   dispiaccia, 
Superbio,   invidioso   e  Iinporluno  : 
Questo  si  scrisse   ne  la  prima   faccia  : 
C>lie  i  peccali  mortai  meco  eran   tulli, 
E  gli  altri  vizi  scellerati   e  brutti. 

cxr.i 
Tanto  ch'io  posso  andar  per  tutto  il  mondo 
Col  cappello   in  su  gli   ocelli   con»'  io  voglio; 
Com'  una   sehianceria   son   netto  e  mondo  : 
Dovunque  Io  vo,  lasciarvi   il   segno  soglio 
Come  fa  la   lumaca,  e  noi  nascondo  : 
E  mulo  fede  e  legge,   amici  e  scoglio 
Di   terra  in   terra,  com'  io  veggo  o  truovo; 
Però  eh'  io  fu"  eattivo  insin  ne  V  uovo. 

cxui 
Io  t'ho  lasciato  In  drieto  un  gran  capitolo 
Di  mille  altri  peccati  in   guazzabuglio  : 
Che  s' Io  volessi  leggerli  ogni   titolo, 
E'  li  parebbe   troppo   gran  miscuglio  : 
E  cominciando  a  seiorre  ora  II   gomitolo, 
Ci   sarebbe  faccenda  insino  a  luglio  ; 
Salvo  che  questo  a  la  fine   udirai, 
Che  tradimento  ignun  non  feci  mai. 

exT.iii 
Morgante  a  le  parole  è  stalo  allento 
Un'ora  o  più,  che  mai   non  mosse  il  volto: 
Rispose  e  disse  :  In  fuor  che  Iradlmento, 
Per  quel  eh' i' ho,    Margulte  mio,  raccolto, 
Non  vidi  uom  mai  più  tristo   a  compimento: 
E  di' che  il  sacco  non  hai  tutto  sciolto? 
Non  crederei  con  ogni  sua  misura 
Ti  rifacessi  appunto  più  natura, 

CXIIV 

Né  lanlo  accomodalo  al  voler  mio  : 
Noi  sarem  bene   insieme  in   un   guinzaglio  ; 
Di   tradimento   guardali,  perch'io 
Vo'  che  lu  creda  In  questo  mio  battaglio. 
Da  poi  che  tu  non  credi   In  cielo  a  Dio, 
Ch'Io  so   domar  le  bestie  nel   travaglio: 
Del  resto   come  vuoi   le   ne   governa: 
Co'Sanli  in  chiesa  e  co'  ghiotti  in  taverna. 

CXLV 

Io  vo'  con  meco  ne  venga,  Margulte, 
E  che  di   compagnia  sempre  viviamo  : 
Io  so  per  ogni  parte   le  vie   tulle  : 
Vero  che  pochi   danar  ne  portiamo  : 
Ma  mio  costume  a   1'  oste  è  dar  le  frutte 
Senipre  al  partir,  quando  il  conto  facciamo; 
E  'nfìno  a  qui   sempre  a  1'  oste  ov'  Io  lussc, 
Io  gli   ho  pagato  lo  scollo  di  busse. 

CXLVI 

Disse  Margulte  :  Tu  mi  piaci   troppo  ; 
Ma  resti  tu  contento  a  questo  solo  : 
Io  rubo  sempre  ciò  eh' i' ho  d'Intoppo,    , 
S'  io  ne  dovessi  portare   un  orciuolo  : 
Poi  al   partir  son  mulol,   ma  non   zoppo  ; 
Se   lo   dovessi   torre   un  fiisaiuolo, 
Dove   tu   vai,   lo'  sempre  qualche  cosa  ; 
Ch'  io  tirerei  V  aiuolo  a   una  chiosa- 


IMO  WG  A  NTK      M  \  G  (i  I  ()  W  V. 


CXLVII 

10  ho   cercato  diversi  paesi, 
II»   Ilo  solcata   tutta   la  marina, 

Kd   lio  sempre  rubato  ciò  eh'  io   spesi  ; 
Dunque,  Mor^ante,  a  tua  posta   cammina. 
Così  detton   di   piglio  a' loro  arnesi; 
Morgante  pel   lialtatclio  suo  si  china, 
K  C(d   compagno  suo  lieto   ne   gU  ; 
K   dirizzossi  andar  verso  Sona. 

CXLVIII 

M;»r'^utte   aveva   una   schiavina   indosso) 
Kd   un   cappello  a  spicchi   a  la   turcltesca, 
Salvo   ch'egli  era  fatto   d'un  ceri' osso. 
Che   gli  spicchi  eran  d'  altro  che   di  peica  ; 
Ed  era  mollo   grave  e  molto   grosso, 
Tanto   che  par  che  spesso  gli  rincresca: 
Un  paio  di   stivaletti   avea  in  pie  gialli, 
Ferrali,  e  con  gli  spron,  coHìe  hanno  i  gitili. 

CXLIX  "^^ 

Diceva  Morgante,  quando   gli  "vedea  : 
Saresti   tu   di   schiatta   di   galletto  ?  fi, yc 
Tu  hai   gli  spron   di   drieto  ;  e  sorridea. 
Disse  Margotte  :   Questo   è  per  rispetto  : 
Che  spesso   alcun   ciie  non  se  n'  accorgea, 
Se  ne   trovò  ingannato,   ti  prometto  : 
Campati  ho   già  con  questi  molti  casi, 
K  molti  a  questa  pania  son  rimasi. 

CL 

Vannosi  insieme  ragionando  il   giorno  : 
La  sera  capitorno  a  uno  ostiere  ; 
E  come  e'  gìunson,  costui  domandorno  : 
Aresti   tu  da  mangiare  e  da  bere  ? 
E  pagati   in  su  V  asse,  o  vuoi  nel  forno. 
L'oste  rispose:  E*  ci  fia  da  godere, 
E  e'  è  avanzato  un   grosso  e  bel  cappone. 
Disse  Margutte  :   Oh,  non  fia   un  boccone. 

cr.i 
Qui  si  conviene  avere  altre  vivande  ; 
Noi  siamo  usati  di  far  buona  cera  : 
Non  vedi   tu  costui  com'  egli  è  grande  ? 
Cotesla  é  una  pillola  di  peia. 
Rispose  r  oste  :  Mangi  de  le   ghiande  : 
Che  vuoi  tu  ch'io  provvegga  or  ch'egli  è  sera? 
E  cominciò  a  parlar  superbamente, 
Tal  che  Morgante  non  fu  paziente. 

CLII 

Cominciai  col  battaglio  a  bastonare  : 
L'  oste  gridava,  e   non   gli  parea  giuoco. 
Disse  Margutte  :  Lascia   un  poco  slare  ; 
Io  vo'  per  casa  cercare  ogni   loco  ; 
lo  yidi   dianzi  un  bufol  drenlo  entrare  : 
E'  ti  bisogna  fare,  oste,  un   gran  foco  ; 
E  che   tu  intenda  a   un  fischiar  di  zufolo  ; 
Poi  in   qualche  modo  arrostire  quel  bufolo, 

CLUI 

11  fuoco  per  paura  si  fé  tosto. 
Margotte  spicca  di  sala  una  stanga  t 
L'oste  borbotta,   e  Margotte  ha  risposto  : 
Tu  vai  cercando  il  battaglio  t  infranga  ; 
A   voler  far  quell  animale  arrosto. 

Che  vuoi  tu   tórre  ?   un  manico  di   vanga  ? 
Lascia  ordinare  a  me,  se  vuoi,  il   convito  : 
E  frnalinenle  il  bufol  fu  arrostito. 


Non   creder  con   la   pelle  .'corlirata  ; 
E"  lo   sjiaró  nel   corpo  solamenlf  : 
Parca   di   casa  più  ciie   la   granata  : 
Comanda   e    grida,   e  per   lutto   si   sente  : 
l'ii   a>-se   mollo    liiii^.i    lia    ritrovata, 
Appareccliiolla   fuor   subitainentc  : 
E    vino   e   carne   e   del   pan    vi    poiiea  ; 
Perchè  Morgante  in   casa  non  capea. 

ci,v 
Quivi  mangìoron  le  reliquie  tulle 
Del   bufolo,   e   tre  staia   di   pan    o  pitie, 
E   bevono   a   bigonce  :   e   poi   Margotte 
Disse  a   quell'  oste  :  Dimmi,   aresli   lue 
Da   darci   del   formaggio  o  de  le  frutte, 
Cile  questa   è  stala  poca   roba   a   due, 
O  s'  altra  cosa    tu   ci   hai   da   vantaggio  T 
Or  udirete  come  andò  il  formaggio. 

CLVI 

L'  osle  una  forma  di   cacio   trovóe, 
Ch'  era  sei   libbre  o  poco  più  o  meno  : 
Un  canestretlo  di  mela  arrecóe 
D'  un  quarto  o  manco;  e  non  era  anche  pieno. 
Quando  Margutte  ogni   cosa   guardóe, 
Disse  a  quelf  oste  :   Bestia  sanza  freno, 
Ancor  s'  ara  il    battaglio   adoperare, 
S  altro  non  credi   trovar  da  nianjiiare. 


E  questo  compagnon  da  fare  a   once  ? 
Aspetta  tanto  ch"  io   torni   un  miccino, 
E  servi  intanto  qui   con   le  bigonce  : 
Fa  che  non  manchi   al   gigante  del   vino. 
Che  non   ti  racconciassi   T  ossa  sconce  : 
Io  fo  per  casa  come  il   topolino  ; 
Vedrai   s'io  so  ritrovare  ogni  cosa, 
E   s'io  farò  venir  giù  roba  a  iosa. 

ci.vin 
Fece  la  cerca  per  tutta  la  casa 
Margutte,  e  spezza  e  sconlicca  ogni   cassa, 
E  rompe  e  guasta  masserizie   e  vasa  ; 
Ciò  che   trovava  ogni   cosa  fracassa  ; 
Ch'una  pentola   sol  non  v' è  rimasa  ; 
Di  cacio  e  frutte  raguna  una  massa, 
E  portale  a  Morgante  in  un  gran  sacco, 
E  cominciorao  a  rimangiare  a  macco. 

ctix 
L'oste  co' servi  impauriti  sono, 
E  a  servire  alteodon   lutti  quanti, 
E  dice  fra  sé  stesso  :  E'  sarà  buono, 
Non  ricettar  mai  simili  briganti; 
E' pagheranno  domattina  al  suono 
Di  quel  battaglio;   e  saranno  contanti: 
Hanno  mangiato  tanto,  che  in   un  mese 
Non  mangerà  tulio  questo   paese. 

CLX 

Morgante,  poi  che  molto  ebbe  mangiato. 
Disse  a  quell'oste  :  A  dormir  ce  n' andremo; 
E   domattina,  com'  io  sono  usalo, 
Sempre  a  cammino,  insieme  conteremo  ; 
E  d'  ogni  cosa  sarai  ben  pagato. 
Per  modo,  che  d"  accordo  resteremo. 
E   1"  osle  disse,  a  suo  modo  pagasse, 
(Ile   gli  parea  miU' anni  e*  se  n'andasse. 


ÌM  O  i;  (.  A  N  T  K      INI  A  (;  (;  I  ()  \\  K 


Morpante  .nido  a   trovare   mi  pagliaio, 
V.t\   ajipoj^t^iossi   come   il   liofanle  : 
M.ugtiUe  disse:   Io  spendo  il  mio  danaio: 
lo  non  voglio,  oste  mio,  come   il  gigante 
l'ar  de  gli  orecclii  zufoli   a   rovaio  ; 
Non  so  s'io  son  più   pratico   o  ignorante; 
Ma  cir  io   non   sono   aslrolago  so   certo  : 
lo  vo  con  teco  posarmi   al  coperto. 

CI. XII 

Vorrei  prima  che  i   lumi  sieno  spenti, 
Clie   tu  traessi   ancora   un  po'  di   vino  : 
f.l>e  non  par  mai  la  sera  io  m'addormenti, 
S'  io  non   becco  in  sul   legno   un  ciantellino 
Cosi  per  risciacquare   un  poco   i   denti  : 
E   goderenci   in   pace   un   canzoncino  : 
E"  basta   un  bigonciuol   cosi   tra   noi, 
Or  che   non   c^  è  il   gigante   che  e'  ingoi. 

CLXlfl 

Vedestu  mai,  Margutte  soggiugnea, 
Un   uom  più  bello   e  di   tale  statura, 
E  che  tanto   diluvi  e   tanto  bta  ? 
Non  credo  e'  ne  facesse   un  più  natura  : 
E"  vuol,  quand'egli   è  a  Foste,   gli   dicea, 
("-he   Toste   gli   trabocchi   la  misura; 
Ma   al  pagar  poi  mai  più  largo  uom  vedesti: 
Se   tu  noi  provi,  tu  noi  crederesti. 

cr.xiv 
Venne  del  mosto;  e  stanno  a  ragionare  ; 
E  l'oste   un  poco  si  rassicurava. 
Margutte  un  canzoucin  netto   a  spiccare 
Comincia;  e  poi   del  caramin   domandava, 
Dicendo  a  Babillona  volea  andare. 
L'oste  rispose,  che  non  si  trovava 
Da  trenta  miglia  in  là  casa  né  letto 
Per  più  giornate,  e  vassi  con  sospetto. 

CLXV 

E  disselo  a  Margutte,  e  non   a   sordo, 
Che  vi  pensò  di  subito  malizia  ; 
E  disse  a  V  oste  :  Questo  è  buon  ricordo. 
Poi  che  tu  di'  che  vi  si  fa   tristizia  : 
Or  oltre  al  letto;  e  sarem   ben   d'accordo. 
Ch'io  non   istò  a  pagar  con  masserizia; 
Io  son  lo  spendilore  ;  e  degli  scotti, 
Come  tu  stesso  vorrai,  pagherotti. 

ri.xvi 
Io  ho  sempre  calcata  la  scarsella  : 
Deh   dimmi,    tu  non   debbi   aver  domala, 
Per  quel  eh'  ione  comprenda,  una  cammella 
Ch'io  vidi  ne  la  stalla  tua  legata; 
Ch'io  non  vi  veggo  né  basto  né  sella? 
Rispose  l'oste:  Io  là  tengo  appiattata 
Una  sua  bardelletta,  eh'  io  gli   caccio, 
Ne  la  camera  mìa  sotto  il  primaccio. 

CLxvn 
Per  quel  ch'io  il  faccia,credo  che  tu  intenda: 
Sai   che  qui   arriva  più   d'  un  forestiere 
A  cena,  a   desinare  ed  a  merenda. 
Disse   Margutte  :  Lasciami   vedere 
Un  poco  come   sta   questa  faccenda. 
Poi   che  noi  siam  per  ragionare  e   bere, 
E  son  le  notti   un   gran  cantar  di  cieco: 
E  l'oste  gli  rispose:  Io  te  l'arreco. 


CI.XVIll 

Hccò  quella   bardella   il   sempliciotto: 
Margiilte  vi   fé' su    tosto   disegno, 
Che  questo   accorderà  tutto  lo  scotto  ; 
I'^  disse   a  l'oste  :  E'mi  piace  il  tuo  ingegno: 
Qtieslo  sarà  il   guancial   ch'io   terrò  scilo; 
E  dormirommi,   qui    in   su   questo  legno  : 
So  che  letto  non   hai,  dov'  io  capessi, 
Tanto  che  tulio  mi  vi  distendessi. 

(LXIX 

Or  vo'  saper  come  tu  se'  cliiamato. 
Disse  r  ostier  :   Tu  saprai   tosto,  come. 
Io  sono  il  Dormi  per   lutto   appellalo. 
Disse  Margutte  :   Fa   come   tu   hai   nome  ; 
Così,  fra  sé,   tu   sarai  ben   destato 
Quando  fia   tempo,  o  innanzi  fien   le  some. 
Com'  hai   tu   brigatella,  o   vuoi  figliuoli  ? 
Disse   r  ostier:  La  donna  ed  io  siam  soli. 


Disse  Margutte:  Che  puoi  tu  pigliarci 
La  settimana  in  questa  tua  osteria  ? 
Com'  arai   tu  moneta  da  cambiarci 
Qualche  dobbra  da  spender  per  la  via  ? 
Rispose  l'oste:  Io  non  vo' molto  starci; 
Ch'  io  non   ci  ho  preso  per  la  fede  mia 
Da  quattro  mesi  in  qua  venti  ducali, 
Che  sono  in  quella  cassetta  serrati. 

CLXXI 

Disse  Margutte  :   Oh  solo  in  una  volta 
Con   esso  noi  più  danar  piglierai: 
Tu  la  lien  (juivi  ?  s'  ella  fusse  tolta  ? 
Disse  r  ostier  :  Non  mi  fu  tocca  mai. 
Margutte  un  occhiolin  chiuse,  ed  ascolta  ; 
E   disse  :   A   questa  volta   lo  vedrai  : 
E  per  fornire  in  tutto  la   campana, 
Ifn"  altra  malizielta  trovò  strana. 

rj.xxii 
Perché  persona   discreta  e   benigna, 
Dicea   con   l'oste,   troppo   a  questo   trailo 
Mi   se'parulo;   io  mi   chiamo  il   Graffigna; 
E   1   profferer   tra  noi   per  sempre   é  fallo  : 
Io  senio  un  poco  difello  di   tigna, 
Ma   sotto  questo  cappel  pur  l'appiatto: 
Io  vo'  che   tu  mi   doni   un  po'  di   burro, 
Ed   io  ti   donerò  qualche  mangurro. 

CLXXIII 

L'os(e  rispose:   Niente   non   voglio: 
DomantJa   arditamente  il   tuo  bisogno, 
Che   di    lai   cose  cortese   esser  soglio. 
Disse  I\Iargulte  allora  :   Io  mi   vergogno  : 
Sappi  che  mai   la  notte  non  mi  spoglio 
Per  certo  vizio  eh'  io  mi   lievo  in   sogno  : 
Vorrei   eh'  un  paio  di  fune  mi  recasse, 
E  legherommi  io  slesso  in  su  quest'asse. 

cr.xxiv 
Ma  serra  1'  uscio  ben   dove   tu  dormi, 
Cir  io  non  ti   dessi  qualche  sergozzone  ; 
Se  tu  sentissi  per  disgrazia  sciormi, 
E  che  per  casa   andassi   a  processione, 
Non   uscir  fuor.  Rispose  presto  il  Dormi, 
E   disse:   Io  mi   starò  sodo  al   macchione; 
Così  voglia   avvisar  la  mia   brigala; 
Che  non  loccassin  qualche   lenlcnnala. 


M  O  R  (;  A  N  T  i:     M  A  (.  d  I  O  W  K 


l  IXXV 

Le  fune  *■  1   luirro  a  Marp:iitl^   p»  reca  ; 
K   disse   a'  servi   tli   «jiiesto   coslnme  : 
di'  o<ninn   si    guardi   da   la  fossa   riera, 
K   non   islturlii   i<;iiun  fuor   de   le  piiinie  : 
Odi   ribaldo  '.   odi   malizia    greca  '■ 
Così   soletto   ii   restò   rol   fTime, 
E   fere   vista    di    legarsi    slretlo. 
Tanto  rite  'I   Dormi   se   n'  aaiìù  al    letto. 

CLXXVI 

Come  e"  sentì  russar  oli' ognun   domiira, 
E'  cominciò  per   cas.i   a   far  fardello  : 
A    la   cassetta   de'  danar   ne   giva; 
Ed   ogni    cosa  pose   in    sul   rammello  : 
E   come   un    uscio   o  qualche  cosa   apriva, 
l'gneva   con   quel    burro   il    cliiavistello  : 
E   com"  egli    ebbe   fuor   la    vettovaglia: 
Appiccò  ri  fuoco  in  un   monte  di  paglia. 

CI.\\\1\ 

E  poi  n'andava  ai  pagliaio   a  Morgante  ; 
Non   dormir  più,   dicea,   dormito  ha*  assai  : 
Non   di"  tu  che   volevi    ire  in    Levante? 
Io   sono   ito  e   tornalo:   e   tu  il    vedrai  : 
Non   istiam   qui  :  dà  in  terra  de    le  piante  ; 
Se  non  che  presto  il  fummo  sentirai. 
Disse  Morgante  :   Che  diavolo  è  questo  ? 
Tu   hai  par  fallo,  per  Dio.   nello  e  presto. 

fLxxvin 
Poi   s"  avviava,  che  aveva  timore. 
Perchè  quivi  era  un   gran  borgo  di  case, 
Che  non   si   levi   la    eente   a   romore. 
Dir^-a  Margutte  :  Di   ciò   che  rimase 
A  1  o.-le,  un  birro  non   are'  rossore  ; 
C.ì\'  io  non  istò  a  far  mai  le  slaia  rase  : 
Ma   sempre  in  ogni  parte  dov"  io  fui, 
Sono  stalo  cortese  de  1'  altrui. 

CI.XXIX 

Mentre  che  questi   cosi  se  ne  vanno, 
La   casa   ardeva   tnlla   a,  poco  a   poco: 
Prima  che  '1  Dormi   s'  avvegga  del  danno. 
Era  per  lutto  appiccato   già  il  foco  ; 
E  non   credea   che  fussi   sialo   inganno  ; 
Quivi  la   gente  correa  d"  ogni  loco  ; 
Ma   con  fatica   scampò  lui   e  la  moglie: 
E  così  spesso  de"  malli   si   coalie. 

CLXXX 

Quando  fu   giorno  che  1"  alba  apparie, 
Morgante  vede  insino  a  la   grattugia  ; 
E  fra  sé  slesso   dicea  :  Tutto   die 
De' miglior  certo   t'impicca   ed    abbrucia; 
Guarda   costui    quante   ciabatte   ha   qui'e  ! 
Per  Dio   clie   troppo   il   capresto   s"  indugia. 
Disse  Margutte  :   E  c'è  insino  a  la  secchia, 
Non    dubitar,  questa   è  l'arte  mia   vecchia. 

CLXXXI 

Noi  abbiamo  andar  per  nn  cerio  paese, 
Dove   da  se  non  ha  chi   non   vi  porla; 
E  pure  arem   danar  da  far  le  spese  ; 
E   tutta  la  novella  dicea  scorta 
De   la   cassetta;    e   come  il  fuoco   accese, 
Com"  egli  ebbe  il  cammei  fuor  de   la  porla: 
E   come  il  Dormi   se   n'  andò   a   dormire  ; 
Ma   il    fuoco   l'ara    fallo  risentire. 


CLXXXII 

.Morgante   le  ma»cella   ha   (gangherale 
Ver   le   risa    talvolta   che   gli    abbonda, 
E   direa  pure  :   O  forche   sventurate, 
Erro   che   boccon   ghiotto  o  pesca  monda  ' 
Non   vi   rincresca   s'  un   poco  aspettate  : 
Costui  pur  mena   almen    la  mazza   tonda. 
Quanto   piacer   n'  ara   di   questo   Orlando, 
S  io   lo  Tcdrò  mai  più,  <1ie   noo   so  quando. 

CLXXXIII 

Dicea  Margutte:  In  questo  sta  il  guadagno: 
Quanto   tu   lasci   più    il   brigante   scusso  : 
Tu  puoi   cercar  per  tutto  d'  un   compagno, 
(.'he  d'ugni  cosa  sia,  com"  io,  malfussu  ; 
Né  per   ghermire,   altro   sparvier  grifagno 
Non   ti  bisogna,  o  Zingaro  Arbo  o   Usso  : 
Quel   che   si  ruba   non"  s'  ha   assaper  grado, 
•      E  sai   eh'  io  comincio  ora  a   Irar  pel  dado. 

ft XXXIV 

Io    chiesi   infino  al   burro;  e  dissi   a  quello 
Oste,    eh'  un  poco   di   tigna   sentivo. 
Per  iigner  poi   gli   arpioni   e   I   chiavislello, 
Che  non  sentissi  quando  un   uscio  aprivo, 
Tanto  eh'  io  avessi   assettalo  il   cammello  ; 
Ad  ogni  malizielta  io  son  calti\o: 
Del   livido  mi  guardo  quant'  io  posio, 
Poi   non  mi   curo  più  giallo  che  rosso. 

CLXXXV 

Or  mi  piacesti  tu,  Margutte  mio, 
Dicea  Morgante,  e  ntanto    un  eh'  ha  veduta 
Quella   cammella,   diceva:    Per  Dio, 
Ch'eli' è  del  Dormi  ostier  quella  scrignuta. 
Disse  Margotte  :  Il  Dormi  sarò  io  : 
Non   vedi  tu,  babbion,  che  si  tramuta, 
E   sgombera  qua  presso  a  un  castello  ? 
E  maggior  bestia  se'  tu,  che  'i  cammello. 

CLXxxn 
Tutto  quel   giorno  e  T  altro  sono  andati 
Per  paesi  dimestichi  costoro: 
11   terzo  di  in  nn   bosco  sono  entrati, 
Dove  aspre  fere  faccvan  dimoro  : 
Ed  eron  pel  cammin   lutti  affannali  : 
Né   vin   né  pan   non    avean  più   con    loro. 
Dicea  Morgante:    Che  farem,  Margutte? 
Vedi   che  roancan   qui   le  cose  lotte. 

CLXXXVll 

Cerchiamo  almeno  a  pie  là  di  quel  monte. 
Se  vi   surgessi   d'acqua  alcun  rampollo: 
Che  pur,  se  noi   trovassim  qualche  fonte, 
La   sete   se  n'  andrebbe  al  primo   crollo  : 
Che  le  parole  più  spedile  o  pronte 
Non   sento,   se  la   bocca    non  immollo  : 
Quel  mi  par  luoso  d'esservi   de  l'acque: 
Onde  a  Margotte  il  suo  consiglio  piacque. 

CLxxsvm 
Vanno  cercando  tanto,  che  Irovorno 
Ina  fontana  assai  nitida  e  fresca: 
Quivi   a   sedere   un  poco  si  posorno, 
Perch' e"  convien  che'l  camminar  rincresca: 
Ecco   apparir   di    lungi   un   liocorno 
Che  va  cercando  ove  la  sete   gli  esca. 
Disse   Margulte  :   Se   tu    guardi   bene. 
Quel  liocorno  in  qua  per  ber  ne  \iene. 


.    I  — 


M  O  I\  (.  A  N  T  E     INI  A  G  (i  I  O  l\  K 


CLXXXIX 

Questo  sarà  la  nostra  cena  appunto  ; 
E'  si  consuma  di   dar  ne   la  rete  ; 
Però  t'  appiatta,  tanto  die  sia   giunto, 
i'.he  trap;<ra  a  noi  la   fame  e  a  sé  la  scie. 
Il  liocorno  da  la  voglia  è  punto, 
lì.  non  sapea  le  trappole  segrete  : 
Venne  a  la  fonte,  e  '1  corno  vi  metteva  : 
£  stato  un  poco,  a  suo  modo  beevja. 

cxc 
Morgante,  che  da  lato  era  nascoso. 
Arrandeilo  il  batlai^lio  eh'  e"\\  ha  in  mano: 
Dettegli   un  colpo  tanto  grazioso. 
Che  cadde  stramazzalo  a  mano  a  mano, 
E  non  battè  poi  pili  senso  né  poso  : 
E  fu  quel  colpo  sì  feroce  e  strano. 
Che  di  rimbalzo  in  un  masso  percosse, 
E  sfavillò  come  di  fuoco  fosse. 


Quando  Margutte  il  vide  sfavillare, 
Disse:   Morgante,  la  cosa  va  gaia; 
Forse  che  cotto  lo  potrem  mangiare, 
Per  quel  che  di  quel  sasso  là  mi  paia  : 
Noi  gli  farem  del  fuoco  fuor  giltare. 
Disse  Morgante  :   Ogni  pietra  è  focaia. 
Dove  Morgante  e  '1  battaglio  s'  accosta  ; 
Sempre  con  esso  iie  fo  a  mia  posta. 

cxcii 
Ma  tu  che  se',  Margutte,  sì  sottile, 
Ed  hai  condotte  tante  masserizie  ; 
Come  non  hai  tu  V  esca  col  fucile  ? 
Disse  Margutte  :  Tra  le  mie  malizie 
Né  cosa  virtuosa,  né  gentile 
Non  troverai  ;  ma  fraude  con  tristìzie. 
Disse  Morgante:  Piglia  del  fien  secco; 
Vienne  qua  meco;  e  Margutte  disse:   Ecco. 

CXCIII 

Vanno  a  quel  sasso,  e  Morgante  martella, 
Ch'  arebbe  fatto  riscaldare  il   ghiaccio  ; 
Tal  eh' a  Margutte  intruona  le  cervella, 
Sì  che  quel  fien   gli  cadeva  dì  braccio. 
Allor  Morgante  ridendo  favella  : 
Guarda,  se  fuor  le  faville  ti  caccio. 
Margutte  il  fien  per  vergogna  riprese, 
E  tennel  tanto  che  '1  fuoco  s'  accese. 

CXCIV 

Poi  sì  cavò  di   dosso  la  schiavina, 
E  scaricò  la  caramella  a   ghiacere, 
E  trasse  quivi  fuori  una  cucina  ; 
Apparecchiò  a  le  spese  de  1'  ostiere, 
Ch'  avea  recato  insino  a  la  salina, 
E  tazze  e  altre  vasella  da  bere: 
Al  liocorno  abbruciò  le  caluggine  : 
E  fece  uno  schidon   d'  un  gran  peruggine. 


Cosse   la   bestia,  e  posonsi  poi  a   cena  ; 
Morgante  quasi   intera   la  pilucca, 
Sì   che   Margutte  n'  assaggiava   appena  ; 
E   disse  :   Il  sai   ci   avanza  ne    la  zucca  : 
Per  Dio,   tu  mangeresti   una   balena  ; 
Non   è  cotesta  gola  mai  ristucca: 
Io  ti   vorrei  per  mio   compagno  avere 
Ad  ogni  cosa,  eccetto  eli'  al    tagliere. 

r.xcvi 
Disse  Morgante  :  Io  vedevo  la  fame 
In   aria  come   un   nugol   d'  acqua   pregno  ; 
E  certo  una   balena  con   le   squame 
Areì  mangiato  sanza  alcun   ritegno, 
O   vero   un   liofante   con   lo   stame  : 
Io  rido  che   tu   vai  leccando  il  legno. 
Disse   Margutte  :    Stu  ridi,  ed   io  piango  ; 
Che  con  la  fame  in  corpo  mi  rimango. 

cxcvii 
Quest'  altra  volta  io  ti  ristorerò,    • 
Dicea  Morgante,  per  la  fede  mìa. 
Dicea  Margutte  :  Anzi  ne  spiccherò 
La  parte  ch'io  vedrò  che   giusta   sia, 
E  poi  r  avanzo  innanzi  ti  porrò. 
Sì  eh'  e'  possi   durar  la  compagnia  : 
Ne  r  altre  cose  io   t'  arò  riverenzia  ; 
Ma   de  la  gola  io  non  v'  ho  pazìenzia. 

CXCVIII 

Chi  mi  toglie  il  boccon,  non  è  mio  amico; 
Ma  ogni   volta  par  mi  cavi  un   occhio  : 
Per  tutte  1'  altre   volte  te  lo  dico, 
Ch'  io   vo'  la  parte  mia  insino   al  finocchio. 
Sa  divider  s'avesse  solo   un  fico, 
Una  castagna,  un   topo  o  un  ranocchio. 
Morgante  rispondea  :  Tu  mi   chiarisci 
Di  bene  in  meglio,  e  com'  oro  affìnisci. 

CXCJX 

Racconcia  un  poco  il  fuoco,  ch'egli  è  spento: 
Margutte  ritagliò  di  molte  legne. 
Fece  del  fuoco,  ed  uno   alloggiamento. 
Disse  Morgante  :   Se  quel  non  si  spegne 
Per  istanotte,  io  mi  chiamo  contento: 
Tu  hai   qui  acconcio  mille  cose  degne  : 
Tu  se'  il  maestro  di  color  che  sanno  : 
Così  la  notte  a  dormir  quivi  stanno. 

ce 
E  la  cammella  sì  pasceva  intorno  : 
Ma  poi   che  l'aurora  si  dimostra, 
Disse  Margutte  a  Morgante:  Egli  è  giorno: 
Leviamci,  e  seguitiam  1'  andata  nostra  : 
Così   tutte  lor  cose  rassettorno. 
Or  perchè  1' un  cantar  con  l'altro   giostra, 
Quel   che  seguì,  sarà  ne  I'  altro   Canto, 
E  lauderemo  il   Padre  nostro   intanto. 


— ^^I>*«#l<^- 


M  O  I\  (;  A  N  T  K     INI  A  (;  ('.  I  O  U  K 


CAiNTO     \l\ 


ARGOMENTO 


•N43^<«- 


D. 


I  Morf^arttr  r  .Ifareiit'r  una  fjutsttone 
Fa   tirare   il  calzino   a  due   i. tifanti, 
Che  àlito   aiTano   in  guardia   a    un   Itone 
Una  fanciulla  consumata    in  pianti. 
Sì    fattamente  a   sghignazzar  sì  pone 
■Var^utie,  ch'a  una  sdraia  f'cn pa  avanti. 
.Vergante   a   Eabillona    capitando., 
La  sottopone  in  compagnia  d'  Urlando. 


JUandale,   parvolelti,   il   Signor  vostro; 
Laudate  sempre   il   nome   del   Sij:nore  : 
Sia  benedetto  il    nome   del   Re   no>lro 
Da  ora   a  sempre  insino  a    T  ullim'  ore. 
Or  tu  die  inìino  a  qui  m'hai  il  cammin  uioslro, 
Del    laberinto  mi   conduci    fore, 
Sì   ch'io  ritorni   ov' io  lasciai    Morganle, 
Con  la   virtù   de   le   tue  opre  sante. 

II 
Partironsi   costoro  a   la  ventura  : 
Vanno  per   luoghi   solitari   e   strani 
Sanza   trovar  mai    valle   né  pianura  : 
Non  ienton   cantar  galli   o  abbaiar  cani  ; 
Pur  capitorno  in   certa    vaile   o>ctira, 
Ove  e   sentirne  di   luo'ihi  lontani 
^'en^^  certi   lamenti   afflitti   e  lassi, 
Che  parean   d"  uom  che  si    rammaricassi. 

Ili 
Dicea  Morgante  a  Margutte  :   Odi   tue, 
Come  fo  io,   un  certo  suono  spesso 
D"  una   voce  che  par  che  innalzi   sue. 
Poi  si  raccheti  ?  ella   debb'  esser  presso. 
Msrgutle  ascolta   e   una   volta   e   due; 
K  poi   diceva  :   Anch'  io  la   sento   adesso  : 
Questi  fien  malandrin   eh'  assalteranno 
Qualcun  che  passa,  e  rubato  1   aranno. 

IV 

Disse  Morgante:  Studia   un  poco  il  passo, 
Veggiam  che  cosa   è  questa,  e  chi   si  duole; 
A!  mio  parere   egli   è  qua   giù  più  bassO; 
Però  per  questa  via   tener  si   vuole. 
Chiunque  e' sia,   par  mollo  afflitto  e   lasso. 
Quantunque   e'  non   si  scorgan   le  parole  ; 
n  se  son  mascalzon,   tu  riderai, 
Chio  n"  ho   de   gli   altri   gaslfgati  assai. 


Poi   che  furono   scesi   una   gran  balza, 
E'  cominciorno   da   presso  a   sentire  ; 
Però   che   sempre   il   lamento  rinnalza; 
Una   fanciulla  piena   di   martire 
Vidono  al  fine  scapigliata  e  scalza, 
Ch'  a   gran  fatica  poteva   coprire 
Le   belle  membra   sue,   tanto  è  stracciata, 
£   con   ima   catena  era   legata. 

VI 

E   un   lione  appresso  stava   a  quella, 
Che   la   guardava  ;    e  come  questi   sente, 
Fccesi   incontro  la  bestia   aspra   e  fella: 
Vanne   a  Morgante  furiosamente, 
E  cominciava   a  sbarrar  le  mascella, 
E   volere  operar  1'  artiglio  e  1    dente  : 
Morgante   un   £ran   susurno  gli   appiccóe 
Col   gran  battaglio,  e  "1  capo   gli  tchiaccióe. 

VII 

E   disse  :   Che   credevi   tu  far,  matto  ? 
I   granchi   credon   morder  le   balene  ! 
Poi   verso   la  fanciulla   andò   di   tratto; 
Parali   discreta,  nobile  e  dabbene  : 
E  domandulla  come  stessi  il  fatto, 
Onde   tanta   disgrazia   a   questa  avviene. 
Costei   pur  piange  :  e  Morgante  domanda  ; 
Ma  finalmente  se  gli  raccomanda, 

vili 
Dicendo  :  Non  pigliassi  ammirazione, 
Se  prima  non  risposi  a   tue  parole, 
Tanto  son   vinta   da    la  passione  : 
Ma  se  di  me  pur  per  pietà  ti  duole, 
Io  ti   dirò  del  mal  mio   la  cagione, 
Che  per  dolor  vedrai   scurare  il   sole  : 
Come   tu  vedi,  stata  son  sett'  anni 
Con  pianti,  con  angosce   e  amari   affanni. 

IX 

Il  padre  mio  ha  fra  gli  altri  un  castello, 
Che  si   chiama  Belfior,  presso  a  la  riva 
Del  Nilo  ;   e  Filomeno  ha  nome  quello. 
Un   di  fuor  de  le  mura  a   spasso  giva  ; 
Era  tornato  il   tempo  fresco  e  bello 
Di  priniavera,  ogni  prato  fioriva  : 
Come  fanciulla,  m'  andavo  soletta 
Per  gran   vaghezza  d'  una  grillandetta. 

X 

Il  Sol  di  Spagna  s' appressava  a  V  onde, 
E  riscaldava   Granata  e  1  Murrocco, 
Dove  poi  sotto  a  1  Ocean  s'asconde; 
E  pur  seguendo  il  mio  piacere  sciocco, 
U^n   lusignuol  sen   già   di  fronde  in  fronde. 
Che  per  dolcezza  il  cor  m"  aveva   tocco, 
Pensando   come   e  fu  già  Filomena  : 
Ma  del   Nil  sempre  segnavo  la  rena. 


61  O  K  (1  A  N  T  E     MAGGIORE 


V 


.88 


Mentre  rosi  I(ing;o   la  riva   aniiava, 
Il   liisi<;iiiiol  si   liipge   in   una   valle; 
liti  i(»  pur  drielo  a  costui   sej^uitava, 
togliendo  violette   rosse   e   gialle: 
Ma  finalnieute  in  un  boschetto  entrava, 
IV  ì   liei  capegli   avea   drieto  a  le   spalle  ; 
K  posta  ni'  ero  in  su  1'  erba  a  sedere, 
Cile  del  suo  canto   n   avea   gran  piacere. 

XII 

Mentre  di'  io  stavo  come  Proserpina 
Co'  fiori   in  grembo  a  ascoltare  il  suo  canto, 
Giovane   bella   lieta   e  peregrina, 
Il   dolce   verso   si   rivolse   in   pianto  : 
Vidi   apparire,   omè,   lassa,   tapina  ! 
Un  uom  pel  bosco  feroce  da  canto  \ 
Il   lusignuulo  e  i  fior  quivi   lasciai, 
E  spaventata  a  fuggir  cominciai. 

XIII 

E  cerio  io  sarei  pur  da  lui  scampala  : 
Ma  nel  fuggire  ad  un  ramo  s'  avvolse 
La   bella   treccia  ;    e   tutta   avviluppala. 
Giunse  costui,  e  per  forza  la  svolse  : 
Quivi   mi  prese  ;  e   così  sventurata 
In   questo  modo  al  mio  padre  mi   tolse, 
E   slrascinommi   insino   a  questa   grotta. 
Dove  In  vedi  eh'  io  son  or  condotta, 

XIV 

Credo   eh'  ancora  ogni  selva  rimbomba 
Dov  io  passai,  quando   costui  per   terra 
Mi  strascinava  insino  a  questa   tomba  : 
E   s' alcun   Salir  pietoso   quivi   erra, 
Questo  peccato  so  eh'  al  cor   gli  piomba, 
O  se  giustizia  l'arco  più  disserra: 
Omè,  che  mi   graffiò  più  d'  uno  stecco  ; 
Tal  che  risuona  ancor  del  mio  pianto  Ecco. 

XV 

Le  belle  chiome  nu'e  tra  mille  sterpi 
Rimason,   de'  pensar,   tnlte  stracciate 
Tra  boschi   e   tra   burrati   e   lupi   e   serpi, 
Che   fur  com'Assalon  mal  fortunale. 
Omè,  che  par  che  '1  cor  da  me  si  scerpi  : 
Omè,  le   guance  belle   e   tanto  ornale 
Furono   a' pruni,   e   credo   che   tu '1  creda; 
Troppo  felice  ed  onorala  preda, 

XVI 

I   drappi   d'  oro,  e   i   vestimenti    tutti 
Al  lolo,  al  fango,   a' sassi,   a'rami,  a' ceppi. 
Che  solo  un  bruscolin  facea  già  brulli. 
Poi   gli   vidi  stracciar  per   tanti   greppi  : 
ISè  creder  eh'  io   tenessi   gli   occhi   asciutti. 
Misera  a   me,  comunque  il  mio  mal  seppi  ; 
Ma  sempre  lacrimosi    e  meschinelli. 
Dovunque  io  fu',  lascioron   due  ruscelli. 

XVII 

E  fur  pur  già  ne  la  mia   giovinezza 
E   lume   e  refrigerio  a  molti   amanti  ; 
Arien   giuralo  e  dello  per  certezza. 
Che  fussin  più  che  '1  Sol  belli   e  micanti  ; 
E  molle  volte  per  lor  gentilezza 
Venìen  la  notte  con  suoni   e  con  canti, 
E   sopra  tulio  commeudavan   questi, 
Che  furon  graziosi  e  insieme  onesti. 


Ed  or  son  falli,  come  vedi,  scuri  ; 
Cosi   potessi   alcun   di   lor   vedegli, 
Cile  non   sarien  sì  dispietati   e   duri, 
Cii'  ancor  ]>ietà  non   avessin   di  quegli  : 
An/i    l'arebbon   ne   gli    anni   futuri; 
Ricordericnsi   già  che   furon   begli; 
Ma  per  me  più  non   è  persona  al  mondo. 
Cercando   l'  universo   tutto    tondo. 

XIX 

Il  padre  mio   di   duol  si   sarà  morto. 
Poi   ch'alcun   tempo    ara   aspettato  invano,; 
E   la  mia   madre  sanza   alcun   conforto 
Non  sa  eh'  io  slenti   in  questo  luogo  strano. 
Né  del   gigante  die   mi   facci   torto, 
E   ballami   ogni   dì   con  la  sua  mano, 
E  faccimi   a'  lion   guardar  nel   bosco, 
Tanto  eh'  io  slessa  non  mi  riconosco. 

XX 

O  padre,  o  madre,  o  fratelli,  o  sorelle, 
O  dolci  amiche,  o   compagne,  o  parente; 
()  membra  afflitte,   lasse   e  meschinelle  ; 
()   vita   trista,  misera   e   dolente  ; 
O   mondo  pazzo,  o  crude  e  fere  stelle  ; 
O  destino  aspro   e  'ngiusto  veramente  : 
O  morte,  refrigerio  a  1'  aspra    vita. 
Perchè   non  vieni  a  me  ?   chi  t'  lia  impedita? 

XXI 

E  questa  la  mia  patria  dov' io  nacqui? 

E  questo  il   mio  palagio  e  '1  mio  castello  ? 

E  questo-  il   nido  ov' alcun    tempo   giacqui? 

E  questo   il  padre   e  "1  mio   dolce  fratello? 

E  questo   il  popol   dov'  io   tanto  piacqui  ? 

E  ([ueslo  il  regno  giusto,   antico  e  bello  ? 

E  questo   il  porlo   de  la  mia  salute  ? 

È  questo  il  premio  d'  ogni  mia   virlule  ? 

XXII 

Ove  son  or  le  mie  purpuree  veste  ? 

Ove  son  or  le   gemme   e  le  ricchezze  ? 

Ove  son  or  già  le   notturne  feste  ? 

Ove  son  or  le  mie  delicatezze  ? 

Ove  son  or  le  mie   compagne  oneste  ? 

Ove  son  or  le  fuggile   dolcezze  ? 

Ove  son  or  le   damigelle  mie  ? 

Ove  son,  dico  ?   omè,   non   son    già  quie. 

XXIII 

Ove  son   or  gli   amanti   miei  puliti  ? 
Ove  son  or  le  cetre  e   gli   organetti  ? 
Ove  son   ora  i   balli   e   i   gran  conviti? 
Ove  son   ora   i  romanzi   e  i  rispetti  ? 
Ove  son   ora  i  profferii  mariti? 
Ove  son   or  mill' altri   miei   diletti? 
Ove  son  1'  aspre  selve  e  i  lupi   adesso, 
E  gli  orsi  e  i  draghi  e  i  tigri?  son  qui  presso. 

XXIV 

Che  si  fa   or  in   corte  del  mio  padre  ? 
Che  si  fa  or  ne'  templi   e  in  su  le  piazze  ? 
Fannosi  feste  a   le   dame   leggiadre, 
Provansi  lance,   e  mille  buone  razze 
De'  be'  corsier   Ira   l'  armigere   squadre  : 
Credo  eh' ognun  s'allegri   e  si  sotlazze; 
E  pur  se   già   di  me  si  pianse  alquanto 
Per  lungo  tempo,  omai  passalo  è  il  pianto. 


MOKGAN  TE      MAGGIOKK 


Misera  A  inr,  quanto  ho  tniitatu  il  vezzo  I 
Kxscr   solcM)   sral/.ìta   ojini   srra, 
VL  porpore   4poj;IÌAr   di    tanto  prezzo, 
Che   riliu-ien   pio   ri»»"   del    Sol   la   spera  . 
Or  de'  miei   panni    non   »i    tien   più  pezzo  : 
Innante   donzelle   al    servigio   mio   era  ! 
Che   ncrhc   pietre   ho   portate   {^ià   in    testa  1 
E   stavo   sempre  ui  canti,  in  suoni  e  in  festa. 

XXVI 

Ed  or,  come  tu  vedi,  son  condotta 
Senza  veder  mai   creatura   alcuna  : 
Il  mio  regal  palagio  è  questa  grotta; 
Dormo  la  notte  al   lume  de  la  luna. 
Or  citi   felice  si   cliiama   talotta. 
Esemplo  pigli  de   la  mia  fortuna  : 
Cascan   le  rose,  e   restan  poi  le   spine  : 
Non   giudicate  nulla   innanzi   al   fine. 

\XV11 

Io  fui  già  lieta  a  mia   consolazione, 
Ed  or  con  Giòbbe  cambierei  mie  pene  : 
Ogni   di  questo   gigante  ladrone 
Mi   balte  con  un  mazzo  di  catene, 
Sanza  saper  che  sia   di   ciò  cagione; 
Credo  che  sìa,  perchè  da   cacciar  viene 
Irato  co   lion,  serpenti   e  draghi, 
£  sopra  me  de  l' ingiurie  si  paghi. 

XXVIIl 

E  vipere  e  ceraste  e  strane  carne 
Convien  ch'io  mangi,  che  reca   da  caccia: 
Che  mi  solieno  a  schifo  esser  le  starne: 
Se  non   che  mi  percuote  e  mi  nìinacria  : 
Sì  che   per  forza  mi   convien  mangiarne; 
Alcuna  volta  de  gli  uomini  spaccia, 
Poi   gli  arrostisce   e  mangiagli   il  gigante 
Col  suo  fratel   che  si  chiama   Sperante, 

XXIX 

£  lui  Beltramo:   e  ogni  giorno  vanno 
Per  questi  boschi  come  malandrini  : 
E  molte  volle  recato  qui  m    hanno, 
Percir  io  mi  spassi  serpenti  piccini, 
Come  color  che  i  miei  pensier  non  sanno, 
Alcuna   volta   bizzarri    orsaccltini  : 
E  perchè  ìgnun   non  mi  possi  furare, 
Da  quel  lion  mi  facevon  guardare. 

XXX 

Così  di  paradiso  sono  uscita, 
E  son  condotta  in  queste  selve  scure  : 
Già   si  provò   di   camparmi   la   vita 
Burraio,  e  non  potè   con   la  sua  scure: 
E   con  fatica   di  qui   fé' partita: 
E   so  eh'  egli   ebbe  di   vecchie  paure  : 
Tulio  facea,  perchè  di  me  gliucrebbe; 
E  anco  disse  che  ritornerebbe. 

XXXI 

Quand"  lo   ti   vidi   al  principio  apparire. 
Mi  rallegrai,   dicendo  nel  mio  core  : 
E'  fia  Burraio,  che  non   vuol  mentire. 
Né  esser  di  sua  fede  mancatore, 
Per  liberarmi   da   tanto  martire, 
Già  cavalieri   erranti  per  mio  amore 
Combattuto   hanno  con   questi    giganti; 
Ma  morti  son  rimasi   tulli  quanti. 


XXXII 

Se   voi   credessi   di   qui    liberarmi, 
Il    padre    mio,   se    vivo   fossi    ancora, 
Che   forse   spera   piw   di   ritrovanni, 
^1   darebbe   il   suo  regno  ove   e' dimora  . 
Che  so  con   gran   «IÌnÌo   debbe   appettarmi  : 
Pero,  s"  a  questo  neskun   si   rincora. 
Io   ve   ne   priego,   io   mi    vi   raccumaodo  : 
Così   dicea  piangendo   e   sospirando. 

xxxiu 
Morgante  già  voleva  confortarla, 
>Ia   non   potea,    tanta   pietà   1"  ansale. 
Mentre   eh   ancor  questa   fanciulla   parla. 
Ecco  Beltramo   tli    aveva   un   cingliiaic, 
E   comincia   di   lungi   a   minacciarla: 
In   su   la   spalla   tenea   1'  animale  ; 
Col   braccio   destro   strascinava   un   orso  ; 
E  sanguinava  pe'  graffi  e  pel   morso. 

xxxiv 

Vide   costoro,  e  la   testa  crollava, 
Quasi  dicessi  a  quella:   Io   te  ne  pago: 
Ecco   Sperante  che   quivi   arrivava, 
E   per  la   coda   strascinava   un   drago  : 
Questo  era  maggior  bestia  e  assai  più  brava 
Del   suo   fratello,   e   di  far  mal   più   vago  : 
Giunti   a   Morgante,   a   gridar  coininciorno, 
Tal   che  le  selve  intronavan  d"  intorno. 

XXXV 

Morgante  guata  la  strana  figura 
De'  due  fratelli  ;  e  poi  li  salutóe  ; 
Che  gli  delton  capriccio  di  paura  ; 
Ma  1  uno   e  l"  altro  il  saluto  accellóe 
Pur   tal   qual   concedea   la   lor  natura  ; 
E  poi  Beltramo  a  parlar  cominci«)e  : 
Che  fai   tu  qui  con  questo  tuo  compagnoT 
Tu  ci  potresti  far  tristo  guadagno. 

XXXVI 

Io  vo'  saper  chi  quel  lione  ha  morto  ? 
Disse  Morgante  :   Il  lione  uccisi  io. 
Che  mi  voleva,  gigante,  far  torto. 
Disse  Beltramo  :   Al   nome  sia  di  Dio, 
Io  tei  farò  costar,  datti  conforto  : 
Tu  vai  così  qua  pel  paese  mio  : 
E  so  che  quel  lion   certo  uccidesti 
Per  far  poi  con  costei  quel  che  volesti. 

XXXVII 

Disse  Morgante  :  Amendue  siam  giganti, 
Da   te   a  me  vantaggio   veggo  poco  : 
Noi  andiam  pel  mondo  cavalieri  erranti, 
Per  amor  combattendo   in  ogni   loco  ; 
Questa  fanciulla  che  m'  è  qui  davanti. 
Intendo  liberar  da  questo  gioco  : 
Dunque  veggiam  chi  sia  di   miglior  razza; 
Io  proverò  il  batlaglio,  e   tu  la  mazza. 

xxxviii 
Non  ebbe  pazienza  a  ciò  Sperante: 
Riprese  meglio  il   drago  per  la  coda, 
E   una   gran  dragala  die   a  3Iorgaule, 
E  disse:   GagliofTaecio  pien  di  broda. 
Tu  sarai  ben,  come   dicesti,   errante, 
Se   tu   credi  acquistar  qua  fama  o  loda  ; 
Rechiam  per  preda  serpenti  e  lioni, 
Ld   or  paura  arem  di   due   ghiottoni  * 


'9 


ISI  O  I\  (1  A  N  T  E      M  A  (>  (i  I  O  l\  K 


xxxtx 
Tu   ri   minacci,  rili.-tliion,   villano; 
De   «ili   altri  ri    hanno  ancor  lascialo  l'ossa, 
(rridò  Morj^anle  con   un  rniippluo  strano, 
Quand'c  sentì  del   drag:o   la  percossa, 
Vj  prestt)   al   viso  si  pose  la  mano, 
(.Ile  1' nna   e  l'altra   {^ota   aveva  rossa: 
Gillo  il   battaglio,   tanta  ira  T  ahbap;lia, 
K  con   gran  furia   addosso  a  q(i«;t  si  scaglia. 

xr. 
Eli  abbracciarsi  questi   comp.nfjnoni 
('din' i   lion   s' abbraccian   co' serpenti. 
Guastandosi  co' morsi   e   con   ^li   unghioni: 
Morgan  le  il   naso   gli   strappò   co'  denti  : 
Poi  fece  de  gii  orecchi   due  bocconi, 
Dicendo  :  Tu  non  meriti  altrimenli. 
Beltramo  addosso  a  Margotte  si   getta, 
E  col  baston  le  costure  gli   assetta. 

xu 
Non  domandar  se  le  trovava   tutte, 
O  se  le  spiana  me'  che  '1  farsettaio  :     <r\ 
Tocca   e  ritocca,   e  forbotta  Margotte, 
E  spesso  il  volge  come  un  arcolaio, 
Tanto  ch'ai  fin  gli   avanzavan  le  frutte, 
E  faceval  sudar  di  bel   gennaio  : 
Saltato  aria,  per  fuggire,  ogni  sbarra  : 
Pur  s'  arrostava  con  la  scimitarra. 


Ma  Be'iramo  era  sì  fiero  e  sì  alto, 
Che  quando  in  giù  rovinava  il  bastone, 
Lo  disfaceva,  e  piegava  a  lo  smalto  : 
Se  non   che  pur,  come  un   gattomammone, 
Margotte  spicca  molte  volte  un  salto 
Per  iscliifar  questa  maladizione  ; 
Ma  finalmente  disteso  trovossi, 
Com'  un   tappeto  che  più  aitar  non  puossi; 

,       xLin 
Ch'  una  percossa   toccò  si  villana, 
(]he  parve  una  civetta  stramazzata  : 
Alzò  le   gambe,   e  in   terra   si   dispiana  : 
Qiìi   toccò  più   d'  una  batacchiata  ; 
Che  '1   baston  snona  come   una   campana, 
E    lulla  la   schiavina  ha  scardassala  : 
Poi   che  sonala  fu  ben  nona  e  sesia, 
Bcllram  chinossi  a  spiccargli   la   testa. 

XLIV 

Veggendosi  Margutte  mal  parato, 
Posò  le  mani  in   terra  in   un  momento 
Per  trar  due  calci   com'  egli   era    usalo, 
E   giunsel   con   gli   spron  di  sotto  al  mento  ; 
E  conficcò  la  lingua  nel  palato 
Al  fer   gigante;   ond' egli  ebbe  spavento, 
E   tolto  pien   d'  ammirazion   si  rizza  : 
Allor  Margotte  in  pie  subito  sguizza. 

XLV 

Vede  Bellram  che  si  cerca '^la  bocca, 
E '1  sangue  che   di  fuor  già  zampillava. 
Il   capo  presto  tra  gambe   gli  accocca. 
Per  modo  che   da   terra  il  sollevava  ; 
E  poi  in  un  tratto  rovescio  il  trabocca, 
E  questo   torrion  giù  rovinava; 
E  nel  cader  ciò  che  truova  fracassa. 
Come  se  fussi  caduta  una  massa. 


Questo   galletto  gli  saliava   addosM), 
Glie  par  che    sia  sopra  nna   bica   un  pollo  : 
])iuK[ue  gli  sprou   Margutte  hanno  riscosso; 
Il   capo   a   questo   levava   dal   collo. 
Gilè    la   sua   scimitarra    taglia   1'  osso, 
E   non   potè  Bellram   piii   dare   un   crollo, 
Gilè  quando   in    terra  lo  pose  Margotte, 
Si   fracassoruo  k-  sue  membra   tutte. 


Gran    festa   ne  facea   quella   fancitdia  ; 
Ma  in   questo  tempo   che  Beltraiiut  è  morto, 
Morgaule  con   colui   non   si   trastulla, 
Gilè  vendicar   volea   del   drago   il    torlo  : 
Ma   d'  atterrarlo   ancor  non   era   nulla, 
Quanlimque  molto   si  fussi   scontorto: 
E   tanto   a    una   balza  s' appressorno. 
Che  insieme   giù  per  quella  ròvinorno. 

xr.viit 
E'  si  sentiva  un  romore,  un  fracasso, 
Insin  che  son   caduti  in  un  burrone, 
Gome   quando  de' monti   cade  in   basso 
Qualche   rovina  o  qualche  gran   cantone. 
Non  vi  rimase   né  sterpo  né  sasso. 
Dove  passò  questo   gran   lastellone  ; 
(jhè  rimondoriio  insino   a   le   vermene, 
E   deltono   un    gran  picchio  de  le   schiene. 

xrix 
Non  si  fermoron,  che  toccorno  fondo  ; 
Ma  Morgante  di  sopra  rimanea  : 
Delle  del   capo  in   su  'n    un   sasso   tondo 
Tanto  a  Sperante,   che  morto  il   vedea  : 
Poi   si   tornò  su  pel   bosco  rimondo, 
E   con   Margotte   gran   festa  facea. 
Dicendo  :  Io  non  pensai,  Margutte  mio. 
Trovarli  vivo  :   ond'  io  ne  lodo  Iddio. 

L 

Noi  siam   qua   rovinati  in  nna   valle. 
Tal   eh'  io  credetti   lasciar  le  cervella, 
E   tutto  il  capo   ho  percosso   e   le  spalle. 
Poi   si  rivolse  a  (juella  damigella 
Gl>'  avea  le   guance   ancor  pallide  e  gialle, 
Però  che   in   dubbio   e   sospesa  era  quella, 
Ghe  non   sapeva   che  morto   è   Sperante, 
Se  non   che  presto  gliel  dice  Morgante. 

LI 

Non  dubitar,  non  ti   doler  più  omai  : 
Rallegrati,  fanciulla,  e  datti  pace  : 
Gon   le  mie  mani   il  gigante  spacciai  ; 
Rimaso  è  morto  a  le  fiere  rapace, 
E  presto  al  padre   tuo  ritornerai. 
Che  libera  se' or  come  ti  piace; 
Ed  ha  pur  luogo  avuto  la  giustìzia  : 
E   lutti  insieme  facean  cran  letizia. 


E  sciolse  a  la  fanciulla  la  catena, 
E  disse:   Andianne  omai,  dama  gradila. 
Questa  fanciulla  d'  allegrezza   è  piena, 
E  spera   ancor  trovar  suo  padre  in   vita  ; 
Mors;ante  per  la  man  sempre  la  mena  ; 
Però  eh' eli' era   ancor  pure  stordita, 
E   debol  pe' disagi  e  per  gli   affanni 
Ch'avea  sofferti  misera  molt' anni. 


MOi\(>\N  ri:    M\(.(.  lOK  i: 


LUI 

DiriM   MarjiiiHr  :   QnrI  ran   traditore 
l*<*r   iiti>di>  lo   (OìUirc   ni    lia    trovale, 
('.Ile   non   sarcltlie   rallivo   sartore: 
lo    ho   liillr    le   rene    frar^sìiati'. 
Disse   Moi  l'aule  :   S    io   non    presi   errore, 
ì:    ti    locrò   di    verrine   liastouate  : 
lo    li    senti   spianare   il    ^iulibcreilo. 
Mentre  eli' i' ero   a    le  man   col   Iraleilo. 

IIV 

Cosi    (ulto  quel    giorno   rcnionàndo 
Vanno   costoro   insieme   pel    dc>erto, 
iMa    da   man<;iar   niente   mai    trovando, 
()::nnn    di    lur   jii.'i    fame   avea   sofTcrlo  : 
Mar};utle   vede   di    Innjji    t^nardando, 
(he    il    lume   de    la    Iona    era    scoperto. 
Una    testn&;e:in    eli"  in)   monte   pareva, 
I'.   (jiieT  che   fuisi   ancor  non   iscorgeva. 

i.v 
Ma   dubitava   s'ella   è   cosa    viva, 
O   facea   caso   1   immaginazione  : 
Né  ancor   dirlo   a    Morgaule   s"  ardiva, 
Non   si   fidando   di   sua   opinione  : 
Ma   poi   che   presso   a   questa  fera   arriva, 
Disse   a   Morgante:    Questo   compagnone 
Non   vedi   tu   che    ti    vien    già   da   fronte  ? 
Per  Dio,   ch'io   dubitai   che  fussi    un  monte. 

LVl 

Disse   Morganle:    Ella   è  una   testuggine, 
E  mi   parca   di   lungi    un   monticello; 
E   cominciava   spiccargli   la   ruggine 
Col   suo   battaglio,   e   spezzargli   il   cervello. 
Non    domandar   se   lieva   le  caluggine; 
Quella  fanciulla    godeva   a   vedello. 
Rotte   le   scaglie   e  fracassale   tulle, 
Disse  :  Del  fuoco  si   vuol  far  ,  Margulle. 

I.VII 

E   fece   al   modo   usato   sfavillare 
Un  sasso,   tanto  eh'  egli   ebbe  del  fuoco. 
Quivi   Margulle  si    dava    da  fare, 
Dicendo  :  L'  arie   mia  fu   sempre   cuoco  : 
Comincia    la   cammella   a  scaricare, 
E   la   cucina   assetta  a  poco   a   poco  : 
Poi   s'accoslasa   a   un   gran   cerracchione, 
E  rimondoUo,  e  fenne  uno  schidione. 

LVIII 

E  poi  eh'  egli  ebbe  assettato  1'  arroslo, 
E   pien   di   certe   gallozze   e   di   ghiande, 
Disse  a  Morganle  :  E'  ci  manca  ora  il  mosto, 
Assettali  qua  a   volger  così  grande: 
Io   vo'  veder  come  V  acqua  è   discosto, 
E  'nlanto   tu  arai   cura  a  le  vivande. 
Morganle  rise,  e  posesi  a  sedere, 
Pefcliè  Margutte  arrecassi  da  bere. 


Margulle  uscito  un  poco  de   la  via, 
Un   certo  calpestio   di   lungi  sente  : 
Fecesi  innanzi   a  veder  quel  che  sia  ; 
Ode  una   bestia,   e  'nsieme  parlar  genie  : 
Volle   assaltargli   e   far  lor   villanìa; 
Onde  coslor   fuggir  subitamente; 
Lasciar  la  bestia  e  due  otri  di   vino, 
Ch   a\ean  pel  bosco  smarrito  il   cammino. 


Margulle   si    levò   gli   otri   in   ispalla  : 
Lasciò    la    bestia    andar   dove   volea  ; 
Torna    :i   Morg^ilc,   e    d'  allegrez/.a    galla, 
Però   che    il    mosto   a    1"  odor   conosrra  : 
Comincian    la    le^-luggine    assaggialla  : 
Margotte   disse   ch'arsa   gli   parea  : 
Pargli   miir  anni   d'assaggiare   il   luoito, 
E   finalmente   cavornu   V  arrosto. 

I.xi 
Com'è"  fumo   assettali    insieme   a   desto, 
Morganle   delle    una   gran    tazza  piena 
A   la   fanciulla,   eh'  ha   l   viso   ancelesco, 
Di    vin   che   gli    bastò  per   la  sua   cena  ; 
Poi   si    succiò,  che   parve   im  uovo  tresco. 
Quel   che   rimase   in  meu  che   non   balena  \ 
E   non  potè   Margulle   esser  sì   allento, 
Che  si  succiò  quegli  otri  in   un  momento. 

LXII 

E   cominciò  a   gridare  :   Oimè  1  occhio, 
Morganle,   tu   non    bei,   anzi    Iracanni, 
Anzi   diluvi:    ed   io   sono   un   capocchio, 
Che   so  che   ad  ogni    giuoco   Ui  m'  inganni  : 
Forse   tu  stesti   aspettare  il  finocchio  : 
Un   altro   arebbe   badalo  mill'anni: 
Per  Dio  che  tu  se'  troppo    disonesto  : 
Noi  parlirem   la  compagnia,   e  presto: 

Lxni 
Se  fussin   come   le  fatti  i  moscioni, 
E'  non   bisognere'  botte   né   tino  ; 
E  forse   lu  fai  piccoli  i  bocconi  ; 
Ma  questo  non  imporla   come  il  vino. 
Tu  non  se'  uom  da  star  tra  compagnoni  : 
Non   lasci  pel  compagno  un   ciantellino  : 
Del  liocorno  mi  rimase  il  torso, 
Or  di  due  otri   le  n'hai  fallo  un  sorso. 


Morganle  avea   di  Margulle  piacere. 
E   d'ogni   cosa    con   lui   si   molleggia; 
Dunque   Margulle  cenò  sanza   bere, 
E   la  fanciulla  ridendo   il   dileggia. 
Dicea   Margulle:    Già  di  buone  pere 
Mangialo  ha   1  ciacco,  e  sollecclii  vagheggia; 
E   ciò  che   dice   costei,  sogghignava  ; 
Ma  con  Morgaule  assai   si   scorrubbiava. 

LXV 

Quando  egli  ebbon  cenalo,  e"  s"  assellorno 
Dintorno   al   fuoco,   e   quivi   si    dormieno 
Per   aspellar  che  ritornassi    il   giorno. 
Su  certe  frasche   e  sopra  un  po'  di  fieno  : 
L'  altra  mattina  il   cammei  caricorno, 
E  piure  inverso  il  cammin  lor  ne   gieno 
Sanza   trovare   o  vettovaglia  o  letto. 
Tanto  che  pur  la  fanciulla  ha  sospetto. 

LXVI 

E  dicea:   Questa  selva  è  tanto  folta, 
Morganle,.  eh' a   guardarla  non  m'arrischio. 
Dicea  Margulle:  Che  seni' io?  ascolla: 
E'  par  eh'  i'  oda  di  lontano  un  fischio. 
Giunsono  appresso  ove  la  strada  è  volta  ; 
Ecco  apparir  dinanzi    un  bavalischio, 
E   cominciava   gli   occhi   a  sfavillare  : 
Morganle  fé*  la  fanciulla  scostare. 


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'2.1  )J 


M  O  K  (,  A  N  T  F      M  A  ( i  G I O  R  E 


Arrandeilo  il  battaglio  a  quella  fiera, 
E  giunse   per   ventura   appunto   al   rollo, 
E  spircò  il  capo  che  parve   di  cera, 
E  più  di  venti   braccia   via  portello  : 
Margutte  andò  dove   e' vide   eli"  egli   era 
Caduto,   e  presto   a  Morgante   recollo  : 
Dodici   braccia   misuroron   quello 
Serpente  crudo  e  velenoso  e  fello. 

Lwiri 
Fecion  pensier  se  fussi  d'  arrostillo. 
Diceva   la  fanciulla  :   Io   ho  mangiato 
Del  tigre,  del  dragon,   del  coccodrillo  : 
Vero  è  che   1  capo  e  la  coda  ho  spiccato. 
Disse  Margutte:   E' che  bisogna   dillo? 
Questo  è  un  morselletto  ben  dorato  : 
lo  taglierò  solamente  la  coda, 
E  poi  r  arrostiremo,  ed  ognun  goda. 

LXIX 

Così  fu  arrostito  V  animale 
Pur  con  la  pelle  indosso  com' e"  nacque, 
E  divorato  sanza  pane  o  sale, 
E  come  un  pinocchiato  a  tutti  piacque  ; 
Lucifer  non  are'  pur  fatto  male. 
Eravi  appresso  pel  bosco  de  V  acque  : 
Quivi  s'  andorno  la  sete  a  cavare  ; 
Margutte  più  non  si  volle  fidare, 

LXX 

E  disse:   Più  da  bomba  non  mi  scosto: 
Ch'  io  non  mi  fiderei   di  te  col  pegno, 
Morgante,  da  qui  innanzi  a  dirtel  tosto, 
Che  tu  fai  sempre  sopra  me  disegno; 
Come   del  vin,  faresti   de  Y  arrosto  ; 
Pertanto  io  non  mi  vo'  scostar   da  segno. 
Morgante  ride,  e  la  fanciulla  scoppia. 
Che  par  che  i  denti  gli  caschino  a  coppia. 

txxi 
Dormiron  come  soglion  quella  notte, 
E  r  altro   giorno  al  lor  cammin   ne  vanno 
Per  aspre   selve  e  per  sì  scure   grotte. 
Che  dove  e'  sia  da  posarsi  non  sanno  : 
Pur  la  fanciulla  si  ferma   ta'  dotte. 
Però  che  l  camminar  gli  dava  affanno  ; 
Ma  di  dormire  in  così  strano  e  scuro 
Luogo  non  parve  a  Morgante  sicuro, 

LXXII 

Dicendo  :  Io  non  ci  veggo  cosa  alcuna 
Da  ber  né  da  mangiar  né  da   dormire  ; 
Acciò  che  non  facessi   la   fortuna, 
Qualch'  aspra  fera  ci   avessi   assalire  ; 
Camminarono  al  lume   de  la  luna 
Tutta  la  notte  con  assai  martire, 
E 'nsin  cl.e  fa  fornito  l'altro   giorno, 
Che  da  mangiar  né  da  ber  mai  trovorno. 

LXXIU 

Ed  crono  affamati  ed  assetali, 
E  rotti   e  stracchi  pel  lungo  cammino. 
Margutte  un   tratto  gli  occhi  ha  strabuzzati; 
Ch'  era  per  certo  il  diavol  Tentennino. 
Dice  Morgante:  Margutte,  che  guati? 
Io  veggo  che  tu  affisi  l' occhiolino  : 
Aresti  tu  appostata  la  cena? 
Disse  Margutte  :  Che  ne  credi  ?  appena. 


I.XXIV 

Io  veggo  quivi   appoggiato,  Morgante, 
A   un   albero  un  certo  compagnone 
Che  par  che  dorma,  e  non  muove  le  piante; 
Di  questo  non  faresti   tu  un   boccone  ? 
Morgante   guarda  :   Egli  era   un  liofante 
Che  si   dormiva  a  sua  consolazione, 
Ch'  era   già  sera,   e  appoggiato  stava, 
Come  si  dice,  e  col  grifo  russava. 

r.xxv 
Disse  Morgante:  Dammi  un  poco  in  mano, 
Margutte,  presto   la   tua  scimitarra  : 
Poi  s'  accostava  a  V  albero  pian  piano  : 
Ma  non  arebbe  sentilo  le  carra, 
S«  forte  dorme  V  animale  strano. 
Morgante  allor  ne  le  braccia  si  sbarra, 
E  r  arbor  sotto  a  la  bestia  taglióe. 
Che  sbalordita  rovescio  cascóe. 

LXXVl 

E  cominciava  a  rugghiar  tanl'o  forte, 
Che  rimbombava  per  tutto  il  paese  : 
Dette  a  le  gambe  a  Morgante  due  torte 
Col  grifo  lungo  :  Morgante  gliel  prese, 
E  con  la  spada  gli   dette  la  morte, 
Tanto  che  tutto  in  terra  si  distese. 
Dicea  Margutte  :  Questa  è  sì   gran  fiera, 
Ch'  io  cenerò  pure  a  macca  stasera. 

Lxxvn 
E  cominciò  assettarsi  a  cucinare  ; 
Morgante  intanto  del  fuoco  facea, 
E   la  fanciulla  l'  aiuta  acconciare. 
Però  che  in  aria  la  fame  vedea. 
Margutte  uno  schidion  voleva  fare  ; 
Guardando  presso,  due  pin  si   vedea, 
Cli' erono  insieme  in  un  ceppo  binati: 
Disse  Morgante  :  Dio  ce  gli  ha  mandati. 

LXXVIII 

E  fece  r  un  con  im  colpo  cadere,  . 
Dicendo  ;  Uno  schidon  farai  di  questo  : 
Quest'  altro  ne  faremo  un  candelliere  ; 
E  rimarrassi  ritto  qui  in  sul  cesto  : 
Alzò  la  spada,  e   tagliògli   il  cimiere, 
E  fece  giù  la  ciocca  cader  presto  : 
Poi  fece  in  quattro  il  gambo  a  poco  a  poco, 
E  appiccògli  in  su  la  vetta  il  fuoco. 

LXXIX 

Disse  Margutte  :  Noi   trionferemo  : 
Veggo  la  cosa  stasera  va  a  gala. 
Poi  ch'ai  lume  di  torchio  ceneremo; 
Intorno  a  questo  pin  sarà  la  sala  ; 
E  sotto  a  quésto  lume  mangeremo  : 
Ma  perch'io  non  v'aggiungo  con  la  scala, 
Morgante,  e  tu  v'aggiugni  sanza  zoccoli, 
E'  converrà  stasera  che  tu  smoccoli. 

LXXX 

Disse  Morgante:  Col  nome  di  Dio 
Attendi  pur,  Margutte,  che  sia  cotto. 
Ch'io  vo' che  questo  sia  1' uficio  mio. 
Margutte  acconcia  V  arrosto  di  botto  ; 
Poi  disse  :  Volgi  ;  e' sarà  pur  buon  eh'  io 
Cerchi  de  l'acqua,  se  c'è  ignun  ridotto; 
Questo,  so  io,  tu  non  trangugerai, 
Ch'  a  tuo  dispetto  me  ne  serberai. 


MORO ANTE      MAGGIORE 


LXXXI 

Morpanlc  disse   anlilaiiirnle  :   VA, 
Clic   insili    rhe   tu  riloriii   aspcllcrò. 
II    liofantc   intero   ci   sarà  ; 
Ma   non   pli   disse  :  In   corpo   il   serberò. 
Mar{;iilte   in   giù   e  'n   su,   di   qua   di   là, 
De  1' ar<{ua   va  cercando  il  ine' die  può; 
Tanto  die  pur  lr»)vava   un   fossalello, 
E   d'acqua  presto  n'empieva  il  cappello. 

LXXXI  I 

Ma  non   fu  prima   dal  fuoco  partito, 
Che  Morpante  a  spiccar  comincia  un  pezzo 
Del   liofanle,   e  disse  :   Egli  è  arrostito  : 
E   tutto  il  mangia  cosi  \erdeniezzo. 
Dicendo  a   la  fasriulla;   11  mio  appetito 
Non  può  più  soflerir,  eh'  è  male  avvezzo  : 
E  diegli  la  sua  parte  finalmente, 
Come  si   conveuia  discretamente. 

i,xxxm 
Margotte   torna,  e  Morgante  trovava 
Che  s'  avea  trangugiato  insino  a  V  osse 
Del  liofante,  e  i   denti   stuzzicava 
Con  lo  scliidion  del  pino  ove  e' si  cosse; 
Tra  le   gengie  con   esso  si  cercava, 
Come  s' un   gambo  di  finocchio  fosse; 
Le  zampe  sol   vi  restava  e  la  testa  : 
D'ogni   altra  cosa  era  fatta  la  festa. 

LXXXI  v 

Disse  Margutte  :  Dov'  è  il  liofanle 
Che  tu  dicestì  di   serbare  intero  ? 
Egli  è  qui  presso,  rispose  Morgante. 
Diceva  la  fanciulla  :  E'  dice  il  vero  : 
£M' ha  mangiato  dal  capo  a  le  piante: 
E  non  è  stato,  al  suo  parere,  un  zero. 
Disse  Morgante  :   Io  non  ti  fallo  verbo, 
Margutte,  poi  che  in  corpo  te  lo  serbo. 

LXXXV 

Tu  non  hai  ben  in  lolca  studiato  : 
Io  dissi  il  ver;  ma   tu  non  m'intendesti. 
Margutte  stava  come   trasognato, 
E   dice:  Io  penso  come  tu  facesti  : 
Può  fare  il  ciel  tu  l'abbi  trangugiato! 
Io  credo  eh'  ancor  me  mangiato  aresti  r 
Forse  fu  buon   eh'  io  non  ci  fussig^lianzi  ; 
Ch'  io  mi  levai  da  la  furia  dinanzi. 

LXXXVI 

Tu  m'hai  a  mangiare  un  dì  poi  come  l'Orco; 
Questa  è  slata  una  cosa  troppo  strana. 
Un   atto  proprio   di   ghiotto  e   di  porco. 
Quel  eh'  ha  fatto  la   gola   tua  ruffiana  : 
Tu  non   sai  forse  com'  io  mi  scontorco 
A  comportar  tua  natura  villana: 
Pensi  eh'  io  facci   gelatina  o  solci. 
Che  '1  capo  drenlo  o  le  zampe  esser  vuoici? 

LXXXVI  I 

Noi  regnerem,  Morgante,  insieme  poco: 
Da  ora  innanzi   tra  noi  sia  divisa 
La  compagnia,  se   tu  non  muli  giuoco. 
Morgante  smascellava  de  le  risa  : 
Bevve  de  l'acqua,  e  poi  se  n'andò  al  fuoco. 
Margutte  gli  occhi  e  quella   testa  affisa, 
Perchè   la  fame  non  sentiva  stucca, 
E  1  me'  che  può  come  '1  can  la  pilucca. 


LXXXVIII 

E  borbottando  s'acconcia  a  dormire: 
Così   Morgante,   iiisin  che   in  oriente 
Il   Sole  e 'I   giorno  comincja  apparire; 
E   vannosene   insieme  filialmente: 
Margutte  si   volca   da   lui   partire. 
Ma   la  fanciulla   lo  fé'  paziente: 
Non   ci   lasciar,   dicea,   tra   questi   boschi. 
Tanto  che  almen  qualcun  uom  riconoscili. 

LXXXIX 

Dicea  Margutte:  Io  ho  sempre  mai  inteso, 
Che   gnun  non  si    vorrebbe  mai   beflàre  : 
Io  mi  vedea  schernito  e  vilipeso, 
£  costui   slava  il  dente  a  stuzzicare, 
Come  se  proprio  e'  non  m'  avessi  offeso  ; 
Questo  non  posso  mai   dimenticare: 
E'  si  poteva  pur  fare   altrimenti. 
Che  sogghignare,  e  stuzzicarsi  i  denti. 

xc 
Questo  faceva   e' sol  per  più  dispetto, 
Ch'  era  proprio  il   boccoli  rimproverarmi, 
Come  se  fossi  stato  mio  il   difetto  : 
Pensa  che   conto   e'  facea   d'  aspettarmi. 
Dicea  quella  fanciulla  :   Io   ti  prometto. 
Se  infino  al  padre  mio  vuoi  accompagnarmi, 
Io  ti  ristorerò  per  certo  ancora  : 
Margutte  pur  si  racchetava  allora. 

xci 
A  questo  mudo  andati  son  più  giorni 
Sanza   trovare  o  case  o  mai  persona  ; 
Ma  finalmente  un  dì  busoni  e  corni 
Senton  sonar  sanza  saper  chi  suona  : 
Eran  certe  casette  come  forni, 
Dov'  era  una   villetta  eh'  è  assai  buona, 
A  r  Mscir  proprio  de  le  selve  fore  ; 
E  Filomen  tcnevon  per  signore. 

xcii 
Sentendo  la  fanciulla  allor  sonare, 
Subitamente  al   ciel  levò  le  mani  ; 
Comincia  Macometto  a  ringraziare; 
Conobbe   che  que'  suon  poco  lontani 
Erano,   e  gente  vi   debbe  abitare; 
Perchè  sapea  i   costumi   de' Pagani; 
Laudato  sia  Macoue  in  sempiterno, 
Dicea,  che  tratti  ornai  siam  de'  lo  inferno. 

xeni 
Morgante  ne  facea  con  lei  gran  festa, 
Per  venirla  al  suo  padre  rimenando  \  / 
Però  che  molto   gl'increscea  di  questa; 
E  perchè  spera  veder  tosto  Orlando  ; 
A  poco  a  poco  uscir  de  la  foresta, 
E  vengono  il  dimestico  trovando  : 
E  finalmente  a  le  case  arrivorno, 
Dove  sentilo  avean  sonare  il  corno. 

xciv 
Ma  la  fanciulla  non  sapea  che  quello 
Luogo  il  suo  padre  già  signoreggiassi  : 
Eravi  un  oste  vecchio  e  poverello. 
Non  avea  tanto,  Morgante  cenassi. 
Disse  Margutte:   Togliamo  il  cammello; 
E  ordinò  che  questo  si  mangiassi  ; 
E   arrostino  coni'  egli   era  usato, 
E  innanzi  al  gran  Morgante  1'  ha  portato. 


M  O  I\  G  ANT  K     M  A  C  C.  ì  O  l\  K 


Morgante   «liè  di  tiiurso  ne   lo  $(TÌ|^i)u, 
K   tulio  lo  spiccò  con  un  boccone  ; 
Margulle   pli   faceva   nn   viso  arcigno, 
Dicendo  :   Tu  fai   scorg;erli   un   briccone. 
Ed  on;ni   volta  mi  pajxlii   di   {;hig;no,_ 
K   fai,   Morgante,   dosso  di   biilfone. 
Pur  die   In   empia  ben   cotesla   };ola; 
Vj  mai   non  fai  a   tavola  parola. 

XCVl 

rt)i  ne  spiccò  di  quel  cammello  un  quarto, 
E  disse  :  Io  intendo  il  mio  conio  vedere  : 
Guarda  s'io  tan;lio  appunto  come  il  sarto: 
Tegnamo  in  man,  ch'io  veggo  il  cavaliere; 
Ma  pur  dal  giuoco  però  non  mi  parlo  ; 
Ch'io  so  che  l'ossa  non  ci  ha  a  rimanere; 
E  non  è  cosa  da  star  leco  a  scollo, 
Tu  se' villano  e   disonesto  e   ghiotto. 

XCVII 

L'  oste  rideva,  e   la  fanciulla  ride  ; 
Margotte,  che  fu  tristo  ne  le  fasce, 
Col  pie  sotto  la  tavola  1'  uccide, 
E  con  1'  occliiello  disopra  sì  pasce. 
Morgante  un  tratto  di  questo  s'  avvide, 
E   disse:   Tu  se' uso  con  bagasce: 
Quella  fanciulla  onesta  e  virtuosa 
Si  ristrignea  ne'  panni  vergognosa. 

xcvni 
Dicea  Morgante:  Tu  se' pur  cattivo. 
Come  tu  mi   dicevi,   in   detti  e  'n  falli  : 
Io  credo  che   tu  abbi   argento   vivo, 
Margutte,  ne'  calcetti  e  ne  gii  usali!  : 
Da   questa  sera  in  là,  se  a  1'  oste  arrivo, 
Acciò  che   non  facessi  più  quesl'  alti, 
Farotti  i   pie   tener  ne   la  bigoncia, 
Ch'  io  veggo  che  la  cosa  sare'  acconcia. 

XCIX 

Disse  Margotte:    Hai   tu  per  cosa   nuova, 
Ch'io  sia  cattivo  con  tutti  i  peccati. 
Al  fuoco,   al   paragone,   a   tutta  prova 
Un  oro  più  che  fino   di   carati  ? 
Io  non  fu'  appena   uscito  fuor  de  1'  uova. 
Ch'io   ero  il   caffo   de   gli   sciagurati, 
Anzi   la  schiuma   di   tutti   i   ribaldi  ; 
E  tu  credevi  io   tenessi  i  pie  saldi  ? 

e 
Non  vedi   tu,  Margulte,  quanto  onore, 
Dicea   Morgajìte,  pel   camniin   gli  ho  fatto, 
Per  rimenarla   al  padre   eh'  è  signore  ? 
Guarda  che  più  non   t'avvenga  quest'alto. 
Disse  Margulte  :   A  ogni   peccatore 
Si   debbe  perdonar  pel  primo   tratto  : 
S'  io   Ilo  fallato,  perdonanza  chieggio  ; 
Quest'altra  volta  so  ch'io  farò  peggio. 

CI 

Disse  Morgante  :   E  peggio  troverai  : 
Guarda  di'  io  non    adoperi   il  battaglio  ; 
Forse,  Margutte,   tu  mi   crederai. 
Se  un   tratto   le  costure   ti  ragguaglio. 
Dicea  Margulte:   Sin   non  mi   terrai 
Legalo  sempre  stretto   col   guinzaglio. 
Prima  che   tu,  vedrai,  Morgante,   eh'  io 
Adoprerò  forse  il  battaglio  mio  : 


Or   oltre,    su    g«»vernali    a    tuo   modo, 
Rispose   allor  Morgante  d'ira  ]>ieuo; 
Io   so   che  "I   mio    battaglio    (ia   piii   sod«», 
\\   non   bisognerà   guinzaglio  o  freno. 
Itilauto  la    lanciidla   disse  :   Io   odo 
Alcun  qua  che   ricorda  Filoineno  : 
("onoscilo   tu,   oste,  o   sai   chi   e'  sia, 
E   11  qual   paese   egli   abbi   signoria  ? 

CUI 

Rispose  r  oste  :   Quel   che   tu   domandi. 
Io   intendo  P'ilomen   sir  del  Belfiore: 
Acciò   che   pili   parole   non    ispandi, 
Sappi    che   Filouieno   è   qui   signore  : 
E   siani   tutti  parati   a'  suoi   comandi 
Per  lunga  fede  e  per  antico  amore, 
E  regge  il  popol  suo  tranquillo  e  lieto, 
Come  giusto  signor,  savio   e  discreto. 

civ 
Vero  è  che  lungo  tempo  è  stato  in  pianto, 
Però  che  gli  fu   tolta  una  sua  figlia, 
Né  sa   chi  la   togliessi  ;  ed  è  già   tanto, 
Che  ritrovarla   sarla  maraviglia: 
Poi   che   r  ebbe   cercata  indarno  alquanto, 
Vestissi   a  brun  lui   e   la   sua   famiglia  ; 
E  non   ci   gridan  poi   talacimanni  ; 
E   così  son  passati   già  seti'  anni. 

cv 
Questa  fanciulla   diventò  nel   viso 
Subitamente  piena  di   dolcezza, 
E  parve  il  cor  da  lei  fosse  diviso, 
E  pianse  quasi   di   gran   tenerezza. 
Dicendo  :    Or  son   tornata  in  paradiso, 
Dove  solea   gioir  mia   giovinezza  : 
Pensò  di   troppo  gaudio   venir  meno 
Quando  sentì  che  vivo  è  Filomeno. 

evi 
Morgante  molto  allegro  fu  di   questo, 
E  disse:  Io  son  sì  contento  stasera. 
Che   s' io  morissi,   non  mi  fia  molesto  : 
Margulte  mio,  noi  farem   buona  cera. 
Ed  è  pur  buon    eh'  io  t'  abbi  fatto   onesto. 
Disse  Margotte,   che  malcontento  era: 
Se  tanta  ^oscienzia  pur  ti   tocca. 
Ricuciti   una  spanna  de  la  bocca. 

cvii 
Non  volle  la  fanciulla  palesarsi  : 
Domanda  de  la  madre  e  de' parenti, 
E  d' ogni   cosa  voleva  accertarsi. 
Di  fratelli  e   sorelle  e  di  sue  genti  : 
Quivi  la  notte  sfanno  a  riposarsi. 
Poi  si  partirno  da  1'  oste   contenti  : 
Non  parve   tempo  a  rubare  a  Margutte, 
Che  non  gli  dessi  Morgante  le  frolle. 

CVlìI 

E  del  cammin  1'  ostier  ne  1'  avvisava, 
Se  capitar  volevono  a  Belfiore, 
Che  sempre   lungo  la  riva  s'  andava 
Del  Nilo,   e  non  potean  pigliare  errore. 
Morgante  mentre   la   rena  pestava. 
Un  coccodrillo   de  l'acqua   esce  fore. 
La   bocc  aperse   e  credette  iughiottillo  : 
Disse  Margutte  :    Che  fia  coccodrillo  ? 


«I 


II 


ISI O  l\  G  A  N  l' K     jM  A  G  (  r  I O  R  E 


("«)lpstrt   r  troppo   prari   borron    «la    If. 
Morgaiitf    in    itocra   il   battaglio   ^li   porse  : 
Il    ntrroilrillo   una   Jtrotta   glliliv, 
11    i   tlciili   vi   lìrr«\   si   forte   il   inorsf. 
Allor   iMorftaiile   ritirava    a    sé 
l'rrslo   il    liallaglio,   e 'n  Imrra   {glielo  slorsp; 
K   spezza   i   «lenti   1' uno   e    T  altro  filo; 
I*<>i   prese  questo  e   sragliollo   nel   Nilo. 

c.\ 
Vn  mifilio   o  piò  «Irento   al  finme   gittoUo, 
t%»n»e   nn   certo  autor,  rlie  I  ville,   ha  scritto: 
li   se   r  avessi   preso   me'  pel   rollo, 
Credo   eiltato    1"  arelilie   in    l'Egitti); 
E   nel   rader  morì   sanza    «lar  orollo  : 
11    frran   battauli<i   da' «tenti   è   traCitto. 
Di-ise   Maronite  :   I«»    lo   vedevo   srorto 
Ch'  egli  scojìpiava,  se  non  fussi  morto. 

«:xi 
Era  già  vespri),  e  son   presso  a  qnel    bosco 
Dove   fo   presa    }iià   rjiiesta   faiiriiilla  : 
E   tlisse   con   Morpaiite  :    Io  riconosco 
11   liiopo  ov'  io  In'  sciocca  più   clie   in  colia, 
Sanza  pensar  die   dopo   il   mele   è  '1   losco  : 
Così  va   chi   sé   stesso  pur   trastulla  ; 
Ed   è  ragion  s'  al   fin  mal   gliene  incoglie. 
Chi   vuol  cavarsi   tutte  le  sue  voglie. 

CXII 

O  maladelto  o  sventurato  loco  ! 
Quivi  senti',  Morganle,  il  lusignuolo  ; 
Colà  fu'  trasportata  a  poco  a  poco 
Dal  suo  canto  d'  uno  in  altro  volo  : 
A  me  pareva  a  sentirlo  un  bel   giuoco  : 
Vedi  che  ne  segui  poi   tanto  duolo  : 
Ringrazio  te  che  in'  liai  qui  ricondotta, 
E  sarò  savia,  s'io  non  fui  allotta. 

CXIII 

E  mostrerotli  ch'io  non  sono  ingrata; 
Ed  arò  sempre  scritto   nel  mio  core 
Come   tu  ra'  abbi    prima   liberata, 
E  con  quanta  onestà  con  quanto  amore 
Tu  m'  abbi  per  la    via  poi   accompagnala, 
Che   non   è   stato  il  servigio  minore. 
Come  fratel,  come  gentil  gigante 
Ti  se'  portato,  e  non  come  mio  amante. 

cxiv 
Potevi  di  me  far  come  Beltramo; 
Non  hai   voluto,  onji' io  come  fratello 
Come   tu   ami  me   certo   te   amo  ; 
Così   ti   tratterò  nel  mio  castello, 
Così  Margutte   v«>'  che   noi   trattiamo, 
Bench' e'fussi  a  le   volte  tristerello. 
Disse  Margutte  :   S'  io  feci  tristizia, 
Tu  de' pensar  ch'io  noi  feci  a  malizia. 

cxv 
Ecco  ch'egli  eron   già  presso  a  le  mura 
Di  Filomeno  :  or  ecco  che  son   drenlo  ; 
E  '1  popol  guarda  la   grande  statura 
Di  quel   gigante  che  dava  spavento  : 
?{a  la  fanciulla  ignun  non  ralTigura. 
<i  padre  suo,   quanto   sarai   conlento  ! 
(  ir  ogni  improvviso   ben  più   jiiacer   snoie, 
ion^e   il  mal   non   pensalo   anco   più   «Uiole. 


Filonien   che  venir   sente  il   gigante 
(.011    la   fanciulla   e   con   nn   sn«)  compagno, 
E   eh'  e'  si   fa   verso   il   palazzo  avante, 
E   die  parca   molto  famoso   e   magno; 
In   questo  mezzo  ajipariva   Morganle, 
Filomen   disse:    Iddio   ci   dia    guadagno; 
CJii   fia   costui,  e   che   fanciulla   «•  questa  :' 
Non   mi    trarr*)  però  la   bruna    vesta  : 

ex  VÌI 

Non   riarò  però  la  mia  figliuola, 
Dicea  fra    sé,   che   non   la  ronoscìa  ; 
Maravigliossi   eh'  ella  sia   sì  sola, 
Dicendo  :    Questa   è   strana  compagnia  : 
Poi   fermò  gli   occhi   ove   il  desio  pur   voi.»; 
Egriilòj   Questa   è  Klorinetta  mia  : 
Mala  fanciulla  che   di   ciò  s'  accorse, 
A  abbracciar  Filomen  subito  corse. 

ex  VI  II 

Or  pensi  ognun  questo  misero  padre 
Quanto   in   quel   punto   fussi   consolato; 
A  questo   grido  correva  la  madre  i 
E   benché»   Florinelia   abbi   mutato 
Il   viso  mollo   e   sue  membra   Ieggia«Jre, 
Al   primo   tratto   l'ha   ralfiirurato  ; 
Ed   abbracciò  costei  pietosamente, 
E  per  dolcezza  par  fuor  de   la  mente. 

rxix 
TI   popol    tutto  con   festa   correva, 
Però  che  m«)llo   amato   è  Filomeno  : 
Cosi   in   nn   tratto   la   sala    s'  empieva  ; 
Morganle  eh'  era  d'  allegrezza  pieno, 
A  Filomeno  in  tal  modo   diceva  : 
Ecco  la  figlia  tua  ch'io  li  rimeno, 
E   son   contento    più   eh'  io  fossi    ancora  ; 
11  perchè  Filomen   l'abbraccia    allora. 

cxx 
Ma  Florinella  postasi   a  sedere 
A    lato   al  padre,   e   riposata   alquanto, 
Diceva:    O   Filomen,   stu   voi   sapere 
Del  lungo  errore  e  del  mio  grave  pianto, 
E   come  io  sia  vivuta,  e  'n  qual   sentiere, 
E  ])crchè   il   mio   tornar   tardalo   è  tanto  ; 
Io   ti  dirò  la  mia  disavventura 
Ch' ancor  pensando  mi  mette  paura. 

cxxi 
E  cominciò  dal  dì  eh'  eli'  era  uscita 
De  la  città,  quand'ella  andò  soletta, 
A  coniar  come  ella  fussi  rapita 
E  strascinala  trista   e  ineschinelta  ; 
E  quanto   è  stala  afflitta  la  sua   vita; 
E   la  catena  che  la  tenea  stretta, 
E   com'ell'era   dal   lion   guardata: 
Tanto  che  piange  ognun  che  l'ha  ascoltata. 

cxxii 
E   lutto  il  popol  se  ne  maraviglia  : 
(Ignun   verso   Macon   le  mani    alzava  : 
La   madre  e '1  padre   e   l'altra  sua  famiglia 
D   orror  ciascuno   e  capriccio   tremava. 
Seiiui   più   oltre  la   leggiadra   figlia, 
E  nverso  il  suo  Morganle  si   voltava  ; 
E   ogni  cosa   narrava   costei 
Ciò  che  Morganle  avea  fallo  per  lei. 


MOR  GANTE     MAGGIORE 


l'i  Uì 


rxxiii 
_^  Come  al  principio  e'  1'  avea  liberata 

'''•      Da  quel   gigante  crinlel  malandrino, 
E    come  sempre   l'aveva  onorala 
E  vezzeggiata  per  tutto  il   canmiino, 
E  sempre  per  la  man   V  àvta  menata 
Sì  come  padre  o  fratello  o  cugino, 
E   che   tanta  onestà  servala  avea, 
Che  '1  nome  suo  non  eh'  altro  non   sapea. 

CXXIV 

E  tante  cose  dicea  di  Morgante, 
Che   1   popol  tulio  correva   a  furore 
A  abbracciar  questo  e  baciargli  le  piante  ; 
E  Filoinen   gli  pose   tanto  amore, 
Che  in  ogni  modo  volea  che  '1  gigante 
Con  lui  vivessi  e  morissi  signore. 
Morgante  Filomen  ringrazia  assai. 
Dicendo:  Sempre  tuo  servo  m'arai. 

cxxv 
E  sempre  sarò  teco  vivo  e  morto, 
Con  l'anima  e  col  corpo,  pur  ch'io  possi: 
Io   voglio  a  Babillona  esser  di  corto  ; 
E  sol  per  questo  dì  Francia  mi  mossi  : 
Ch'  al  conte  Orlando   farei   troppo  torto  ; 
Ma  sempre  mi  comanda   dov'io  fossi: 
E  pur  se  Florinetta  m'  ama  seco. 
Io  mi  starò  due  giorni  ancor  con  teco. 

cxxvi 
Diceva  Florinetta  :  Almeno  un  anno 
Con  meco  ti  starai,  Morgante  mio  ; 
E  così  tutti   grande  onor  gli  fanno. 
Anzi   adorato  è  da  lor  come  Dio. 
Margotte  e  Florinetta  il  gusto  sanno; 
E  perch'  eli'  ha  di  piacergli  disio. 
Disse   a  Margutte:  Attendi  a  la  cucina 
Che  sia  provvisto  ben  sera  e  mattina. 

CXXVil 

Non  domandar  se  Margutte  s'affanna, 
E  se  parea  di  casa  più  che '1  gatto  : 
E   dice  :  Corpo  mio  fatti  capanna. 
Ch'io  t'ho  a  disfar  le  grinze  a  questo  tratto: 
Vedi  che  qui  dal  cìel  piove  la  manna  ; 
E  salta  per  letizia  com'un  matto, 
E  stava  sempre  pinzo   e   grasso  e  imto, 
E  de  la  gola  ritruova  ogni  punto. 

cxxvni 
Mentre  ch'io  era,  diceva,  in  Egina, 
Non  soleva  quest' esser  la  mia  arte  : 
Così  ci  fossi  la  mia  concubina, 
Ch'  io  gli  porrei  de  le  cose  da  parte  : 
Ma  come  il  cuoco  lascia  la  cucina, 
Così  da  la  ragion  certo  si  parte  ; 
Così  come  Margutte  di  qui  esce, 
Sarà  come  cavar  de  1'  acqua  un  pesce. 

cxxix 

E  finalmente  e' provvedeva  bene 
La  mensa  di   vivande  di  vantaggio  ; 
E  d'  ogni  cosa  che  in  tavola  viene 
Sempre  faceva  la  credenza  e  '1  saggio  ; 
E  qualche  buon  boccon  per  sé  ritiene 
E 'n  corbona  metteva  come  saggio: 
Alcuna  volta  ne  la  cella  andava, 
E  pel  cocchiume  la  botte  assaggiava. 


cxxx 
E  sapea  sopra  ciò  mille  malizie  : 
Per  casa   ciò  che  truova  mal   riposto, 
E'  rassettava  con  sue  masserizie 
In  un  fardel  che   teneva  nascosto  : 
In  pochi  dì   vi  fé'  cente   tristizie  ; 
E   più  facea  se  non  partìa  sì  tosto  ; 
Conlaminò  con  lusinghe  e  con  prezzi 
Ischiave  e  more  e  moricioi  e  giiezzi. 

cxxxi 
A  ogni  cosa  tirava  l'ajuolo, 
E  faceva  ogni   cosa  a  la  moresca  : 
La  notte  al  capeazal  sempre  ha  1'  orcioolo 
E  pane   e  carne   in  gozzoviglia   e   n    tresca  : 
Poi  rimbeccava  un   trailo  il  lusignuolo  ; 
E  ritrovava,  acciò  che'l  sonno  gli  esca, 
Tulli  peccati  suoi   di  grado  in  grado  ; 
E  sempre  in  mano  avea  il  bicchiere  o  '1  dado, 

CXXXII 

O  broda,  che  succiava  come  il  ciacco  ; 
Poi   si  cacciava  qualche  penna  in  bocca 
Per  vomitar,  quand'egli   ha  pieno  il  sacco; 
Poi  lo  riempie  e  poi   di  nuovo  accocca  : 
Ma  finalmente,  quando  egli  era  stracco, 
E   che  pel  naso   la  schiuma  trabocca; 
E' conficcava  11  capo  in  sul  primaccìo 
Unto  e  bisunto  come  un  berlingaccio. 

cxxxiu 
E  sapeva  di  vin  come  un  arlotto; 
Che  de' pensar  che  n'appiatta  Margutte; 
E  quando  egli  era  ubbriaco  e  ben  cotto, 
E' cicalava  per  dodi(^i  putte; 
Poi  ribaciava  di   nuovo  il  barlotto  ; 
E  conta  del  cammin   le  trame  tutte  ; 
E  diceva  bugie  sì  smisurate; 
Che  le   tre  eran  sette  carreltate- 

CXXXIV 

Or  pur  Morgante  si  volea  partire, 
Quantunque  Florinetta  assai  pregassi; 
E  cominciò  con   Filomeno  a  dioe 
Che  la  licenzia  oramai  gli  donassi  : 
Che  di   vedere   Orlando  ha  gran  desìre  : 
Subitamente  un   gran  convito  fassi 
Per  dimostrar  maggior  magnificenzia 
Al  gran  Mprgante  in  questa  diparteazia. 

CXXXX 

E  poi  che  egli  hanno  tutti  desinato, 
E  ragionalo  insieme  molte  cose, 
E  la  fanciulla  a  Morgante  ha  donato 
Di  molle   gioie  ricche  e  preziose, 
E  mollò  Filomen  1'  ha  ringraziato  : 
Morgante  come  savio  anco  rispose. 
Che  accettava  1'  offerte  e  '1  tesoro 
Per  ricordarsi  ove  e'  fussi  di  loro. 

cxxxvi 
Margutte,  quando  udì  questa  novella, 
Diceva  :  Io  voglio  andar  per  qualche  ingoffo; 
E  tolse  uno  schidione   e  la  padella, 
Tinsesi  il  viso  e  fecesi  ben  goffo, 
E  corse  ove  sedeva  la  donzella, 
E  fece  de  lo  impronto  e  del  gaglioffo, 
E  d'sse  :  Il  cuoco  anco  lui  vuol  la  mancia, 
O  io  ti  tignerò  tutta  la  guancia. 


M  O  R  G  A  N  T  E     INI  A  (;  G  I  O  I\  K 


CXXWII 

Florinctta   una   prinnia,  eli*  avea  in    lesta 
Gillù  ne   la  p.ìilella   a  mano   a   mano; 
Alar^ntlf   rinlVa    e    la    mano   ebbe   ]irrsta, 
E   disse  :   Io  fo  per  non   parer  provano. 
Morpanle  falla   {;li   arebbe   la  festa. 
S'avessi   avuta   qnaUlic   rosa   in  mano; 
E   vergognossi   ile    I  allo  si    brullo, 
Dicendo:   Tu  m'hai  pur  cliiaiilu  in   tulio. 

CXXXVIII 

Margnlte  si   tornò  in  cucina  loslo, 
E   cominciò  assettare  un  suo  fardello 
Di  ciò   di'  aveva  rubalo  e  nascosto, 
E  qnel   rlie  solea  por  già  in   sul  cauiniellu; 
E  perch' e' vide  Morganle   disposto 
Di   dipartirsi,   si   pensò  ancor  quello, 
Ch'  e"  fossi   da  fornirsi   drenlo   il   seno 
Di   ghiotlorule  per  due   giornale  almeno, 

cxxxix 
E  mangia  e  bee   e  'nsacca  per  due  erri, 
Dicendo:   E' non  si   Iruova  colli  i   lordi, 
Quand' io  sarò  per  le  selve   tra' cerri. 
Morgante  intanto  al  partir  par  s'  accordi, 
E   Florinetta  con  lui  era  a"  ferri 
A  pregar  sempre   di   lei   sì  ricordi  ; 
E  che   tornassi   a  rivederla  presto, 
E  non  si  parla  che  prometta  questo, 

CXL 

Morgante  rispondea  eh'  era  contento, 
E   in  ogni  modo  per  sé  tornerebbe, 
E  fecene  o^ni   giuro  e  sacramento  ; 
Non  potre' dir  quanto  il  partir  gì"  increbbe; 
E   abbracciava  cento  volte   e  cento 
Quella  fanciulla,  e  non  si  crederebbe 
La  tenerezza  che  gli  venne  al  core, 
E  quanto  Filonien  gli  ha  posto  autore, 

CXLI 

Margntte  disse  solamente:  Addio; 
Però  ch'egli  era  più  cotto  che  crudo. 
Morgante  poi  che  del   castello  uscio, 
Disse  a  Margutle  :  Assettali  lo  scudo, 
Ch'  io  vo'  sfogarmi,  poltroniere  e  rio  : 
Che  lu  se'  il  cuoco  mio  per  cerio  e  1  drudo: 
Può  far'  Iddio   tu  sia   si  sciagurato  ! 
Tu  m'  hai  chiarito,  anzi   viltiperato. 

CXLII 

Tu  va'  hai  pur  fatte   tutte  le  vergogne  : 

10  mi  credevo  ben   tu  fussì   tristo, 

E  ladro  e  ghiotto  e  padre  di  menzogne  ; 
Ma  non   tanto  però  quanto   n  ho  visto  : 
Tu  nascesti  tra  railere  e  Ira  gogne, 
Come   tra  '1  bue  e  l' asin  nacque   Cristo. 
Margutle   gli  rispose  :  E   tra'  capreslì, 
E  tra  le  scope  :  lu  non  t'  apponesti. 

CXLIII 

Io  credevo,  Morgante,   lu  '1  sapessi 
Ch'  io  abbi   lutti   i  peccati  mortali  : 

11  primo   dì,  perchè  mi  conoscessi, 
Tel  dissi  pure  a  lettre  di   speziali  : 
Puomi  lu  altro  appor  ch'io  ti  dicessi? 
Questi  son  peccaluzzi   veniali  : 

Lascia  eh'  io  vegga   da  fare  un  bel  trailo 
In   qualche  modo,   e   cliiarirotti   affatto. 


CXLIV 

Morgante  fìnalmente  convenia 
Che   in   riso  e   in   gioco  s'  arrechi  ugni  cosa, 
E   vanno  seguitando  la   lur  via. 
Eran«>  un   di   per   una  selva   ombrosa  ; 
E   perchè   pure   il   rauunino   increscia, 
A   una  fonte   Morgante  si  posa  : 
Margutle  eh' avca  ancor  ben  jtieno  il  sacco,' 
S'  addormentò  come  affannalo  e  stracco. 


Morgante  come  lo   vede  a  giacere, 
Gli   stivaletti   di   gamba   gli   trasse, 
E   appiatlògli,   per  aver  piacere. 
Un  po' discosto,   quando  e' si  destasse. 
Margutle   russa  ,   e  costui  sia   a  vedere; 
Poi   lo   destava,  perdi'  e'  s'  adirasse. 
Margotte   si  rizzò,   come  e"  fu   desto, 
E   de   gli   usalli  s'accorgeva  presto. 

CXL  vi 
E  disse:  Tu  se"  pur,  Morgante,  strano: 
Io 'veggo  che  tu  m'hai   tolti   gli   usalli, 
E  fusti   sempre  mai  sconcio  e   villano. 
Disse  Morgante  :  Apponli  ov'  io  gli  ho  pialli: 
E  son  qui   intorno  poco  di  lontano: 
Questo  è  per  mille  oltraggi   tu  m"  liai  fatti, 
Margutle  guata  e  non   gli  ritrovava, 
E  cerca  pure   e  seco  borbottava. 

CXLVII 

Ridea  Morgante,  sentendo  e' si  cruccia; 
Margutle  pure  al  fin   gli  ha  ritrovali  : 
E  vede   che  gli   li  a  presi   una  bertuccia  ; 
E  prima  se  gli   ha  messi   e  poi  cavali  : 
Non   domandar  se   le  risa   gli  smuccia, 
Tanto  che   gli  occhi  son  tutti   gonfiati, 
E  par  gli  schizzassin  fuor  di   testa, 
E  slava  pure   a  veder  questa  lesta. 

CXLVIII 

A  poco  a  poco  si  fu  intabaccato 
A   questo   giuoco,  e  le  risa  cresceva: 
Tanto  che  "1  petto  avea  tanto  serralo, 
Che  si   volea  sfibbiar,  ma  non  poteva, 
Per  modo  egli  par  essere  impaccialo  : 
Questa  bertuccia  se   gli  rimetteva  : 
Allor  le  risa  Margutle  raddoppia, 
E  finalmente  per  la  pena  scoppia. 

CXLIX 

E  parve  che  gli  uscissi   una  bombarda, 
Tanto  fu   grande  de   lo  scoppio  il    tuono. 
Morgante   corse,  e  di   Margutle   guarda 
Dov'  egli  aveva  sentilo  quel  suono  ; 
E   duolsi   assai  che   gli  ha  fatta  la  giarda; 
Perchè  lo   vide  in   terra  iu   abbandono  : 
E  poi  che  fu  de  la   bertuccia  accorto, 
Vide  eh'  egli  era  per  le  risa  morto. 

•  CL 

Non  potè  far  che  non  piangessi  allotta; 
E  parvegli  si  sol  di  lui  restare, 
Ch  ogni  sua  impresa  gli  par   guasta  e  rotta: 
E  cominciò  col  battaglio  a  cavare, 
E   sotterrò  Margotte  in   una  grolla, 
Perchè  le  fiere   noi  possin  mangiare  ; 
E  scrisse  sopra  un  sasso  il  caso  appunto. 
Come  le  risa  Tavean  quivi  giunto. 


.•>.)/ 


M  O  l\  (;  A  N  T  E      M  A  (i  (;  l  O  R  E 


E   tolse  sol   la   i!;eniuia  clic   };li   ilelle 
Florinetta   al  partir:   T  altro  farileilo 
Con  esso  ne   la  lossa   insieme  ntelte, 
E  con  {^ran  pianto  si  partì   da  quello  ; 
K  per  più  dì   come   smarrito   stette 
D'aver   perduto   Mn   sì   caro   fratello; 
K  11  questo  modo  ne"  boschi   lasciarlo, 
E  non  potere  ad   Orlando  menarlo. 

<,r,ii 
Or  ecci  uno  autor  die   dice  qui, 
Clie  si  condusse  pur   dov'  era   Orlando  ; 
Ma  poi   di   Babillona  si  partì, 
E   venne    in    (|ueslo   modo   «.apitando  ; 
Tanto   è  che   la  sua   morte  fu  così  ; 
Di  questo  o^nun  s'  accorda  ;  ma  del  quando, 
O  prima   o  poi  e'  è   varie  opinioni, 
E  molti  dubbi  e   gran  disputazioni. 

cr-ni 
Tanto  è  ch'io  voglio  andar  pel  solco  ritto, 
Clie  in  sul  cantar  d'Orlando  non  si  truova 
Di  questo  fallo  di  Margulle  scritto  ; 
Ed  ecci   aggiunto,  come   cosa  nuova, 
Che  j^m  certo  libro  si  trovò  in  Egitto, 
Che  questa  storia   di  Morgante  appruova  ; 
E  r  autor  si   chiama  Alfaroenonne 
Che  fece  gli  statuti   de  le  donne, 

CLIV 

E  fu   trovalo  in  lingua  persiana, 
Tradotto  poi   in   arabica  e^h   caldea: 
Poi  fu  recato  in   lingua  soriana, 
E  dipoi  in  lingua   greca  e  poi  in  ebrea, 
Poi  ne  r  antica  famosa  romana  ; 
Finalmente  vulgar  si  riducea  : 
Dunque  e'  cercò  la  torre   di   Nembrollo 
Tanto,  eh'  egli  è  pur  fiorentin  ridotto, 

CLV 

Quel  eh' e' si  sia,  e' seppe  ogni  malizia, 
E  fu  prima  cattivo  assai  che   grande  ; 
Però  che  cominciò  da  puerizia 
Ad  esser  vago   de  V  altrui   vivande  ^ 
E  fece  abito  sì   d'ogni   tristizia, 
Ch'  ancor  la  fama  per   tutto  si  spande  ; 
J  E  furon  le  sue  opre  e  le  sue   colpe, 
i  Non  creder  leonine,  ma   di  volpe. 

CLVI 

Or  lasciam  questo  con  buona  ventura, 
Che  la   giustizia  ha  in  fin  sempre  suo  luco. 
Morganle  attraversando  una  pianura 
S'  appressa   a  Babillona  a  poco  a  poco 
Tanto,  che  già  si   scorge van  le  mura  ; 
Ed  arde   tutto  come  il  zolfo  al  foco 
De  la   gran  voglia  di   vedere   Orlando, 
Che  non  credea   già  mai  trovare  il  quando. 

CLVII 

Era  già  presso  al  campo  a  poche  miglia, 
jlE  fu  veduto  questo  compagnone 
1 1  Come  un   alber  di  nave  di   caniglia, 
E  dava   a  tutto  il  campo  animirazione  : 
Ma  quando   Orlando  vi  volse  le  ciglia, 
Questo  è  Morgante  per  lo  Dio  Macone, 
Se  ben  le  membra   di  questo  ragguaglio, 
Dicea  fra  sé,  che  io  conosco  ii  battaglio. 


Cf.VlIl 

Eece,si  presto  menar  Vegliantino, 
E   nondimen   la   lancia   tolse   in   mano, 
Che    non   fussi    gigante  Saracino, 
Percliè   la   vista   inganna   di   lontano  : 
Morgante,   come   vide   il  paladino. 
Gli   fece   il  cenno   usato  a   mano  a  mano  ; 
'Gillo  il   battaglio   cento  braccia  in   allo, 
Poi   lo   riprese   in   aria   con   un  salto. 

CLIX 

E  come  al  conte  Orlando  fu  piii  presso. 
Subitamente    giaocchione   è   posto  : 
Orlando   smonta  e'nconlro   ne  va   ad  esso, 
E   cominciò  le  braccia   aprir   discosto  : 
Che  sì   conosce  im   grand'  amore  espresso, 
E   disse  :  Lieva,  Morganle,  su  tosto  : 
E  missegli   le   braccia   strette   al   collo, 
E  mille  volle   e  poi  mille  baciollo. 

ci.x 
Non  si  saziava  a  Morganle  far  festa  : 
Tanto   che  '1  collo  ancor  non  abbandona, 
Dicendo  :    Che   ventura  è  slata  questa  ? 
Morgante,  poi  che   e'  é  la   tua  persona. 
Io  non    temo  più  scogli   né   tempesta  : 
Le  mura    IrJemon   già   di  Babillona  ; 
Anzi   tremare  il   ciel  sento   e  la  terra, 
Tanto  eh'  ornai   terminata  è    la   guerra. 

cr>xi 
Io  non  farei   con  Alessandro  Magno 
Con   Cesar,  con  AnnibaI,  con  Marcello, 
O  patti,  o  pace,  o  triegua  con  guadagno, 
Da   poi    che    tu   se' qui,   caro   fratello; 
Ch'  io  pur  non  ebbi   mai  miglior  compagno  : 
lo  crederei   con   tp  pigliar  Babello 
E  Troia  un'altra   volta   e  Roma  antica: 
Or  vo'  che  mille  cose  oggi  mi   dica. 

CLxn 
Che  è  d'Astolfo  mio,  d'Arnaldo,  Uggieri, 
D'Angiolin   di   Baiona,  e  del  mio  Namo  ? 
Ch'  è  del  mio  caro   e   gentil  Berlinghieri  ? 
CJi'  è  di   Salamon  mio   eh'  io  tanto  amo  ? 
Che  è  d'  Ottone,  Avolio,  Avin,   Gualtieri  ? 
Che  è   de' miei  fratei,   che  noi   lasciamo, 
Ricciardo  con   Alardo  a  Montalbano  ? 
Ch'è   di   quel  Iradilor  del  conte  Gano  ? 

CLXIIl 

Quant'è  che   tu  li  partisti  da  Carlo? 
Dimmi  se  Gano  è  tornato  a  Parigi, 
E  s'egli  attende  al  modo  usato  a  farlo 
Seguire  i  suoi  consigli  e  suoi  vestigi. 
Tanto  elle  possi  a   la  mazza  guidarlo  ? 
Ha  fallo  l'arte  il  nostro  Malagigi 
A  questi   tempi?  e  dello  dov' io  sia, 
E  com'  io  abbia  qua  gran  signorìa  ? 

CLXIV 

E  come  Persia  ho  presa  e  l'Amostante 
Dopo  pur  molta  fatica   ed  affanno? 
Allor  si  rizza   e  risponde  Morgante, 
Che   Carlo  e  i  paladin'  ben  tulli   stanno  ; 
E  Malagigi  come  negromante 
Detto  gli  aveva  come  le  cose  vanno: 
E  che   Gano   era  scacciato  in   esilio 
Che  Carlo  noi  vuol  più   noi  suo  concilio. 


M  0  1\(;  A  N  T  K      M  \(.  (.  I  ()  W  K 


E  corno  la   (i-ilinol.!  del   Snidano, 
Che   .si   cliiamava   la    famosa   Aiilea, 
Si   slava   roii   IVorianlo   a  iMóììTalbano, 
E  prande   «more   il  po|»»l  te   farea  : 
E   (jiifl   ch'ella   ave.i   (alto  lare  a   Oano; 
De   la   qiial   cosa    Orlando   si   ritlea  : 
E   cosi  inverso  il  padiiilione  andorno, 
E  molte  cose  rapionaro  il   giorno. 

ci.xvi 
Qnivi   g^^i^aldo,  Ulivier,  Ricciardcllo 
Abhraccian   tulli   Moraanle   lor  caro: 
Morpanle  j^iuove   di   Francia   ha  lor  dello; 
Poi   di   Marpulle  mollo  rag.ionaro, 
Come  e"  mori  ridendo  il  poverello, 
E  come  insieme  pria  s'  accompagnaro  : 
E  conta  d'ojjni   sua  piacevolezza, 
E  lacrimava  ancor  di   tenerezza. 

CI_\VII 

Quivi  fecion   consiglio  di   pigliare 
La  città,  poi   che  Morganle   è  ventilo  ; 
Comincion  la   hatlairlia  apparecchiare. 
Ed  ogni   cosa  che  fanno   è  veduto. 
Qiie*  de  la   terra   cominciorno   armare 
Le  mura,   e   ordinar  quel   eh'  é   dovuto  ; 
E  cominciossi   una  fiera  battaglia, 
E  per  due  ore  durò  la  puntaglia. 

cr,xvm 
Morgante  pur  verso  la  porta  andava, 
Ch'era   tutta   di  ferro  e  molto  forte; 

I  Saracini   ognun  forte   gillava 

E  sassi  e   dardi,  per  dargli   la  morte  ; 
Ma  '1  fer   gigante   tanto  s'  accostava. 
Che   col  battaglio  bussava   le  porle  ; 
Ma  non  poteva  spezzarle  a   gnun  modo, 
Benché  questo  battaglio  è  duro  e  sodo. 

CLXIX 

Più  e  più  volte  percuote  e  martella; 
Ma  poi  che   vide  che  poco  valeva, 
E'  s'  appiccava  a  una  campanella, 
E   con  gran  forza  la  porla  scolerà  : 
Ma  i  sassi   gì  inlronavan  le  cervella, 
Che  in  sul  cappel  di   sopra   gli  pioveva  : 
E  sente  or  questo  or  quelT  altro  percuotere; 
Allor  più  volte   cominciava  a  scuotere. 

CLXX 

Era  una  torre  di  mura  sì   grossa 
Sopra   la  porta,   eh'  un    gran  pezzo   resse  ; 
Ma  quando  e'  dava  Morgante   una  scossa, 
Non   è   Iremuoto  che   tanto  scotesse  ; 
Tanto   che   1  ha  tutta  intronata  e  mossa  ; 
E  finalmente  in  più  parti  si  fesse, 
Ch"  era   tenuta  cosa  inespugnabile, 
E  parve   a   tutti  una  cosa  mirabile. 

CLXXI 

Orlando  stupefallo  era  a  vedello 
Alcuna   volta  sue  forze   raccorre, 
Ch'  arebbe  fatto  cader  Mongibello  : 
E   delle  un   trailo   una  scossa  a  la  torre, 
Cht  mai   Sanson  non  la  die  come  quello; 

II  campo  lutto  a  veder  questo  corre  , 
E  fella  rovinar   giù   d'  allo   in  basso, 
Che  mai  non  si  sentì   sì   gran  fracasso; 


CI.XXII 

E  "I   polverio   n'andò  insiiio   a   h»    'Itile  ; 
Morgante  con   la   porla   si   co|iria, 
Como  si   fa   con  paivrsi  o  rotelle, 
Che  i   sassi   non   gli  iaccin  villania  . 
Quelle   genti   di   sopra  nieschinelle, 
("Ili   morto   e   chi   percosso  si    vedia  ; 
Citi  rotto  il  bracci»)  e  chi  il  lescltioaveaperlo: 
E   chi  da' calcinacci   è  ricoperto. 

CI.XXIII 

(Jii  mostra  il  pie  scoperto  e  clii  gaml»«-lla, 
Chi   con   le   gambe  a   l'erta   è  sotterralo; 
Chi   ha   tra   sasso  e   sasso   qualche   stretta 
Avuto,  e  come  morto  è  rovescialo  ; 
Chi'l  sangue  fuor  per  gli  occhi  e'I  naso  getta: 
Chi  zoppo    resta   e  clii  monco  e  sciancato  : 
Era  a  veder  sotto  questa  rovina 
Morti  costor  com'  una   gelatina. 

ci.xxiv 
I  terrazzali' che  difendon  le  mura, 
Maravigliati  fuggon  lutti   quanti, 
E  paion    lotti   morii   di  paura  ; 
Nostri    Cristian' si   fecion    lutti    avanti: 
Ognun  dicea  :    Può  far  questo  natura? 
Morgante  non  si  mula  ne"  sembianti  ; 
E  perch' e' fossi  la  strada  spedila. 
Certi  canton'  col  suo  battaglio   trita. 

CLXXV 

E  grida  al  conte  Orlando:  Andianne  drenlo, 
Seguite  me,  non  abbiate  sospetto. 
Che  Babillona   è  nostra  a   salvamento 
Per  onta  e  «lisonor  di  Macomello. 
I   Saracin' fuggien  pien  di  spavento 
Dinanzi   a  quel   diavol   maladetto: 
Orlando   e   tutti   gì'   altri  drenlo  entrorno, 
E  tutti  inverso  la  piazza  n'  andorno. 

CLXXVI 

Era  a  1"  entrare  nn   gran  borgo  di   case  : 
Vero  è  ciie  tutte  son   di    terra  e  d'asse: 
Di  queste  ignuna  non  ve  ne  rimase. 
Che '1  gran  Morgante  non   le  fracassasse; 
Or  pensa  a  quanti  le  zucche  abbi  rase, 
Prima  che   tante  case  rovinasse  : 
Di  qua  di  là  la  mazza  mena   tonda: 
Dovunque   e' passa  ogni   cosa  rimondo. 

CLXXVII 

I   cittadini   alfin  s'accordar   tutti, 
Che  piglili   la   città  sanza   contesa. 
Pur  che   non   sien   da  Morgante   distrutti  : 
E  così  resta   Babillona  presa, 
E  fu  posto  silenzio  a  molti  lutti  ; 
Però  ch"  egli  era  già  la  fiamma  accesa, 
E  slavano   i  Pagani   a  veder  poco. 
Che  col  battaglio  morieno  e  col  fuoco. 

CLXXVIII 

Orlando  nel  palazzo  fu  menalo, 
E  posto  in   una   sedia   a   grand  onore  , 
E  quivi   al  modo  lor  fu  coronato 
Di  Babillona  e  Soldano  e  signore  ; 
E  molto  il   Veglio  suo   ebbe   onorato, 
Però  che   gli  portava   troppo   amore  ; 
E  fecel  grande  Arcai  lo  in   Sona, 
E   Governava   lui  la  signorìa. 


IM  O  I\  (t  A  N  T  K     M  A  G  G  1  O  W  \<\ 


Cl.XXIX 

Un  dì  eh' a  spasso  por  la   Icrra  vanno, 
l^ra  salito  in  su  'n   torrione, 
(,on»' è   usanza,  un   l)iion   talariinanno  : 
Disse  Morf«;ante  :   Udite   il  corbaccliione, 
Che   serra   l'uscio  ricevuto  il   danno, 
E  viene   a  rinp;raziar  testé  Macone  ! 
Non   domandate,  com'  io  mi  colleppolo 
Di  farlo  venir  giù  sanza  saeppolo. 

ci,xxx 
E  detto  questo  il   haltaglio  pittava, 
E  pose   appunto  la  mira   a   la   testa; 
E  pure  il  rorbacchion  là  su  gridava  : 
Ecco  il  battaglio  con  molta  tempesta, 


Che  'I  capo  inverso   gli  orecchi  pigliava, 
Come  Morgante   disegnóe  a   sesta  ; 
E  mentre  che   gridava  glie  ne  schiaccia, 
E  portello  alto  più  di   cento  braccia. 

CLXXXI 

Or   lasriain   questi  in   Babiilona  stare, 
E  riforniamo   un   poco  a   Montalbano, 
Dov'  era  Antea,  eh'  ha  fatto   imprigionare, 
Come  in   altri   cantar' dicemmo,   Gano  : 
Ma  per  poter  meglio  il  dir  seguitare, 
Preglìiamo  il  ciel  ci   tenga   la   sua   mano, 
E  direm   tutto  nel   cantar  futuro. 
Guardivi  il  (Iglio   di   Gioseppe  puro. 


CAìNTO    XX 


ARGOMENTO 


-N»f'©§#?- 


No 


on  sono  i  furbi  mai  sanza  fortuna: 
La  cosa  è  chiara  in  Gano  imprigionato; 
Orlando  in  liberarlo   uomini  aduna, 
£  in  mar  viaggia  alle  procrlle  allato. 
Di  Morgante  piìi  star  non  vuol  digiuna 
La  morte,  sicché  un  granchio  r  ha   ammazzato. 
Liopantc  muor,  che  Aldinghier  lo  stiaccia. 
Con  cui  ognun  s'allegra,  e  te  lo  abbraccia. 


ItAagnifica  il  Signor  1'  anima  mia  ; 
E  rallegralo  è. ne  la   sua   salute 
Lo  spirito  tj^i  quel  ben  eh'  ognun  desia 
Perch'  e'  conobbe   tra  le  mie   virtute 
L'  umiltà  di   sua  ancilla  giusta  e  pia, 
Eternalmente   da  lui  prevedute; 
Così  com'  in  te  fu   sempre  umiltade. 
Aiuta  or  me  per  tua  somma  pietade. 

II 
Era  tanto  la  mente  mia  legata 
Dal  bel  cantar  dinanzi,  eh'  io  trascorsi 
Alquanto  fuor  de  la  via  prima  usata  ; 
Or  de  r  error  commesso  mi  rimorsi  : 
Torno  a  laudar  te,  Vergine  beata, 
Con  la  cui   grazia  sol  la  penna  porsi 
A  questa  storia,  e  tu  m'aiuterai, 
E  'osino  al  fin  non  m'  abbandonerai. 


Gano  scriveva  un   giorno  a  Malagìgi, 
Che  prieghi  Antea   che   debba  liberarlo  : 
Che   sa   che  più  tornar  non  può  in   Parigi, 
Però   che  sbandeggiato   era   da   Carlo, 
E   die  Rinaldo  è  in   guerra  e  'n  gran  litigi, 
E  grande  amor  lo  sforza  ire   aiutarlo  : 
E  se  dovessi  lasciar  ben  la  pelle. 
Gli  arrecherà  di  lui  buone   novelle. 

IV 

Malgigi  poi  che  la  lettera  lesse, 
La  stracciò  prima,  e   beffe   ne  faceà. 
Poi  gì' increbbe  che  in  career   tanto  stesse; 
E  finalmente   un   dì  pregava   Antea 
Che  Ganellon   liberar  gli  piacesse, 
E  per  suo  amore  Antea   gliel  concedea  : 
E  così   Gan   di  prigion  fu  cavato, 
E'  nverso  Paganìa  presto  n'  è  andat,o. 

V 

Va   discorrendo  per  molti  paesi, 
E   cerca  pur  d'  Orlando  investigare  ; 
Orlando  e   tutti  gli  altri  erano   attesi 
Di   Spinellone  il  corpo  a   onorare; 
E   rimandato  1'  ha  con  ricchi  arnesi 
Ne  la  sua  patria  e  fatto  imbalsimare  ; 
E  da  quattro  destrier' bianchi  è  portato 
A  la  sorella,  ov'  egli  era  aspettato. 

VI 

Al  re  Costanzo  ha  fatto  similftiente. 
Che  si  ricorda  de'  suoi  benefici. 
Ed  onorata  tutta  la  sua   gente, 
E  dato  a  chi  volea   di  loro   ufici  : 
In  questo  mezzo  il  traditor  dolente, 
Ch'  era  il  padre  di   lutti  i  malefici. 
Per  tutta  Paganìa  ne  va  cercando; 
Ma  non  poteva  ancor  trovare  Orlando. 


M  ORC.  A  N  TK      M  A  G  i\  I  OK  K 


riangriulu   va    la   sua  ili'-jvvrntiira 
Per  molli   UifS'   '  per  parsi  jtrani  ; 
lìiilrato   un   di  prr  una   valle  o»rura, 
Qiii\i    ln»vò  ccrli   paslor' papani, 
(.hr   Sì   ilolraii   d'  una  loro  .sciapura, 
Prrrh'  rran   snsiinali  rome   cani, 
Rubati   a  forza   da   un   pran   pastore, 
Cir  era   Ira   lor  qua&i  fatto  signore. 

vili 
Gan   domandò  ehi   questo  pastor  sia; 
Essi   risposon  :    Vn   rli' è  sì   arriccliito, 
Che  si  fa  spesso  mala  compagnia  ; 
Perchè  un   Cristian  fu  pia  da  lui   tradito, 
E   toUepli  un  cavai  quando  e  domila  ; 
Poi   Io  vendè,   dond'  epli  è  insuperbito, 
Che  ne   toccò  dal  mastro   giustiziere 
Tanto,  che  sempre  potrà  ben  godere. 

i\ 
Il   cavnllo  era   d'un  certo   Rinaldo 
De"  paladin'  di   Francia   del  re   Carlo  : 
E   Io    nvilò   a  mangiar  questo  ribaldo, 
E  non   si  vergognò  poi   di  rubarlo  : 
Per  questo   egli   è   di  que' danari   or. caldo, 
Che  si   vorre'  altrettanto  comperarlo 
Per  impiccarlo  poi.  Gano  ascollava, 
E  domandò  dove  il  pastore  stava. 

X 

E'  gli  mostrorno  ove  abitava  questo. 
Diceva   Gan  :   Con  meco  ne  verrete  ; 
Non   si  potrebbe   trovare  un  capresto  ? 
Ch"  io  vo"  impiccarlo,   e  voi  m'  aiuterete. 
Un   de' pastor' gli   rispondeva  presto: 
Noi   torrem   la  maestra  de  la  rete  ; 
E  finalmente  trovorno  il  pastore  : 
Gan  lo  minaccia  e  chiama   traditore. 

XI 

Dicea   il  pastor:   Traditor  non  fu' roai  ; 
Sare  io  forse  mai   Gan   di  Maganza,? 
Che  t'  ho   io  fatto,  o  chi  cercando  vȓ  ? 
Non  è  d'ignun   de"  miei   tradire   usanza. 
Rispose   Ganellon  :  Tu  lo  vedrai, 
Poi  che   tu  parli  con   tanta  arroganza  : 
Tu  se'  colui  che  rubasti  il  cavallo  ; 
Per  tanto  io  ti  farò  caro  costallo. 

XII 

Tu  lo  vendesti   al  mastro   giustiziere. 
Disse  il  pastor  :   Cotesto  non  si  nega. 
Io  r  allevai  puledro  quel   corsiere  ; 
E  1  me  che  sa  le  sue  ragione   allega. 
Gan  finalmente  lo  fece   tenere 
Da   due  pastori,   e    1   capresto  eli  lega, 
E   sopra   un   alto   sughero  imp.iccollo, 
E  lasciai  quivi  appiccato  pel  collo. 

XIII 

Dette   di  piede   al   suo  Matlafellone, 
E  ritornossi   in   su   la  mastra  strada  ; 
Trovò  certi   giganti  in   un  vallone, 
E  vollongli   la  man  porre  a  la  spada  : 
Gan  si  scontò:   diceva   un  compagnone: 
Noi   vorremmo  saper  dove  tu  vada, 
E   se   tu  se"  Saracino  o   Cristiano  ; 
Tanto  che  "1  nome  suo  disse  allor  Gano. 


Vn  di  questi   giganti   gli  rispose: 
Tu   suogli   essere   il   fior  de' traditori  : 
Tu   hai   già  fatte   tante   laide  cose. 
Che  fia   mercè  punirti   de'  tuo' errori. 
Gan  presto   la   sua   lancia  in  resta  pose, 
E  per   disdegno  p.ìr  che   si   rincuori  ; 
E  "I   primo   de'  giganti    eh'  egli    afferra 
Lo   traboccava  morto  in   su  la   terra. 

.\v 
Gli   altri  gli  son  con   mazzafrusti  addosso; 
Gan  con   la  spada   ria  lor  si  difende, 
E   taglia   a  uno   il   naso  insino  a  V  osso  ; 
Ma   intanto  1'  altro   di   drieto  lo  prende, 
E  finalmente  de   1' arcion   l'ha  mosso, 
Tanto  che  Gan  per  forza  se  gli  arrende, 
E  portalo   di  peso  in  un  palagio 
Per  istraziarlo  al  lor  modo  per  agio. 

XVI 

E   dicean   tulli  :  Stu  vuoi   dire   il  vero, 
Rinaldo  qua   li  manda  per  ispia. 
Ma   non    è  riuscito  il   suo  pensiero  ; 
Noi   vogliam'  or  saper  dove  quel   sia  ; 
Perchè  passando  per  questo  sentiero 
A  un   nostro    fratel   fé'  villania, 
E  ammazzollo  per  uno  slran  modo: 
Ma  d'  ogni  cosa  pagherai   tu  il  frodo. 

XVII 

Ganellon.   eh"  era  malizioso  e  tristo. 
Diceva  :   lo   son   suo   capital  nimico, 
Ed  è  gran  tempo  già  ch'io  non   l'ho  visto: 
Di   Carlo  ha  fatto  ch'io  non  sia  più  amico; 
Io  Io  perseguo  come  Pavol   Cristo  ; 
Però   che  *1  nostro  sdegno  è  molto  antico: 
Dunque  io  mi   dolgo  se   t'  ha  fatto  torto, 
E   molto  più  del   tuo  fratel  ch'ho  morto. 

XVIIl 

^   Ma  ciò  eh'  uom  fa  per  difender  la  vita, 
E   lecito,  e  d'  averne   discrezione  ; 
Perch'io  mi  vidi   la  strada  impedita, 
Io  feci  sol  per  mia  defensione  ; 
E  si  ben   ebbe  questa   tela  ordita. 
Che   gli  mutò  di  loro  opinione. 
Ed   accordarsi   di   conducer  quello 
Dov  era  la  lor  madre  in  un  castello, 

XIX 

Era   chiamata  la  madre  Creonta, 
E   Ganellone  innanzi   gli  è  menato, 
E   ciò  eh'  è  stato  ogni  cosa  si   conta, 
E   coni"  egli   abbi   il  figliuolo  ammazzalo  : 
E   mentre   eh"  ogni   cosa  si  raffronta, 
Evvi   un  pastore  a  caso  capitato. 
Quel  che  provvide  sì  tosto  al  capresto, 
E   riconobbe  ben   chi  fussi  questo. 

XX 

Quandegli  ha  inteso  ciò  che  si  ragiona, 
Che   Ganellone   in   career  fussi   messo  ; 
Sapeva   come   Orlando   è  in  Babillona, 
Ed   accostossi  quanto  potè  appresso, 
E   disse  :  Io  to  camparli   la  persona: 
Sappi  eh'  Orlando  è  in  Babillona  ;  adesso 
Io   vo  a  trovarlo,   e  sarò  presto   seco, 
E  son  colui  che  impiccai  colui   leco. 


]NT  O  U  (;  A  N  T  i:     INI  \  G  Cx  I  O  K  E 


Gan   fere   vista  non   1'  avrre   inleso, 
Terrliè  del  suo  parlar  nessun   s'  accorse  : 
!•'  fu  menato  a  la  pri}>;ion   di  peso, 
Peroliè  la  donna  era  riniasa  in  forse 
D'  nrciderlo  o   tenerlo  così  preso. 
Questo  pastor  la   notte  e  'I   giorno  corse 
Tanto,  cir  a  Babiilona   trovò   Orlando, 
E  del  suo  GanelloM   p;li   vien  contando. 

XXII 

E  dice   con  Rinaldo  :   Egli   è  dovuto, 
Al  mio  parer,    tu  cerchi   d'  aiutallo  ; 
Che.  per  mio  mezzo  a  le  man   gli   è  venuto 
Colui  che   li  rubò  già  il   tuo  cavallo: 
E  per  tuo  amore  anch'  io  gli   detti   aiuto, 
E  con  lui  insieme  mi  trovai  •'mpiccallo: 
E   di   questi   giganti  n'ha  morto   uno, 
Che  son  pur   tuoi  nimicft^  •  sallo  ognuno. 

XXIII 

Per  molte  vie  qui  la  ragion  vi  chiama 
Di  non  dover  costui  lasciar  morire, 
Che  pare   un  cavalier  di  molta  fama, 
Ed  ha  mostrato  d'aver  grande  ardire: 
Dunque  il   pastor  ben  ordina  la   trama, 
Bendi'  e'  sia  uso  gli   armenti  a  servire, 
E  star  co' tori   e  co' porci   in  pastura  ; 
Che  tor  non  puossi  quel  che  dà  natura. 

XXIV 

E  molto  piacque  il  suo  dire   a' baroni, 
E  feciongli   accoglienza   grata   e  festa, 
E  deltongli   cavallo   e   altri   doni, 
Massimamente   una   leggiadra  vesta; 
E   disson   che   tornassi   a'  suoi   slazzoni 
A  dir  che   la   brigala  fia  là  presta  ; 
E  confortassi   da  lor  parie    Gano, 
Che  presto  sare' liber,  lieto  e  sano. 

XXV 

Fecion  costoro  insieme  parlamento, 
Clie   si   dovessi  pur   Gatio   aiutare  : 
E  la  città  tutta  ordinoron  drento. 
Che  si   dovessi  a  governo  lasciare  : 
Poi  furono  a  cavallo  in  un  momento, 
E  parve   loro  il  meglio  andar  per  mare: 
E  vannosene  inverso  la  marina, 
E  il  gran  Morgante  a  le  staffe  cammina, 

XXVI 

E  portano  un   lion   nel   rampo  nero 
Ne   lo   stendardo   e  in   ogni    loro  arnese: 
Questo  fu  di  Rinaldo  un  suo  pensiero, 
Per  esser  là  a  l'  usanza  del  paese  : 
Arrivorno  ad  un  porto  forestiero  : 
Evvi  una  nave  slata  forse   un  mese 
Che   non   voleva   in   mar  mettersi    drenlo, 
Perchè '1  nocchier  eh' è  savio  aspetta  il  vento. 

xxvit 
L'  un  de'  padron  si  chiamava  Scirocco, 
E  l'altro  Greco  di  buona  dottrina: 
Questo  era  tanto  dolce,  eh'  egli  è  sciocco  ; 
Quell'altro   è   tristo  e   di  mala   cucina; 
Rinaldo  a  quel  eh'  è    tristo  dava   un   tocco  : 
Lievaci  tosto  e  pagati   e   cammina. 
Costui  levar  non   gli   vuol  per  niente. 
Dicendo  :  Il  tempo  reo  non  lo  consente. 


XXVIII 
E   poi   salvuni    me   fa( che    viuil    far,  prima 
Ch  egli  enlrin  drenlo,  insino  a  un  quattrino  : 
Morgante    gli    rispose  per   la   rima  : 

10  metterò  la   nave   e   te   a   bottino. 
QiH'slo  Scirocco  non   ne  facea  stima  ; 
Ma  "I    binino  e  '1   bel   come   Pavol   Benino 
Disse  a   Scirocco  :  Di    levargli   è  buono, 
Ch'  io  so  che  cavalier  discreli  sono. 

XXIX 

Morgante  fu  per  traboccar  la  nave, 
Quanilo   il  pie  pose  a  1'  una   de  le   bande, 
Tanto  era  smisuralo  e   sconcio  e   grave. 
Disse   Scirocco  :  Tu  se'  tanto   grande. 
Che  non   li   sosterrebbe   dieci   trave. 
Disse  Morgante  :   Aspetta  a  le  vivande  : 
Che   dirai   tu,   se  mi   vedi   a   scoito? 
E'  converrà  che  ci  sia  del  biscotto. 

XXX 

Come  il   Sol  sotto  a  TOcean  si  cela, 
Parve  a  Scirocco  che  buon  vento  sia, 
E  finalmente  la  nave  fa   vela, 
E  Greco  intanto  comanda   la  via  ; 
Lucca, la  luna  come  una  candela; 
Un   nngoluzzo  sol  non  si   vedla  : 
Con   gran   diletto  quella  notte   vanno. 
Che  del  futuro  miseri  non  sanno. 

XXXI 

L'altra  mattina  il  vento  traditore 
Salta  in   un  punto  a  la  nave  per  prua  ; 
Caricon  1'  orza  con  mollo  furore, 
E  vanno  volteggiando  im' ora  o   dna; 

11  vento  cresce   e  ripiglia    vigore, 

E  '1  mar  comincia  a  mostrar   l' ira  sua  : 
Cominciano  apparir  baleni   e   gruppi, 
E  par  che  l'aria  e'I  ciel  ci  ravviluppi. 

XXXII 

II  mar  pur  gonfia,  e  con  Tonde  rinnalza, 
E  spesso   r  una  con   l'altra  s'intoppa, 
Tanto  che  1'  acqua  in  coverta  su  balza, 
Ed  or  saltava  da  prora,   or  da  poppa. 
La  nave  è  vecchia,  e  pur  1'  onda  la  scalza, 
Tal  che  comincia  ad  uscirne  la  sloppa: 
Le  grida  e  'I  mare  ogni  cosa  rimbomba  ; 
Morgante  aggotta  ed  ha  lolla  la   tromba. 

XXXIIl 

I  marinai  chi   qua  chi  là  si  scaglia. 
Però  che   tempo  non   è  da  star  fermo. 
Menlre  che  '1   legno  in  lai  modo  travaglia, 
I   Cristian  forte   chiamavan   sani'  Ermo, 
Pregando   tutti   che  '1  priego  lor  vaglia. 
Che   debba  a   la   tempesta  essere  schermo  ; 
Ma  né  santo  né  diavoi   non   accenna, 
E  'n  questo  1'  arbor  si  fiacca  e  1'  antenna. 

xxxiv 
Gridò  Scirocco  :  Aiutaci,  Macone  ; 
Ed  albera  l'antenna  di  rispetto. 
Ed  a  mezzo  asse  una  cocchina  pone, 
E  per  antenna  è  1'  arbor   del   Iriiichetto  ; 
Intanto  un   colpo  ne  porla   il   timone, 
E  quel  eh'  osserva  percuote  nel   petto. 
Tanto  ch'egli   ha  la   nave   abbandonala, 
E  portai  morto  via  la  mareggiata. 


:{■; 


MORGAN  T  K      M  A  G  G  I  ()  I\  K 


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ih 


XX  \v 

Non  si  può  pili  la   rorrtiina   Irncrf, 
Cli' un   altro   gruppo   o{;ni  rosa   Incassa, 
E   la   iiic*/zana   ne   porla   più   a   bere, 
IJenrli'  ella  fusse    leiuprrata   bassa  : 
Subito   niisson   per  poppa   due   spere, 
K  '1  mar  pur  sempre   Ai   sopra   su  passa  ; 
K    non    s'  osserva    ilei    nocrlnVr  piti  il  fi«chit), 
l.i)n\e  avvien    sempre  in  un  estremo  ri>(l>io. 

XXXVI 

Era   cosa  rrudel   vedere   il  mare  : 
Alzava  spesso,  eli' un  monte   parea 
Che  si   volessi   a'  nu<:oli   a£<:uag,liare  : 
La  nave  ritta  levar  si   vedea, 
E  poi   soli"  acqua    la  prora  fiorare  : 
Talvolta  un' omla  si   forte  scolea, 
(he  ssretolar   si   srntia   la  carena, 
E   cigola   e  sospira  per  la  pena. 

xxxvii 
Come  un   infermo  si  rammaricava  ; 
E'I  mar  pur  rupahia,   e  i   del6n   si   vedieno 
Ch'  alcun    talvolta   la   schiena  mostrava  ; 
E   tutto  il  prato   di  pecore   è  pieno. 
Morgante  pur  con   la   tromba   aggottava, 
E  non  temeva  né  tuon  né  baleno, 
E  non   si   vuol  per  nulla  al   mare  arrendere. 
Che  non  credea  che  i  ciel  lo  possi  offendere. 

XXX  vili 
Orlando  s'  era  in  terra  inginocchialo, 
Rinaldo  e  Ulivier  piangevon  forte. 
Il  Veglio  e  Ricciardetto  s'  è  botato, 
Che  se  scampar  potran  sì  crudel  sorte. 
Ognun  presto   al  sepolcro  ne  Ca   andato  ; 
E  slavano   in   cagnesco  con  la  morte  : 
Ma  non  valeva  ancor  prieghi   né  voti, 
Tanlo  il  mar  par  che  la  nave  percuoti. 

xxxix 

Sentì  Scirocco  Vergine  Maria 
Un   tratto  ricordare   a   giunte  mani, 
E   disse  a  Greco   una  gran   villania, 
Dicendo  :  Adunque  questi  son   Cristiani  ? 
Però  non  va  questa   tempesta  via. 
Mentre  che  ci  saran  su  questi   cani  ; 
Questo  miracol  sol  Macon  ci  mostra 
Per  dimostrarci  la  gnoranzia  nostra. 

XL 

Non  domandar,  quand' e' l'udì  Rinaldo, 
Se  gli  montò  in  sul  naso  il  moscherino; 
E  preselo,   dicendo:  Sta  qui  saldo, 
Vedrem  chi  può  più.  Cristo,  o  Apollino, 
O  Macomelto,  pezzo  di  rubaldo  : 
Tu  dei  saper  notar  com'  un  delfino  : 
O  da  te  stesso  fuor  de  la  nave   esci, 
O  io   ti  gillerò  nel  mare  a'  pesci. 

xu 
Disse   Scirocco  :  Questa  nave  è  mia. 
Disse  Morgante  a  Rinaldo:   Ch'aspetti? 
Costui  si  vuol  cavargli  la  pazzia  : 
Io  il  gitlerò  ben  io,  se  tu  noi  getti. 
Rinaldo   gli  montò   la  bizzarria 
E   dettegli  nel  capo  due  buffetti, 
E  fecelo  balzar  di  netto  in  mare, 
E   la   tempesta  cominciò  a   quetare. 


Non   vi  fu  marinaio  né  ignun   eh'  a^di^^e 
Volger   verso   Rinaldo   sol    la  faccia  ; 
E  per  paura   il   mar  parve   ubbidisse, 
Perché   in   un   tratto  si   fece   bonaccia. 
Morgante  a  prua   del   Irincheltu   si  miste. 
E  fece  come  antenna  de  le   braccia, 
Ed  appicrovTÌ  la  spazzacuverla  ; 
Ed  è  si  forte,  che  la   tiene  aperta. 

Xf.III 

Greco  ridca  quand'  e"  vedeva  questo, 
E   tosto  inverso  la  prua  se  ne   venne, 
E   acconciò  se   nulla   v' é  di  resto; 
E   dice  :   Qui  non   bisogna   altre  antenne  ; 
E  forse  tu  non  fai   il  servigio  lesto  ? 
Né  anco   Orlando  le  risa   sostenne, 
E   dice  :   Porti  chi   vuol  per  rispetto, 
Che  c'è  r  antenna  e  l'  arbor  del  trinchetto. 

XLIV 

Dove  è  Morgante  non   si  può  perire  : 
Morganle   tanto  la   vela  portóe, 
E  1   vento  é  buono  che  volea  servire, 
Che  finalmente   la  nave  guidóe, 
Tanto   che  1  porto  comincia   apparire  : 
^  ero  é  eh'  alcuna   volta  si  posóe  : 
E  son   tutti   condotti   a  salvamento, 
Perch'  era  poco  mare   e  fresco   venlo. 

XLV 

Ma  la  fortuna  eh'  è   troppo  invidiosa, 
Fece  che  mentre  che  Morgante  mena 
A  salvamento  il  legno  ed  ogni  cosa, 
Subito  si  scoperse  una  balena, 
E  viene  verso  la  nave   furiosa, 
E   cominciò  a  levarla  con  la  schiena  : 
E  finalmente  V  are'  traboccata. 
Se  non  l'avessi  Morgante  ammazzala. 

XL%T 

Eravi   alcun  che  bombarde   gli  scocca  ; 
Ma  non  potevon  da  lei  ripararsi. 
Greco  diceva  :  La  nave  trabocca, 
E   credo  che  i  rimedi   sieno  scarsi  : 
E  pur  la  bestia  una  scossa  raccocca, 
Tanto  che  più  non  sapevon  che  farsi, 
Perché  la  nave  levava  su  alta: 
Se  non  che  addosso  Morgante  gli  salla. 

XLTII 

E  perch'  egli  era  mollo  presso  al  porlo. 
Diceva:   Poi   che  la  nave   ho  condotta 
Infino  a  qui,  s' io  restassi  ben  morto. 
Io  non   intendo  eh'  ella  sia  qui  rotta. 
Allor  Rinaldo  il  battaglio   gli  ha  porto  : 
Morgante  su  per  la  schiena  gli  trotta  ; 
E  col  battaglio  gli  dà  in  su  la  testa, 
Ed  ogni  volta  la  "ncartava  a  sesta. 

XLVIII 

E   tanto  e   tanto  in  sul  capo  percosse, 
Che   glie   l'ha  tutto   sfracellalo  e   trito; 
Donde  la  bestia   di   quivi  si   smosse, 
E  come  un  barbio  boccheggia  stordito, 
E   morta  si  rovescia  in  poche  scosse  : 
Morgante  prese  per  miglior  partito 
Saltar  ne   l'acqua,   e  irsene  a  la  riva. 
Però  che   1'  acqua   non   lo  ricopriva. 


M  0  1\  (V  A  N  T  E      MAGGIORE 


Greco  snrpeva  e  varav.i   la  barca  : 
Orlando  lo  pagò  corlesenieiUe 
Tanl»)  die  Greco  non  ^e  ne  rainmarca  ; 
li   rilornossi   in  drieto  preslamenle 
Tra  pochi   giorni   d'  allre  merci   carca 
I-a   nave  :  intanto  Morganle  possente 
A  poco  a  poco  a  la  riva  s'  appressa, 
Tanto  che  i  pesci  non  gli  fan  più  ressa. 

i. 
Ma  non  polca  fuggir  suo  reo  destino: 
H'  si  scalzò,  quando  uccise  il   gran  pesce  : 

ÌEra  presso  a  la  riva   un   granchiolino, 
E  morsegli  il   lallon;   costui  fuor  esce, 
Vede  che  stalo  era  un   granchio  marino  ; 
Non  se  ne  cura:    e  questo  duol  pur  cresce; 
E  cominciava  con   Orlando  a  ridere, 
Dicendo:  Uu  granchio  m'ha  voluto  uccidere, 

LI 

Forse  volca  vendicar  la  balena, 
Tanto  ch'io  ebbi  una  vecchia  paura. 
Guarda  dove  fortuna  costai  mena  ! 
RimmoUasi  più  volte  e  non  si  cura, 
Ed  ogni  giorno  cresceva  la  pena, 
Perciiè  la  corda  del  nervo  s"  indura  ; 
E   tanta  doglia  e  spasimo   v'  accolse. 
Che  questo  granchio  la  vita  gli   tolse. 

LII 

E  così  morto  è  il  possente   gigante; 
E   lauto  al  conte   Orlando  n'  è  incresciuto, 
Che  non  facea  se  non  pianger  Morganle. 
E   dice  con  Rinaldo  :   Hai   lu  veduto 
Costui   ch'ha  fatto  tremar  già  Levante? 
Aresti   tu  però  già  mai  credulo 
Che  così  strano  il  fin  fussi   e  sì  subito? 
Dicea  Rinaldo  :  Io  slesso  ancor  ne  dubito. 

LUI 

E'  mi  ricorda,  sendo  a  Montalbano, 
Quel   di   che   noi   vincemmo  Erminione, 
Che  fece  còse  col  battaglio  in  mano 
Ch'  erano   al  tutto  fuor  d'  ogni  ragione  : 
Di  Manfredonio  sai  eh'  ancor  ridiano, 
Quando   e'  v'  andò  per  riavei   Dodone  ; 
E  che  ravvolse  Manfredonio  e  quello 
Nel  padiglion,  che  parve  un  fegatello. 

LIV 

Il  di  che  difendea  Meridiana, 
Gli   vidi   tanta  gente  intorno  morta. 
Glie  non  fu  cosa  al  mio   parere  umana: 
Ma  dimmi,  a  Babillona   a  quella  porta 
'Vedestu  mai  però  cosa  sì  strana? 
Pensavi   lu  sua  vita  così  corta  ? 
E' mi  fé' ricordar  quel  dì  di   Giove, 
Quando  i  giganti  fer  l' antiche  prudve. 

LV 

E   dissi  :  Certo,  se  Morgante  v'  era, 
Tu  ti   saresti  ancor.   Giove,  in  Egitto 
Con  Bacco  trasformalo  in  qualche  fera, 
Che  costui  certo  t' arebbe  sconfitto: 
'  Ma  non   sarà  tenuta  cosa  vera 
■  Da  chi  lo  troverà  in  futuro  scritto; 
Che  io  che  '1  vidi  non  lo  credo  appena 
Di  questo,  né  d'  uccider  la  balena. 


Che  maladeltn  sia   tanta   sciagura  : 
()   vita  nostra   debole  e  fallace  ! 
Così  piangea  la  sua   disavventura: 
Ma   sopra   tutto  ad   Orlando    dispiace  : 
Ed   ordinò  di   dargli   sepoltura, 
Che  spera   che   nel   ciel    l'alma   abbi  pace; 
E   terminò  mandarlo  a  Babillona, 
Ma  prima  imbalsimar  la  sua  persona. 

LVII 

Ed  ebbe  tanto  mezzo  con  1'  ostiere, 
Dove  e' si   son  più    giorni   riposati, 
Cile   gli   faceva   del   balsifiio   avere, 
Ed   ha    lutti   i   suoi   membri   imbalsimali  : 
E  fecelo  secreto  a  quel   tenere, 
E   diegli   al  modo  lor  cento  ducati; 
Tanto  eli'  a  luogo  e   tempo  e'  lo  raandóe 
A  Babillona,   e  quivi  I'  onoróe. 

LVIII 

E'  si   chiamava  Monaca  ov'  è  il  porto. 
Dove   Orlando  e  costoro  alcun  dì   stanno: 
E   r  oste  dice  :  Per  un  die  fu  morto, 
A  edi   che  qui   grandi  armale  si  fanno  : 
la   verità  che   gli   fu  fallo   torto; 
Ma  penso   le  vendette   si   faranno  : 
Lo  mperador  di  Mezza  è  qui  signore, 
E   veste  il  popol  nero  per  suo  amore. 

LIX 

Un  suo  figliuol  chiamalo  Mariolto 
Era   andato   in   aiuto   del  Soldano  ; 
E   come   a  Babillona  fu  condotto, 
L'  uccise   Spinellone   un   gran  pagano, 
E   fassi  per  costui   tanto   corrotto  ; 
Vero  è  che  '1  gran  signor  di  Montalbano 
V'era   ed  Orlando  ed  altri  di  sua  setta; 
E  sopra  questi  si  cerca  vendetta. 

LX 

Mentre  che  1'  oste  così  ragionava. 
Vi  capitò  colui  che  fa   l'armata, 
Can   di   Gattaia   un   giovan  si  chiamava, 
E   domandò  chi  sia  questa  brigala  : 
Orlando  disse   a   Can  che   domandava, 
Ch'  eran   di  Persia,   e  gente  disperala 
Ch'  amico  non  conoscon   né  compagno, 
Ma   van   cercando  ventura  e  guadagno. 

LXI 

Diceva  Can  :   Quanto  soldo  volete  ? 
Disse  Rinaldo  :    Per  cento  baroni 
Ognun  di   noi,  se  contento  sarete. 
Rispose   Can  :  Per  cento  gran  poltroni  : 
Per  Dio  die  '1  soldo  che  voi  mi  chiedete. 
Che  mi  parete  cinque  mascalzoni, 
Sarebbe  troppo  a  Rinaldo  ed  al   Conte 
Che  sono  il  fior  del  sangue  di  Chiarmonte. 

LXII 

Disse  Rinaldo  :  Solda  chi  ti  pare  ; 
E   torna  con  1'  ostessa  a  ragionarsi, 
Però  eh'  eli'  era  bella,  e  fassi  amare, 
E  stava  con  lui  molto  a  motteggiarsi: 
E  fece  un  suo  stendardo  sciorinare 
Dove  il  lion  ch'io  dissi  può  mirarsi: 
Questo  lion  fu  veduto  in  effetto. 
Ed  allo  'mperador  presto  fu  dello. 


M  O  K  fì  A  N  T  E      M  A  G  G  l  0  I\  K 


A  rasa  un  osle,  detto  Cliiariune, 
Sono   arrivati  riiiqnr   viamiaiiti, 
K   ))ort.iii   per    inverna    il    luu   liiine, 
K   non   sappiaiii   se   si   sono  afriranti. 
l.o  'inperailore   a   certi  servi    impone  : 
Menate}:li  qui   presi    tutti  quanti  : 
K   rtii   non   vuol   di   lor   venirne  preso, 
Recateneio  a  forza  qui   di  peso. 

i.xi\ 
Ginnsono  a   V  oste   questi   Saracini, 
K  cre«lonsi   lepar   cinque   ravretti, 
()  pij;liar  (juesti   come  pecorini 
Sanza   arme   con   le  punte  de   pli   aglietti  : 
A'oUe  a  Uinaldo   un   por  le  mani   a'  crini, 
E  crede  die  costui  il   cappello  aspetti: 
Rinaldo  si  disserra  ne   le   braccia, 
I£    con  uu  pugno  morto  appiè  sei  caccia. 

i.xv 
L'altro  che  aveva  una  bacchetta  in  mano, 
Dette   con   essa  a   Rinaldo  in   sul   volto, 
Dicendo  :  Che  fai    tu   pollron   villano  ? 
Adunque   tu  non  credi,  matto   e  stolto, 
l'bbidir  qui    lo  'mperador  pagano  ? 
Rinaldo  presto   a   costui   si   In   volto, 
li   ciufTalo  per  modo  ne   la    gola. 
Che  r  affogò  senza  dir  mai  parola. 

IXVI 

Eravene  wn   che  pon  le  mani   addosso 
Al  conte  Orlando:  Orlando  un  poco  il  guata, 
E  poi   in   un   tratto   da   costui   s'  è   scosso, 
E  dettegli  nel    viso   una   guanciata 
Che  gli  brucò  la  carne   insino  a  V  osso, 
E  cerca  se   la   sala   è  ammattonala  : 
Intanto   Ricciardetto,  th'  a  ciò  bada, 
E    Ulivier  lirorno  fuor  la   spada. 

LXVII 

Il   Veglio  il  mazzafrusto  adoperava, 
E  non  ischiacria   V  ossa,   anzi  le  nfrange  : 
Orlando  Durlindana   alfin  pigliava. 
Tanto  eh' ognun   che  laspetta  ne  piagne: 
L' un  sopra  Tallro  morto   giù  balzava: 
Beato   a  chi  mostrava  le  calcagne  : 
Che  tutti  gli   aircttaVan  come  rape, 
Tal  che  più  morti  in  sala  non  ne  cape. 

LXVIII 

Lo  mperador  sentì  come   va  il  giuoco: 
Subito  veime  beiie  accompagnalo. 
Rinaldo  ritornalo   s"  era  al   fuoco: 
Orlando  sta   a   la  porla   giù   appoggiato  : 
E  perch   egli   era  pur  ferito   un  poco 
Rinaldo,   tutto  pareva   turbato, 
Che  non  son   usi  esser  lor  tocco  il  naso, 
E  minacciava  e  sbuffava  del  caso. 

LXIX 

Ecco  il  signor  con   molta  sua  famiglia  : 
Orlando  non  si   muove  da   la  porta  : 
Subitamente   uu   dePasnn   bisbialia  : 
^  edi  colui   che   la   tua   genie  ha  morta. 
Orlando  al  Saraciu   volge   le   ciglia 
Con   una   guatalura   strana   e    torta, 
Tal  che   lo  "mperador  n'  ebbe  paura. 
Che   gli  pareva   un   uom   sopra  natura. 


E  rimutossi  di  sua  opinione  ; 
I  Ch'  Orlando  molto  ne  gli  occhi   era  fiero  ; 
Tanto  eh'  alc«in   autore  dice  e  pone, 
Ch'egli  era  un  poco  guercio,  a  dire  il  vero; 
E  salutollo  e   dissegli  :  liarone, 
Qual  fantasia   l' lia  mosso  o  qual  pensiero 
Venire  a  far  la  mia   gente  morire, 
E   non   voler  chi   governa   ubbidire  ■' 

I.XM 

Se  tu  se'com'hai   detto   Persiano, 
Tu   dei    venire  a  far  qua   tradimento  ; 
O    verameiilc   se' qualche   Cristiano, 
(E  forse  qualche   cosa  già  ne  sento) 
Tu  potevi   venir  con   oro  in  mano 
A   ubbidire,  e  restavo  contento: 
Se  tu  venissi  qua  per  farci   inganno. 
Fa  che   tu  pensi   aifm  che  fia   tuo  il   danno. 

I.XXII 

Q'iel  che  tu  liai  fatto  io  me  ne  dolgo  forte, 
E  forse  punirofli   del   tuo   errore 
Di  que'l'agani    a   chi   data   hai   la  morte. 
Rispose.  Orlando  :  Famoso  signore. 
Tutti  saremmo  venuti  a  la  corte 
Per  fare  il   nostro   debito  e  ì   tuo  onore, 
A  visitar  la   tua  magnificenzia. 
Se   avessi  avuto   tanla  pazienzia. 

LXXIII 

Ma   tu  ci  mandi  a  1"  albergo  a  pigliare 
Come  ladron'  eh"  lianno  con  loro  i  furti  ; 
Non  ci   lasci   due  dì  sol  riposare, 
Ch"  appena  nel   tuo  porlo_saviuwiiirti  : 
Se  Macon  certo  ciò  veniva  a  fare, 
Morto  r  aremmo  co"  morsi   e  con   gli   urli. 
Più  tosto  che  venir  come  ladroni 
A  corte  in  mezzo  di  cinque  ghiottoni. 

I.XXIV 

Che   noi  siam  Persiani  abbi  per  certo  : 
Cercando  andiam   de  la  ventura  nostra^ 
E  non  sapiam   s'  ella  è  più  in   un  deserto, 
Che  in   un   giardino  o  ne  la   terra  vostra  : 
E  già  mollo  disagio  abbiam   sofferto, 
Andiam  per  quella  via  che '1  ciel  ci  mostra, 
Né    tradimento  facciamo   a  persona  : 
Io   lascio  or  giudicare  a   tua  corona. 

•  r.xxv 

Lo  mperador  gli  piacque  Orlando  tanto 
Quanto   e' sentissi   uoiu  mai  parlar  discreto, 
E  disse:    Io  so   eh  i'ho   trascorso   alquanto: 
Ma  se  voi  andate  a  la  ventura  drielo. 
Io  vo  cercando   doglia  angoscia  e  pianto, 
E  non  ispero  mai  d'  esser  più  lieto  ; 
Io  ho  perduto   tutto  il  mio  conforto 
D"  allora  in  qua  che  '1  mio  Ggliuol  fu  morto. 

IJCXVl 

E  benché  tutto  il  mondo  qua  in   aiuto. 
Come   tu  vedi,  venga  a  mia  vendetta, 
Che  vedi   il  popol  già  che  e'  è  venuto, 
E   tante  navi   in  punto  qua   si  metta; 
Non   riarò  però  quel   eh'  ho  perduto 
Con   tulto  il  mio   tesoro  e   la  mia  setta  ; 
E  vestirò  pur  sempre  oscuro  e  negro, 
.Come   tu   vedi,   e  nini  più   sarò   allegro. 


MOKG  AN  T  K     MAGGIORE 


I.XXVII 

Salvo  s'io  sarò  mai   di   lanlo  sazio, 
r.h'  io  possa  al   conte   Orlando  trarre  il  core, 
Io  ne  farò  per   certo   tale   strazio, 
Ch'esemplo  fia   d' oj^ni   altro  percatorC} 
Se  mi  darà   Maron   tanto   «li   .s])azio  : 
Cile  sento  die  si  sta  (jiiel   traditore 
In    Baliillona   in   gran   trionfo   e  festa, 
Eli  io  pur  piango   in  questa  scura   vesta. 

I.NXVIII 

Or  lasciam  questo  :  se   In    vuoi   venire 
A  corte   tu  con   la   tua   compagnia 
A  starti  meco  insino  al   tuo  partire, 
Io   ti  farò  per  Macon   cortesia, 
E  ciò   ch'ho  sia   ttio,   sanza  più  dire; 
Forse  che  quivi  tua  ventura  fia. 
Orlando  il  ringraziò   di  quel   di' ha  detto, 
L   tornasi  a  Rinaldo  e  Ricciardetto. 

LXXIX 

Uryi  fancMilla,  che  il   lor  oste  aveva, 
Medicava  Rinaldo;   e  perch' eli' era 
Mollo  gentil,  Rinaldo   gli   diceva 
Che  la   voleva   tot  per  sua  mogliera. 
Di  giorno  in   giorno  V  armata  cresceva  : 
Re   di  Murrocco  con  sua  gente  fera. 
Vestili   di   catarzo  duro  e   grosso. 
Era    venuto  e  pareva  Minosso. 

LXXX 

E  dì  Caverla  un  feroce  Amostante, 
Ch'  aveva  molta  turba  e   gran  canaglia, 
Chiamato  da  la   gente  Leopante  : 
E   tulli  i  cavalier'  suoi   da  battaglia 
Eran  coperti   d'  osso  d'  elefante, 
Ch'era  più  duro  che  piastra  oche  maglia; 
Ed   im   lion  rampante   molto  fiero, 
Come  Rinaldo,   avea  nel  campo  nero. 

r.xxxi 
E  per  ventura  passò  per  la   strada 
Di   Chiarion   dove  dimora  Orlando, 
Ed  alcun  par  che  dinanzi   gli   vada 
Certi   stormenti   al  lor  modo  sonando  : 
A  lo   slendardo  di   Rinaldo  bada, 
E  di  chi   e'  fossi   venia   domandando  ; 
E  n   su  "n  carro   da  quattro  destrieri 
Facea  tirarsi  più  che  i  corbi  neri. 

LXXXII 

E  disse  :   Chiarion,   dimmi  chi   sia 
Colui  che  porta  così  il  mio  stendardo  ? 
Orlando  gli  rispose:   Se   tuo  fia, 
lo   tei  darò,   se   tu  sarai   gagliardo. 
Disse  il   Pagan  :   Tu  mi   di'  villania  : 
Egli  è  pur   gentilezza  aver  riguardo 
A  queste  cose,  e   tu   il  debbi  sapere, 
E  che  porti  ciascun  le  sue  bandiere. 

Lxxxni 
Io  vo'  saper  donde  tu  1'  abbi  avuto 
Questo  stendardo  ;  e  slu  V  hai  guadagnalo, 
Tu  puoi  portarlo,  che  questo   è   dovuto: 
Ma   tu  m'hai  viso   d'averlo  rubato 
Più  tosto  che  d'averlo  combattuto. 
Orlando   disse:  In   Persia   l'ho  acquistato: 
Or  ti  rispondo  a  quelT  altra  parola. 
Ch'io  non  son  ladro,  e  menti  per  la   gola. 


LXXXIV 

Rispose  Leopante:   Ed  io  rispondo 
Cile  tu  se' ladro  e  tristo,  e  ch'io  non  mento; 
ILd    Amostante  son   degno  e   giocondo, 
K   miglior   uom   di   le  per  ogni   cento: 
K   non  fare'  Macon   né   tutto   il   mondo 
<'lie    tu  spiegassi  il  mio  slendardo  al   vento: 
II»   vo'  che   tu    il    guadagni   con   la   lancia 
Slu  fossi  ben   de'  paladin'  di   Francia. 

I,xxxv 
Orlando  non   are'  temuto  il   cieloj 
Né   Giuppiler,   quand'  egli   era   bizzarro  ; 
Rispose:   Egli   é  ben  ver  più  che 'I  Vangelo 
Che'  pazzi   come   te   vanno  in   sul  carro  : 
Io   vocile  chi  mi    morde  lasci   il  pelo; 
Ed   oltre  a  questo  la  bocca   gli   sbarro: 
Esci    del    carro,    e    monterai   in    arcione, 
E  provereni   di   chi  sarà   il   lione. 

LXXX  VI 

Dismonlò  con   grand'  ira  il    Saracino, 
E  montò  presto   sopra   un    gran  cavallo  : 
Orlando  fece  sellar   Vegliantino, 
E   non   istette  pel  freno   a  pigliallo  ; 
Anzi   saltò   di    terra    il   paladino. 
Tanto   eh' ognun   correva  là  a  guardallo: 
E   Leopante   ammirato  ne  resta, 
E  posono   amendue   la  lancia  in  resta. 

LXXXVII 

Ricciardetto  e  Rinaldo   e  Ulivieri 
E  'l  Veglio   tutti   intorno  sono   armali  ; 
Ognun   guardava  questi   cavalieri 
Per  maraviglia   e  stavan   trasognali. 
L'Amoslanle   ed   Orlando   co'  destrieri 
Io   queslo   tempo   si   sono   accostali  : 
Le  lance  parvoo   due   trombe  di   vetro; 
Poi   si   rivolson  con  le  spade  addietro. 

LXXXVIII 

Lo'mperadore   avea  questo  sentito, 
E  per  veder  coslor  provarsi   venne  ; 
E  sopra  un   bel  giannetto  era  salito,  y 

Che  non   correva,   anzi   batte   le  penne  : 
Orlando  Leopante   ha   già  ferito 
Tanto,  che  spesso  gran    doglia  sostenne  ; 
Pur  nondimen   tutta  voi  la   s'  arrosta, 
E  con   la  spada  facea  la  risposta. 

LXXXIX 

Rinaldo  eh' era   un  diavolo  incantato, 
E   vuol  sempre  veder  cose   terribile. 
Diceva  :  Pure   tu   non  se'  adirato. 
Al  conte  Orlando,  o  far  non  vuoi  il  possibile. 
Orlando  s'era  per  questo  infocalo, 
E  facea  cose  che  non  son  credibile. 
Dando  al  Pagan  con  sì  fatta   tempesta. 
Che   in  su  1'  arcion  gli  batteva  la   lesta. 

xc 
Leopante  era   tra   cattive  mani: 
Non   sa   che  quella  spada   é   Durlindana, 
Che   tanti  n'ha  già  morti   de'Pagani  ; 
E'  si  pentea   de  la   sua  impresa  strana  : 
E   dopo  molti  colpi  assai   villani, 
Volle   veder  come  la  strada  è  piana  ; 
E   cadle   tra  sue   genti   in   terra  morto; 
E  cosi  ebbe  del   lione  il  torto. 


MOI\(.ANTK     MA(i(iIUK  l 


XCI 

Così   vinse   la   forza   la   raj^ionr, 
Cile  opiii    volta   uon    >i    vuol   diffuiicre  : 
li   savio   sempre   fojige   la   qtiislioiie; 
K<1    è   pur   hrlla   rosa   il   luomlo   intendere, 
laro   rhe   Lcopante   or*   ha   il    lione, 
r.lie   con    la   lancia   It»   volle  oonleniiere  : 
La   lancia   è   rolla,   e   la    vila   gli   co!.ta  ; 
C."lii   cerca  briga,  ne   Iruova  a  sua  posta. 

E' si  levò  tra'Saracin' gran  pianto 
Vergendo  cosi  nuirto  il  lor  signore, 
E  fu  portato  a  seppellire  :  e  "nfanto 
Un  piovinelto  eh'  avea  e;rau  valore 
Fra  tulli  i  Sararini,  esce  da  canto, 
E  dice  :  Perch'  io  fui  suo  servidore, 
Da  poi  che  non  c'è   ij::;nuu  che  qua  si  niella, 

10  vo"  del  nuo   signor  far   la   vendetta. 

Xilll 

To    ti   disHdo,   tu   che   V  uccidesti. 
Orlando   disse  f  La   L)atla{>lia   accello  : 
Ma   perchè   meco   giovine  saresti. 
Combatterai   con   questo   giovinetto. 
Bendi'  io   mi   credo    tu  m  avanzaresti  ; 
E    disse  :   Fatti   innanzi,   Ricciardetto. 
E  Ricciardello  accettò  volentieri, 
E  sanza  altro  parlar  volse  il  destrieri. 

xciv 
E   l'uno   e   l'altro   insieme   riscontrarsi: 
Ma   Ricciardetto   al   fin   la   sella    vota. 
Che   non   potè   dal    colpo  Cero   atarsi, 
Si   forte   par  che   lo  scudo  percuota  : 
I    Pagan"  cominciorno    a   rallegrarsi  : 
Ma    Ulivieri  si   batte  la    gola, 
E  volle  vendicar   lui   Ricciardetto, 
E   disfidava  questo  giovanetto  : 

xcv 
E   ritrovossi   in  fin  fuor  di  Rondelle. 
Armossi    il   Veglio   allor   de   la  montagna, 
E   con   la   lancia   si   scontrò   con   quello  : 
Tanto   cir  al   fin   la   morte   vi   guadagna  ; 
Però   che    l   Saracin  pose    a  pennello, 
E  passò  r  arme   che  parve  una  ragna  : 
Non  si  poteva  por  quel   colpo  meglio. 
Poi  eh'  egli   uccise  un  sì  famoso  ^'eglio. 

xcvi 
Quando  Rinaldo  cadere  ha  veduto 

11  Veglio  suo  che  lauto  amava  in  vita, 
Parve  del  petto  il  cuor  gli  sia  caduto: 
L'  anima   sua   nel   ciel   si   rimarita  : 

Al   conte   Orlando   egli   è   tanto  doluto, 
Che  per  più   di  parea   cosa   smarrita  ; 
E   fu   mandalo   a   Babillona   questo 
A  seppellir,  come  Morganle,  presto. 

XCVII 

Rinaldo  si  sfidò  col   giovinetto. 
Che  1  Veglio  aveva  morto  a  mano  a  mano 
Con  tanto  sdegno   e  con    tanto    dispello. 
Che   giurò   d"  ammazzar  questo  Pagano  : 
Ruppon   le   lance   T  uno   a  l'  altro   al  petto. 
Poi   s'  affrontorno  con   la   spada   in   mano, 
E  lutto  il  popol  ragunato  s'  era 
A   veder   la  battaglia   acerba   e  fera. 


11   Sar;i(  ino   era   mollo   gagliardo  ; 
F    sopra   r  rimo  percorse   Rinaldo 
Tal,  che  in  sul   collo  cadde  di  Oaiardo, 
I''    con   fatica    si   sostenne   saldo. 
(^)rlando,  qu.tndo    al    colpo   ebbe   riguardo, 
Sudò   più    volle,   e   non    gli   facea   cablo  : 
Rinaldo  si   riz/ò   pur   fin-ilnteute, 
E   bestemmiava    il   ciel   devotamente. 

xfix 
E  trasse  co»   lanl*  ira  allor  Fru-brrla, 
Che   se   non   che  1   Pa^an   lo  scudo   alzava, 
Quando   vide   la   s]iada   andare   a    T  erta, 
E    conobbe   il   furor  che   la   portava, 
Rinaldo   gli   are'  allor   la    lesta   aperta  '. 
l'iovò   lo  scudo   e   nello   lo   tagliava  ; 
L"  elmo   sonò   com'  una   cemmaniella, 
E   come  morto   uscì   fuor   de  la  sella. 

e 
E   gran    romor    tra' Saracin' si    leva. 
Rinaldo,  poi   che   gli  passò  il  furore, 
Di   questo   giovinetto   gì"  in<resceva. 
Perchè  conobbe   in    lui   mollo   valore, 
E   che   quel  fussi  morto   si   credeva  : 
Subito   sal'a   fuor   del  corridore  : 
Lo 'mperador  gridò:   Non   gli  far   torlo. 
Non  lo   toccare  ;  e'  basta  oh'  egli  è  morto. 

CI 

Disse  Rinaldo  :  Per  lo  Dio  Marone, 
Ch'  assai  m' incresce   costui   morto   sia. 
Che  mai   non  monterà  forse  in   arcione 
Un   uom   sì   degno   in    tutta    Paganìa  : 

10  vo'  cercar  per  la   sua   salvazione 
Qualche   rimedio   s'  alcun   ce   ne   fia  : 
Ed   abbracciollo,   eh'  era   in    terra  steso. 
Poi  nel  portava  a  T  osteria  di  peso. 

cu 
E  fu  da    lutto  il  popol  commendalo  : 
Quivi   lo   pose   a   giacere   in   sul   letto, 
E   il  polso  in  ogni   parte    ha   stropicciato; 
E   così  fa  il  Marchese  e  Ricciardetto, 
Tanto  eh'  aIGn   s'  è    tulio  risveglialo 
A  poco   a   poco  questo   gioviuetlo  ; 
E   risentito,   caramente   abbraccia 
Rinaldo,   e    nsieme   si    baciorno  in   faccia  ; 

CUI 

E  chieson   l'uno  a  l'altro  perdonanza. 
Orlando  pone  mente   una   sua   spada. 
Come  di  cor  magnalmo   è   sempre  usanza, 
Veder   coni"  ella   pesa   o   s'ella  rada: 
Fargli  che  sia  da  uom  d'  alta  possanza, 
E  di  vedere  il  pome  poi  gli  aggrada: 
Guardando  il   pome,  Je^Ller  vi   vedea, 
E  per  diletto  quelle  ancor  leggea. 

civ 
Le  lettere   dicìen  come  costui 
Era   nato   del   sangue   di    Chiarmonte  : 

11  perchè   Orlando   ritornava   a   lui 

Al  letto,   e  domandò  con  umil  fronte, 

Se  si  ricorda  degli  antichi   sui, 

Come   dicevon   le   lettere  pronte: 

Glie  gliel  dicessi,  sei  priego  era  onesto. 

Che  sol  pel  ben  di   lui   vuol  saper  questo. 


M  0  I\  Cr  A  N  T  K      INI  A  G  (  T I  O  l\  K 


Epli  rispose  :   Gentil  cavalieri, 
L.i  madre  mia  chiamala   è  Rosaspina, 
Ed   io  mi  cliiamo  por  nome   Aldiiigliiori, 
E   gcnerommi,  dice,  a   la  marina; 
Del  padre  mio  non   lio  i   termini  interi, 
Perdiè  non   fu  di  stirpe  sara<!Ìna  ; 
Ma  quel  clic   inteso  n'  lio   da  la  mia  madre, 
Da  Rossiglion  Gherardo  fu  il  mio  padre. 

evi 
Per  che  cagion  tu  vuoi  ch'io  te  lo  dica, 
Non  vo' cercar,  ma  parmi  un   uom  gentile; 
Né  per  piat^erli  mai  mi  fia  fatica 
Esaudire  il  tuo  priego   tanto  uuìi'le  : 
Di   Chiaranionte  è  la  mia  schiatta  antica, 
E  non   è  sangue  che  sìa  punto  vile, 
Ma  forse  il  più  gentil  eh'  al  mondo  sia, 
E  tiene  in  Francia  regno  e  monarchia. 

cvit 
Rinaldo  quel   gran  sir  di  Montalhano 
Di  questo  è  nato,  e  quel  famoso  Orlando 
Di  cui  fa  tanta  stima   Carlo  Mano, 
Gh'  altro  pel  mondo  non  si    va  parlando  ; 
E  lungo   tempo  n'  ho  cercato  in  vano 
Di  questi   due  baroni,   e  vo  cercando  : 
E  tanto  in  ogni  piarle  ceicheróe. 
Che  innanzi  la  mia  morte  io  gli  vedróe. 

CVIII 

E  se  ci  fussi  ignun  di   loro  stato, 
Quando  tu  mi   gittasti   del  cavallo, 
So  che  m'  arebbon  di   te  vendicato. 
Orlando  non  poteva  più  ascoUallo, 
Per  tenerezza  è   tutto   travagliato  ; 
E-  tutti   cominciavono  abbracciallo  : 
Perchè  1  Pagan  veggendosi  abbracciare. 
Quel  che  ciò  fussi  gliel  parca  sognare. 

cix 
E  disse  :  In  cortesia  ditemi   tosto, 
Per  che  cagion  sia  tanto  abbracciamento.?. 
Orlando  innanzi   a  tutti   gli  ha  risposto  : 
O  Aldinghier,  quanto  son  io  contento  ! 
In  quanta  pace  ogni  mio  affanno   è  posto  '. 
Quanta  dolcezza  drenlo  al  petto  sento! 
Ecco  color  di  chi    tu  vai   cercando: 
Questo  è  Rinaldo  nostro,  io  sono  Orlando; 

ex 
E  questo  è  Ulivier  nostro  parente, 
Quest'altro  è  Ricciardetto   tuo  cugino. 
Quando   Aldinghier  queste  parole   sente, 
Dicea  fra  sé  :   Qual  grazia  o  qual  distino 


D'aver  costor   trovati   qui   consente! 
Abbraccia   Orlando  degno  paladino, 
E   Ulivier.   Jlinaldo   e   Ricciardetto, 
E  per  letizia  fuor  salta   del   letto. 

CXI 

Gomincia  a  ragionar  di  Carlo  Mano, 
E   del    Danese  «[uanto   sia  gagliardo, 
Glie  lo  conobbe  ([uando   era  pagano  : 
Gomincia  a   ragionar  del  suo   Gherardo, 
E   dice  :  Io  intendo  al  tutto  esser  Cristiano, 
E  rinnegar  Macon   no.-tro  bugiardo  ; 
E   in  Francia  bella  con   voi   vo'  venire, 
E   cosi  sempre   vivere  e  morire  : 

CXII 

Egli   è  qui   tra  costor   di  mia  brigata 
Dieci  mila  a  cavai   sotto  mio  segno: 
Lo  mperadore  apparecclua  1'  armata 
Per  vendicar  del  suo   figliuol  lo  sdegno  ; 
E  contro  a  voi   la  furia  è  apparecchiata  ; 
Io  mi  parti' con  questi  del  mio  regno, 
Perchè   senti'  savate  a  Babillona, 
Per  ritrovarmi  là  con   voi  in  persona. 

CXIIl 

Ed  ho  mandate  lettere  segrete 
A  dirvi   come  qua  si  fa  appareccliio  ; 
Non  so  se  voi  ricevute  1'  avete, 
O  se  ciò  pervenuto  v'  è  a  1'  orecchio  ; 
Costor  minaccian,  come  voi  vedete, 
Come  involti  v' avessin  tra '1  capecchio: 
Se  noi   vogliam,  questa  città  fia  nostra 
Con  la  mia  gente  e  con   la  virtù  vostra. 

cxiv 
Rinaldo,  e  tu  per  tutta  Paganìa 
Sete  tanto  temuti   e  nominati. 
Che  come  il   grido   tra   la   turba  fia, 
E' fuggiranno   tutti  spaventati; 
Non  son  costor  guerrier',  ma  son   genia  : 
Sempre  al  principio  assai  si  son   vantati, 
E  hannovi  in  un  solcìo  i  paladini, 
Poi  fuggon  tutti  come  i  spelazzìni. 

cxv 
Rinaldo  gli  piacea  questa  pensata, 
Ed  Aldiogliier  vieu  sua  gente    assettando: 
In  questo  tempo  giunse  un'ambasciata, 
Come   lo  'mperador  mandato  ha  il  bando, 
Che   tutta  in  piazza  sia  la  gente  armata, 
E   tutto  il  popol  si   veniva  armando. 
Come  ne  l'altro  dir  vi  sarà  detto: 
Di  mal  vi  guardi  Gesù  benedetto. 


•^SÌiS!SSi^Ct>^^.s.ÌB    "  " 


Mou canti:     M AC.C.IOUK 


CAINI  O     \\l 


9 


ARGOMENTO 


■■^%^ 


N. 


uorc  per   man  d'Orlando   il  re  Murroccu, 
Sì   corona  Aldin^hìrri  impcradore  ; 
Partono   a  salmr   (inno,   e  don   di  brocco 
""A   un  Castel,   che  Creonta  /la  per  signore; 
F.   le  sue  guardie  e  i  figli  in  gran  trahocco 
Jl/uoinn  di  stragi  e  sangue;  ella  non  muore, 
/.'   nel  Castel  gli  chiude,   ma   frattanto 
Malagif^i  disfà  lei  e  V  incanto. 


->HC<K<?* 


D, 


io   ti   salvi,  Maria,   di   grazia  piena; 
11    Signor   lece  in   sempiterno  sia, 
O    benedetta,   o  santa,   o  Nazzarena, 
Fra    tutte  V  altre  donne  tu  Maria, 
Sanza  la   qual  la  mia  barcbetta  arrena, 
Se  non  aioli  nostra  fantasìa. 
Che  inaino   a  qui   fatta  hai  tanto  veloce  : 
Non  mi   lasciar,   eh'  io  veggo  ornai  la  foce. 

II 
I  forestieri   e  tutti  i   terrazzani 
Ognun  si  rappresenta  in  su  la  piazza  : 
Era  a   veder  la  ciurma  de  Pagani 
Cosa  parte  mirabil,  parte  pazza  : 
Mai   non  si   vider   tanti   uomini   strani 
Di   tante  lingue   e   d'  ogni  nuova  razza. 
Disse  Rinaldo:   In  piazza   ce  n'andiamo, 
E  tutta  questa   gente  sbaragliamo. 

Ili 
Mettono  in  punto  Tarme   e  i  lor  destrieri: 
Lo  "mperador  fa   intanto   dicerìa  : 
Clii   si   vanta  di   voi,   buon"  cavalieri, 
Di   vendicarmi  da  la  ingiuria  mia, 
Io   gli   darò   città   die   fieno  imperi, 
E   sempre  ara   di  qua   gran  signorìa. 
Genie   e  tesoro,   a  tutte  le  sue  voglie, 
E   la   mia  figlia  sposerà  per  moglie. 

IV 

Levossi  ritto  il   grau   Can  di   Galtaja, 
E   disse  :  Io   sarò  quello,  imperadore  ; 
Che  s'io   dovessi   ucciderne   a  migliaja, 
Al   conte   Orlando   vo'  cavare  il  cuore  : 
E   così   gli    altri   ognun   si   vanta   e   abbaja 
Uccider  pure  Orlando  il   traditore  ; 
E  alza  il  sangue  in  parole  due  braccia, 
E  clii  più  teme  è  quel  che  più  minaccia. 


Rinaldo   in   su  la  pi.i//.i   il   primi»   viene. 
Can   di    (ìallaja   come   1   ha   veduto. 
Disse  :  lìaron,   s'  io   ti   conosco  bene, 
Ch'ai   soprassegno   l  he»  riconosciuto; 
Per  Macometlo.   ancor  rider  mi   tiene, 
Che   tu   credevi    e"  ti  fossi   creduto 
A    chieder  soldo   con   (jualtro  poltroni 
A   misura  di   crusca   o   di   carboni. 

VI 

Disse  Rinaldo:   S'io  chiesi  per  cento, 
A   questa   volta   io   ne  vo'  due  contanti  : 
V.   s'  egli   è  ver  quel  che  <la  molti  sento, 
Tu   se' fra   questi   il   primo  che   li   vanti 
Di   far   tante   vendelle,  o  fuYnmo,  divento: 
Se  vuoi   giostrar  con  meco,  fatti   avanti. 
Can   di   Galtaja  come  questo  inlese. 
Turbato   tutto  una  gran  lancia  prese, 

VII 

E  va  inverso  Rinaldo  acceso  d'ira. 
Rinaldo  riscontrò  questo  arrabbiato: 
Al   corzaretto  gli  pose  la  mira, 
E  '1   collo  con  la   lancia   gli  ha  infilzato 
Sì,   che  pel  gorgozzul   1'  anima  spira. 
Lo 'mperador  di  ciò  mollo  è  cruccialo, 
E  dice:  Troppe  volte  offeso  m'hai, 
Ma   d'  ogni  cosa  te  ne  pentirai. 

vili 
Disse  Rinaldo  r  A  non   tenerti   a  tedio. 
Io  son  Rinaldo  quel    di  Chiaramonle, 
Venuto  per   tuo  danno  e  per  tuo  assedio  : 
E   quest' è  quel  famoso  Orlando  conte, 
Coiitra  al  qual   sai   che  non  arai  rimedio  ; 
E  questo  è  Ulivier  che  t'  è  qui   a  fronte  ; 
E   questo   è  Ricciardetto  mio  fratello; 
E   Aldinghieri  è  a  me  cugino  e  a  quello. 

IX 

Tutti  sarete  morti   a   questo   tratto  : 
Né  prima  ebbe  Rinaldo  così   detto, 
Che  cominciò  a  fuggir  quel  popol  matto. 
Lo  "mperador  sentendo   tale  effetto, 
Subito   disse  come  stupefatto  : 
Può  far  questo  fortuna   o  Macometlo? 
Piglia   del  campo  come  reo  nimico, 
Ch'  i'  ho  a  purgar  più  d'un  peccato  antico. 

,x 
Rinaldo  si  voltò  pien  di  furore, 
E  ritornato  a   drieto  assai  più  fiero, 
Si   riscontrò  col   dello  imperadore. 
Che  non  islima  più   vita  né  impero; 
E  con  la  lancia  gli  passava  il  cuore; 
E  ritrovò  il  grau  Can  poi  in  cimitero  : 
Or  qui   tutta  la   turba  si   sbaraglia, 
E  cominciossi  una  crudel  battaglia. 


M  0  l\  (  i  A  N  r  \'\     M  A  (;  i\  \0\\  K 


E    Aldin^liier   roii   Mia    <>,oiilc    il.»   «Irrnlo  ; 
Vj    I   colile   Orlando   la   iiirredìliil   cose, 
E    Ulìvier  non   serba   il    sno   ardiinenlu  ; 
Né   Ricciardello    il    suo   cerio    nascose: 
Ma    in  piceni   Icmpo  il  j;ran  furor  In  spento, 
r.lic  vcf!;>;ciiilo   lanl'  armi   san<!;iiinose, 
E   ricordare   Orlando   e    Ulivieri 
E   I  jìrenze,  ognun    si   In^fie   volentieri. 


Xll 


E   per   arroto   Orlando   aveva   morto 
Ne    la    Lialla^lia    il    j;ran   re   di    Miirrocco: 
Questo  fu  quel  che   die   tanto  sconforto, 
t^lie  '1  popol   si  fngf!,!   bestiale  e  sciocco. 
Ojjiuin   la  nave  sua  rilrnova  al  porto, 
Sanza   aspettar  più   t!;reco,  die   scirocco  ; 
E  "n   (jiiesto   modo   finiva   la   {;nerra  ; 
E   i   Cristian  nostri   piglioron   la   terra. 

xui 
E  nel  palazzo  ove    lo  'inperio  slava 
Vanno   Rinaldo,   Orlando  e   Aldinj^liieri 
E   Ricciardetto   e   Ulivier   v'  andava, 
E   di   Rinaldo   nn   gentile  scudieri 
Il   qual  con  Aldinijhier  si   battezzava, 
E  (la  costoro   è   ciiianiato   Rinieri  : 
E   battezzati  questi   hanno  ordinato 
Che  Aldinijhier  sia  imperador  chiamalo: 

XIV 

Renelle  Aldinghier  per  nulla   non  voleva. 
Poi   battezzar  quell'oste   Chiarione, 
E    una   bella  fi<iiia  ch'ewli   aveva, 
Che   medicò   con   tanta   affezione 
Rinaldo,  e  ristorar   costei   voleva  ; 
E  per   ventura   Greco  il   lor  padrone 
Cile   gli   condusse   già  per  la  marina, 
Vi   capitò,  quel- di   buona   dottrina. 

XV 

E   come  e' fu   dismontalo   di   nave, 
Senti  come  costor  sou   coronati, 
E  che   tenìen  de   l'imperio  le  chiave: 
Non  si  pentì  che   u;li   aveva  onorati  ^ 
E   con  ])arole  benigne  e  soave 
llmileniente   «li   ebbe   vicitati, 
Dicendo,   come   s;jvio   uomo  e   discreto, 
Di   lor  prosperità   troppo  esser  lieto. 

XVI 

E  abbracciato  fu  sì   alle;2;ramente, 
Come  se  fossi   lor  carnai  fratello  : 
Rinaldo  presto  gli   corse   a  la  mente 
Di   dar  la   figlia   del   lor  oste  a  quello, 
E  dissegli  :  Fanciulla  mia  piacente, 
Ascolta  e   ntendi   ben  quel  eh'  io  favello  : 
lo   ti  promessi   di   tor  per  isposa , 
Questa  sarebbe  a  me  impossibil  cosa, 

XVII 

Ch'  i'ho  lascialo  altra  mogliera  in  Francia, 
Ma   voi  che  Greco  qui   tuo   sposo  sia; 
E   darolti   tal  dota  e  sì  gran  mancia, 
Che  sempre  ognun   di   voi   contento  Ga. 
Un  poco  rossa   si  fece  la   guancia 
Quella  fanciulla,  poi   gli   rispondia 
Ch'era  contenta   a  le  sue   giuste   voglie: 
E   così   Greco    la   tolse  per  moglie. 


Ma    innanzi    che    la   lolga    e   battezzalo: 
Rinaldo    gli    donò   poi    tanto   avere, 
Che   del   servigio   I'  ha   ben  meritato. 
E   sanza    navigar   potrà    godere. 
Però  questo   pioverbio    è   pur  jirovato, 
(.Ile   non   si    perde    mai    nessun    j»iacere  ; 
K   beneir  a   molti    iiom   serva   sanza  frutto, 
Per   mille   ingrati    xm   sol    ristora    il    tulio. 

xix 
Poi  fecion   Chiarion  governatore 
Di    intio   il   regno,  che   si   ricordorno 
(lie  di  sua  povertà  fé' loro   onore: 
E  riposali   in   Monaca   alcun   giorno, 
Per  aiutare   in  fin  quel   traditore 
Del  conte   Gan,  da   Ini   s' accoinmialorno  : 
E   non   potrebbe   lingua   o  penna   dire 
Qual  fussi   il  jìianto   in   questo   lor   partire. 

x.x 
Piangea  il  padron   che  pareva  battuto; 
Piangea   la   dama   dolorosamente  ; 
Piangea  l'oslier,  ch'assai  glie  n'è  incresciulo; 
Piangeva   1   popol    lutto   unitamente  : 
Piangea  Rinaldo,   e   non   sare'creduto  : 
Piangeva   Orlando   e '1  Marchese  possente; 
Piangeva  Ricciardetto   e  Alilinghieri  ^ 
Piangeva  insino   al  jiovero  Rinieri. 

XXI 

Ma   gli   autor  si   scordan  qui   con  meco: 
Chi   vuol   che   Greco   al   governo  restassi, 
Chi   di(;e   Chiarione  e   Greco  seco, 
E  l'uno  e   l'altro   insieme   governassi: 
Ma  a  mio  parere  è   Chiarion,   non   Greco, 
Acciò  eh'  ognun  Rinaldo  ristorassi, 
E  perch'egli  era  de  la   città  nato, 
E   de"  costumi  lor  più   ammaestrato. 

XXII 

Orlando  e   gli    altri  insieme  se   ne   vanno 
Tanto,   che  son  presso   a   Castelfalcóne, 
E   due  pastori   appresso   trovati   hanno: 
L'  «no  era  quel   che  mandò   Ganellone 
A  Rabillona,   e  gran  festa  gli  fanno: 
E   domandar  se   Gan   vivo   è  in  prigione, 
O  s'egli  è  morto,  o  quel  ch'era  seguilo, 
Se  lo  sapeva,  o  quel  che  n'ha  sentilo. 

XXI  II 

TI  paslor  disse  eh'  egli   è  vivo  e  sano 
Ne  la  piigion,  ma   con   assai   disagio; 
Poi  prese   del  cavai  la  briglia  in  mano 
D'  Orlando,   e   tutti   gli  mena  al   palagio 
Dove  slava  il  paslor  che  impiccò   Gano, 
Dicendo:  Qui   solea  star  quel  malvagio 
Ch'  avea   il    corsier  di   Rinaldo  imbolato  : 
Noi  c'imbucammo  com' e' fu  impiccato. 


Quivi   son  tulli   i   Cristiani  smontati  : 
E  i  paslor  certi   capretti    uccidie'no, 
E  certi  lor  lallonzi  hanno  infilzati. 
Del   latte   v' è  da  versarsi  pel  seno: 
I   destrier  son  come   lor  vezzeggiali  ; 
Gran   sacca   d'orzo  e   gran  fasci   di  fieno. 
Rinaldo  disse:  Al  mio  date   orzo  e  paglia; 
E   poi   si    dice   cavai   da    battaglia. 


1. 


MOUO  AìSTl.     M  AC.  e.  lOP,  I 


Quivi   TTi.inpiornn   r    riposarci   nlqii^nto. 
(Vlaiulo   qor'pastor    vini    iliiiii.-iii<l.tnil<i 
(.unir   il    ca'-ti'l   piuliar   si   po>.>>i    intanto. 
I    pasldr    tulio    vriiirn    <iisr|rii.iii(io 
(.cinir   giiaril.'ilo   --ia    da   nuni    ranin, 
IC   p«T  5ci   porle    vi   si    virile   ciilranilo, 
K   (><:ni    porla    a   »na   <li(rii»ioiir 


F.   la    lor  inaHr»',   rliiamatj    Crfoiila, 
r.oiii' un    ftra{;on    eli    nn^liioni   avea   affil.ili  , 
Harlinla    e   guercia    e   mali/ìo.'-a   e   pronta  : 
K   5enipre   aveva   spiriti   incintali. 
K   par  piena   di   rabbia,   d   ira    e   d'onta; 
I'    j)er  paura   non    è   rlii   la    guati, 
l'ilosa    e   nera,    arrirciata   e   rrinola, 
(ili   orchi   di  fuoco   e    la    lefta   tornnla. 

xwii 
Mai   non   si    vide    pio   sozza   fiiinra, 
Tanto   eli"  ella   pareva   la   ver.-iera, 
E  Satanasso   n'  arebbe  paura, 
E   Tesifone   ed    Aletlo   e   Mf::era  : 
E   gran   fatica   fia   drenlo   a   1  •  mura 
Entrar,   per   questa   spavenlevol   fiera  : 
E   de'  giganti   ogni    cosa   contavano. 
Di  lor  costumi,  e  quel  che  in  man  portavano. 

XXVIII 

Or  questo   è   quel  ch'a   Rinaldo  piaceva  ; 
Quanto  e'  senlla  più  cose  oscure  e  sozze, 
E   dove  far   qualche   mischia   credeva, 
E'  gli  pareva  proprio  andare   a    nozze  : 
Non   domandar   come   il   cuor   gli   cresceva, 
E   dice  :    Se   le  man   non   mi    son   mozze, 
Io   ne  farò   come    torso   di   cavolo  ; 
Vedrem   chi  fia  di   noi   m.Tggior   diavolo. 

XXIX 

Non  mangia  a  mezzo,  che  sellò  Daiardo. 
Orlando   e   gli   altri   seguitavan  quello: 
Rinaldo   se   ne   va   sanza   riguardo 
Subito   a   una   porta   del    castello. 
Fecesi   incontro   im   fier   liou    sanlinrdo 
Che   si   pensava   abboccare   uno    agnello. 
Rinaldo   e   gli   altri   eran   tutti  smontali, 
E  i  cavalli   a  Rinieri  avevon   dati. 

XXX 

Questo  lion   di   terra   un   salto  spicca, 
E   a   Rinaldo  si   scagliava   addosso; 
I   fieri   artigli   ne   lo  scudo  ficca, 
La  bocca  aperse,  e"l  capo  un  tratto  ha  scosso: 
Rinaldo   un    colpo   a   le   zampe    gli    appicca, 
E    tagliagli  la   carne,  il    nervo   e   l'osso; 
Donde  il  lion   die  in   terra  de  la  bocca: 
Allor  Rinaldo  a  la  testa  raccocca, 

XXXI 

E  spiccò  il  capo   de   Io  'mbusto   a  questo, 
E   morto   si   rimase   in   su   la   soglia. 
Disse  Aldinghieri  :   lo  mi  ti  manifesto: 
l'ccider  vo' quest' altro,  ch'io  n'ho  voglia. 
Rinaldo   gli  rispose  :   Uccidil   presto. 
Acciò   che   non    ti   dessi    affanno   e    doglia. 
Dunque   Aldinghier  non   dicea   pig   parola. 
Ma  missegli   la   spada   ne   la   gola; 


XXXII 

E   riuscì   la  punta    ne   le  rrnr. 
sviando   disjc  :    Il    terzo   nccidr<»   i«». 
Ecco   il    lion   che  invrrxi   ini    or    viene, 
E  "ngiuorchio«»i    mansueto   e   pio  : 
Orlando   Durliudana   sua   ritiene, 
E    disse:    Questo   è  mislerio   di    Dio; 
Seguite   me,   che')   ciel    <i    «jiignr   drento, 
E   non    arem    da    gli   altri   impedimento. 

XXXIU 

E   così   fu,   elle   il    lion   si   rizzava, 
E    tutti   gli   altri   detton    lor   la   via, 
E   quello   come   scorta   innanzi   andava. 
Orlando   inverso   i    giganti    ne    f:.ia  : 
Maravigliarsi  :  e   1"  un   di    lor  parlava  : 
(he   gente   è  questa,   e   dimde   entrata  fia  '^ 
Può   fare    il   ciel    eh'  i    lion    non  gli  iidissino, 
E    tntt' a   sei   ad    un   otta    dormissioo  ! 

XXXIV 

Questo  mi   par  pure   il   più   nuovo  raso. 
Subitamente   uscir  fuor   del    palazzo  : 
Fecesi   innanzi    1   un   eh'  è   sanza   naso, 
E   va   inverso   Rinaldo   come    un   pazzo. 
I.a   barba    hmga    aveva    e  "I    capo   raso  : 
Rinaldo    guarda   quel    viso   cas;nazzo, 
(]he    non   parea   né   d' uom    né   d'animali, 
E   disse  :    Dove   appicchi    tu   gli   occhiali  ? 

XXXV 

O    con   che   fiuti    tu   1   anno   le  rose  ? 
Tu  par  bestia   domestica    a    vedere. 
Que^to   gigante  a    Rinaldo  rispose  : 
Io   lei   farò,    ghiotton,    tosto   sapere. 
Rinaldo   un   colpo  a   la  zucca  gli  pose 
(h'arebbe   ben    dimezzate   le  pere: 
E    cacciagli  Frusberta  insino  a   gli  occhi. 
Tanto  che  merlo   convien    che   trabocchi. 

XXXVI 

fonie   e"  fu   in    terra   questo   fa^tellaccio, 
L"  altro  s"  avventa   addosso  ad   Aldinghieri: 
Aiille   menargli   d'  un   suo   bastonaccio  ; 
Ma    e' prese   un   salto   che  parve  un  levrieri, 
E   schifa   il   colpo,   e  menavagli   al   braccio, 
Tal   che  se   sa   schermir   gli  fa  mestieri  ; 
E   netto   lo   tagliò   rome  mellone, 
E   cadde   in    terra   il   braccio   col   bastone  ; 

xxxvii 
E   anche  poi   il   gigante  per  la   pena. 
Aldinghier  quando  lo    vide  caduto, 
Subitamente   un   gran   colpo   gli   mena: 
Al    collo   del   gigante   s'  è  abbattuto, 
E   con  la   spada   tagliente   lo  svena. 
L'altro  fratel    come  questo   ha   veduto, 
Si   scaglia   a   Ulivier   di   furia   acceso, 
E  abbracciollo,   e  portanel  di  peso, 

XXXVTII 

Come  farebbe   il  lupo  nn  pecorino  : 
Ma  1   buon  pastore   Orlando   lo  soccorse, 
E   disse  :    Posa,  posa,   Saracino, 
Posalo  giù:   tu  non  credevi  forse 
(he  fossi  presso   il    guardian    ne  "1  mastino? 
Di    che   il   gigante   per  ira   si   morse. 
Che '1  sangue  a   Ulivier  voleva  bere; 
Ma  per  paura  sei   lascia  cadere. 


]M  O  Px  G  A  N  T  E      MAGGIORE 


X\XIX 

Ulivier  ritto  si  levò  ili   terr.i, 
E   trasse  a  quel  Pa{;an   con   AUaclnara, 
E   ne   la   trippa  mia  pillila  disserra, 
Dieeiulo  :  Tu  Iterai   la  morie  amara: 
E   roti  ([liei   colpo  morto  ^iìi  V  atterra  ; 
E  bisof^nò  che   trovassi   la   bara. 
Eran   già  morti   tre,  rcslavane  uno 
Cli'  era  più  fiero  e  forte  che  nessuno. 

xr. 
Orlando  disse:   La   battaglia  è  mia, 
E    tocca  a  me  quest'altro  che  ci   resta: 
E'I  fer  gigante   pien   di   bizzarria 
D"  un   mazzafrusto   gli   tliè   in    su   la   testa, 
Glie  poco  men  eh'  Orlando   non   cadìa. 
Gridò   Rinaldo:   E  anco   tua  fia  questa 
l^irchiata,  com' hai   detto  la   battaglia: 
Non  se'tu  Orlando,  o'I  brando  più  non  taglia? 

XLI 

Allora   Orlando  lo  scudo  abbandona, 
E  '1  pome  de  la  spada  appoggia   al  petto, 
E  'nverso  il  Saracin   sé  stesso  sprona, 
Quando  e' sentì  quel  che  '1  cugino  ha  detto, 
E   terminò  passargli   la  persona: 
Giunse  la  punta  al  bellico  al  farsetto 
Ci»'  era   di  ferro,  e  ogni  cosa   infilza  ; 
E  passò  il  ventre  e  '1  fegato  e  la  miìza  ; 

XLII 

E  riuscì  di  drieto  un  braccio  o  pine 
11  brando  che  di   sangue  è  fatto  rosso, 
E  questo  pilastron  rovina   giue, 
E  mancò  poco  non   gli   cadde  addosso  : 
Se  non  ch'Orlando  molto  destro  fue, 
E  parve   che  '1   terren   si  sia  riscosso  : 
De  la  qual  cosa  in   gran  superbia  monta 
La  fiera  madre  incantala  Creonta. 

XLIII 

Corse  al    romor  coni' una  spiritala: 
Prese   Aldinghieri,  e   tulio  lo  deserta 
Con  ali  imghion,  come  una  bestia  arrabbiata. 
Travolge  gli  occhi,  e  la  bocca  avea  aperta 
Non   fu  tanto  Eritou  mai   infuriala  : 
Rinaldo  1'  aiutava  con  Frusberla  ; 
Ma  di   tagliarla  la  spada  s'  iiifigne  : 
Allor  Rinaldo  la   gola   gli  strigne. 

XLIV 

Ella  aveva  Aldinghicr  ghermito  in  modo, 
Che  sare'  me'  abbracciare  un  orsacchino, 
E  jiorlanelo  a  forza,  e   tiello  sodo  : 
Orlando   gli  ponea   le  mani   al   crino. 
Ma   non  poteva  ignun  disfar   tal   nodo  : 
E    Aldinghier   gridava   pur  meschino  ; 
Io  credo  che '1  diavol  m'abbi   preso, 
E  ne  lo   inferno  mi  porti   di   peso. 

XLV 

Orlando  allor  gli  jnena  de  la  spada, 
Ma   iiidrieto  si   ritorna  Durlindana, 
Quantunque  ella  sia  forte,   e  eh'  ella  rada. 
Dicea   ridendo   la   donna  pagana  : 
Voi   date   al  vento  i   colpi,  o  la  rugiada, 
A  ferir  me,  ch'ogni  fatica   è  vana: 
Non  ne  potete  aver  di  questo  vello 
Per  nes'^im  modo  o  uscir  fuor  del  castello. 


Orlando   tutto  allor  si   raccapriccia, 
E   vede  clic  costei   gli   dice   il    vero  : 
A    lutti   in  rapo  ogni   capei   s'  arriccia, 
Veggendo  quel    dcmon   cotanto   fiero, 
La  faccia  brulla   alTumicata   arsiccia  : 
Non   si   dlpigne   tanto  il    diavol   nero, 
Quanto  ha  Creonta  la  lana   e   la  pelle: 
E  più  terribil  voce  che  Smaelle. 

XLVII 

Ella  vedeva  innanzi  i  figliuol   morti  : 
Pensa  quanto  dolor  la  misera  abbia, 
E   come  questo  in  pace  mai   comporti, 
Massime   avendo   i   suoi   niniici   in   gabbia  : 
Poi   si   ricorda  di   mille  altri    torti 
Pur  de' suoi  figli,  e  per  grand' ira  arrabbia, 
Come   fa   Salai  del    cadimento, 
Ch'  udendol  ricordar  par  si  contento. 

XLVIII 

Poi  diventò  più  che  Niel  gentile  : 
Non  parve  piìi  Beritle  o   Saliasse 
O   Squarciaferro  :   anzi   si   fece   umile  : 
Né  creder  come  Hocco   tartagliasse: 
Che   come  Nillo  parlava  sottile: 
Non  par  Sottin  che  in  francioso  parlasse: 
Non   t)bisiii  ]>er  certo  a  la    favella, 
O  Rugiadan  che  ne  porta  1'  anella. 

XLIX 

E  non  parea  nel   suo  parlar  Rilette, 
Cile  violò  il   mandai  con   certe  chiocciole; 
O   Astarot  che  nel   cavallo  slette, 
E  sotto  un  besso  gittò   tante  gocciole  : 
Non   Oratas,  quel   che  i  pippion  ci   dette. 
Tanto  ben  par  che  sue  parole  snocciole  ', 
E   Aldinghier  lasciò   tutto  dolente, 
E  cominciò  a  parlar  discretamente. 

L 

lo   vi  perdono,  io  vo' con   tutti -pace, 
Tanto  m'  aggrada   vostra   gagliardia, 
E   libero  sia  Gan  come  vi  piace; 
Disposta   son   non   vi  far  villania  : 
De'miei  figliuol   quantunque  e' mi  dispiace, 
Altra   vendetta  non   vo' che  ne  sia. 
Se  non   che  mai   di   qui  non   uscirete, 
E  fate   tutti  ciò  che  far  sapete. 

LI 

Era   ciascun  tutto  maravigliato, 
E   trasson  di  prigion   subito  Gano, 
Ch'  era  in   una   cisterna  incarcerato 
Ne  l'acqua   in  hiogo  molto  oscuro  e  strano: 
E  come  e"fu  di  prigion  liberato, 
E' pose  presto  a   la   spada  la  mano, 
E  vuol   Creonta   a   ogni  modo  uccidere, 
E  finalmente   e' la  vedeva  ridere. 

Lll 

Orlando   e   Ulivier  si   riprovorno, 
E   gli  altri  se  potessino   ammazzalla  ; 
E   molli   colpi   a  la  donna  menomo  : 
Ella  rideva,   e  i  lor  pensier  pur  falla: 
Alcuna  volta  a  la  porla  n' andorno  ; 
Quivi  persona  non  era  a  guardalla. 
Ma   per  su  stessa   come   ignun   s' accosta, 
Si  riserrava  ed  apriva  a  sua  posta. 


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I.IV 

Eli   a   l'aripi   presto   a    Astolfo  scris.'-c 
Che   Slibilo   venirsi    a    Montalliaiio  : 
Astolfo   per   rainmin    lo^to   si   misse, 
Tanlo   che    torca   a   Malgip;!    la   mano: 
Quale   oj;ni   cosa   di   punto   gli   disse, 
Kd    .iccordàrsi    ttilli    a   mano   a   mano, 
(jiiirciardo,   Alartlo    ire   a   trovar   costoro  ; 
Per    la   (|tial   cosa   Aiilea    volle   ir  con   loro, 

I.V 

Dicendo  :    Io   rivedrò  Rinaldo  mio. 
E  ])oi   <lie    moiri    giorni   sono  andati. 
Anzi    volali    come   fa    il   disio. 
Tre   cavalier   Pagani    hanno   scontrali, 
E   salutarci   nei    nome   di   Dio. 
L' un   di  costor  coni' e' si  son   trovali, 
Guardava   pur   d   Astolfo   il   suo   cavallo, 
E   non   si    veri^ognó   di  domandallo. 

IVI 

Era  chfamato   il   Sararin   Lioml)rnno, 
Nipote   di   Mar>iIio   re    di   Spagna: 
E   dice  :   Mai   cavai   non   vidi   alcuno 
Che   non   avessi   in   sé  qualche  magagna, 
Salvo   eh'  io   n'  lio   pur   oggi    veduto   uno, 
E  'nlendo   che   con  meco   si   rimaglia. 
Diceva   Astolfo:    Odi  pensier  fallace! 
Quanto  più  il  lodi,   tanto  più  mi  piace  ; 

LVII 

Ecco  rh'  ognun  questo  cavai  vorrebbe. 
Ah   disse  Liombrun  :  Tu  non  vuoi  intendere. 
Diceva   Astolfo  :    E   chi    t'  inlenderelilie  ? 
Disse  il   Pagan  :    Chi    ti   facessi   scendere"? 
Rispose   Astolfo  :   Più   di   me  potrebbe; 
X)   sili  noi    vuoi   giurar,   donar  né   vendere, 
Vo'  che   tu   r  abbi    con   la  lancia   in   mano. 
Prendi   del   campo,    allor   disse   il   Pagano. 

Lvni 
Sanza  più  dir,   rivoltati   i   cavalli, 
Abbassaron  le  lance   con   gran  fretta  ; 
Ma  perché  la  sua  regola  non  falli, 
Astolfo   si    trovò  sopra   1' erbetta 
Tra   mille   odori   e  fior  vermigli    e   gialli. 
Alardo  che '1   vedea  :    Si*  maladelta, 
Diceva,   Astolfo,   la   tua   codardia  : 
Mai   più  cadesti,  per  la  fede  mia. 

LIX 

Liombrun  il   cavai  voleva   allora. 
Alardo  disse:  Io  credo   tu   il   torcesti; 
E' e"  è  di  mollo   via  sassosa  ancora: 
Vedi  che  non  se'  oca,    e  beccheresti  : 
E'  ti  convien   con  meco  giostrar  ora  : 
E  stu  m  abbaiti   vo"  clie   tuo  si  resti  ; 
Ma  non  istimo  come  lui  cadere, 
t-h' io  non  ismouto  prima   eh"  a   l'ostiere. 


Liombrimo   di^se  :   Tu   f.ii    villanìa  ; 
Ma    non    la   slimo,  per<  1/  io   non    lì   prezzo 
Vi-ggiam   rome    tu   smonti    a    V  «isteria  : 
Tu   ne   potre>li   scen<ler   prima    un   p«-/7.o  ; 
Piglia   del   campo   e   disridato   sia, 
Cir  i«t   so   «li    chi   sar.i   il    «av.il    da    sviz.it. 
Alardo    si    volt«'i   si    «Irslro   «•    snello. 
Cile   ben   ])area   di   Rinaldo   fratello. 

i.\« 
Ah,   disse   Anlea,   e"  si   conos«'e   bene 
La   pr(ulczza   «lei    sangue   di    (".hiarmodte. 
Or  ecco  Liombrun   che   inuan/i    viene, 
E   con   le   lance  si    tr«)vono   a   fronte  ; 
Ma   il   Saracin    iV  Alardo   non   sostiene 
Il   colpo,   eh'  egli   aria  passati)   un   mimlc  : 
La   lancia   gli    trapassa   il   cor  pel    mezzo, 
E   morto   cadde    tra'rioretli   al  rezzo. 

I.XII 

Diceva    1'  un   C(ui    1'  altro  sua  compagno  : 
Questo  sarebbe    lro])po   a"  paladini: 
Qui    è  poca   «  ivanza   e   men    guadagno  ; 
Costor   n«>n    son   per  certo   Saracini  ; 
E  sarà   buon   mostrar   loro    il   calcagno  ; 
E   ritornarci    ne"  nostri   confini  ; 
Feciono,   c«une   e'  disson,    tosto   e  netti); 
Però  cJie    lolson   su  presto   il   sacchetto. 

LXIII 

Astolfo  si   lenea  vituperalo, 
Massimamente   perdi'  e'  v'  era    Antea  ; 
E '1   me' che  può   del   cader  s'è   scusato; 
Onesto   destrier   eh'  io   cavalco,   dicca, 
Da  poco   in   qua   restìo   è   diventato  ; 
Mentre   la   lancia   c«)rrer  mi   credea. 
Mi    dibattè  perdi'  e'  giocò   di   schiena  : 
Io  mi   lasciai  cader  giù  per  la  pena. 

LXIV  ^ 

Diceva  Anlea  :  che   ti   bisogna  scusa  ? 
Non  ho   io  bene   ogni   cosa   veduto? 
E  se  tu  fossi  pur   cascalo  e*  s'  usa. 
Guicciardo,  poi  che  mollo  ebbe   taciuto, 
Non  potè  più  tener  la  bocca  chiusa, 
E   disse:  Mai  più,  Astolfo,   se' cadulo? 
Questo   cavai   si    vorrebbe   impiccare. 
Che   mille   volle   t'  ha   fallo  cascare. 


Malagigi    tagliava   le  parole  : 
Astolfo  sopra   il   suo   cavai  rimonta. 
Cavalcono  a  la  luna    lauto  e  al  sole, 
Che   capilorno   al   caste!   di    C'reonta. 
Maigigi   cerio   incanto,   come   e' suole. 
Fece   a    1'  entrar,   che   1'  arte   aveva   pronta; 
E  innanzi   a   tulli   gli   altri  fa  la  scorta, 
E   dove  e'  giugne  s'  apriva  ogni  porla. 

LXVl 

Giunsono  in  piazza,  e  l'abbrarciate  fanno. 
Non   conosceva   Aldinghier  Malagigi; 
E'  gli   dicìen   come   trovato   I    hanno, 
E   che   volevon   menarlo   a    Parigi  ; 
Poi    di   Creonta   tutto  ciò   che   sanno. 
Maigigi   guarda   i   sui    brulli    vestigi, 
E   lei   pur  lui,   e  par  piena   d'angosce; 
Che  r  un   diavol   ben   l'altro  conosce. 


ÌM  O  R  O  A  N  T  K      M  A  (i  (>  I  O  K  E 


Dioca  Mal<;i{»;i:   Io   ero  a  Montalhano, 
E   vidivi  qua   liilli   in   gran   porlj;lio, 
E  mandai  per  Astolfo   a  mano   a  mano, 
E   d'  aiutarvi   facemmo  consif^lio  : 
Rinaldo  intanto  tcnea  per   la   mano 
Aniea,  «'ho  '1  volto  avea   tutto  vermiglio, 
ì'j  sente  amaro   e  dolce,    e  freddo  e   caldo, 
K  non  si  sazia   di   guatar   Rinaldo. 

Lxvni 
Percliè   intendiate,   seguitava   poi 
Malaigi,   e'  ri   sarà   da  far  pur  mollo, 
Disse  colui   che  non   serrava  i   biu)i, 
Ma   l'oche,  e   già  lo  ncastro  aveva   lollo  : 
Questa   crudel   con  certi   incanti  suoi 
(Diciam  più  pian   ch'io  la  veggo  in  ascolto) 
Ha  falla   certa   immagine    di   cera, 
<'>omi'  colei   eh    ha   1'  arie   liilta  intera  : 


E   lì   «erla  jiarle   sia   di  quei  palagio, 
E   un   dragone   ajipresso  v'  è  a   guardalla  : 
Tanto  è,   che  più   «li   lei  sarò  malvagio: 
Ma   questa   <lonna   bisogna  piglialla 
E   tenerla  qui    tanto,   eh'  a   beli'  agio 
lo  possa   quest'  immagine   guaslalla  : 
E  nel   guastar  questa  figura   orribile 
Vedrete   a  costei  far  cose   terribile. 

LXX 

Rinaldo  sol  con  meco  ne  verrà, 
Che  mi   bisogna   un  conq)agno  menare, 
E  con   la   spada  il   dragone  uccidrà  : 
Or  oltre,    tempo  non   è  qui   da  slare. 
Orlando  inverso  Creonla  ne  va, 
(.hf   cominciava   gli   occhi  a   sfavillare, 
E   far  certi   caratteri   già  in   terra  ; 
E  Ulivieri  e  gli  altri  ognun  1'  afferra. 

LXXl 

A   gran   fatica   tener   la  polJe'no. 
Ella  meltea   talvolta  certe  strida, 
Che  par  che   de   lo  inferno  proj)rio  sieuo. 
Malgigi  intanto  Rinaldo  su   guida. 
Dove   getta  il   dragon  fuoco  e   veleno, 
E  dice  :  Quanto  può  presto  1'  uccida. 
Rinaldo,   sanza   largii    altra   risposta. 
A  quel  dragon  con   Frusberta  s'  accosta. 

Lxxa 
Non   domandar  come  il  drago  si   cruccia  ; 
E  come  e'  vide  Rinaldo,   si  rizza  : 
Rinaldo   trasse,   e  la  spada    gli  smoccia 
Al  collo,  tal  che   gli   cava  la   stizza  ; 
CU'  appena  sol  si   teneva  la  buccia  ; 
Tanto  che  poco  la   coda  più   guizza; 
Dunque  Rinaldo  è  quel  ch'uccise  il  drago, 
E  le'  di  sangue  e  di   veleno  un  lago. 

LXXIU 

Malgigi  a  quella  immagine  s'accosta, 
Ch'  era  fatta  di  cera  pura   e  bella 
De  le  prime  ape,   mollo  ben   composta 
Sotto  coslellazion   d'  alcuna  stella, 
Con    tutti   i  membri   insino   a  una   costa  ; 
E  sopra   il   destro  pie  si  posa  quella, 
Sospesa   avendo  la  sinistra   gandja 
Di  scorcio,  strana,  orribil,  torta  e  stramba. 


LXXIV 

La    faccia  aveva  soprattutto  fiera, 
Malgigi   che  sapea   di  punto   il    giuoco, 
Eece  per  arte,   che   l'aveva   vera. 
Presto  apparire  un    gran  lampo  di  fuoco, 
Che   s'appiccò  di    tratto  a   quella   cera, 
E  slruggela  e   constmia  a  poco  a  poco  : 
E  mentre   che  così   la  cera  scema, 
L'  aria  e   la   terra  e  ogni   cosa   triema. 


Rinaldo  più  d'  un   tratto  s'  è  riscosso 
Per   la   paura  che   gli   entrò  nel   cuore  : 
Malgigi   gli  facea   sigilli   addosso, 
E  disse  :   Non   aver  di   ciò  timore  : 
Fa   che  per  nulla   tu  non   ti   sia  mosso  : 
Vedrai   che  presto  cesserà  il  furore. 
Ma   in  questo   che   1'  immagin  si  struggea, 
Mlrabil    cose   la  donna  facea. 

LXXVl 

Ella  si  storce,  rannicchia  e  raggruppa  ; 
Poi  si   distende   come  serpe  o  bisce  ; 
Poi   si  raccoglie   e   tutta  s'avviluppa: 
Ella   si   graffia  e  percuote   e   stridisce, 
E   tutta   r  aria  in   un   tratto  s' insuppa 
Di   pioggie  e   venti,   e  co'tuoni  squittisce  : 
E    grandine   e   temj)este  e  'ncendio   e  furie 
Cominciano  apparir  con  triste  agurie. 

LXXVII 

Orlando,  benché  ognuno  abbi  paura, 
E   Ulivieri   e   gli   altri    lenien  forte 
(^olei   che  si   divora  per  1'  arsura 
Che  a  poco  a  poco  la  conduce  a  uiorte, 
)  Come  si   distruggea   quella  figura. 
Tanto  che  tosto  aperle  fien  le  porte: 
Parca   eh' a  forza  l'anima  si  svella, 
E  come  Meleagro  ardessi   quella. 

I.XXVlll 

E   finalmente  morta   si  distende. 
Come  fu  quella   immagine   distrutta  ; 
Allor  Malgigi   del  palagio  scende  ; 
E  l'aria  rischiarala   era   già   tutta: 
E   ciascun   grazia  a  Malagigi  rende. 
Che  spenta  ha  questa  cosa  così  brulla, 
E  liberali   da   tormento  e  affanno  : 
Ed  alcun  giorno  a  riposarsi  stanno. 

I,XXIX 

Un   dì  non  si  potè  tenere  Alardo, 
Che  non   dicessi  come  il  fatto  era  ilo 
D  Astolfo,  che  facea  sì   del   gagliardo: 
Rinaldo,  quando  questo  ebbe   sentilo. 
Lo   dileggiava  e  chiamaval  codardo  : 
Tanto   ch'Astolfo  si   tenne  schernito, 
E  per  isdegno  e  per  grand'  ira  caldo, 
Trasse  la  spada  per  dare  a  Rinaldo. 

LXXX 

Rinaldo  si  scostò,   dicendo:   Matto, 
Che  vuoi   tu  fare  ?  io  intendo   riguardarli 
Com'  io   t'  ho  riguardalo  più  d'  un   trailo  ; 
Ma   da   qui   innanzi   da  questo   allo   guarii. 
Orlando  gli   disj)iacquc  questo  fatto, 
E   disse  con   Rinaldo  :  Tu   ti  parti, 
Per    nio,   da    la    ragion;   ch'Astolfo   nostro, 
F'iù    (he   fratello,  amor  .-empre  ci  ha  mostro. 


M  O  l\r.  A  N  T  K      M  A(.  (.  I  C>  W  V. 


E   nianrò  poro   che   non    1'  appirrava 
Orlando  ron   Uiiulcio   la   .vcl»eriM.ipIia  ; 
Se  non  che   pnr   RinaMo  si   chclava, 
Che  sa,  quanti' e'  s'  adira,  quel   clic  va|;Iia. 
Astolfo    lauto    «fi    rio   s'  infiainniava, 
Che  in  qua,  in   là   come   un   lion  si   sragli.i  ; 
V.   dipartissi   la   sr^-oenlc    ntitle, 
E   tulle   loro   imprese   iia   guaste  e   rolle. 

LXXXII 

Però  non   facriam   mai   ittnnn   di>e^no, 
Ch' nn  altro   non   ne   facciala  luxilUld* 
E   dà   sempre   di   brocco   a   m<//.o   il   K-j-no 
San7.a  pietà,   sanza  rapione    alcinia  : 
Questa  persegue  i  buon, percl>è  gli  lia  a  Ndej;iio, 
Infin   che  v'  è  de  le   barbe   sol'  una  ; 
K  fa   de' matti  savi   e   i   savi   malli  ; 
E  chi  prestar  vorrebbe,   ch'egli   arratli. 

lAXMll 

Astolfo  va  per  un  luogo   deserto 
Di  qua   di   là,  ci»me  avvien   gli   smarriti. 
Era  di  notte  :  un  lume  s'  è  scoperto, 
Dove  abitavan    tre  santi   rouiili 
Ch'  avlen  più   tempo   di>aiiio  sofferto 
Per  riposarsi   a  gli   eterni   conviti. 
Astolfo  come   vide  il   lumicino. 
Subito  inverso  quel  prese   il  cammino. 

LXXXIV 

Giunto  a*  romiti,   la  porta   bussava; 
E  ricettato  fu   nel   romitoro. 
La  notte   certi    Pagan  v"  arrivava, 
E'  imbavagliorno  e  ruborno  costoro  : 
E  perchè  pure  il   boltin   magro  andava, 
D'  Astolfo  anco  il  cavai   vollon  con  loro. 
Astolfo  si   destava  :   e   sendo   desto. 
Di   questo  caso  s'  accorgeva  presto. 

LXXXV 

E  sciolti   que'  romiti   e  sbavagliali, 
E' domandò   donde  e' preson   la   via 
Color  che   gli   hanno  così   maltrattali  ; 
Un  di  costoro  a  Astolfo  rispoudia  : 
Lasciagli   andar,  che  saran  ben  pagali 
T>e'  lof~peccatì   e   d'ogni  colpa  ria 
Da  quel  Signor   ch'eterno   ha   stabilito 
Che  '1  ben   sia  ristoralo,  e  '1  mal  punito. 

LXXXVl 

Questi   son  rubai  or  che   sempre  stanno 
Per  questi   boschi,   e  son   gente   bestiale; 
E  altra  volta   già  rubati   ci   hanno; 
Ma   non   ci   manca   il   pan   celestiale, 
E   sempre  ci  ristora   d'  ogni   danno  : 
Se    gli   trovassi   e"  ti  polrieu   far  male  : 
Lasciagli   andar,  che  Dio   ragguaglia   tulio, 
E  rende  a' servi  suoi  merito  e  frullo. 

LX.XXVII 

Rispose   Astolfo  :  A  cotesla  mercede 
Non  intend' io  di   star  del  mio  (lesti iere. 
Ch'io  so  eli  io  me  n'andrei  sanz'esso  a  piede, 
E  '1  Signor  vostro   si  starla  a  vedere  : 
Questa  vostra  speranza  e  questa  fede 
A  me  non  dette  mai   mangiar  né  bere  : 
Io  intendo  ritrovare  il   mio  cavallo, 
E  farò  forse  lor  caro  coslallo. 


ixxxvin 
E  mi&»et>i   a  cercar   tanto,  che  pure 
Gli  ritrovò,  che  5on<i  in  .mi  d'  un  prato, 
E  stanno  a  ripo!>arsi   a   le  verzure, 
E   1   cavai   si   pascea  così   sellalo  : 
Avean   chi   lance,  chi   spade  e  chi   sente  : 
Aslulfo  a   un   di   lor  si   fu  accuslatu. 
Gridando:   l'raditor,   ladron  di    Ntrada  ; 
E  'n.sino  al  mento  gli   cai  ciò  la   spada. 

I.XXXIX 

L'ailro  gli   mena  con   ima   giannetta: 
Astolfo  vede   la  punta   venire, 
IC  con   un  colpo   tagliò  l'aste  nella, 
Poi    con    un   altro   lo  fece   morire  : 
Addosso   a    gli    altri   compagni   si   getta. 
Tanto   che    tutti    gli    ha   falli    slor<lir.-  . 
Quattro   n'  uccide    di   dieci    Pagani  -, 
A  gli   altri   il  collo  legava   e  le  mani. 

xc 
E  rimontò  sopra   al  suo  palafreno, 
Enverso   il  romitoro  si    tornava: 
Quando  i   romiti   i   mascalzon   vedic'no, 
Ognun   d'  Astolfo   si  maravigliava, 
E   ringrazlorno  lo  Dio  Nazzareno. 
Astolfo   a  questi   romiti  parlava  : 
Io  vo'  che   voi   impicchiale   a   ogni  modo 
Questi  ladron  pien  di  malizia   e  frodo. 

xci 
Dicevano  i  romiti  :  Fralel  nostro, 
Iddio  non   vuol   che  giustizia  si  faccia  ; 
Per   tanto  questo  uGcio  si  fìa  vostro. 
Diceva   Astolfo:    Io  credo  eh' a  Dio  piaccia 
Più  questo  assai,  che  dire  il  paternostro, 
Se   vero   è  che   i   cattivi   gli   dispiaccia  ; 
Cavate   fuor  le  cappe   e  fa  le    presto, 
E   tutti  gli  appiccate  a  un  capreslo. 

XCIl 

Questi  romiti  fanno  del  vezzoso, 
E   par  eh' ognun   di   lor  si  raccapricci: 
Astolfo  ch"  era  irato  e  dispettoso. 
Comincia  a  bastonargli   come  micci. 
Dicendo  :  Al  cui  l'  ara  clii  fìa   sghignoso  ; 
Tanto  che  fuor  sbalzorono  i   cilicci 
Sentendo  fra  Mazzon  che  scuote  i  panni, 
E  parean   lulti  a  1'  arte  usi  cent'  anni. 

xeni 
Astolfo  se  ne  va  pur  poi  soletto 
Per  questa   selva,  ove  la   via   lo  porla, 
Sanza   certo  proposito   o  concetto  : 
Lasciallo  andar,  che  V  angiol   gli  sia  scorta. 
Orlando  si  recò  questo  in   dispetto, 
E   una  notte  «sci  fuor  de  la  porta, 
E  vassene  soletto  di  nascosto, 
Che  ritrovare  Astolfo   avea  disposto. 

xciv 
Rinaldo  a  la  sua  vita  mal  non  fae 
Pegolo   contento',  quanto  a   questa  volta. 
Diceva  Autea  :    Che  facciam   noi    qni    niiìe? 
Ogni  nostra  speranza  veggo  tolta  : 
lo   v'accomando  al   vostro  Dio  Gesiie. 
E   nverso  Babillona   darò  volta. 
Rinaldo  e  gli  altri  ognun  pre?lu   dicla 
Che  gli   voleau  far   tutti  compagnia. 


M  OI\(.  A  N  T  K      M  \  (\  r.  I  0  \\  K 


1^   ])i.iMp;<)ii    tutti   (jujiiti  il  ('i)iiti'  Orlati. Il)  ; 
1'^    ne  'iHTi'scpv.i    insino   .il    traditore 
Di    ('aiH'Iloiie  ;    e   sempre    LuMiiiiaiido  : 
IJove  se'  tu,  dicea,  caro  sijiiiore  ? 
li   COSI   •liorno  e  notte   eavairando, 
Avendo   Orlando   |)nr  fitto  nel   core, 
A   Baltilloita    condotla    lianiio    Anlen 
Clic   del  -SUO  mal  jiiii  da  presso  piangea. 

xcvi 
Non   v'  ha   trovalo  il  suo  misero   padre 
Che   lo    lasciò  contento   e  sì  felice  ; 
Non  vi  rivede  più  l'usale  squadre; 
E  molte  cose  lamenlabii   dice. 
Rinaldo  con  parole   assai   legf^iadre 
Diceva  :  Qui   rejjina   e  imperatrice 
Ti    lascerò  de  la   tua  patria  antica, 
E  so  che   Orlando  vuol  che  così   dica. 

xcvn 
Adunque  in   Babillona  Anlea  si  resta: 
E  111   da    tutto   il   popol   vicitata  ; 
V.   non   sì  potre'  dir  con   quanta   festa 
I)a'  citladin   costei   fussi   onorala  : 
E   la  corona  re£>al    tiene  in   testa  : 
E   la   città  parca  risuscitata. 
Rinaldo   si   posò  quivi   alcun   giorno, 
E   lutti   insieme  poi  s'  accommialorno. 

XCVIII 

E   con  molti   sospir  cercando   vanno, 
Se  polessin    trovar  per  Paf!;ania 
Orlando  ;   e   dove  e'  cerchin  già  non  sanno: 
A   Monaca   n'  andar  di   comj)agnia  ; 
E   Greco   e   Cdiiarion  qui   trovato  lianno, 
E   domandar  quel  che   d'  Orlando  sia. 
Rinaldo  rispondea   che  1  suo  fratello 
Si  partì  per  disdegno    del  castello. 

xcix 
Mollo  di   questo  Greco   e   Chiarione 
Si   dolsono,   e   così  la   damigella, 
E  mandano  spiando  assai  persone 
l'er   la   città,  per  ville  e  per  castella, 
Se  si    trovassi  il  figliuol   di  Milone  : 
Né  altro  mai   che  di   lui   si  favella  : 
E    Greco   e   Chiarion   molto  onoravano 
Rinaldo  e  gii  altri,  perché  assai  gli  amavano. 

e 
Così   con   Cliiarlon  lasciamo   un  poco 
Tu    Miin.ica   costoro   a   rijìosare. 
Astolfo  andava   d'uno   in    altro  loco 
Sanza  saper   dov'  egli   abbia  arrivare. 
Come  falcon  che  s'  è  levato   a   giuoco, 
Ed  ha   disposto  paese  vagare, 
E  non   tornare  al  suo  signor  più   a  segno, 
Come  spesso  adivien  per  qualche  sdegno. 

CI 
Così  faceva  il  nostro  paladino, 
Tanto   che   in   Barberla  già  si  ritruova, 
Pov'  era   una  città  d'  un   Saracino 
Ch' avea   trovala  una   sua   lede  nuova: 
Non   crede  in    Cristo,   non  in   Apoliino, 
Non   Macomelto  o   Triviganle   appruova  ; 
Anzi   adorar  fa  sé,   eh'  era   gigante 
Mollo  superbo,  e  détto  è  Cuiaristanle. 


E    la    città    Coruij;lia    h    du.ea  ; 
IC    l''ilii)erla    si    chi.iuia    la    iiidulie. 
Dipinli   (|uesli   due  ne   la   moschea 
Erano    Iddii,   e 'I   popò!   quivi   accoglie; 
E  per  paura   adoiar  si   fa«  ea  : 
Volea   cavarsi    tutte   le   sue    vo|;lie  : 
E   vergine   ogni   dì  per   forza  piende  ; 
Poi  le  iiieltcva  ove   il   buon   vin   si   v(  nde. 

cm 
Avea   già  fatte   tante   crudelladc. 
Che    lutto   il    regno   suo    1'  odiava    a   itiorle. 
Astolfo   capitando   a    la   ciltade, 
Disnu)uia  ad   un   oslier  fuor   de   le  porte, 
E  'ntese  da  costui   la   verilade. 
Come   il   signor   gov(rnava  sua   corte 
Con    tanta   inlamia,    ingiustizia   e    vergogna  ; 
E  riposossi,  perchè   gli  bisogna. 

civ 
Or  non  lasciam  però  per  sempre  Orlando: 
E'  si   partì  donde  morì    ('reonta  ; 
A  que'  romiti   venia  capitando, 
Dove   alcun   ghiotto  i   buon  bocconi   sconta: 
Un   de' romiti   gli   vicn  raccontando 
Di  que'  ladroni,   e   la  storia    avea  pronta, 
Come   impiccar  gli  fece   un   cavaliere. 
Perchè  ìlVì   avevon  rubalo  il  destriere. 


Ma   e' si   dolieno   ancor  de  le  mazzate; 
Ch"  Astolfo  aveva  lor  le   sliene  rotte  ; 
Un  poco  le  schiavine  rassettate  : 
Ma  de' ladron   clie   rimisson    le   dotte. 
Lo  ringraziavau  per  la  sua   bonlale. 
Orlando  si  posò  quivi   la  notte, 
E  fece  carità   di   quel   che   v'  era 
Il  me'  che  può  co  romiti   la  sera. 

evi 
E  poi  ch'ognun  di   lor  fu  addormentato, 
L'Angiol  di   Dio  apparve   in   visione 
A   un  romito,  a  hallo   salutalo. 
Dicendo  :   Sappi   che   questo   barone 
E  il  conte   Orlando   eh'  avete   albergato  ; 
Fategli  onor,  eh'  egli  è  il  nostro  campione: 
Quel   ch'im])iccò  «olor,  fu  il  suo  cugino 
Chiamalo  Astolfo,   un   altro  paladino. 

e  VII 

E  '1   simiglianle   ad   Orlando  apparì 
LAngiol,   dicendo:    Orlando,   che  farai? 
Sappi   che  Astolfo   tuo   capitò  qui, 
E  presto  sano  e  salvo  il   troverai; 
Non  passerà   da  ora  il  sesto   dì; 
Che   domattina  di  qui  partirai  ; 
Non   ti  dolere,  o  baron  giusto  e  pio. 
Come  tu  fai,  che  ciò  non  piace  a  Dio. 

CVIII 

Orlando  la  maltina  risentilo, 
Subito  a  Vegliantin  mette  la  sella: 
Intanto  a  lui   ne  veniva  il  romito, 
E   dicegli  de  l'Angiol  la  novella. 
Sì   come  in  vision  gli  era  apparito, 
Mentre  che  si   dormìa  ne  la  sua  cella  : 
E  molla  riverenzia   gli  faccia. 
Orlando  V  abbracciò,  poi  si  partìa. 


M  O  n  Ci  A  N  T  K     M  \  G  (,  I  ()  1\  i: 


rix 
V,  <iiri//<i<si    s*))  f><^r   iiii    vallimi 
Dove    li.i    Irnvalo   mi   orriliil    M-r|i<-n(« 
(.Ite   s' a/ziidava   con    un    lifl    unltiur. 
(>rl.inJii   a   «|u<-.«.lo   (jtto    |>«>sr   nirnlc, 
M   ]ii.iiri;li    \r«lcr   la    Itir  qiii>-ln»iir  : 
Ma   i|ncl    prifunr   al    fin   r<'!.la   ponimi**, 
IVrclir   il    >«rprnl«-    j:li   avvilire    la   roda 
l'n    tratto  al    rollo,  r  titn  fsso   1'  annoda. 

ex 
Parvi-   il   prifone   ad   Orlando  sì   hello, 
l'^    mai   |iiii   forse'    non   a^ea   vi-dnto, 
t.hr   terminò   d'aiutar  questo    urrello  : 
1'.   ron    nn    rainu    di    fauuio   frondiilo 
Dette   al    serpente,    e   lilier.'<to   Ita   qtiello, 
lì.    ì  suo  nimico   piti   morto  è   caduto: 
Donde    il    priron    ne    va   per  V  aria    a    volo; 
Orl.indo  al   suo  ramniin   pensoso   e  solo. 

rxi 
Poro  più  olire   quattro   pran    lioni 
Trt>vava,   e    Vepliantin    tutto   è   aonibrato 
(,)iiniido   lia    veduto  «juesti   compagnoni: 
1.    imo   ad   Orlando  ne   vien    difilato, 
v\pre   la    l>occa    e   «lislende    eli    impluuni: 
Orlando   Diirlindana   nel    costato 
Gli   cacciò  tutta,  fuor  die   1' elsa  e  "1  pome: 
Gli  altri   Tassalton,  non  li  dico  come. 

CXII 

Orlando   i   colpi   allor  misura   e  'nsala, 
Però  die   a    mal   partito  si   vedea  ; 
Ecco  il   erifoa   die  per   1"  aria   più   cala 
r.on   tal  furor,   die  non   si   conoscea. 
Se  fiissi   un    vento   o  pure   ucrel   con   1"  ala; 
E   un   lion   die  più  ressa   facea 
Al  conte  Orlando,  con    pli  unpiiion   pliermìa 
A   gli  ocelli,  tal  che   schizzar  gliel  facla. 

cx\n 
Questo  lion   da   la  zuffa  si   spicca  : 
Orlando   un    altro  col   hrando   n"  uccide  ; 
E   poi   col   quarto   il   prifon   si   rappicca 
Per   aiutare   Orlando,   e   in   aria  stride  : 
E  poi  in    un   tratto   gli    arlipli    pli   ficca 
Nel  capo,  e  strinse,    insin  die  morto   il  vide; 
Che   pli   cacciò  gli  unghion   fino  al  cervello: 
Adunque  buono  amico  è  questo  uccello. 

ex  IV 
Non   si  perde   servipio  mai  nessuno  : 
Servi   qualunque,   e  non   guardar  chi  sia  ; 
Dice   il   proverbio  :  e  stu   diservi    alcuno, 
Pensa  di' a   tempo  la  vendetta  fia  : 
Ma  semina  tra'  sassi  e  sotto  il  pruno, 
Sempre   gerinopHa   al  fin   la   cortesia: 
E   noti    opnun   la  favola    d"  Isopo, 
Che  il  lion  ebbe  bisogno   d"  un   topo. 

cxv 
Vuoisi  ser%ire   insino   a   gli   animali  : 
Che   qualche  volta  m.erito  si  rende. 
Come  dicono  i  delti   de' morali, 
E  fassi  sdiiavo  chi  il  servipio  prende  ; 
E   tanto   è  degno  più,  quanto  più   vali: 
Sempre  il  servigio  il  cuor  d"  amor  raccende, 
E   vien   da    peneroso  animo  e   magno, 
E   torna  al  fine  a  casa  con    suadasno. 


(^)uel    lìmi   cieco   il    prifon   non   l' ulTete 
J'ii    s<'iitiie/.za,   e  COSI  frir   Orlando  : 
E   fin.iliiii-iile   Ir   prandi   ale   stese, 
E   dipartissi   per   1°  aria    volando  : 
1",   Cosi    il   MIO   cammino   Orlando  prese, 
A'-lolfo  pure   a   1'  iisal'i  cercando  '. 
E    cav.-dcando    piorno   e    noUr   qiieslo. 
Giunse   a    t-orniplia,   ablirrviando    il    lesto. 

cxvii 
E   dismonlatn  ad   un   oste  pagano, 
Attese    Neplianlino  a   ristorare, 
(.Il   era   più   giorni   per  coste   e  per  piano 
Andato,   ed   apparato   a    digiunare: 
Or    la<<ciaiii   riposarlo   lieto   e   sano, 
A    Astolfo   ci    bisopna   ritornare. 
The  col    suo  oste   fuor   de  la    citiate 
Si   stava,  e  molle  cose  ha  ragionate. 

CXVIIl 

Videi    turbalo   un   di    tutto  nel   voUo, 
E   la   cagion   di   ciò   volle  sapere  : 
E"  plie  ne   disse   sanza  pregar  molto. 
Che   1   sipnor   vuol   la    sua   figlia   tenere, 
Se  non   che   gli   sarà   l'albergo   tolto 
Con   essa   insieme,  e   la   vita   e   1   avere  : 
Ma  che  piuttosto  morire  é  contento. 
Che  ubbidir  questo  comandamento. 

cxix 
E  la  figliuola  di  sua  mano  uccidere, 
Innanzi   che  veder  tanta  vergogna  : 
Che   si    sente   di   duolo   il   cor   dividere. 
Astolfo   disse  :    Questo  non   bisogna, 
Forse  eh"  ancor  di   ciò  potresti  ridere  : 
Or   manda   a   Chiaristante   a   dir  se  sogna  : 
O  se  ci  manda  più  suo  messaggiero, 
Fa  eh   io  lo  vegga,  e  lascia  a  me  il  pensiero. 

cxx 
Ben  sai   che  Chiaristante  non  soggiorna: 
A  mano  a  mano  un  messo  pli  raccocca. 
Disse   1  ostiere  :  Il  messaggier  ritorna. 
Rispose   Astolfo  :   Non    ci   aprir   tu  bocca. 
Costui   dicea  che  la  fanciulla  adorna 
Si  mandi   a  corte  presto,   e  pur  ritocca. 
Astolfo   a  lo   scudier  quivi   s'  accosta, 
E  disse  :  Io  ti  farò  per  lui  risposla. 

oc  XI 
Rispondi  in  questo  modo  a  Chiaristante, 
Che  1  popol  suo  r  ha  troppo  comportalo  ; 
Ma   eh    e  potrebbe  farne   tante   e   tante, 
Cile   d'  ogni   cosa   sarà  poi   purgato  : 
Non   si    dice   altro  per   tutto   Levante, 
Se  non  di  questo   lri>to  scellerato  : 
Guarda  con  quanta  faccia  pur  sollecita, 
Come  se  fussi   qualche  cosa  lecita! 

cxxii 
Quel  messaggio  le  slimite  fóceva, 
E  dice  :   Tu  debbi   esser  qualche  pazzo. 
A^tolfo  un'altra  volta  gli  diceva: 
Ritornati   al  signor,   dico,   al  palazzo. 
L"  oste  si  tacque,  e  nulla  rispondeva. 
Disse   colui  :  La   cosa   va   di    guazzo  : 
Questo  poltron   riprende   il   signor  nostro  ! 
Lascia  eh'  io  torni,  e   fiagli   l"  error  mostro. 


Ì7 


M  O  I\  Ìm  a  N  T  K     ÌNl  A  G  G  I  O  R  K 


U- 


3/18 


^'anIle   al  sij^iiDr  e»)!»"  mi    {^.ilU»   arrosliu» 
Suliito,  e   'ni;inornliiosi>i   il  «lamigello, 
E   dice  ciò  rir  ('«jli   aveva   sentilo. 
Disse   il  sijìnor  :   Chi  fia  qticl    ladroiirello  ? 
E' sarà  qualdie  malto  dì' è  sinarrilo: 
Ma   l'oste  non   rispose  ntilla   a   quello? 
Disse  il  sergente:   E' s' inlendca   con   lui: 
E  non  mi  pare   nn   mallo  anco   costui. 

oxxiv 
Rispose   Cliiarislante  :    Or    torna    tosto, 
Dij;li  die  veni^liin    lui   e   l'oste   a  me; 
Ma   e'  si  sarà  o  liis^f^ilo  o  nascosto. 
Dicea   il  messajiiiio  :  Non   fia   per  mia   fa 
Fug};ito;   in  modo,    ti    dico,   lia  risposto. 
Astolfo   stava   armato,   e   sopra   sé, 
E  disperato   va   cercando   guerra  : 
E  "nlanlo  il   messo   torna   da   la   terra, 

cxxv 
E  dice  :  Tu  die  rispondesti  dianzi, 
Dice  il  signor  die   l'  oste   e   tu  regnate 
A  corte  presto  ;    avviatevi   innanzi  ; 
E   vuoivi   mandar  fuor  con  le   granale. 
Rispose   Astolfo  :  Acciò  che   tempo  avanzi, 
DI' al  signor  m'aspetti   a  la   citiate, 
Se  meco   vuol  provarsi  ;  e   digli,  come, 
Se  noi  sapessi,   Galliano  ho  nome. 

cxxvi 
E   eh'  io  farò  forse  costargli   caro 
Questa  imbasciata  ,   e   vengo  ora  a  trovallo. 
11  messo   torna   con   un   viso   amaro, 
E  disse  :   E'  viene   a  trovarvi   a   cavallo  ; 
E  dice  è   Gallian,  per  farli   chiaro  : 
E' mi  faceva  paura   a   gnardalio  : 
E   che  se   voi  volete   la   donzella, 
La  vuol  con  voi   giostrar  sopra  la  sella. 

CXXVII 

A   Cliiaristanle  parve  il   caso   strano, 
E  disse:   Di' che   venga  in   su  la  piazza 
A  ritrovarmi   questo  Galliano, 
O   vuol  con  lancia,   o   C(m   ispada,  o  mazza: 
Vedrem   chi  sia  (|uesto  poltron   villano  : 
r,li'  io  non  intendo  questa   cosa  pazza. 
Il  messo  a  Astolfo,  a   1' ostier  rilornóe, 
Astolfo  armato  a  la  terra  n'andóe. 

CXXVIII 

L'oste  gli  pare  Astolfo  uom  mollo  degno; 
E   dice  :   Forse  Dio   1'  ha   qui   mandalo  ; 
Ma  sia  che  vuol,  ch'io  vo'con  questo  sdegno 
Morir  più   tosto,   eh'  essere  sforzato  : 
E   disse  :   Va,  Macon   sia   tuo  sostegno. 
Astolfo  in  su   la   piazza   è   capitato, 
E  ognun  corre   a   vedere  il   giostrante: 
In   questo   tempo  s'arma   Chiaristante. 

cxxix 
Orlando,  die  sentilo   ha   già  il  remore, 
Com'  in  piazza  era  venuto   un   guerriere 
Il  qnal  provar  si  volea  col  signore. 
Presto   s'  armò  per  andare   a   vedere  : 
Ma   r  ostier  suo,  per  non   pigliare   errore 
Volle  che  pegno  lasciassi  il   destriere  ; 
Che  non  istà  de  gli  scotti   a   la  fede: 
Poi   gne   ne  'ncrebbe  veggendolo  a  piede, 


E   disse:  Torna,  e   1   cavai   tuo   ne   mena, 
Come  persona   libera   e   discreta. 
Orlando  scopjria   di   duolo  e   di   pena, 
(.he   da  jiagar   non   aveva   moneta  ; 
li   Veglianliu   non  si   reggeva  appena  : 
Questo   gli  fa   tener  la  bocca   chela  ^ 
Non   gli   jiar   tempo   a  contender  gli   scolti, 
E  disse  :  Per  Macon,  rislorerotti. 

cxxxi 
Che  solca  sempre  dar  bastoni   o  spade 
A  1'  oste   (|uaiido   i   danar   gli   mancavano. 
Mentre  ch'Orlando  va  jier  la   cittade, 

I  fanciulli   a   diletto  il   dileggiavano, 
Che   Vegliaiilino  a  ogni  passo   cade, 
E  le  risa  ogni   volta   si  levavano. 
Dicendo  infm  die  in   su   la  piazza  è  giunto: 
Chi  è  questo  uccellaccio  cosi  smunto? 

cxxxn 
Questo  cavai  bisogno  are' d'un  maggio 
Che  fossi  almeno  un  anno,  non   un    mese. 
Orlando  se   n'  andava   a  suo   viaggio, 
E  ciò  che   si   dicea  per  tutto  intese. 
Però  di'  e'  sapea   bene   ogni   linguaggio  ; 
Un   Saracin  per  la  briglia  lo  prese. 
Come  alcun  si   diletta   di  far  male, 
E  sfibbia   a   Vegliantino  il  barbazzale; 

CXXXIII 

E  per  ischerno   gli   trasse  la  briglia. 
Orlando  non  potè  sofTerir  più  ; 
E  con  un  pugno  la   gota   e   le   ciglia, 

II  naso  e  gli   occhi   gli  cacciava  giù  : 
Ognun  che  '1  vide   n'  avea   maraviglia  : 
Cile  mai  tal  pugno  veduto  non  fu: 
Poi   scese  in   terra   di   disdegno  pieno, 
E  racconciava  a  Vegliantino  il  freno. 

cxxxiv 
Colui  dì' avea  del  viso  forse  il.  terzo, 
Trasse  la   spada   eh'  aveva   a'  galloni  ; 
Però  che  questo   non   gli  pare   scherzo  : 
Orlando  lo   diserta  co' punzoni; 
Pensa  che  s'  egli   avessi   avuto  il  berzo, 
Morto  r  arebbe   con   due  rugioloni  : 
Un   tratto   ne   la   tempia  un   gnen' accocca 
Che  gli  facea  il  cervello  uscir  per  bocca. 

cxxxv 
E  risaltò   di   netto   in  sul   cavallo, 
Sanza  staffi!  operar,  con   1'  armadura. 
Tanto  eh'  ognuno  stupiva  a   guardallo, 
E   scostasi   da   lato  per  paura. 
Intanto  CUiaristante  viene  al  ballo, 
E   se  saprà  ballar,  porrenvi   cura  : 
Astolfo   lo  minaccia  e   svergognava, 
E  poi  si  scosta,  e  del  campo  pigliava. 

cxxxvi 
E  l'uno  e   l'altro  sollecita   e  sprona. 
11   Saracino  Astolfo  riscontrava  : 
L'  aste   non   resse,  benché  fossi  buona  ; 
Quella   d'  Astolfo  non   si   dicollava, 
E   lutto  il  petto   al   Saracino   intruona; 
Tanto  che  nulla   lo  scudo  approdava  : 
E   pos<'    lui    e  'l    cavallo   a    giacere, 
Ed   una  staffa  perde  nel   cadere; 


MOUC;  AN  TK      M  Ad  (i  I  O  l'i  i: 


e  XX  XVII 

Poi  si  rizz«">  lui  r  I  «Irstrirr  »ii  prf»lo. 
Dicfva  Aslolfo:  Tti  sr'  mio  prijtioii»*. 
Ditsc  il  Pagano  :  E"  noe>  sarclibr  «uipslo, 
(Ihr  fu  difrlto  del  cavai  r«)/./.niir. 
Rispose  Astolfo  :  E  rhi  |>iu(ÌM-a  «jucslo  ? 
("olui  rli'  urri>c  un  qui  con  un  |»«in/one, 
Disse  1  Pagan,  rh' Orlando  avrà  veduto, 
L    molto   gli   era   quell'  atto  ].iariulu. 

ex  XXVI  !I 

Rispose  Astolfo:   Sia  quel  de   la  pugna. 
Orijudo   dette   a    Chiaristante   il    torlo, 
nivsr   il   Paeau  :    Tedesco  pien   di   sugna, 
Vedi    tu    eli'  io   non    t'  avea   bene   scorto. 
Che  dei  succiar  più  vin,  rharqna  la  spugna: 

10  veggo   ben   che   tu  mi    guati    torto  : 
Non   fu  mai   guercio   di  malizia   netto, 

CI)  io   ti  conoscu  insin   drente  a    l'elmetto. 

(XXXIX 

Rispose   Orlando:    Tu   nti   domandasti; 
N<jn   vuoi   tu  cfi   io   risponda   al   parer  mio? 
Tu   sai   che   1   una   staffa   abbandonasti  ; 
Ognun   giudicherà   come   ho   fati"  io  : 
Ma   s'  a   tuo   modo,   Pagan,   non   cascasti, 
E   di   cader  di   nuovo  hai  pur  disio: 
Così   cattivo  e   guercio,   come   hai   dello. 
Con  lece  giostrerò,  per   Macomello. 

CXL 

Vero  è  che'l  mio  cavai,  come  ognun  vede, 
E   mollo   magro   e  stracco   e   ricaduto  : 
Ma    noi   possiam  provar   le   spade   a   pie<le. 
Rispose   Astolfo  :    Questo  è   ben    dovuto  : 
E   che   quel  fossi    Orlando  mai   non   crede. 
Orlando   avea   ben   lui   già  conosciuto  ; 
Ma   perchè   e'  parla   come   Saracino, 
Non  si  conosce  lui  né  Vegliautinu. 

c\u 
E   se   tu  vuoi    eh"  io   ti  presti  il    cavallo, 
Diceva  Astolfo,  io  son  molto   contento. 
Rispose  il   Saracin  :    Se   voi   accellallo. 
Noi   proveremo   questo   tuo   ardimento. 
Da   poi   che  m'ha  invitato   un   vii    vassallo: 
Che   de"  tuoi   par  ne   vo"  d"  intorno   cento. 
Rispose   Orlando  :   E"  basterà  forse  uno  ; 
Tanto  che  e  preson  del  campo  ciascuno. 

ex  MI 
Chiaristante  credette   un   uom    di  paglia 
Trovar  che   si    lasciassi   il  mantel    torre, 
E   con    gran  furia  par   eh  Orlando   assaglia, 
E   ruppe   la   sua   lascia   in   una    torre. 
Orlando   gli   passò   corazza   e   maglia 
D   un   colpo,    che   non  le  mai    tale   Ettorre, 
Ch"  arebbe    ben   passata   una   giraffa  : 
E   non   si   disputò  piii   de  la   staffa. 

ex  LUI 
Come  caduto   fu   giii  Chiaristante, 
Disse:   Baroo,  per   grazia   ti   domando. 
Chi    tu   ti   sia,  cristiano  o  africante, 

11  nome   tuo  mi    venga  palesando: 

lo   tolsi   a   un   signor  qua   di   Levante. 
Ch   andato   è  per   lo   mar  pui   tapinando, 
Greco   appellato  di   buona    dottrina. 
Questa   città   per   forza    e   per  rapina. 


Credo   eh*  iu  muoia   yier   qiifsto  peccato, 
Che   COSI    vuol    la   divina    giustizia; 
li    Maconielto   e  quel    che    |'  ha   mandato 
Per   punir  questo   ed    ogni    mia    tristizia. 
Orlando   del   cavallo  é   disniontato, 
E   I   popol   pieno   intorno  è   di   letizia  : 
E   disse   ne    1    orecchio   al    Saracino  : 
Sappi   ch"  io  sono   Orlando   paladino. 

rxLv 
Rispose   Chiaristante  :   Io   ti  perdono, 
Da   p(»i   die   s' io   doveva  pur  morire. 
Dal   più  franco   ^terrier   del   mondo   sono 
Ucciso;   e   non   potè  più  oltre   dire. 
Il  popol   si    levò   tutto   ad    un    tuono, 
Coni"  e  fu   morlo,  quel   corpo  a  schernire: 
E  non  pareva  ignun  contento,  o  sazio. 
Se  non  facevau   di   lui  qualche  strazio. 

CXLVI 

Chi  gli  mordeva  il   braccio  e  chi  le  mani: 
Chi    lo  pelava,   chi    1   petto   gli   straccia: 
Pareva   una   lepretta   in   mezzo   a"  cani, 
Come   veggiam   talvolta,  presa   a  caccia: 
Cosi  mordean   costui   quegli   Pagani. 
Chi    lo   calpesta   e   chi   gli   spula   in  faccia. 
Dicendo:   Ora   è  venuto  l'ora   e  1  punto 
Che  1   tuo  peccalo   t'  ha,   Iraditor,   giunto. 

CXLVH 

Ecco  che  tu   non  hai   goduto  il  regno 
Che   tu   togliesti   al  sisnor  nostro  antico 
Ch'andato   è  per  lo  mar   con    un   sol  legno 
Già   tanto   tempo  povero   e  mendico  : 
Or   vedi   quanta  forza   ha  il   giusto   sdegnol 
Guardisi   ognun   dal   popol   suo  nimico  : 
Ch'  io   credo  che   sia  pur  più  su  che  J  letto, 
Chi  vede  e'ntende   ogni  nostro  concetto. 

CXLVIII 

Poi   si  levò  fra  lutti   un   gran  romore  ; 
E  fu  levato   da   cavai   di   peso 
Orlando,   e    volean   pur  farlo  signore. 
Orlando  qtianlo  può  s  è  vilipeso. 
Dicendo:  Io  non  son   uom  da  tanto  onore, 
E   questo   eavalier  v'  ha   lui   difeso. 
Che   venne  il  primo  a  combattere  al  campo, 
Poi   mi  prestò  il   cavai  per   vostro   scampo. 

CXLIX 

Io   non   gli   sarei   buon   drieto   ragazzo. 
Adunque   il   duca   Astolfo  fu   menalo. 
E   fatto  lor  signor  drento   al  palazzo  : 
E   vuol   con  seco   Orlando  sempre  allato: 
E   tutto  lieto  è  questo  popol  p<jZzo, 
E   Astolfo   è   da   tutti  mollo   amato  : 
Un'  altra   volta   il   crucilìgeranno, 
E  eliiameran  erudel  questo  e   tiranno. 

CL 

Tanto   che  spesso   è   util   disperarsi  ; 
E   farsi   per  isdegno   di   gran   cose  : 
Astolfo  si   sta  ora   a  riposarsi  ; 
Non  va  più  per  le  selve  aspre  e  nascose  ; 
E   non  potea   con    Orlando  saziarsi 
Di   commendar   sue   c>pre   alle   e  famose  : 
E   non   conosce   ancor   chi   sia  costui, 
E   parla    tuttavia   con   esso  lui. 


1^1  O  R  G  A  N  T  E     ]M  A  G  G  1  O  1\  K 


CM 

Diceva   Orlando:   Io  voplio  in  cortesia 
Che   tu  mi   dica  se   tu   se'  Pafjano, 
K   1   nome   tuo:   Astolfo  rispondia  : 
l'.liianiar  mi  fo  per  tutto  Galliano, 
E  nacqui   di   buon  sangue  in  Barberìa: 
Cercato  ho  tutto  il  mondo  il  pop^io  e'I  piano: 
E  'nsino  a  qui  poca   ventura  lu)  avuto, 
Se  non   clic  lu  vedi   or  (juel  rb'è   accaduto. 

CHI 

Orlando  d'  «no  in   ahro  rac;ionare 
Riesce  finalmente   dove   e'  vuole  ; 
(.omincia  molto  Orlando  a   biasimare. 
Dicendo:   E' non   è  uom  più  sotto  il  sole 
Cl»e   come  lui   cercassi  rovinare. 
Astolfo  si   turbava   a  le  parole, 
E  finalmente   gli   concliiuse  questo, 
Cile  si  partissi  di  sua  corte  presto. 

CLIII 

Orlando  seguitò  pure  il  suo  detto, 
Tanto  eh'  Astolfo  tutto  furiava  : 
Per  la   qual  cosa  e'  si  cavò  V  elmetto. 
Astolfo  d'  allegrezza  lacrimava  : 
E  disson   r  uno   a  V  altro  ogni  suo  effetto 
Dal  dì  cli'Astolfo  con   lor  s'adirava, 
Com'  eran  capitati  quivi   e  quando. 
Baciando  mille  volle  Astolfo  Orlando. 

CLIV 

Orlando  mandò  poi  per  quali'  ostiere 
Che  gli  rendè  il  cavai  cortesemente  : 
Di  Cliiarislante  gli  donò  il  destriere. 
Astolfo  a   l'  oste  suo  similemente 
E  a  la  fanciulla  donò  molto  avere  ; 
Cir  onorato  V  avevan  lietamente  ; 
E  ringraziavan  lutti   di   buon  cuore, 
Che  Chiaristanle  è  morto,  il  lor  signore. 


Astolfo  facea  lor  larga  V  offerta. 
Or  lasceremo  Astolfo  e  '1  suo  fratello, 
E  ritorniamo   un  poco   a  Filiberta, 
Ch'  era  fuggita   ad  un  certo   castello  : 
Essendo  un  dì  la  porta  in  bando  aperta, 
Due  pellegrini   entrati   sono  in  quello, 
E  dicon  eh'  a  costei  voglion  parlare, 
E  vanno  Filiberla  a  visitare. 

CLVl 

E  disson  :  Donna,  fa  cbe   tu  sia   saggia, 
E  quel  che   li  fia  detto  intendi   bene, 
Ch'  una  parola  in   terra  non  ne  caggia  : 
A  tutti  incresce  di  tue  tante  pene, 
E  piangonne  le  fiere  in  ogni  piaggia  : 
Ma   tutto  questo  in   tuo  aiuto  non  viene  : 
Per  non   tenerli,  Filiberta,  a  tedio. 
Pensato  abbiam  solamente  un  rimedio. 

CLVIl 

Rinaldo,  quel  Cristian  ch'ha   tanta  fama, 
Con   Ulivieri,  Alardo  e  Ricciardetto, 
E   Gan,  cui   traditore  il  mondo  chiama, 
Guicciardo,  Malagigi   e   un   valletto, 
Come  e'  si   sia  noi  non  sappiam   la  trama, 
A  Monaca  si  trovano  in  effetto  : 
Vanno  pel  mondo;  e  sai   quanto  sien  forti; 
E  soglion  dirizzar  sempre  la'  torti. 


-. 


CLvni 
Forse  conoscon  questo  Galliano  : 
Io  me  n'  andrei   a   Rinaldo,   e  giuocrhioiic 
Direi   di   dargli    la   città  in   sua  mano, 
Se    venissi    a   punir   questo    gliiotlonr  : 
l'agli   è    tanto   gentil,    benigno,    umano, 
E  molto  partigian   de   ìh  ragione, 
Che   ne   verrà   con   la  sua   compagnia, 
E   rendcralti    la    tua  sii'noria. 


E  se  bisfigna,    accoccala  a   Apollino 
E  Macometlo  :   e  quel   che   noi    diciamo, 
Che   ogni   cosa    è   per   voler   divino  : 
l'elisa,   san/-a   cagioii    non    lo   fac(;iamo  : 
Non    guardar  j)iù   scudier   <'lie   pellegrino: 
Amici   antichi    tli    tua    stirpe  siamo, 
Forse   CirifG   eh'  andiam  ne   la  Mecche  : 
Questo  ti   dee  bastar,  salamelecche. 

ci.x 
E   impartirsi,  anzi   sparili  sono. 
Filiberla  restò  maravigliata, 
E  parvegli   il    consiglio  di   lor  buono, 
Tanto  che  infino   a  Monaca  n' è  andata: 
Ch'ogni  speranza  ha  messo   in  abbandono; 
E   gioveragli    d'  esser  disperata, 
C(jine   avvien  sempre;  e   che  pensar  bisogna. 
Chi  cerca  truova,  e  chi  si   dorme  sogna. 

CLXI 

E   la  fortuna  volentieri   aiuta. 
Come  dice   un  proverbio  eh'  ognim   sa, 
Gli   arditi   sempre,   e   i   timidi   rifiuta. 
Filiberta   a  Rinaldo  se  ne  va, 
E   voleulier  da   tulli  fu   veduta, 
E  raccontò  la  sua   calamità: 
E  'ncrebbe   tanto  di   questa   a  Rinaldo, 
Che  de  la  impresa  par  più  di  lei   caldo. 

CI.XII 

Greco,   guardando  Filiberta  in  volto, 
Subitamente  conosciuta  ha  quella, 
E   grida  :  Il  regno  mio,   che  mi  fu   tolto, 
Vedi   che  più  noi    tieni,   o  meschinella  ; 
Né  Chiaristanle  1'  ha   tenuto  molto. 
Andato  son   con  la  mia  navicella 
Per  molli   mar,  per  lunghi   e   gravi   errori, 
Da  poi  eh'  io  son  de  la  mia  patria  fuori. 

CLxm 
E   la  ragione   avuto  ha  poi  pur   loro. 
Questo   già   non  credette  il   tuo  marito, 
Di   dimorar  nel  regno  mio  sì  poco  ; 
die   si  pensò  quando  e'I'  ebbe  rapilo, 
Sii^noreggiar  la    terra  e   l'aria   e'I  fuoco 
Con  sua  superbia,  e  del  mare  ogni   lito; 
Tanto  che  s.ii   eli'  adorar  si    facea, 
E  'l  simulacro  fé'  ne  la  moschea. 

crxiv 
E'  si  pensò   di   far   come  fé'  Belo  ; 
E'  si   pensò  per   sempre   essere  Iddeo  ; 
E'  si   pensò  ))igliar  su  Giove  in   cielo  ; 
E' si  pensò   aver  fallo  Prometèo; 
E'  si  pensò  poter  far  caldo  e   gielo  ; 
E'  si   pensò   lor  fama  a   Capaneo  ; 
E'  si  pensò  di   vincer  la  fortuna, 
E  far  tremare  il   sol   non  che  la  luna. 


M  o  w  a  \  N  T  K    M  A  (;  i\  I  0  i\  i: 


ri  XV 
La   sp.ici.i   di   là  su   vedi   «ho   tajilu, 
Ma   sriii]ire   a   Iiio&o  r   tempo  i*   roii  misura: 
O^iii   ros.1   di    sopra   sì   ra{:gii.i;:,lia. 
l'.rro  rir  io  piansi   de   la    mia   sriapura, 
K(i   or  forluna   il    Ino   le);no   travaglia  : 
1)(ini]iir   rosa   non   r    è  che  sia  «ictira  : 
l*er«>   nou   si   vorria   mai  nulla   a   torto, 
Ma^^iiiiamente   in   questo   viver  corto. 

CLXVI 

La   giustizia   di   Uio  non   può  fallire: 
Dove    tu   vai    li   verrà  sempre   appresso  : 
Non    l'hai  potuto,   misera,  fuepire  : 
Dov'  è  il